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Autore: Ili91    13/10/2010    17 recensioni
Akito e Sana non si sono mai incontrati prima di adesso. Alla morte del padre adottivo di lei e biologico di lui, però, scoprono che per poter ereditare una grossa somma di denaro, utile a realizzare i loro sogni, devono vivere nella stessa casa per sei mesi. La maestosa villa dove dovrebbero andare ad abitare non è una casa come tutte le altre, non in un mondo in cui i fantasmi esistono e hanno un triste passato.
Tratto dal primo capitolo:
Gli porse la mano. - Salve, io sono Sana Kurata, la figlia di Ryo Kurata - si presentò.
Sentendo le sue ultime parole vide gli occhi di Hayama accendersi di una luce misteriosa, ma per niente rassicurante. Guardò prima la sua mano protesa verso di lui e poi di nuovo lei. - Akito Hayama. -
Sana ritirò la mano. Che maleducato. Non si perse d’animo e riprovò ad instaurare una conversazione: - Ho saputo che è qui per il testamento di mio padre. Lo conosceva, quindi? -
Lui inarcò un sopracciglio e la fissò con aria saccente. - Lei lascerebbe dei beni in eredità ad una persona che non ha mai visto? -
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Kodocha - 1° capitolo
Salve a tutti! Eccomi tornata con una nuova long-fic. Il genere è completamente diverso dal precedente e spero che questo primo capitolo vi invogli ad arrivare fino alla fine. Ho deciso di pubblicarla oggi che è il mio Compleanno... 19!
In fondo alla pagina c'è un albero genealogico che illustra la complicata situazione famigliare di Akito e Sana e, per la prima volta in una mia fanfiction, un piccolo spoiler del secondo capitolo.
Buona lettura!
 

The Ghost's Diary


 1

4 Aprile
Caro Diario,                                                                                                                                 
Mi chiamo Hana e ho sedici anni. E’ la prima volta nella mia vita che tengo un diario in cui racconto che cosa mi succede, ma spero di riuscire a farlo con continuità.
Sono una ragazza di bassa statura e con una costituzione fisica nella media. I miei capelli sono di color castano chiaro, ondulati e lunghi fino alle spalle, e i miei occhi marroni.
Le mie più grandi passioni sono il disegno e la cucina. Proprio ieri ho avuto il tempo di completare un acquerello che raffigura la mia grande casa. Io l’adoro! E’ stata fatta costruita da mio nonno e si trova poco distante da Tokyo; è composta da due piani, esclusa la cantina e la soffitta, e dispone di un curato giardino esterno pieno di alberi in fiore. 
Sono figlia di Chikage e Yukito Kougami. Mia madre è una donna tutta d’un pezzo ed è lei che tiene le redini della casa, mentre mio padre si occupa di commercio. Ogni tanto penso che lui sia succube di mamma.
Ho anche un fratello, ma è molto più piccolo di me. Abbiamo ben dieci anni di differenza. Il suo nome è Aoi e io gli voglio molto bene. Lui è davvero un bravo bambino.
Oh, è tardi. Mia madre desidera che vada a dormire.

