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Autore: BigMistake    12/10/2010    1 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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CHAPITRE QUATRE: Vengeance.

 

 

Molte persone si erano avvicendate nelle sorti di Erik e con altrettante poteva dire di aver un conto in sospeso, ma a quella frase solo un nome poteva balenargli in mente.

Questa proprietà è confinante con il terreno di un vostro vecchio “amico”, la famiglia di un certo qualcuno con cui avete un bel conto in sospeso.

I de Chagny possedevano gran parte delle terre immerse nella campagna alla periferia di Parigi, meglio dire quasi tutto.

Ovviamente escluso il vigneto che i Saint – Simon avevano appena acquistato dopo la morte dei vecchi proprietari che non avevano eredi.

Constance e Jean-Baptise Saint – Simon, due fratelli già proprietari terrieri che volevano trasferirsi a Parigi dopo la morte dei genitori in uno sfortunato incidente. Una storia cucita su identità inventate in maniera magistrale, molto simile i conti loro vicini con cui potevano vantare affinità e corredarsi di preziosi documenti che riportavano i sigilli imperiali.

Il conte Philippe de Chagny, fratello maggiore del caro visconte, era un personaggio molto potente ed apparentemente uno dei più accaniti sostenitori dell’Imperatore. Il sospetto che fosse a capo di una delle fazione che ostacolavano la Commune, era nato da delle insistenti voci di corridoio che si aggiravano fra i salotti di Parigi, ma non solo.

Più concreti vi erano i continui scambi di corrispondenza fra qualcuno all'interno della corte di Napoleone III e la villa di de Chagny da prima dello scoppio della guerra.

«Una di queste è stata trasportata nascosta tra le due tele di un quadro. Dilettanti …»

Erano passati parecchi minuti, forse anche un’ora da quando aveva iniziato a denigrare i loro metodi relativi alla segretezza.

Spesso le lettere venivano portate in luoghi pubblici, passando di mano in mano  fino a raggiungere il destinatario finale.

Un metodo che alla Sûreté conoscevano bene, ma con tecniche molto più affinate.

 Così quelle lettere avevano visto café, teatri e anche alcuni bordelli per poter passare inosservate.

«Bene ora conoscete il quadro della situazione, quale sarà la vostra risposta: pensate di aiutarci, Erik?» il modo di concludere così sbrigativamente pratico, con il suo nome pronunciato con lo stesso tono sarcastico con cui parlava a sé stesso era diventato un ritornello familiare. L’esposizione meccanica di fatti, date, scambi sospetti avvenuti nella camera d’albergo di turno annoiava persino Malice stessa unica interlocutrice rimasta a convincere un Erik sempre più prossimo a stringere un accordo con loro. Colas era uscito dalla stanza da un po’, per andare ad accogliere i lavoranti del vigneto e i discreti domestici della loro casa. Stava assumendo i panni di monsieur Saint – Simon.

Il sipario si stava sollevando ed ora c’era solo bisogno di un macchinista capace di muovere le corde giuste e con il coraggio di spezzare quella del grande lampadario di cristallo.

«Non capisco la vostra titubanza: pensate a quali umiliazioni potranno coprire il nome de Chagny quando la Commune salirà al potere. I primi nobili che perderanno i loro privilegi saranno proprio coloro che ostacoleranno il procedere verso l’orizzonte di una nuova Francia. Il passo alla rovina sarà molto … molto … molto breve. Ed ovviamente verrete pagato profumatamente: abbiamo il diritto ad una parte delle somme ricavate dagli eventuali sequestri.»

L’offerta sembrava molto più che gustosa.

Non tanto per le ricchezze promesse. Nella sua vita isolata, anche se non si lasciava sfuggire i lussi della sua paga ingente, ne aveva accumulate abbastanza per potersi garantire per sempre un’esistenza agiata.

Ma a quel cavaliere di carta pesta ora poteva levare i suoi immeritevoli guadagni, magari sottraendogli una parte di quel fascino di cui non possedeva alcuna dote più profonda.

Facile farsi ammirare quando la propria vetrina è un bel viso.

«E chissà magari in uno di questi giorni riuscireste anche a rivedere la vostra bella cantante, Christine …»

L’aveva detto distrattamente, lanciando quel nome in maniera naturale come se stessero parlando del tempo, non sapendo quale tempesta aveva scatenato con il semplice pronunciarlo fra quelle labbra impure.

Credeva che non l’avesse vista alzare quel poco gli occhi per scorgere se la nuova provocazione aveva funzionato.

Dio, come odiava quel suo modo di fare.

