Okay, avete tutto il
diritto di
essere infuriate con me. Avevo detto due settimane e invece ne sono
passate il
doppio. Mi dispiace tantissimo, ma proprio non ho avuto tempo, la
scuola
soffoca ç__ç
Ringrazio di cuore music__dreamer
e nes95
<3
La canzone che ho usato è Fly with
me
dei Jonas *.*
Spero che questo capitolo sia di
vostro gradimento!
Buona lettura ;)
____________________________________________
Capitolo
12
Maybe you were just
afraid,
knowing you were miles away
from the place where you needed to be
And that's right here with me
«Oh,
accidenti», sbuffai e mi
misi la mano sinistra fra i capelli. Se avessi avuto libera anche la
destra le
avrei messe entrambe, ma con quella tenevo il compito di matematica che
il
professore mi aveva appena riconsegnato.
«E adesso come lo recupero questo
votaccio?»
«Non
ce ne sarà bisogno», disse
Ale, sventolando una mano. Io la guardai allibita.
«Sì», continuò,
«tanto
scommetto che entro questa settimana assisterò al tuo
funerale e, completamente
vestita di nero, mi toccherà pure parlare di te di fronte a
tutti e fare finta
di piangere come una fontana.»
«Grazie
tante», biascicai, anche
se un secondo dopo ero tornata a guardarla con il sorriso.
«È bello che ti
preoccupi così tanto per me.»
«Non
devi affatto ringraziarmi,
mi viene naturale», mi abbagliò con uno dei suoi
sorrisi a trentadue denti e mi
strappò il compito dalla mano per poterlo osservare mentre
io slegavo le bici.
«Sono sicura che tua madre ti
ucciderà, ma sono ancora indecisa se lo farà per
il tuo disastroso andamento
scolastico oppure perché fai la doppia vita, andando
continuamente nell’altra
dimensione per stare con il tuo Nick, quando sai benissimo che lei non
vuole.»
«Quante
storie», sbuffai. «Me
l’ha detto lei che “Nessuna
distanza può
spezzare il legame che l’amore costruisce fra due
persone”!»
«Credo
che cambierebbe idea, se
sapesse che la persona di cui ti sei innamorata in questo momento
è nell’altra
dimensione!»
«E
io che cosa ci posso fare?»,
sbottai, tirandomi su e guardandola negli occhi con determinazione.
«Dimmelo,
che devo fare?»
«Perché
non lo riporti di qua e
la fai finita, no? Era quello che volevano anche loro, dopotutto!
Tornare in
questa dimensione! È per questo che ti avevano catturata, se
non ricordo male.»
«Sì,
noi…», scossi il capo con
violenza e montai sulla mia bici. «Stiamo escogitando un
piano per farli
tornare di qua.»
«Sì,
immagino…», roteò gli occhi
al cielo. «Il piano A si intitola: “Smack smack
smack” e quello B: “Smack Nick
ti amo smack”. Quello che invece escogiterete oggi si
intitolerà: “Smack anche
io ti amo Ary smack”.»
«Ah!
Ma la smetti di prendermi in
giro?!», gridai e lei ricambiò il mio sguardo
adirato, salendo sulla propria
bici. Poi scoppiammo a ridere insieme.
«Sul
serio, Ary… C’è bisogno di
escogitare un piano per trasportarli di qua?», mi
domandò in tono più serio una
volta uscite dalla scuola e dirette entrambe verso casa.
«No,
in realtà… non c’è bisogno
di un vero e proprio piano», sospirai sconsolata.
«Il fatto è che loro hanno
sempre fatto il doppio gioco, la gente si fida di loro e se
sparissero…»
«Confessa,
dai», mi esortò. «L’ho
capito da un pezzo che il problema non sono loro, ma tu. Per quale
motivo non
vuoi riportarli a casa?»
«Io…
io voglio portarli a casa!»,
ribattei, con gli occhi spalancati. «Gliel’ho
promesso e lo farò, prima o poi.
Però… devo fare una scelta, prima.»
«Che
tipo di scelta?», sollevò il
sopracciglio, incuriosita.
«È…
una scelta che riguarda chi
ha il dono, come me. Devo scegliere se voglio usarlo e come lo voglio
fare. Per
esempio, Fiore ha deciso di restare nell’altra dimensione
perché si è
innamorata…»
«Tu
non puoi trasferirti
nell’altra dimensione per
sempre!»,
urlò agitata, tanto che rischiò di schiantarsi
contro il fianco di un’auto
parcheggiata a ridosso del marciapiede.