Buonanotte, Caro Diario.
Hana

Tokyo, 6 maggio 2010
Il treno si muoveva a tutta velocità verso Tokyo. Sana aveva lo sguardo puntato fuori dal finestrino, ma non vedeva nulla del paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi. La sua mente era rivolta verso tutt’altri pensieri.
Pensava a suo padre, Ryo Kurata, che era deceduto a seguito di un infarto alcune settimane prima. Le era ancora difficile credere che il suo amato papà non ci fosse più, non riusciva ad accettarlo. Le sembrava che fossero passato solo poche ore dall’ultima volta che l’aveva visto, due mesi prima. Era stato il giorno in cui era ripartita verso Matsumoto, la città dove viveva, dopo un vacanza a Tokyo che aveva trascorso insieme a suo padre. Non abitava più nella capitale già da un paio d’anni, perché aveva deciso di trasferirsi in un luogo più tranquillo, che le permettesse di lavorare meglio ai suoi romanzi ed essere indipendente. Ora, non poté fare a meno di pentirsi di quella decisione, che l’aveva portata a trascorrere molto tempo lontana da Ryo.
L’altoparlante la distolse dai suoi pensieri, mentre annunciava che la fermata successiva era la sua. Abbandonò il suo posto di fianco al finestrino e recuperò il piccolo trolley. Non era nelle sue intenzioni fermarsi molto a Tokyo. Ci era venuta solo per assistere alla lettura del testamento di suo padre e, all’occorrenza, sistemare eventuali situazioni che lui avesse lasciato in sospeso, come, ad esempio, decidere cosa fare della sua casa.
Il treno si fermò e le porte davanti a lei si aprirono. Sana scese dal treno trascinandosi dietro la valigia. Evitando le varie persone che si erano ammassate per salire o scendere dal treno, si avviò verso l’uscita. Quando, uscita dalla stazione, Tokyo si presentò interamente davanti ai suoi occhi, la tristezza che già provava si intensificò. L’ultima volta che era venuta era stato una settimana prima. Aveva appena saputo del malore di suo padre - era stata la sua governante Shimura ad avvisarla - era partita immediatamente, ma non aveva fatto in tempo a giungere al capezzale di suo padre prima che lui chiudesse gli occhi per sempre. Era rimasta i giorni necessari perché potesse organizzare il funerale e presenziarci, e poi era ripartita. Si era detta che era inutile trattenersi fino alla lettura del testamento e che doveva riprendere il lavoro o rischiava il licenziamento - lavorava come cameriera perché ancora il ricavato di ciò che scriveva non le bastava per mantenersi -, ma la verità era che non voleva rientrare nella casa che per tanti anni aveva condiviso con suo padre. Era troppo piena di ricordi e il dolore per la sua morte era ancora troppo vivo in lei. Nei pochi giorni che si era trattenuta a Tokyo aveva preso una stanza in albergo proprio per evitare di essere costretta a tornare nella casa di famiglia.
Rendendosi conto di essere stata ferma immobile con lo sguardo fisso nel vuoto per troppo tempo, aveva ripreso a camminare alla ricerca di un taxi. Appena ne trovò uno, consegno all’autista la sua valigia, che la ripose nel portabagagli, mentre lei si accomodò sulla vettura.
Diede all’autista l’indirizzo dello studio e il taxi si mise in moto.
Sana appoggiò il capo sul sedile e chiuse gli occhi. Si sentiva sola. Dopo la morte di suo padre non le era rimasto niente se non i suoi amici, ma non bastava. Ryo era l’unico famigliare che le era rimasto, dato che sua madre Misako era morta da anni e non aveva fratelli né parenti prossimi, ma ora anche lui se n’era andato. L’aveva lasciata sola.
Una lacrima sfuggita al suo controllo venne asciugata con un gesto della mano. No, non doveva lasciarsi andare così, doveva essere forte e reagire. Suo padre non sarebbe stato contento di vederla così depressa e triste. Doveva farsi forza e riprendere in mano la sua vita.
Il taxi giunse a destinazione. Sana pagò l’autista e si fece consegnare il trolley. Si avvicinò al portone del condomino e si mise alla ricerca del citofono del notaio.