Prima quei suoi contatti continui, quel suo fargli sentire il calore del suo corpo da una distanza infinitesimale e dopo il suo disseminare briciole di pane solo per attirarlo esattamente in un vicolo cieco, dove non avrebbe mai voluto negare che ciò che desiderava era solo rivedere il suo Angelo e distruggere lui.

E a lei non pensi, Erik? Cosa le accadrà quando il suo futuro marito cadrà in rovina?

No. A lei non interessò cosa fosse successo al suo maestro, la sua guida, una volta tornata in superficie non pensò all’uomo dietro la maschera che l’aveva amata fin da bambina, accompagnandola nel suo dolore durante nelle notti insonni in cui ricordava la morte del padre, non aveva dimostrato alcuna riconoscenza per averle fatto uno dei più grandi doni: la sua arte.

Era stata una bugiarda ingrata.

Se lo pensi davvero perché non riesci ad odiarla? Perché il tuo cuore scalpita a sentirne il nome?

«Avete già pensato a come entrare in possesso di queste lettere?» interruppe brutalmente i suoi pensieri. Si strappò dallo sguardo spaventato della sua Christine.

Malice sapeva che avrebbe vinto.

Lo aveva pregustato dal momento in cui lo sguardo ferito di quell’uomo nel teatro l’aveva colpita.

Era lo stesso sguardo che alimentava la sua di fiamma.

« Philippe Georges Marie Comte de Chagny è un uomo integerrimo, pieno di virtù, che rasenta la perfezione morale, mettendo davanti sempre i suoi doveri. Ma ha il difetto di subire il fascino di una bella donna e qui subentro io …»

Molte signore dell’alta società ambivano al titolo di contessa e ormai escluso giovane rampollo, ovvero il fratello ribelle che voleva sposare sconvenientemente una cantate, rimaneva solo il testardo scapolo d’oro.

Un uomo che molto amava la bellezza femminile, ma che troppo presto aveva dovuto prendersi cura di una famiglia rinunciando a crearne una totalmente per sé.

Avere due sorelle da maritare, un fratello molto più piccolo da istruire, guidare una casa e gli affari di famiglia ricaduti sul suo capo evidentemente gli impediva di potersi serenamente procacciare una moglie con un buon nome. Così gli anni passavano, le responsabilità invece che calare diventavano più gravose, facendogli prediligere piacevoli compagnie temporanee.

«Volete quindi sedurlo?»

Indignato, forse. Era sempre stato un giudice di quello che vedeva nel suo teatro.

Quando una corista piacente trascinava qualche ricco in un anfratto nascosto.

Quando quel depravato di Buquet spiava i camerini dove le ballerine si cambiavano.

Quando il damerino insidiava la sua Christine, spegnendone la gloria.

Era sempre stato giudice ed esecutore di pena.

Ma ora Erik non sei all’Opera!

«Diciamo che lo distrarrò candidandomi a ruolo di contessa, in modo da potermi insinuare nella sua casa costantemente sorvegliata, per poi aprire la porta di servizio a voi Erik …» pronunciò di nuovo il suo nome, senza alcun timore, trattandolo come ogni altro uomo e calcando la voce con il suo accento palesato solo quando si distraeva. In quei momenti lasciava trapelare le sue origini non francesi.

Italiana, avrebbe riconosciuto le erre dolci, le vocali aperte ed i suoni ammorbiditi anche durante un concerto. Quel melenso modo di strascicare le parole in una specie di cantilena musicale.

Accento che ricordava nell’altezzosa e pretenziosa soprano, accento che rimaneva anche nei suoi ultimi stridenti vocalizzi.

Un’inclinazione che su lei, però, diventava quasi ipnotica, seducente, forse dovuto anche al linguaggio del suo sinuoso corpo, a quel modo di muoversi sfrontato per sedersi dietro la scrivania come se non avesse paura di suscitare in un uomo libidinosi pensieri di lussuria.

 È per questo che vi chiamate Malice?

«Ogni dettaglio  si andrà a delineare secondo come riuscirò a far evolvere il tutto. Per ora studieremo i progetti della tenuta dei de Chagny, faremo alcuni sopralluoghi ...» improvvisamente, come se un illusionista avesse schioccato le dita, era cambiata di nuovo, abbandonando la sua parte da serpente incantatore e appropriandosi di quella da gelida calcolatrice, srotolando sullo scrittoio una pergamena su cui vi era disegnata un’accurata mappa.

Quei mutamenti improvvisi, quel suo balzare da un aspetto all’altro con la facilità con cui si respira, poteva lasciare interdetti.

Fatti coraggio! Certo non saprai più chi sei ad un certo punto, mais c’est la vie!

Le aveva detto Colas al suo primo ruolo da protagonista assoluta, lei con un nome diverso a cui doveva abituarsi a rispondere, l’esperienza a non giocare dalla sua e poco tempo per non soccombere agli eventi.