«Non
è quello che voglio fare,
infatti! Devo trovare un modo per portare Nick, Joe e Kevin di qua e
allo
stesso tempo trovare una soluzione anche per tutte quelle persone che
vorrebbero tornare a vivere in questa dimensione. Non posso portare
solo loro e
fregarmene, non riuscirei più a dormire la notte sapendo di
aver fatto un atto
tanto egoistico…»
Ale
rimase in silenzio per
qualche minuto e quando mi voltai a guardarla vidi un piccolo sorriso,
ma che
dava l’idea di essere ben consapevole, ad illuminarle il
volto.
Non dovetti nemmeno chiederle che
cosa stesse a significare, lei aveva notato il mio sguardo e per questo
disse: «Me
lo sarei dovuto aspettare, da te.»
Ridacchiai
e tornai a guardare la
strada, quando lei disse ancora: «Quindi non li trasporterai
di qua fino a
quando non avrai trovato un metodo per
“accontentare” anche tutti gli altri
abitanti dell’altra dimensione, ho capito bene?»
«Esatto.»
«E
fino a quel momento
continuerai a fare avanti e indietro trascurando lo studio e,
soprattutto,
trascurando me?»
Mi
fermai di fronte a casa mia e
la obbligai a fermarsi a sua volta. Le gettai le braccia al collo e la
strinsi
fortissimo, affondando il viso fra i suoi capelli.
«Non volevo darti l’opportunità
per essere smielata», disse con la voce un po’
tremante, segno che si stava per
commuovere. «Però, ecco… passi tutto il
tuo tempo libero di là e io ti vedo
solo a scuola… Mi sento giusto un pochino
trascurata.»
La
guardai negli occhi e le
accarezzai le guance, sorridendole. «In quanto a questo, mi
è venuta in mente
un’idea. Ora, però, aiutami a sopravvivere alla
furia di mamma.»
***
«Beh…
pensavo peggio», sfiatai,
distrutta, una volta chiusa in camera mia.
Ale
si gettò sul mio letto a
pancia in giù e annuì con la testa, senza
più forze anche lei.
Era
stata una dura battaglia, ma
ce la eravamo cavata dicendo che in quel periodo il programma di tutte
le
materie era impegnativo e non riuscivo proprio a seguire il passo. Io
mi
impegnavo, ma non ce la facevo! Ale, per arrestare un po’
della sua ira, aveva
persino promesso che mi avrebbe tenuta lei sott’occhio e mi
avrebbe aiutata a
studiare, matematica in primis.
Strano perché ero sempre stata
io, fra le due, quella che se la cavava meglio in matematica.
La
mia non era pigrizia, ma non
riuscivo davvero a trovare tempo fra i viaggi dimensionali e quando per
casi
fortuiti lo trovavo non riuscivo a concentrarmi a causa di tutti i
problemi che
sentivo gravarmi sulle spalle e a cui non riuscivo a dare delle
soluzioni.
Altro che matematica!
Bussarono
alla porta e io, ancora
appoggiata ad essa con la schiena, sobbalzai. Poi l’aprii e
mi trovai di fronte
a mio fratello, che con espressione frustrata mi porgeva dei giornalini
dalla
copertina patinata, tipicamente da ragazze.
«Per
quanto tempo ancora dovrò
andare a comprarli?», mi chiese, gli occhi che imploravano
pietà per la sua
mascolinità che lentamente svaniva ogni volta che pagava e
l’edicolante lo
osservava con cipiglio perplesso.
«Ancora
per un po’, mi dispiace»,
risposi sorridendo e dandogli delle pacche sulla spalla, invitandolo ad
entrare.
«Ciao
Davide», lo salutò Ale
sventolando la mano, rivenuta dopo quella sua fase di coma.
Lui rispose con un cenno del capo
e si gettò al suo fianco, mentre io ero intenta a sfogliare
velocemente i giornalini.
«Ah,
qual era l’idea a cui
accennavi prima?», mi domandò Ale, aggrottando la
fronte.
«Ah,
sì!», mi illuminai. «Pensavo
che qualche volta potresti venire con me nell’altra
dimensione, così magari
conosceresti anche Nick, Joe e Kevin…» Per me non
erano i Jonas
Brothers, ma solo Nick, Joe e
Kevin, come li avevo
conosciuti, come li avevo odiati e come ora gli volevo bene.