Sawako Ayase… no. Kyohei Mizuki… no. Notaio Izumi Tamiya… ecco! E’ lui. Premette il pulsante accanto al suo nome e attese. Passarono pochi secondi prima che una voce femminile rispondesse: - Sì? Chi è? -
- Salve, sono la signorina Sana Kurata. Avevo un appuntamento con il notaio. -
- Ah, sì, certo. - Il portone venne aperto. - Salga. Lo studio è al terzo piano - la informò la donna prima di chiudere la comunicazione. Forse era la segretaria del notaio.
Entrò nell’atrio; era in buone condizioni, ma la struttura e l’arredamento erano piuttosto antichi. Si diresse verso l’ascensore, l’unica cosa moderna presente - dovevano averlo installato da poco - e lo chiamò.
Arrivata davanti alla porta dello studio suonò il campanello. Una donna sui quarant’anni dai capelli castani e tarchiata le venne ad aprire. - Salve, signorina. - La fece entrare. Riconobbe la voce, era la stessa con cui aveva parlato poco prima al citofono. Percorsero un breve corridoio fino ad una piccola stanza, allestita come sala d’attesa e come ufficio della donna. La stanza non era vuota come si era aspettata, c’era un uomo. Doveva avere più o meno la sua età. I suoi capelli era ribelli e biondi, e il suo sguardo, o meglio, gli occhi ambrati la catturarono subito quando si incontrarono con i suoi. Era muscoloso, ma anche piuttosto magro, soprattutto il viso dava segni di pallore e una non buona salute fisica. Forse era stato malato recentemente e si era appena ripreso. Non avrebbe saputo dire se era alto o basso perché era seduto, ma squadrandolo le sembrava che la superasse di parecchi centimetri. Notò due stampelle appoggiate al muro bianco, ma nessuna delle gambe presentava a prima vista una fasciatura. Chissà che cosa gli era successo? Si concentrò sul viso, l’espressione che gli vide dipinta in viso era dura e lei provò un’immediata antipatia verso quello sconosciuto che la squadrava senza ritegno.
- Signorina Kurata? - la richiamò al presente la segretaria.
Si voltò verso di lei. Le stava sorridendo. - Sì? -
- Si accomodi pure. Il notaio si libererà tra pochi minuti e si occuperà della sua pratica. -
La osservò confusa. - Ma… e quel signore? - chiese, scoccando una breve occhiata allo sconosciuto, che, resosi conto dello sguardo, pensò bene di fulminarla con gli occhi. - Non c’è lui prima di me? -
- Ah, no. Anche il signor Akito Hayama è qui per presenziare all’apertura del testamento del signor Ryo Kurata. -
Oh, quindi conosceva suo padre. Dovevano essere grandi amici se gli aveva lasciato qualcosa in eredità, però non ricordava di averlo mai incontrato di persona, né di averlo mai sentito nominare. Che fosse un parente alla lontana? Ma allora perché non l’aveva mai visto? - Capisco - disse e andò a sedersi. Scelse apposta un sedia piuttosto vicina a quella del signor Hayama in modo che potesse facilmente conversare con lui e scoprire come conosceva sua padre.
Gli porse la mano. - Salve, io sono Sana Kurata, la figlia di Ryo Kurata - si presentò.
Sentendo le sue ultime parole vide gli occhi di Hayama accendersi di una luce misteriosa, ma per niente rassicurante. Guardò prima la sua mano protesa verso di lui e poi di nuovo lei. - Akito Hayama. -
Sana ritirò la mano. Che maleducato. Non si perse d’animo e riprovò ad instaurare una conversazione: - Ho saputo che è qui per il testamento di mio padre. Lo conosceva, quindi? -
Lui inarcò un sopracciglio e la fissò con aria saccente. - Lei lascerebbe dei beni in eredità ad una persona che non ha mai visto? -
Stringendo forte la mano a pugno, trattenne la rabbia che provava e si stampò un falso sorriso in faccia. - Ha ragione, ho posto male la domanda. Volevo solo sapere come conosceva mio padre. Eravate amici? -
- Non direi proprio. -
Ma allora lo faceva apposta ad eludere le sue domande! Odioso. - Parenti? -
- E’ così importante per lei saperlo? - le chiese, stanco.
