Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    12/10/2010    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Okay, avete tutto il diritto di essere infuriate con me. Avevo detto due settimane e invece ne sono passate il doppio. Mi dispiace tantissimo, ma proprio non ho avuto tempo, la scuola soffoca ç__ç
Ringrazio di cuore music__dreamer e nes95 <3
La canzone che ho usato è Fly with me dei Jonas *.*
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!
Buona lettura ;)

____________________________________________

Capitolo 12

Maybe you were just afraid,
knowing you were miles away
from the place where you needed to be
And that's right here with me

«Oh, accidenti», sbuffai e mi misi la mano sinistra fra i capelli. Se avessi avuto libera anche la destra le avrei messe entrambe, ma con quella tenevo il compito di matematica che il professore mi aveva appena riconsegnato.
«E adesso come lo recupero questo votaccio?»

«Non ce ne sarà bisogno», disse Ale, sventolando una mano. Io la guardai allibita. «Sì», continuò, «tanto scommetto che entro questa settimana assisterò al tuo funerale e, completamente vestita di nero, mi toccherà pure parlare di te di fronte a tutti e fare finta di piangere come una fontana.»

«Grazie tante», biascicai, anche se un secondo dopo ero tornata a guardarla con il sorriso. «È bello che ti preoccupi così tanto per me.»

«Non devi affatto ringraziarmi, mi viene naturale», mi abbagliò con uno dei suoi sorrisi a trentadue denti e mi strappò il compito dalla mano per poterlo osservare mentre io slegavo le bici.
«Sono sicura che tua madre ti ucciderà, ma sono ancora indecisa se lo farà per il tuo disastroso andamento scolastico oppure perché fai la doppia vita, andando continuamente nell’altra dimensione per stare con il tuo Nick, quando sai benissimo che lei non vuole.»

«Quante storie», sbuffai. «Me l’ha detto lei che “Nessuna distanza può spezzare il legame che l’amore costruisce fra due persone”

«Credo che cambierebbe idea, se sapesse che la persona di cui ti sei innamorata in questo momento è nell’altra dimensione!»

«E io che cosa ci posso fare?», sbottai, tirandomi su e guardandola negli occhi con determinazione. «Dimmelo, che devo fare?»

«Perché non lo riporti di qua e la fai finita, no? Era quello che volevano anche loro, dopotutto! Tornare in questa dimensione! È per questo che ti avevano catturata, se non ricordo male.»

«Sì, noi…», scossi il capo con violenza e montai sulla mia bici. «Stiamo escogitando un piano per farli tornare di qua.»

«Sì, immagino…», roteò gli occhi al cielo. «Il piano A si intitola: “Smack smack smack” e quello B: “Smack Nick ti amo smack”. Quello che invece escogiterete oggi si intitolerà: “Smack anche io ti amo Ary smack”.»

«Ah! Ma la smetti di prendermi in giro?!», gridai e lei ricambiò il mio sguardo adirato, salendo sulla propria bici. Poi scoppiammo a ridere insieme.

«Sul serio, Ary… C’è bisogno di escogitare un piano per trasportarli di qua?», mi domandò in tono più serio una volta uscite dalla scuola e dirette entrambe verso casa.

«No, in realtà… non c’è bisogno di un vero e proprio piano», sospirai sconsolata. «Il fatto è che loro hanno sempre fatto il doppio gioco, la gente si fida di loro e se sparissero…»

«Confessa, dai», mi esortò. «L’ho capito da un pezzo che il problema non sono loro, ma tu. Per quale motivo non vuoi riportarli a casa?»

«Io… io voglio portarli a casa!», ribattei, con gli occhi spalancati. «Gliel’ho promesso e lo farò, prima o poi. Però… devo fare una scelta, prima.»

«Che tipo di scelta?», sollevò il sopracciglio, incuriosita.

«È… una scelta che riguarda chi ha il dono, come me. Devo scegliere se voglio usarlo e come lo voglio fare. Per esempio, Fiore ha deciso di restare nell’altra dimensione perché si è innamorata…»

«Tu non puoi trasferirti nell’altra dimensione per sempre!», urlò agitata, tanto che rischiò di schiantarsi contro il fianco di un’auto parcheggiata a ridosso del marciapiede.