Quanti anni prima era accaduto? Non lo ricordava. Sette, forse otto o qualche mese di più. Doveva rappresentare una donna libertina, a cui non dispiaceva la compagnia di un uomo parecchio più anziano. Dopo le sue esibizioni divennero altre, diverse e molteplici. Un miscuglio di personalità in un calderone enorme, che la resero una delle più abili trasformiste nel suo campo. Ingannava, giocava con le volontà altrui, li rendeva suoi succubi con pochi piccoli gesti, facendosi desiderare dando solo piccoli assaggi di sé.

Era la seducente Malice? La determinata e calcolatrice assassina? L’abile manipolatrice?

O la piccola Lucia?

Ormai non pensava che quest’ultima si potesse più recuperare. La timida ragazzina era all’interno di quell’accozzaglia eccessivamente affollata e con il suo carattere allegro ed introverso non poteva uscire fuori da sola, né essere fortuitamente ripescata.

Constance, un nuovo nome ed una nuova identità da accettare. Solo quella e nulla più.

«Meglio conosciamo i luoghi dove agire e più sapremo come muoverci, soprattutto noi due Erik. Facendo un breve sunto dei vostri probabili compiti vi troverete a fare quello a cui siete più abituato: origliare, rubare qualche documento, riuscire ad eludere gli inetti dell’esercito.»ormai non lo degnava nemmeno più di uno sguardo, posando i suoi occhi in una interessante contemplazione del tappeto o del soffitto prima di tornare alla mappa distrattamente. «Inoltre, se sarà necessario, devo avere una persona abbastanza priva di scrupoli che intervenga in mio aiuto, nel caso la situazione dovesse precipitare. Mi spiace, ma vi troverete a farmi da ombra personale.»

«Non sembrate avere un estremo bisogno di protezione, madamoiselle.» l’aveva detto per sarcasmo, forse per fare una battuta crudele all’indirizzo di una persona che lo stava decisamente irritando. In realtà voleva solo vedere i suoi occhi fiammeggiare al suo indirizzo, renderli vivi e focosi di rabbia nei suoi confronti, era l’unico modo in cui il suo animo si sentiva pago.

D'altronde doveva solo aspettare il momento opportuno, attendere che quei due ambigui soggetti abbassassero la guardia.

Pazienza Erik, sai che non ti giova cedere all’istinto. Avranno quello che si meritano: per ora prendi ciò che ti offrono …

«Spesso dovrò essere disarmata e, come avete potuto constatare, nel corpo a corpo sono in svantaggio contro un uomo e Colas è troppo un verme per qualsiasi cosa non lo riguardi direttamente.»

«Non vi fidate di lui?» una domanda spontanea stranamente alimentata dalla curiosità e non dallo scetticismo di cui ancora ne era preda. Quando poi Malice aveva alzato il suo sguardo su di lui, smettendo di guardare quelle carte, aveva sentito un nuovo strano sentimento nei suoi confronti.

«Voi vi fidereste di qualcuno che non vi pugnala alle spalle solo per convenienza?»

Intendimento.

Aveva letto la risposta ancor prima che la pronunciasse.

Troppo spavalda, troppo sicura, abile. Un degno avversario.

E per quanto volesse iniziò a provare una sorta di rispetto verso di lei.

Ricordati di non lasciarti ingannare dai suoi occhi. Conosce i tuoi punti deboli, sa come sei sensibile al bello che esso sia in una voce o in uno sguardo. Non farti cogliere di sorpresa dai suoi modi.

«In realtà quest’errore l’avete già compiuto, giusto? Avete abbassato la guardia con qualcuno che ha approfittato della vostra buona fede, umiliandovi.»

Poteva una semplice frase squarciare dal dolore il suo petto e allo stesso tempo farlo montare da una rabbia sempre più incontenibile?

Era scomparso ogni segno di indulgenza, cacciato via dal colpo di spugna inferto con quelle parole taglienti dette con leggerezza della voce con cui erano state pronunciate.

Il tutto in pochi secondi.

L’aveva guidato dalla calma, all’euforia, alla compassione ed infine a battere con forza le mani sul tavolo quasi volesse affondare le dita nel legno.

Ansante con il cuore nel petto che pompava forsennato, gridando al sangue di quella misera ed impudente donna.

Solo per non stringerle il collo, solo perché non doveva ucciderla in quel momento.

Poteva vedere la sua ira scorrere attraverso le vene, notare il sangue aumentare il suo flusso iniettando i suoi occhi di pura collera. Tuttavia su di lei la paura nei confronti di quell’uomo, era al minimo.