Sennò perché ti starei tempestando - inutilmente - di domande? Per divertimento? - E’ solo per curiosità. -
- Ah, sì? Beh, io non sono disposto a soddisfarla. - Hayama voltò la testa in direzione opposta. La loro esaltante conversazione era giunta al termine.
Imbronciata, Sana prese a far vagare lo sguardo per la stanza. Era piccola, a superficie rettangolare; sul pavimento c’era il parquet che era coperto da un enorme tappeto. C’erano poche sedie in velluto rosso con la spalliera rivolta al muro, un piccolo tavolo in vetro con delle riviste sopra e delle piante di vario genere vicino alle finestre ricoperte da tendine semplici. La scrivania della segretaria era interamente coperta di carte e cartellette, ed era piuttosto disordinata; la donna che vi era seduta dietro, batteva velocemente sulla tastiera del computer. Quattro lampade poste agli angoli della stanza illuminavano il tutto.
Annoiata, prese una delle riviste dal tavolino e cominciò a sfogliarla svogliatamente.
Era arrivata a metà delle pagine del giornale, quando la porta che delimitava lo studio del notaio si aprì.
Uscirono due uomini. Con sua sorpresa, il primo lo conosceva piuttosto bene. Si alzò in piedi e si avvicinò per salutare Naozumi Kamura. - Arrivederci, notaio. E grazie - disse quest’ultimo all’uomo che era uscito dallo studio dietro di lui. Si strinsero la mano, poi Naozumi si voltò e notò la sua presenza; i suoi occhi azzurri si illuminarono. - Oh, Sana, ciao - la salutò.
- Naozumi, che piacere vederti. Come stai? - gli chiese sorridendo.
- Bene, grazie. E’ da molto che non ci vediamo. -
- Sì, tra il lavoro e mio padre non ho avuto molto tempo, soprattutto perché non vengo spesso qui a Tokyo. -
Il viso di Naozumi si rabbuiò. - Ho saputo quello che è successo a tuo padre. Mi dispiace molto. Come ti senti? - le chiese premuroso.
Con fare nervoso, Sana scostò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio e sospirò. - E' stato… piuttosto inaspettato. Ancora fatico a crederci che lui non ci sia più. - Piegò le labbra in un lieve sorriso e continuò: - Ma sto bene, non devi preoccuparti. Ora, devo andare. Chiamami, okay? -
- Contaci. - Le riservò un enorme sorriso e si congedò. Naozumi era un suo vecchio amico dai tempi del liceo Jimbo, ora faceva l’attore e aveva cominciato a farsi un nome. Era molto bravo nel suo lavoro, lo vedeva sempre più spesso in tv.
Nel frattempo, il notaio aveva fatto accomodare Akito Hayama nello studio e i due stavano aspettando solo lei. Si decise a raggiungerli e, dopo essersi presentata al notaio e avergli stretto la mano, si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania di fianco a quella di Hayama.
- Bene, ora che ci siamo tutti possiamo cominciare - annuncio Tamiya tirando fuori dei fogli da una busta sigillata. Il notaio Izumi Tamiya era un uomo che sembrava avesse passato la cinquantina. Aveva composti capelli grigi e gli occhi di un semplice marrone. Era di un’altezza inferiore alla media ed era magro. Degli spessi occhiali da vista erano appoggiati sul suo lungo naso. Il notaio spiegò i fogli contenuti nella busta e cominciò a leggere: - Io sottoscritto Ryo Kurata, in pieno possesso delle mie facoltà e senza costrizione alcuna, decido di lasciare a mia figlia Sana Kurata e a mio figlio naturale Akito Hayama… - Scioccata, Sana girò il capo verso Hayama. Lui era il suo quasi fratellastro? Quasi, perché lei non era la vera figlia di Ryo Kurata, ma era entrata a far parte della sua famiglia quando sua madre si era risposata - pochi anni dopo il decesso del primo marito, nonché suo padre naturale - con lui. Ma per lei era Ryo il suo papà dato Shota era morto quando aveva solo tre mesi e di lui sapeva ben poco, se non quello che le era stato raccontato.
Non si sarebbe mai aspettata che Ryo avesse avuto un figlio. Non l’aveva mai visto in vita sua, non era mai venuto nella loro casa. L’oggetto dei suoi pensieri incontrò il suo sguardo. Su di lui non c’era traccia di stupore.