«Non è quello che voglio fare, infatti! Devo trovare un modo per portare Nick, Joe e Kevin di qua e allo stesso tempo trovare una soluzione anche per tutte quelle persone che vorrebbero tornare a vivere in questa dimensione. Non posso portare solo loro e fregarmene, non riuscirei più a dormire la notte sapendo di aver fatto un atto tanto egoistico…»

Ale rimase in silenzio per qualche minuto e quando mi voltai a guardarla vidi un piccolo sorriso, ma che dava l’idea di essere ben consapevole, ad illuminarle il volto.
Non dovetti nemmeno chiederle che cosa stesse a significare, lei aveva notato il mio sguardo e per questo disse: «Me lo sarei dovuto aspettare, da te.»

Ridacchiai e tornai a guardare la strada, quando lei disse ancora: «Quindi non li trasporterai di qua fino a quando non avrai trovato un metodo per “accontentare” anche tutti gli altri abitanti dell’altra dimensione, ho capito bene?»

«Esatto.»

«E fino a quel momento continuerai a fare avanti e indietro trascurando lo studio e, soprattutto, trascurando me?»

Mi fermai di fronte a casa mia e la obbligai a fermarsi a sua volta. Le gettai le braccia al collo e la strinsi fortissimo, affondando il viso fra i suoi capelli.
«Non volevo darti l’opportunità per essere smielata», disse con la voce un po’ tremante, segno che si stava per commuovere. «Però, ecco… passi tutto il tuo tempo libero di là e io ti vedo solo a scuola… Mi sento giusto un pochino trascurata.»

La guardai negli occhi e le accarezzai le guance, sorridendole. «In quanto a questo, mi è venuta in mente un’idea. Ora, però, aiutami a sopravvivere alla furia di mamma.»

***

«Beh… pensavo peggio», sfiatai, distrutta, una volta chiusa in camera mia.

Ale si gettò sul mio letto a pancia in giù e annuì con la testa, senza più forze anche lei.

Era stata una dura battaglia, ma ce la eravamo cavata dicendo che in quel periodo il programma di tutte le materie era impegnativo e non riuscivo proprio a seguire il passo. Io mi impegnavo, ma non ce la facevo! Ale, per arrestare un po’ della sua ira, aveva persino promesso che mi avrebbe tenuta lei sott’occhio e mi avrebbe aiutata a studiare, matematica in primis.
Strano perché ero sempre stata io, fra le due, quella che se la cavava meglio in matematica.

La mia non era pigrizia, ma non riuscivo davvero a trovare tempo fra i viaggi dimensionali e quando per casi fortuiti lo trovavo non riuscivo a concentrarmi a causa di tutti i problemi che sentivo gravarmi sulle spalle e a cui non riuscivo a dare delle soluzioni.
Altro che matematica!

Bussarono alla porta e io, ancora appoggiata ad essa con la schiena, sobbalzai. Poi l’aprii e mi trovai di fronte a mio fratello, che con espressione frustrata mi porgeva dei giornalini dalla copertina patinata, tipicamente da ragazze.

«Per quanto tempo ancora dovrò andare a comprarli?», mi chiese, gli occhi che imploravano pietà per la sua mascolinità che lentamente svaniva ogni volta che pagava e l’edicolante lo osservava con cipiglio perplesso.

«Ancora per un po’, mi dispiace», risposi sorridendo e dandogli delle pacche sulla spalla, invitandolo ad entrare.

«Ciao Davide», lo salutò Ale sventolando la mano, rivenuta dopo quella sua fase di coma.
Lui rispose con un cenno del capo e si gettò al suo fianco, mentre io ero intenta a sfogliare velocemente i giornalini.

«Ah, qual era l’idea a cui accennavi prima?», mi domandò Ale, aggrottando la fronte.

«Ah, sì!», mi illuminai. «Pensavo che qualche volta potresti venire con me nell’altra dimensione, così magari conosceresti anche Nick, Joe e Kevin…» Per me non erano i Jonas Brothers, ma solo Nick, Joe e Kevin, come li avevo conosciuti, come li avevo odiati e come ora gli volevo bene.