Non perché non gliene incutesse, sarebbe stato azzardato affermarlo. Ma perché sapeva che in qualche modo lo aveva in pugno. In quel momento Malice gli era utile e da uomo intelligente qual’era, non avrebbe stroncato sul nascere una qualche possibilità.

Si alzò avvicinando il suo volto a quella maschera pallida, a quel mezzo viso perfetto, rimanendo ad un soffio da lui.

A quella distanza quell’iridi verdi cangianti che le stavano tenendo testa con orgoglio fiero e adirato, le sembrarono diventare di fuoco. Finalmente qualcuno che non gettava le armi prima ancora di iniziare.

Un lavoro che non si sarebbe risolto con la semplicità di un uomo stordito dalle sue tattiche, o le sue interpretazioni di piccola fanciulla indifesa.

La soddisfazione di quella consapevolezza dipinta sulle labbra in un ghigno.

Un semplice angolo della bocca sollevato con scherno, alimentando con la pece l’incendio che divampava incontrollato in quel tempestoso stagno.

«Non fate il Fantasma con me, Erik, per me siete solo un uomo al pari degl’altri …» lo esalò, come aveva fatto in precedenza solo per tastare se quell’effetto fosse dovuto ad un istante di debolezza.

Esattamente quello che si aspettava.

Una paratia fatta di fredda insensibilità si ergeva imponente fra i due.

Fai solo finta di non vedermi, Erik. So che sentiresti il calore umano da una sola persona: hai paura, più di quella che cerchi di inculcare. Hai paura di scoprire che forse quello che provavi era solo un castello di carta, un’ossessione di cui ti credevi padrone senza vedere che ti stava sfuggendo.

Ti sei mai chiesto come ti sei innamorato di una persona che nemmeno sapeva chi eri realmente?

Oh Erik, non sai quanto è fallace l’animo umano …

E anche se te lo neghi sei umano,  fatto di carne e sangue.

«Siete … insopportabile …» stava per perdere il controllo, ora che si sentiva di nuovo padrone del proprio istinto ne stava finendo preda.

La voce, le mani, ogni parte del suo corpo sembrava tremare sotto l’impulso di uccidere quella donna.

Cosa odi più di lei: che sia così calma in tua presenza o che ti ricorda costantemente che sei un mostro senza cuore?

Malice non l’aiutava, sembrava divertirsi a stuzzicare ogni suo punto debole prendendolo alle spalle.

Quella tremenda capacità di essere dannatamente passionale e fredda allo stesso tempo, possibile che Erik provasse una tale repulsione per un fiore così raro.

Un fiore con la sua stessa corolla.

Ti urta essere davanti invece che dietro ad uno specchio, Erik?

Sentì un rumore e vide un movimento tra i loro petti così poco lontani.

Tra le mani teneva un tagliacarte a forma di piccolo stiletto, il manico dorato e la lama affilata solo in punta.

Ma non lo brandiva minaccioso contro il suo collo, bensì glielo stava offrendo.

«Avanti … so che non vi piaccio, e sappiate anche che la cosa è reciproca. Ditemi Erik, non aspettate altro che mettermi a tacere sotto metri di terra, vero? Magari alla fine di tutta questa situazione in cui siete incappato, quando riuscirete a compiere la vostra vendetta contro i de Chagny vorreste liberarvi di me. Ma perché attendere così tanto …» i loro occhi non smettevano di fissarsi, ingaggiando la seconda battaglia di fuoco in poche ore. «Avanti … Prendete il tagliacarte ed affondatelo nella mia gola …»

Non sapeva dove voleva arrivare quella donna, quale era il gioco che aveva intrapreso.

Di solito il suo lavoro non era così divertente.

Arruolavano, finivano la loro missione e fine dei giochi. Prendi, uccidi e continua.

Certo, molti si erano infuriati con i suoi modi, quel suo essere irreprensibile e priva di rimorsi.

Il suo disinteresse per ogni cosa che non  fosse eseguire gli ordini, oppure quella sua smania di dover baciare il crocefisso.

Qualcuno aveva addirittura provato ad allungare le mani, visto il suo ruolo si sentivano autorizzati, altri si tenevano ben alla larga dalla sua cinica spietatezza, ma mai nessuno l’aveva fronteggiata in quel modo.

Si odiavano ed erano praticamente alla pari, due personalità dominanti.

La donna non si aspettava che Erik avesse il coraggio di afferrare il tagliacarte e puntarglielo conto.

Sentì il punto dove la carne si ammorbidiva sopra lo sterno bruciare acuta ed un liquido scivolare lentamente fin nell’incavo dei seni.