La
mia migliore amica in un primo
momento mi guardò preoccupata. Poi un sorriso si fece spazio
sul suo viso e
annuì, anche se ancora un po’ incerta.
«Non
ti abbandono mica! Fidati di
me!», risi.
Una
volta che tutto fu pronto per
quel viaggio, mi infilai lo zaino sulle spalle e mi tolsi il ciondolo a
forma
di stella dal collo. Lo misi sul letto, in modo tale da avere comunque
un atterraggio
morbido.
Ale mandò un messaggio a sua
madre per avvertirla che stava da me a fare i compiti – che
non avrebbe fatto
nemmeno lei quella volta – e che sarebbe tornata
all’ora di cena.
«Okay,
noi andiamo», dissi a
Davide e presi la mano di Ale nella mia. La guardai negli occhi, con un
sorriso
incoraggiante sulle labbra, poi sparimmo.
Quando
mio fratello rimase da
solo nella stanza sentì qualcosa pungolargli il petto. Era
una sensazione
strana che non gli faceva pensare a nulla di buono, come un brutto
presentimento.
Si grattò il capo, ma non li
venne in mente nulla di preoccupante. Così
scrollò le spalle e scese in salotto
per guardare un po’ di tv spazzatura.
***
Ale
si tappò
la bocca con una
mano e si lasciò cadere culo a terra sulla sabbia. Proprio
come era successo a
Nick, il viaggio dimensionale le aveva causato non pochi problemi di
nausea.
«Fai
respiri profondi», la
incoraggiai, guardandola negli occhi. Era pallida come un lenzuolo.
«Inspira.
Espira. Inspira. Espira. Va meglio?» Lei annuì e
mi tirò un pugno sul braccio.
«Ahi!», gridai. «Perché
l’hai
fatto?»
«Potevi
avvisarmi prima!», sbottò
e io risi. In un modo o nell’altro riusciva sempre a farmi
ridere, la mia
migliore amica.
«Comunque»,
sospirò e, una volta
ripresasi del tutto, si tirò su. «Dove siamo,
precisamente?»
«In
spiaggia», le spiegai e
attesi qualche minuto per lasciare che si meravigliasse da sola della
bellezza
di quel luogo. Poi, le indicai con un dito la sommità del
promontorio sugli
scogli e dissi: «In mezzo a quella specie di foresta si trova
la villa dei
Jonas Brothers, la mia seconda casa. Andiamo.»
La
portai con me attraverso la
fitta vegetazione, conoscendo ormai quella strada a memoria, e una
volta nei
giardino dei Jonas feci una corsettina intorno alla casa per
raggiungere la
veranda all’aperto sul retro: ero sicura che ci avrei trovato
Nick.
Come
avevo immaginato, lo vidi
seduto su un divanetto bianco con un bicchiere di succo di frutta fra
le mani.
Sdraiato sullo sdraio c’era Joe, in costume da bagno e con
degli occhiali da
sole quadrati e dalla montatura colorata sul viso, che prendeva il sole
mentre
chiacchierava con il fratello minore.
Joe
mi vide per primo, ma io gli
feci segno di stare zitto portandomi l’indice di fronte alle
labbra, e con
passo felpato raggiunsi le spalle di Nick. Posai le mani sui suoi occhi
e,
sorridendo, storpiai la mia voce per sussurrargli
all’orecchio: «Chi è?»
«Ary!»,
rispose a colpo sicuro e
si liberò per girarsi, prendermi per la nuca e ad attirarmi
in un bacio che,
come al solito, mi fece scoppiare il cuore.
«Oh,
quanto siete sdolcinati!
Nick, stai attento, che tu hai già il diabete!»,
commentò scherzosamente Joe,
mettendosi gli occhiali da sole sulla testa e tirandosi su.
«Molto
divertente», rispose il
fratello con una smorfia, ma si dimenticò subito di lui e
tornò a sorridermi,
stringendomi in un abbraccio e facendomi sedere sulle sue ginocchia.
«E
tu chi sei?», chiese Joe
all’improvviso, con il sopracciglio inarcato, fissando un
punto fra i cespugli
di rose bianche.
Accidenti,
mi ero dimenticata
della mia migliore amica!
Mi stava guardando con un
espressione alquanto infastidita, le mani sui fianchi.
«Oh!»,
esclamai dispiaciuta,
chiedendole perdono con gli occhi. «Lei è
Alessandra, la mia migliore amica»,
la presentai ai due.