La mia migliore amica in un primo momento mi guardò preoccupata. Poi un sorriso si fece spazio sul suo viso e annuì, anche se ancora un po’ incerta.

«Non ti abbandono mica! Fidati di me!», risi.

Una volta che tutto fu pronto per quel viaggio, mi infilai lo zaino sulle spalle e mi tolsi il ciondolo a forma di stella dal collo. Lo misi sul letto, in modo tale da avere comunque un atterraggio morbido.
Ale mandò un messaggio a sua madre per avvertirla che stava da me a fare i compiti – che non avrebbe fatto nemmeno lei quella volta – e che sarebbe tornata all’ora di cena.

«Okay, noi andiamo», dissi a Davide e presi la mano di Ale nella mia. La guardai negli occhi, con un sorriso incoraggiante sulle labbra, poi sparimmo.

Quando mio fratello rimase da solo nella stanza sentì qualcosa pungolargli il petto. Era una sensazione strana che non gli faceva pensare a nulla di buono, come un brutto presentimento.
Si grattò il capo, ma non li venne in mente nulla di preoccupante. Così scrollò le spalle e scese in salotto per guardare un po’ di tv spazzatura.

***

Ale si tappò la bocca con una mano e si lasciò cadere culo a terra sulla sabbia. Proprio come era successo a Nick, il viaggio dimensionale le aveva causato non pochi problemi di nausea.

«Fai respiri profondi», la incoraggiai, guardandola negli occhi. Era pallida come un lenzuolo. «Inspira. Espira. Inspira. Espira. Va meglio?» Lei annuì e mi tirò un pugno sul braccio.
«Ahi!», gridai. «Perché l’hai fatto?»

«Potevi avvisarmi prima!», sbottò e io risi. In un modo o nell’altro riusciva sempre a farmi ridere, la mia migliore amica.

«Comunque», sospirò e, una volta ripresasi del tutto, si tirò su. «Dove siamo, precisamente?»

«In spiaggia», le spiegai e attesi qualche minuto per lasciare che si meravigliasse da sola della bellezza di quel luogo. Poi, le indicai con un dito la sommità del promontorio sugli scogli e dissi: «In mezzo a quella specie di foresta si trova la villa dei Jonas Brothers, la mia seconda casa. Andiamo.»

La portai con me attraverso la fitta vegetazione, conoscendo ormai quella strada a memoria, e una volta nei giardino dei Jonas feci una corsettina intorno alla casa per raggiungere la veranda all’aperto sul retro: ero sicura che ci avrei trovato Nick.

Come avevo immaginato, lo vidi seduto su un divanetto bianco con un bicchiere di succo di frutta fra le mani. Sdraiato sullo sdraio c’era Joe, in costume da bagno e con degli occhiali da sole quadrati e dalla montatura colorata sul viso, che prendeva il sole mentre chiacchierava con il fratello minore.

Joe mi vide per primo, ma io gli feci segno di stare zitto portandomi l’indice di fronte alle labbra, e con passo felpato raggiunsi le spalle di Nick. Posai le mani sui suoi occhi e, sorridendo, storpiai la mia voce per sussurrargli all’orecchio: «Chi è?»

«Ary!», rispose a colpo sicuro e si liberò per girarsi, prendermi per la nuca e ad attirarmi in un bacio che, come al solito, mi fece scoppiare il cuore.

«Oh, quanto siete sdolcinati! Nick, stai attento, che tu hai già il diabete!», commentò scherzosamente Joe, mettendosi gli occhiali da sole sulla testa e tirandosi su.

«Molto divertente», rispose il fratello con una smorfia, ma si dimenticò subito di lui e tornò a sorridermi, stringendomi in un abbraccio e facendomi sedere sulle sue ginocchia.

«E tu chi sei?», chiese Joe all’improvviso, con il sopracciglio inarcato, fissando un punto fra i cespugli di rose bianche.

Accidenti, mi ero dimenticata della mia migliore amica!
Mi stava guardando con un espressione alquanto infastidita, le mani sui fianchi.

«Oh!», esclamai dispiaciuta, chiedendole perdono con gli occhi. «Lei è Alessandra, la mia migliore amica», la presentai ai due.