La pelle dove la punta era appena affondata era stata recisa, quel ghigno smise finalmente d’incresparle le labbra trasformandosi in un gemito appena percettibile. Il dolore e la sorpresa provata si rispecchiava nei suoi occhi socchiusi appena, per poi tornare a fissarsi con quelli dell’uomo in cui passò la tanta agognata compiacenza.

Erik voleva comandare, non essere comandato.

Lui era il Fantasma dell’Opera.

«Non sfidate troppo la mia pazienza, madamoiselle, potreste pentirvene!»

La voce piacente gustava con languore la minaccia.

Calda, profonda e carezzevole, tremendamente sensuale, quasi a farle sussultare il petto.

E prima che potesse replicare conficcò con potenza il tagliacarte nel legno della scrivania.

Vibrò sotto il colpo infertogli, tremò assestandosi dopo molti interminabili istanti.

Quando il rintocco sordo terminò di riecheggiare, nella stanza rimasero solo i loro respiri concitati e gli sguardi furenti di entrambi.

Sembravano due titani, l’uno di fronte all’altro a cercare di primeggiare con cotanto di sangue versato.

E fu proprio questo a ridestarla dal torpore creato.

Non le era mai piaciuto l'odore del sangue, le ricordava quello di sua sorella in una delle tante notti di indicibile tortura.

Ogni volta si sentiva ovattata, annebbiata non sapendo come definirsi. Ferita. Scossa, perché non si era lasciato intimidire dal suo modo di fare che spesso le aveva spianato la strada. Doveva andarsene e subito.

«Avete qui tutto quello che vi serve, domani mattina faremo un giro di perlustrazione ai confini con la tenuta. La cena verrà servita alle sette, non tollererò un ritardo. Ora se volete scusarmi, devo andare a presentarmi ai domestici come la padrona di casa. Con permesso …»

Stava fuggendo. Perché questo sapeva fare.

Quando non aveva carte da giocare, quando il sangue aveva raggiunto le alte vette della sua mente rendendola disarmata, Malice scappava.

Voltava le spalle con la stessa nonchalance con cui vezzeggiava un politico in vena di confidenze.

E questo voleva, scappare incurante del sangue che le aveva macchiato il pizzo bianco del suo bustino, incurante dello sguardo incattivito dell’uomo, incurante del tumulto che le si stava scatenando nel suo ventre.

Voleva solo uscire da quella stanza, andare lontano.

In quel posto, in mezzo al boschetto nella proprietà dei de Chagny lontano da quella vita, da quella casa, da quell’uomo che le stava facendo riaffiorare i suoi ricordi.

Erik non sapeva che una persona al mondo lo stava invidiando.

Lui, che per tutta una vita era stato logorato dal livore, era diventato oggetto di risentimento.

Non sapete nemmeno quale fortuna avete con la possibilità di realizzare la vostra rivalsa, potrete sentire implorare pietà di chi ha osato strapparvi la vita ed ora osate anche sputare nel piatto in cui mangerete.

Non desiderava nulla oltre quello, dopo avrebbe smesso con quella vita dissoluta e si sarebbe dedicata ad altro fuggendo forse definitivamente da quel mondo che la volle e la pretese quando era ancora una nemica.

A chi si poteva affidare? Chi le avrebbe concesso di ritornare in patria solo per poter applicare le torture imparate durante la sua esperienza alla Sûreté?

Per lei esiliata, nascosta dal governo francese perché utile, la speranza si era eclissata sotto l’ombra di una promessa infranta. Da sciocca ragazzina quale fosse aveva creduto alle loro parole, aveva pensato che quella fosse la soluzione migliore ed aveva donato loro la sua vita. 

Aveva mentito, torturato, ucciso, viaggiato oltre i confini fino al lontano Oriente, oltraggiato Dio infrangendo i suoi sacramenti e i suoi dettami.

E non le avevano nemmeno concesso di sbarcare un giorno, un giorno soltanto.   

Vi siete dimostrata all’altezza, ma non possiamo riportarvi a Roma, non ancora almeno. Avete sangue consacrato sulla coscienza e ci vorrà molto tempo prima che le acque si calmino. E poi vi sono molti altri compiti d'affidarvi e di estrema importanza.

Questo le avevano detto nonostante il suo debito fosse stato pienamente saldato, ma da così tanto tempo da farle dimenticare quale fosse il suo vero io.

Non aveva più nome permanente, non aveva nulla se non la sua vendetta e la sua Fede.

La Fede, una pallida e fioca luce in fondo a quel buio cunicolo perché, per quanto fosse sfiduciata ed amareggiata, per quanto fosse diventata una peccatrice, un demonio, lei aveva mai smesso di amare Dio.

Anche l'Astro del mattino ha amato Dio, ma io non peccherò in superbia nei suoi confronti.