Nick
sorrise. «E così ho l’onore
di conoscere la famosa Ale! Ary mi ha parlato tanto di te. Io sono
Nick,
piacere», le disse e si alzò per stringerle la
mano, visto che nel frattempo
lei si era avvicinata.
«Il
piacere è tutto mio!», gli
rispose solare. «Ti assicuro che anche a me ha parlato di te.
Fino alla nausea!
“Nick di qua, Nick di
là…”.»
Entrambi
mi guardarono e
ridacchiarono: ero diventata rossa come un peperone! Mi appuntai
mentalmente
che avrei dovuto fargliela pagare per avermi messa così in
imbarazzo di fronte
a lui.
«Io
invece sono Joe», si presentò
l’altro, sorridendo malizioso e sfiorandole la mano con le
labbra invece di
stringerla. «Incantato.»
«Ahm…
sì», Ale annuì, guardandomi
preoccupata. Le avevo parlato anche di lui e del suo
“normale” comportamento
con le ragazze, ma non credeva che dicessi sul serio!
Io mi coprii la bocca con la mano
per trattenere le risate. Forse non sarebbe servito vendicarmi: quello
era già
abbastanza!
«Kevin
invece dov’è?», chiesi,
cambiando argomento.
«È
andato dentro a prendere
qualcosa da mangiare…», disse Nick, quando il
fratello più grande sbucò dalle
porte vetrate con la merenda.
Presentai
anche a lui la mia
migliore amica e rimasimo per un po’ a chiacchierare tutti
insieme.
Ero contentissima, perché
nonostante Ale si fosse inserita da poco nel gruppo si trovava bene con
loro,
li trovava tutti simpatici e avevo anche notato che rispondeva per le
rime alle
battutine di Joe, tanto che anche lui ne era rimasto colpito.
Avevo il forte presentimento che
quei due…
Nick
mi distrasse dai miei
pensieri prendendomi la mano. Lo guardai e mi incantai alla visione del
suo
stupendo e dolce sorriso. Per questo lo seguii in casa senza fiatare,
completamente
sotto il suo controllo, manco mi avesse ipnotizzata. Non avevo nemmeno
sentito
la scusa che aveva usato per spiegare il nostro allontanamento
improvviso.
Mi
abbracciò nei pressi della
cucina e mi baciò quando mi fece appoggiare con la schiena
all’isola, mentre
incastrava le dita fra i miei capelli e mi sfiorava la pelle del collo
con le
dita.
Con le mani sul suo petto riuscii
a sentire il suo cuore battere a velocità elevata, proprio
come il mio che
sembrava voler prendere il volo.
Era
talmente strano… Tutte le
volte che mi baciava, che mi accarezzava, ma anche solo mi sfiorava,
sentivo i
brividi e non erano poi così tanto spiacevoli.
Avevo capito ormai da tempo che
ciò che provavo verso di lui andava oltre al semplice
affetto, che mi ero
innamorata nel vero senso del termine, ma non avevo mai avuto il
coraggio di
dirgli che lo amavo. Eppure erano solo due paroline…
semplici e al contempo
terribilmente difficili da pronunciare.
Ci
eravamo conosciuti e ci
eravamo innamorati l’uno dell’altro in quella
dimensione, quella a cui non
appartenevamo del tutto, dove tutto sembrava surreale. Una volta
tornati di là,
insieme, saremmo riusciti a continuare e a far germogliare ancora di
più il
nostro sentimento?
Quando ero lontana da lui, quando
tutti i problemi e le preoccupazioni erano al centro dei miei pensieri
e non mi
davano pace, avevo pensato tanto anche a quello e, sinceramente, non
ero
riuscita a darmi una risposta.
Nella dimensione dalla quale
provenivamo loro avevano un’altra vita, erano i Jonas
Brothers, una band tanto
famosa nel mondo nella musica quanto nel mondo dei mass-media.
La relazione fra me e Nick
sarebbe potuta durare anche in quella vita?
«A
che cosa stai pensando?»,
mormorò sulle mie labbra, accarezzandomi le guance con i
pollici.
«A
niente… Niente», sorrisi
allacciandogli le braccia intorno al collo.
Perché, sì, bastava un nonnulla, per
farmi tornare il buonumore e farmi scivolare addosso ogni ansia: un suo
sguardo, un suo sorriso, una sua risata, una sua carezza, un suo
bacio… e tutto
passava.