Nick sorrise. «E così ho l’onore di conoscere la famosa Ale! Ary mi ha parlato tanto di te. Io sono Nick, piacere», le disse e si alzò per stringerle la mano, visto che nel frattempo lei si era avvicinata.

«Il piacere è tutto mio!», gli rispose solare. «Ti assicuro che anche a me ha parlato di te. Fino alla nausea! “Nick di qua, Nick di là…”.»

Entrambi mi guardarono e ridacchiarono: ero diventata rossa come un peperone! Mi appuntai mentalmente che avrei dovuto fargliela pagare per avermi messa così in imbarazzo di fronte a lui.

«Io invece sono Joe», si presentò l’altro, sorridendo malizioso e sfiorandole la mano con le labbra invece di stringerla. «Incantato.»

«Ahm… sì», Ale annuì, guardandomi preoccupata. Le avevo parlato anche di lui e del suo “normale” comportamento con le ragazze, ma non credeva che dicessi sul serio!
Io mi coprii la bocca con la mano per trattenere le risate. Forse non sarebbe servito vendicarmi: quello era già abbastanza!

«Kevin invece dov’è?», chiesi, cambiando argomento.

«È andato dentro a prendere qualcosa da mangiare…», disse Nick, quando il fratello più grande sbucò dalle porte vetrate con la merenda.

Presentai anche a lui la mia migliore amica e rimasimo per un po’ a chiacchierare tutti insieme.
Ero contentissima, perché nonostante Ale si fosse inserita da poco nel gruppo si trovava bene con loro, li trovava tutti simpatici e avevo anche notato che rispondeva per le rime alle battutine di Joe, tanto che anche lui ne era rimasto colpito.
Avevo il forte presentimento che quei due…

Nick mi distrasse dai miei pensieri prendendomi la mano. Lo guardai e mi incantai alla visione del suo stupendo e dolce sorriso. Per questo lo seguii in casa senza fiatare, completamente sotto il suo controllo, manco mi avesse ipnotizzata. Non avevo nemmeno sentito la scusa che aveva usato per spiegare il nostro allontanamento improvviso.

Mi abbracciò nei pressi della cucina e mi baciò quando mi fece appoggiare con la schiena all’isola, mentre incastrava le dita fra i miei capelli e mi sfiorava la pelle del collo con le dita.
Con le mani sul suo petto riuscii a sentire il suo cuore battere a velocità elevata, proprio come il mio che sembrava voler prendere il volo.

Era talmente strano… Tutte le volte che mi baciava, che mi accarezzava, ma anche solo mi sfiorava, sentivo i brividi e non erano poi così tanto spiacevoli.
Avevo capito ormai da tempo che ciò che provavo verso di lui andava oltre al semplice affetto, che mi ero innamorata nel vero senso del termine, ma non avevo mai avuto il coraggio di dirgli che lo amavo. Eppure erano solo due paroline… semplici e al contempo terribilmente difficili da pronunciare.

Ci eravamo conosciuti e ci eravamo innamorati l’uno dell’altro in quella dimensione, quella a cui non appartenevamo del tutto, dove tutto sembrava surreale. Una volta tornati di là, insieme, saremmo riusciti a continuare e a far germogliare ancora di più il nostro sentimento?
Quando ero lontana da lui, quando tutti i problemi e le preoccupazioni erano al centro dei miei pensieri e non mi davano pace, avevo pensato tanto anche a quello e, sinceramente, non ero riuscita a darmi una risposta.
Nella dimensione dalla quale provenivamo loro avevano un’altra vita, erano i Jonas Brothers, una band tanto famosa nel mondo nella musica quanto nel mondo dei mass-media.
La relazione fra me e Nick sarebbe potuta durare anche in quella vita?

«A che cosa stai pensando?», mormorò sulle mie labbra, accarezzandomi le guance con i pollici.

«A niente… Niente», sorrisi allacciandogli le braccia intorno al collo.
Perché, sì, bastava un nonnulla, per farmi tornare il buonumore e farmi scivolare addosso ogni ansia: un suo sguardo, un suo sorriso, una sua risata, una sua carezza, un suo bacio… e tutto passava.