Sapeva che l’avrebbe punita, la sua anima colpevole perennemente riarsa insieme ai reietti ed i peccatori nel girone peggiore, ma aveva anche la certezza che Egli le dovesse un qualcosa.

D'altronde non era stato un sedicente uomo di Dio a condurla verso la perdizione, verso la condanna eterna?

Il Signore non mi negherà il suo sangue, avrò modo di poterlo versare io stessa nella maniera più dolorosa possibile.

Era l’atto finale delle sue preghiere durante il vespro, quando il giorno volgeva al desio e Parigi piombava nel più cupo silenzio. Riempiva allora la sua mente con quel rosario di madreperla ed alla fine, quando finiva il consueto rito come le avevano insegnato fin da bambina, si liberava della sua unica richiesta a Dio.

 

«Le raccomandazioni che mi sono giunte, madame, sono ottime senza alcun dubbio. Tuttavia ci tengo a precisare che la discrezione è di vitale importanza in questa casa. Sapete due fratelli ed un loro amico di vecchia data che gestiscono un vigneto saranno un bel bersaglio per i pettegolezzi dei salotti Parigini, soprattutto perché mia sorella è ancora nubile e vorrebbe trovare un marito dabbene. Non vorrei ci siano ulteriori voci provenienti dalla mia stessa casa e me ne rammaricherei di rovinare le vostre belle referenze con quelle dei vostri lavoranti. Capite cosa intendo, madame Bonnet?»

I Bonnet erano una famiglia impiegati come domestici da generazioni: madame Bonnet era un’ottima governante già da prima di sposare il povero ormai defunto marito, sapeva gestire una casa senza lamentarsi che la sua padrona non vi fosse molto presente, le cameriere ed i cuochi che assumeva erano tutti collaboratori di cui si accertava con indagini che andavano a mirare sulla loro buona fede e, soprattutto, le sue labbra rimanevano serrate su ogni avvenimento della casa in cui lavorava.

Le faccende dei propri signori rimanevano di loro proprietà.

Per questo la Sûreté, o meglio i Saint – Simon, avevano richiesto servizio a quella strana donna dall’aspetto arcigno di una megera delle antiche fiabe, con quella sua crocchia severa che raccoglieva i capelli grigi come un topo, due occhietti piccoli e laccati da una patina di vecchiaia, vestita di nero con abiti da lutto.

«Non deve temere alcun ché in tal senso, monsieur.»

«Bene. I vostri alloggi, insieme a quelli del resto della servitù si trovano nella dependance. Posso annunciare a nome anche di mia sorella, benvenuta a villa Saint – Simon, madame, ci affidiamo alle vostre cure! » disse allargando un sorriso finto, ripagato con un volto impassibile. «Direi quindi che potete andare, madame Bonnet!»

«Con il vostro permesso, monsieur!» educatamente fece un inchino abbassando la testa, per poi prendere la via della porta e dedicarsi a sistemare l’abitazione al meglio. Il suo dovere andava al di sopra di ogni cosa.

Ma mentre stava per uscire Colas notò un drappo di stoffa volare leggiadro su due spalle magre veloce verso le scale.

Si precipitò quasi investendo madame Bonnet verso l’evasione di quella che d’ora in poi sarebbe diventata sua sorella.

«Dove state andando?»

Quando ella si arrestò, non osò nemmeno voltarsi.

«Non sono affari che vi riguardano!» rispose velenosa.

«Non vi permettete, Costance di trattarmi in questo …»Se non fossero stati nel corridoio, davanti alla propria governante e lui nei panni del suo tutore, non si sarebbe mai azzardato a prenderla malamente per un braccio, girando il suo viso a favore.

Quello che vide lo lascio tremendamente scottato, non era decisamente da Malice.

Poteva essere interpretato come una mancanza di rispetto, un modo per dimostrargli che nonostante la loro copertura da mantenere, lei non sarebbe mai stata la tigre in gabbia.

Invece era solo per mascherare gli occhi rigonfi dalle lacrime rabbiose trattenute fra le lunghe ciglia.

Non voleva piangere nemmeno se era per collera e non per tristezza.

«Lasciatemi immediatamente!»

Quelle parole sputate tra i denti agirono come il morso di un aspide sul polso e Colas ritirò la mano.

Malice di suo canto finì di sistemarsi i guanti, tornando con i suoi piccoli passi svelti verso l’esterno, i suoi lunghi cappelli ondeggiavano contro la schiena ad ogni movimento liberi da ogn seccante costrizione.

Un’onda castana che Erik osservava dalla finestra chiodata, sferzare contro il vento di una cavalcata sempre più lontana.

Correva lontana da quella stessa stanza da cui Erik l’aveva fatta fuggire.