Mi
bastava stare con lui
per
sentirmi forte, invincibile, capace di saltare e spiccare il
volo.
It's you and me forever
You and me right now
That'd be alright
We're chasing stars to lose our shadow
Peter Pan and Wendy turned out fine
So won't you fly with me
«Mi
sei
mancata», mi sussurrò,
accarezzandomi il viso.
Lo
guardai negli occhi,
divertita. «Ma ci siamo visti ieri sera.»
«Mi
sei mancata comunque.»
Abbassò lo sguardo e capii che avrebbe voluto dire
qualcos’altro, magari
avrebbe detto ciò che aspettavo con ansia e che speravo
aspettasse a dire,
ossia quando li avrei portati a casa… Forse,
chissà.
Infatti non ebbe il tempo di
aggiungere altro perché sia Joe che Ale sbucarono in cucina
e si guardarono con
un sorrisetto strafottente e un sopracciglio inarcato prima di dire:
«I soliti
due piccioncini!»
«Perché,
non si può stare un
attimo da soli?», ribatté Nick piccato, con
un’espressione che non ammetteva
repliche.
Chissà, forse quello che voleva
dirmi era davvero importante, tanto da infastidirsi in quel modo.
Joe
gli fece il verso, come al
solito lui era la diva a cui nessuno poteva mettere i piedi in testa, e
si
voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti sul
viso: «Amore mio
bello, dove l’hai messo il nuovo numero del mio
magazine?», mi domandò
sfarfallando le ciglia.
«Nello
zaino», balbettai, presa
in contropiede.
«Okay,
grazie!», squittì proprio
come una ragazza e prese Ale per le spalle per ricondurla fuori, dove
l’avrebbe
rimpinzata per bene di gossip e, soprattutto, le avrebbe spiegato
minuziosamente perché le band citate sul suddetto magazine
erano peggiori in
confronto a loro.
E io che a volte ancora mi
sorprendevo di quanto potesse essere megalomane! Dovevo arrendermi
all’evidenza: Joe non sarebbe mai cambiato. E forse non era
poi così terribile.
Riportai
la mia attenzione su
Nick e sorrisi, rigirandomi fra le dita un suo ricciolino.
«Dov’eravamo
rimasti?»
Lui
sorrise e posò la fronte
sulla mia, allacciando le braccia intorno alla mia vita.
«All’incirca qui.» E
mi baciò.
***
«Sai,
questi
Jonas non sono tanto
male», esordì Ale, infilandosi le mani in tasca e
abbassando il capo per non
mostrarmi il sorriso che le si era dipinto sul volto.
«No,
affatto», risposi,
imitandola guardando i miei piedi affondare nella sabbia.
Il
sole stava tramontando nel
mare, donandogli quella luce arancione/dorata che mi piaceva tanto, ed
era ora
di tornare a casa. Avevamo già salutato i Nick, Joe e Kevin
e gli avevamo
promesso che saremmo tornate presto: io, sicuramente, avrei trovato il
modo per
passare buona parte del week-end con loro.
«Joe
è single, vero?», mi domandò
con nonchalance e io scoppiai a ridere. Lei, rossa come un peperone, mi
spintonò. «Che hai da ridere!? Non ho detto che mi
piace! Ti ho solo chiesto se
è single per titolo informativo!»
«Se,
certo!», annuì, ancora divertita
dal suo comportamento, e le presi la mano. «Tanto ormai
gliel’abbiamo promesso
che saresti tornata anche tu, poche scuse.»
Lei
sbuffò e roteò gli occhi al
cielo. «Okay, forse un pochino
mi
piace.»
«Brava
la mia Ale», le arruffai i
capelli con una mano. «Ora torniamo di là, che ne
dici?»
«Va
bene», mi sorrise e in un
attimo sparimmo.
***
Davide
spalancò gli occhi, in
preda al panico.
Aveva passato ore a pensare a che
cosa fosse dovuta la terribile sensazione che provava in mezzo al
petto, come uno
stato di ansia perenne, e finalmente era riuscito a capire.
Ale… Nessuno della sua famiglia
era a conoscenza della dimensione parallela, quindi se sua sorella
l’avesse
fatta tornare di qua probabilmente…
Si
alzò dal divano, colto da una
nausea improvvisa, e salì due a due le scale che portavano
al piano di sopra
sotto lo sguardo preoccupato di sua madre.