Mi bastava stare con lui per sentirmi forte, invincibile, capace di saltare e spiccare il volo.

It's you and me forever
You and me right now
That'd be alright
We're chasing stars to lose our shadow
Peter Pan and Wendy turned out fine
So won't you fly with me

«Mi sei mancata», mi sussurrò, accarezzandomi il viso.

Lo guardai negli occhi, divertita. «Ma ci siamo visti ieri sera.»

«Mi sei mancata comunque.» Abbassò lo sguardo e capii che avrebbe voluto dire qualcos’altro, magari avrebbe detto ciò che aspettavo con ansia e che speravo aspettasse a dire, ossia quando li avrei portati a casa… Forse, chissà.
Infatti non ebbe il tempo di aggiungere altro perché sia Joe che Ale sbucarono in cucina e si guardarono con un sorrisetto strafottente e un sopracciglio inarcato prima di dire: «I soliti due piccioncini!»

«Perché, non si può stare un attimo da soli?», ribatté Nick piccato, con un’espressione che non ammetteva repliche.
Chissà, forse quello che voleva dirmi era davvero importante, tanto da infastidirsi in quel modo.

Joe gli fece il verso, come al solito lui era la diva a cui nessuno poteva mettere i piedi in testa, e si voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti sul viso: «Amore mio bello, dove l’hai messo il nuovo numero del mio magazine?», mi domandò sfarfallando le ciglia.

«Nello zaino», balbettai, presa in contropiede.

«Okay, grazie!», squittì proprio come una ragazza e prese Ale per le spalle per ricondurla fuori, dove l’avrebbe rimpinzata per bene di gossip e, soprattutto, le avrebbe spiegato minuziosamente perché le band citate sul suddetto magazine erano peggiori in confronto a loro.
E io che a volte ancora mi sorprendevo di quanto potesse essere megalomane! Dovevo arrendermi all’evidenza: Joe non sarebbe mai cambiato. E forse non era poi così terribile.

Riportai la mia attenzione su Nick e sorrisi, rigirandomi fra le dita un suo ricciolino. «Dov’eravamo rimasti?»

Lui sorrise e posò la fronte sulla mia, allacciando le braccia intorno alla mia vita. «All’incirca qui.» E mi baciò.

***

«Sai, questi Jonas non sono tanto male», esordì Ale, infilandosi le mani in tasca e abbassando il capo per non mostrarmi il sorriso che le si era dipinto sul volto.

«No, affatto», risposi, imitandola guardando i miei piedi affondare nella sabbia.

Il sole stava tramontando nel mare, donandogli quella luce arancione/dorata che mi piaceva tanto, ed era ora di tornare a casa. Avevamo già salutato i Nick, Joe e Kevin e gli avevamo promesso che saremmo tornate presto: io, sicuramente, avrei trovato il modo per passare buona parte del week-end con loro.

«Joe è single, vero?», mi domandò con nonchalance e io scoppiai a ridere. Lei, rossa come un peperone, mi spintonò. «Che hai da ridere!? Non ho detto che mi piace! Ti ho solo chiesto se è single per titolo informativo!»

«Se, certo!», annuì, ancora divertita dal suo comportamento, e le presi la mano. «Tanto ormai gliel’abbiamo promesso che saresti tornata anche tu, poche scuse.»

Lei sbuffò e roteò gli occhi al cielo. «Okay, forse un pochino mi piace.»

«Brava la mia Ale», le arruffai i capelli con una mano. «Ora torniamo di là, che ne dici?»

«Va bene», mi sorrise e in un attimo sparimmo.

***

Davide spalancò gli occhi, in preda al panico.
Aveva passato ore a pensare a che cosa fosse dovuta la terribile sensazione che provava in mezzo al petto, come uno stato di ansia perenne, e finalmente era riuscito a capire.
Ale… Nessuno della sua famiglia era a conoscenza della dimensione parallela, quindi se sua sorella l’avesse fatta tornare di qua probabilmente…

Si alzò dal divano, colto da una nausea improvvisa, e salì due a due le scale che portavano al piano di sopra sotto lo sguardo preoccupato di sua madre.
Si chiuse in bagno e si piegò sul water, socchiudendo gli occhi lucidi e dai quali iniziarono a sgorgare le prime lacrime.