Da quando quella maledetta notte aveva perso tutto, aveva in tutti modi cercato di cancellare la sua musica in grado di risvegliare ogni sua paura più profonda, ogni suo rimorso.

Ora che la sua musa era partita per lidi lontani, niente aveva più senso tutto era sempre più vuoto.

Ma quella vittoria che aveva appena ottenuto lo condusse inaspettatamente a canticchiare.

Un motivetto, un’inezia della sua vasta produzione, un semplice sussurro fra le labbra chiuse che inneggiava alla sua conquista. Prese anche a marcare quel ritmo con le dita contro l’imposta, scandendo la melodia con ancor più incisione, anche se rimaneva un qualcosa d’infinitamente amaro a guastargli la bocca.

Sei riuscito a far fuggire anche colei che riesce a fronteggiarti, Erik.

Cercava di ripetersi che era giusto così, che lui non era fatto per stare con gli altri, nessuno lo voleva perché era lui a rifuggire gli altri. Mentiva sé stesso, perché odiava essere considerato come un untore pernicioso di peste, quello che voleva era solo essere accettato come uomo senza la pietà o la paura che guidava chi aveva di fronte.

Per questo ti infastidisce quella donna, perché ti tratta da uomo con normalità, tratta con te come tratta con chiunque altro. Ti guarda senza arretrare, cerca di sedurti con il suo fascino e ti chiama per nome. Ammettilo che godi quando senti il tuo nome sulla bocca di una persona che non sia …

«… madame Giry …»

Un nome che ancora gli bloccò il canto.

Un nome che riusciva a perdonare nonostante avesse indirizzato il visconte alla sua dimora.

Un nome che gli suggeriva cosa gli era più mancato nella sua vita.

Non aveva ancora letto la sua lettera ed almeno una spiegazione gliela doveva.

Erik,

Non sai quanto mi costa scrivere questo nome senza versare almeno una lacrima.

Se non si fosse accomodato su quella poltrona ancora calda del corpo di Malice, probabilmente sarebbe caduto. Sembrava di sentire la voce della direttrice del balletto parlargli dolcemente, tremando dall’emozione crescente di quel confronto.

Era costretto a respirare di tanto in tanto, unendo quella strana sensazione di difficoltà nel trovare l’ossigeno necessario alla lettura sempre più difficoltosa. Si fermava stringendo gli occhi mentre mille chiodi gli si conficcavano nel petto, cercava di trovare il coraggio di andare avanti.

Quella lettera era la sua storia nel teatro, ma da un punto di vista totalmente differente.

Ho cominciato a vedere che il tuo affetto si era trasformato in una insana ossessione, non ho fatto nulla per fermarti, non nemmeno tentato di farti ragionare. Ho scelto la via più facile assecondandoti e ti ho perso.

Vi ho perso.

Si scusava per quello che era accaduto, per la follia che si era impadronita del suo cuore.

Soffre a causa tua, perché sei un mostro ed allontani persino chi ha nutrito un affetto sincero.

Sarebbe stata la sua pena quindi, il rimorso di non averlo fermato per tempo. Per lei era sempre stato solo un bambino maltrattato perché diverso, che non conosceva veramente il confine tra giusto o sbagliato.

Spero che prima o poi lo riesca a capire.

Poi la lettera cambiava, parlava di lei e quello che stava vivendo da quando la sera del Don Juan tutto era finito, o iniziato di come il mondo si stesse scordando chi fosse il Fantasma dell’Opera.

Ieri sono stata all’Opera con Andrè e Firmin, quando i gendarmi sono stati allontanati. Erano increduli, hanno opposto un minimo di resistenza, ma dopo un po’ si sono convinti a lasciare la loro postazione. “Ordini dai vertici” mi hanno risposto. Non ti nascondo che questo mi ha insospettito soprattutto dopo che ho ricevuto la visita di una strana donna.

Era molto affabile ed aveva un viso pulito, tanto che da un primo momento mi aveva quasi ingannata.Ti sembrerà incredibile ma aveva qualcosa nello sguardo, qualcosa che conoscevo già da te, uno strano velo di tristezza che in un qualche modo mi ricordava te.

Ha iniziato a parlarmi del Don Juan e dell’incendio, di come fosse fortuitamente riuscita a scappare.

Quando le sue domande sono diventati insistenti l’ho congedata, ma da allora ho sentito il vento cambiare.

Ho come l’impressione che volesse qualche informazione in più su di te, sul Fantasma e non sembrava una nobildonna in preda al bisogno convulso d’indiscrezioni. Se fosse stata diversamente avrebbe ricercato notizie sfiziose della tua ossessione per Christine, ma la sua curiosità sembrava di tutt’altra natura.