Si chiuse in bagno e si piegò sul
water, socchiudendo gli occhi lucidi e dai quali iniziarono a sgorgare
le prime
lacrime.
Perché,
perché non gli era venuto
in mente prima?! Non poteva, non poteva accadere un’altra
volta e proprio ad
Ale… No, no, no! Non voleva perdere chissà dove
anche lei!
Avrebbe
potuto andare nell’altra
dimensione per avvertire Ary e far sì che non la
trasportasse in alcun modo, ma
non avrebbe saputo dove andare a cercarla, poiché non
conosceva la zona
“d’azione” dei Jonas. Inoltre era quasi
l’ora di cena e sarebbero dovute
tornare a momenti.
Sperò con tutte le sue forze che
almeno sua sorella si ricordasse appena in tempo di quello che la sua
amica
rischiava, perché altrimenti… sarebbe stata la
fine.
***
Atterrai
nella mia
camera,
proprio nei pressi del mio ciondolo a forma di stella. Ale, invece,
cadde sul
letto, con la faccia fra i miei pupazzi.
«Ehi,
tutto okay?», le chiesi, aiutandola
a girarsi. «Hai ancora la nausea?»
Il
suo colorito verdognolo parlò
per lei. La presi sotto braccio e la accompagnai in bagno, ma lo trovai
occupato. Bussai e sentii la voce di Davide rispondermi.
«Davide,
sbrigati, Ale… !» Non mi
fece nemmeno finire la frase: spalancò la porta e
guardò sia me che la mia
migliore amica con gli occhi leggermente gonfi e rossi, come se avesse
appena
pianto, e poi ci gettò le braccia al collo in un abbraccio
che rischiò di
soffocarmi.
«Davide…
Davide, che ti prende?»,
sussurrai con la voce smorzata.
Lui
si staccò e mi guardò
severamente, tanto che mi fece sentire in colpa già da quel
momento. Ale si
fece spazio fra noi, mentre ancora ci lanciavamo quegli sguardi
intensi, e nel
bagno si piegò con la faccia nel cesso.
Due viaggi dimensionali nello
stesso giorno su di lei non avevano proprio un bell’effetto.
«Mi
spieghi che cosa c’è che non
va?», domandai con più cautela a mio fratello.
Stavo iniziando seriamente a
preoccuparmi.
«Ho
avuto una paura tremenda!»,
strillò, di nuovo sull’orlo del pianto.
«Hai rischiato come una cretina
portando Ale con te nell’altra dimensione, lo sai?! Hai
rischiato di perderla
chissà dove riportandola qui! Te ne eri dimenticata, proprio
come me!»
Spalancai
la bocca. Non ci avevo
nemmeno pensato! Avevo portato Ale nell’altra dimensione e
l’avevo riportata a
casa senza nemmeno pensare che nessuno della sua famiglia era a
conoscenza
della dimensione parallela, quesito necessario per riuscire a tornare
senza
perdersi, appunto, chissà dove.
Ma allora perché era riuscita a
tornare, nonostante tutto? Per
fortuna.
«Oh
Dio mio», mi scappò un
singhiozzo e mi tappai la bocca con una mano per soffocarne degli
altri, mentre
le lacrime iniziavano a rigarmi il viso. Solo ora mi ero resa conto del
rischio
che avevo corso. Avevo rischiato di perdere la mia migliore amica.
Ale,
che aveva ascoltato tutto e
che intanto si era alzata e si era sciacquata la bocca,
barcollò da me e mi
avvolse le braccia intorno alla schiena.
«Oddio
Ale, scusa. Scusa, scusa,
scusa», farfugliai, aggrappandomi a lei con tutte le mie
forze.
«Shhh,
smettila di piangere. Sono
ancora qui, no?», mi sorrise, anche se glielo leggevo negli
occhi che anche lei
stava lottando con la paura in quel momento, proprio come me.
«L’importante è
che non mi è successo niente e che sono qui.»
«Già…»,
sospirò Davide, tirando
su col naso e passandosi una mano sul viso. «Ora
però mi chiedo… perché è
riuscita a tornare ugualmente?»
«Beh»,
ridacchiò la diretta
interessata. «Dopotutto voi siete un po’ la mia
seconda famiglia, no?»
La
avvolsi in un nuovo abbraccio e aggiunsi a noi anche mio fratello.
Rimanemmo uniti per un momento che sembrò eterno, cullandoci
l’un l’altro. Poi
mamma ci chiamò: la cena era in tavola.