Perché, perché non gli era venuto in mente prima?! Non poteva, non poteva accadere un’altra volta e proprio ad Ale… No, no, no! Non voleva perdere chissà dove anche lei!

Avrebbe potuto andare nell’altra dimensione per avvertire Ary e far sì che non la trasportasse in alcun modo, ma non avrebbe saputo dove andare a cercarla, poiché non conosceva la zona “d’azione” dei Jonas. Inoltre era quasi l’ora di cena e sarebbero dovute tornare a momenti.
Sperò con tutte le sue forze che almeno sua sorella si ricordasse appena in tempo di quello che la sua amica rischiava, perché altrimenti… sarebbe stata la fine.

***

Atterrai nella mia camera, proprio nei pressi del mio ciondolo a forma di stella. Ale, invece, cadde sul letto, con la faccia fra i miei pupazzi.

«Ehi, tutto okay?», le chiesi, aiutandola a girarsi. «Hai ancora la nausea?»

Il suo colorito verdognolo parlò per lei. La presi sotto braccio e la accompagnai in bagno, ma lo trovai occupato. Bussai e sentii la voce di Davide rispondermi.

«Davide, sbrigati, Ale… !» Non mi fece nemmeno finire la frase: spalancò la porta e guardò sia me che la mia migliore amica con gli occhi leggermente gonfi e rossi, come se avesse appena pianto, e poi ci gettò le braccia al collo in un abbraccio che rischiò di soffocarmi.

«Davide… Davide, che ti prende?», sussurrai con la voce smorzata.

Lui si staccò e mi guardò severamente, tanto che mi fece sentire in colpa già da quel momento. Ale si fece spazio fra noi, mentre ancora ci lanciavamo quegli sguardi intensi, e nel bagno si piegò con la faccia nel cesso.
Due viaggi dimensionali nello stesso giorno su di lei non avevano proprio un bell’effetto.

«Mi spieghi che cosa c’è che non va?», domandai con più cautela a mio fratello. Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi.

«Ho avuto una paura tremenda!», strillò, di nuovo sull’orlo del pianto. «Hai rischiato come una cretina portando Ale con te nell’altra dimensione, lo sai?! Hai rischiato di perderla chissà dove riportandola qui! Te ne eri dimenticata, proprio come me!»

Spalancai la bocca. Non ci avevo nemmeno pensato! Avevo portato Ale nell’altra dimensione e l’avevo riportata a casa senza nemmeno pensare che nessuno della sua famiglia era a conoscenza della dimensione parallela, quesito necessario per riuscire a tornare senza perdersi, appunto, chissà dove.
Ma allora perché era riuscita a tornare, nonostante tutto? Per fortuna.

«Oh Dio mio», mi scappò un singhiozzo e mi tappai la bocca con una mano per soffocarne degli altri, mentre le lacrime iniziavano a rigarmi il viso. Solo ora mi ero resa conto del rischio che avevo corso. Avevo rischiato di perdere la mia migliore amica.

Ale, che aveva ascoltato tutto e che intanto si era alzata e si era sciacquata la bocca, barcollò da me e mi avvolse le braccia intorno alla schiena.

«Oddio Ale, scusa. Scusa, scusa, scusa», farfugliai, aggrappandomi a lei con tutte le mie forze.

«Shhh, smettila di piangere. Sono ancora qui, no?», mi sorrise, anche se glielo leggevo negli occhi che anche lei stava lottando con la paura in quel momento, proprio come me. «L’importante è che non mi è successo niente e che sono qui.»

«Già…», sospirò Davide, tirando su col naso e passandosi una mano sul viso. «Ora però mi chiedo… perché è riuscita a tornare ugualmente?»

«Beh», ridacchiò la diretta interessata. «Dopotutto voi siete un po’ la mia seconda famiglia, no?»

La avvolsi in un nuovo abbraccio e aggiunsi a noi anche mio fratello. Rimanemmo uniti per un momento che sembrò eterno, cullandoci l’un l’altro. Poi mamma ci chiamò: la cena era in tavola.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_