Temo che sia il mio senso di colpa, l’angoscia,  la premura di saperti al sicuro a farmi vedere un complotto contro di te e forse sto vaneggiando finalmente impazzita.

Erik, non ti chiedo di perdonarmi, sarebbe troppo per quanto le mie colpe siano ben oltre quelle che credi.

L’unica cosa di cui ti prego, l’unica cosa che io voglio è che tu stia attento.

Per il resto sappi che io non so se troverò mai pace.

 

Con Sincero  Affetto

Antoinette Giry  

 

Quell’ultima parte l’aveva riletta tre volte, finché la sera non l’aveva costretto a capitolare nel districarsi nella fluida calligrafia di Madame Giry. Dopo tutto quello che era successo, dopo che la sua pazzia l’aveva condotta in rovina, lei cercava ancora di metterlo in guardia, anche se ormai infruttuosamente.

Lo credeva ancora umano.

Non smettete mai nemmeno di sperare, vero Madame?

 

Note dell'autrice: Capitolo di transizione in cui si spiegano un po' di cosine e il risvolto della loro copertura. Capito perchè ho magicamente fatto risorgere Philippe. Chissà se sta realmente tramando contro la Commune, vedremo vedremo. E poi ho deciso Christine ci sarà e siccome sono fortemente buona .... ahhh non vi dico altro comunque vedrò vedrò ...

Dicevo spero che si risollevino un po' le sorti in questo capitolo ed anche che la nostra Malice si sia leggermente addolcita.

Per chi non l'avesse capito il reale nome di Malice è Lucia e l'ho scelto perchè significa Luce splendente (e da questo il titolo della ff, perchè di splendente ha ben poco).Malice è un soprannome con cui l'hanno ribattezzata alla Sureté, immaginate il perché =_=. E viene da Roma ed è molto credente, sa di essere condannata ma non rinuncia a pregare Dio. Vi ricordo che lo Stato Pontificio è caduto allora allora e Roma era fortemente sotto l'influenza del papa (da questo la sua devozione quasi patologica ed assurda il perchè lo scoprirete poi).

A proposito di nomi, Colas invece è il nome del protagonista di uno dei miei balletti preferiti La fille mal gardée che io personalmente consiglio di guardare. E' allegro, giocoso e non muore nessuno (il che è tutto dire visto che nei balletti le protagoniste fanno quasi sempre una brutta fine).

Digressioni a parte passiamo alla mia consueta recensione:

Ma Chere Giuly, sempre contenta dei tuoi commenti. Ohhhhh!!! Erik ti piace (non preoccuparti lui sa sempre come volgere a suo favore le situazioni super ghost!!!^^) me batte le manine tanto felicemente!!! Ho una paura boia di non riuscire a renderlo, soprattutto perchè è molto altalenante come tipo di personaggio. Comunque spero vivamente che la mia storia possa accogliere qualche commentino e seguito in più, ma finché ci sarà anche solo una persona a leggere io scrivo (anche perchè se non metto nero su bianco tutto rischio di scoppiare) ^^.

Sai mi hai appena fatto la domanda del secolo: Erik conosce o no l'amore carnale secondo il mio punto di vista? Se ti dicessi che Erik è secondo me a metà.

Mi spiego meglio: vorrei lasciare che chi legge la pensi come vuole su questa faccenda. Di sicuro lui è carnale come persona (cresciuto prima con gli zingari e ppoi in un teatro, se non ha mai visto nulla del genere doveva avere occhi foderati di prosciutto eh eh), basti sentire le musiche e i balli del Don Juan, come voglia fare sua Christine anche se la rispetta la desidera (innamorato sì ma non scemo) sa cosa è il sesso, il puro erotismo, passione ridotta ad istinto. Ed è propio la sua pura essenza, lui è passione al contrario di CarciofRoul. In lui l'amore fisico sembra si vada a confondere con quello carnale, proprio perchè entrambi li sente quasi totalmente preclusi. Certo non penso che uno come lui sia stato completamente indifferente anche solo alla curiosità di scoprire com'è o come non è il sesso. Però da un lato un uomo innamorato dell'amore come lui avrebbe cercato un letto mercenario? Non saprei veramente, forse sì forse no. 

Quindi riassumendo lui non è molto innocente su questo punto, ma mi mantengo agnostica se l'abbia praticato o meno. Di sicuro ha la passione nel sangue come la musica e avrai modo di vederlo comunque ...

Spero di averti risolto il dubbio, che in realtà non è risolto però meglio di niente no. Ti auguro una notte piena di Erik-sogni!!!Besitos!!!^^

Ringrazio sempre chi mi segue!!!Vi adoro anche se siete in silenzio!!!

Serva vostra!

Mally

   
 
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