- Signorina Kurata, si sente bene? - le chiese il notaio.
Sana si voltò a guardarlo e annuì. - Sì. Mi scusi, potrebbe ripetere le disposizioni di mio padre? -
- Il signor Ryo Kurata lascia a voi due tutto il suo patrimonio, vale a dire la sua casa e il considerevole conto in banca, equamente diviso in due parti. La casa sarà vostra immediatamente, mentre entrerete in possesso del denaro fra sei mesi se rispetterete la clausola da lui pensata. -
Di che clausola parlava?
- Dovrete abitare nelle stessa casa per sei mesi, altrimenti perderete tutto. Sia la casa che il denaro - la cifra è pressappoco di dodici milioni di yen* - verranno dati in beneficenza. -
- Cosa?! - Doveva vivere per sei mesi nella stessa casa con un completo sconosciuto?

Quel giorno Akito era dovuto andare dal notaio per presenziare all’apertura del testamento del padre naturale, Ryo Kurata. Non aveva avuto la possibilità di conoscerlo molto bene, né di arrivare a considerarlo suo padre, dato che aveva scoperto che lo fosse solo due anni prima alla morte della madre Koharu. Sua madre li aveva lasciato una lettera in cui gli rilevava che il suo vero padre non era Keiichi Hayama, come aveva sempre pensato, ma era il frutto di una relazione clandestina con Ryo. Quest’ultimo inizialmente non sapeva che sua madre era sposata e per questo, dopo averlo scoperto, aveva deciso d’interrompere la relazione. Da quella breve storia era nato Akito, ma Ryo Kurata non ne venne al corrente se non alla morte di Koharu. Nella lettera, sua madre concludeva chiedendogli di perdonarla per averlo ingannato. Gli aveva fatto male sapere che gli aveva mentito per tutta la vita, ma lei era pur sempre sua madre e lui le voleva bene, quindi non le aveva serbato rancore. Saputa l’identità del padre biologico, aveva provato a rintracciarlo. Dopo un inizio piuttosto impacciato era riuscito ad instaurare un fragile rapporto con lui, peccato che un infarto glielo aveva portato via, sottraendogli la possibilità di conoscerlo davvero. Ma ormai era inutile rammaricarsi sulle occasioni perdute, si disse.
Era seduto davanti alla scrivania del notaio ed aspettava che l’impicciona e strana ragazza di cui Ryo gli aveva tanto parlato si decidesse a congedare il tizio con cui parlava e raggiungesse lui e Tamiya. Vide Kurata sorridere affabilmente al damerino - con una sola occhiata Akito aveva deciso che lui e il tizio mingherlino dai capelli grigi e gli occhi azzurri non avevano niente in comune - e non rendersi conto dell’occhiata di pura adorazione che le riservava. Beh, in fondo poteva benissimo provare un po’ di compassione per quel povero uomo… insomma, era una vera disgrazia perdere la testa per una donna come quella: esuberante, logorroica e impicciona… In una parola… insopportabile!
Doveva ammettere, però, che era davvero carina, anche se troppo magra, sembrava quasi priva di curve. I lunghi capelli erano rossi e lisci, mentre gli occhi ricordavano la cioccolata. Era di altezza superiore alla media per le donne giapponesi.
Kurata decise finalmente di congedare il damerino ed entrare nella stanza. Si accomodò al suo fianco e il notaio cominciò la lettura del testamento. Scoprire che lui in realtà era il suo fratellastro l’aveva colta di sorpresa: sbarrò gli occhi e le labbra rosse e luccicanti per il lucidalabbra. Quando si era girato a guardarla, l’aveva sorpresa a fissarlo in quella posa.
- Signorina Kurata, si sente bene? - Il notaio aveva notato la distrazione della donna e il suo improvviso pallore.
Kurata riprese coscienza della realtà e rispose al signor Tamiya, mentre le sua guance si tingevano di un lieve rossore. Seguì l’utile richiesta di lei di ripetere il contenuto del testamento - nemmeno lui era stato attento, dovette ammettere Akito con sé stesso.  
Il notaio spiegò loro che avrebbero dovuto convivere civilmente nella stessa casa per sei mesi prima che fosse concessa loro la possibilità di ereditare il patrimonio lasciato loro da Ryo.
Akito non era per niente felice di essere costretto a vivere per metà anno insieme a quella ragazzina, la convivenza con lei sarebbe stata un inferno. D’altro canto, non voleva nemmeno rinunciare ai sei milioni di yen dell’eredità. Con quel denaro avrebbe potuto realizzare il suo sogno di aprire una palestra di karaté.
Anche Kurata, come immaginava, non aveva preso bene l’imposizione di dover vivere insieme a lui. - Cosa?! - esclamò, poi aggiunse: - Non ho alcuna intenzione di vivere con uno sconosciuto.  Non mi interessa se è mio fratello, mio padre o mio cugino… io non lo conosco minimamente. -
- Nemmeno a me esalta l’idea di dover vivere con te, ma perlomeno tento di utilizzare il cervello anziché sbraitare. -
- Stai insinuando che sono scema? - replicò, puntando su di lui due occhi che se avessero potuto lo avrebbero incenerito.
- Sto solo dicendo che anziché perdere la calma come stai facendo tu, analizzo prima i pro e i contro di questa storia. -
- Non ho bisogno di perdere tempo a farlo, mi è bastato un istante per capire che non sarebbe una buona idea vivere con te. E non ci sono lati positivi. -
- Davvero? Nemmeno i sei milioni di yen? -
Lei esitò un attimo. - La salute è più importante del denaro. -
- Signorina Kurata, per favore, si calmi e mi lasci finire - provò a calmarla il notaio.
- Mi scusi, non volevo essere scortese con lei. Prego, vada avanti. -
- Ehm, come vi dicevo. Queste sono le disposizione del signor Kurata. L’unica cosa di cui non siete ancora al corrente è che la casa dove andrete a vivere, se lo vorrete, non è la stessa in cui il signor Ryo aveva abitato per anni, ma una villa da lui recentemente acquistata, mentre la precedente abitazione è stata venduta. -
- Venduta? - ripeté Kurata abbattuta.
- Sì. Poco tempo fa aveva deciso di acquistare una grossa villa, bisognosa di lavori di ristrutturazione, situata appena fuori Tokyo, in un luogo piuttosto isolato. Perché non andate a vedere la casa insieme prima di prendere una decisione? - propose loro. Il notaio li guardò speranzoso.
- Per me non c’è problema - acconsentì Akito, scrollando le spalle.
Kurata rimase in silenzio per un po’ prima di annuire dicendo: - Bene, andiamo a vedere questa casa. Anche se non credo che cambierò idea. -

* Circa 108.000 €

Eccovi qui un bel prospetto per districarvi nella complicata situazione famigliare dei due protagonisti: (se qualcosa non vi è chiaro non esitate a chiedere)
 
Shota (14/5/58 - 15/6/88) - Misako (21/10/63 - 10/1/2006) [matrimonio celebrato nel 1985]
Figli: Sana (7/3/1988)

Misako [2°matrimonio] - Ryo Kurata (19/2/55-27/4/2010)
Figli: Sana entra nella famiglia di Ryo dopo il matrimonio con Misako, celebrato nel 1991.

Ryo - - - Koharu [relazione]
Figli: Akito (12/10/1987)

Koharu (5/12/57 - 17/7/2008) - Keiichi Hayama (11/3/50 - 4/2/1997)   [Matrimonio celebrato nel 1980]
Figli: Akito, anche se è stato riconosciuto e ha il suo cognome non è figlio di Keiichi

(Pensate che inizialmente gli unici adulti defunti dovevano essere Shota e Ryo, per ovvi motivi. Poi piano piano si sono aggiunti tutti gli altri. Perdonatemi se ho fatto una strage.) 


Spazio Autrice:Ed ecco qui il primo capitolo della mia nuova fanfiction! Spero vi sia piaciuto. Mi raccomando fatemi sapere che cosa ne pensate. Ho già scritto altri due capitoli e una pagina del quarto. Per ora la pubblicazione sarà settimanale. 
A presto!
Ilaria

Spoiler del prossimo capitolo:
- Ma noi non ci conosciamo per niente! - replicò. - Tu saresti disposto a dividere casa con una completa sconosciuta?! E se una notte decidessi di soffocarti con un cuscino mentre dormi? -

   
 
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