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Autore: Mr_Black    13/10/2010    0 recensioni
Storia non autobiografica, ma frutto di un'insolita ispirazione. Una stanza, un uomo, una scomoda verità formano la trama di questo one-shot.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Assapori il silenzio della stanza vuota, seduto in quell'angolo con le mani intrise di polvere e solamente il battito del tuo cuore a farti compagnia. Provi a rannicchiarti ancor di più su te stesso, avvicinando le ginocchia al petto come a sentirti protetto da qualcosa di malvagio che ti circonda. La vedi, quella è una finestra, l'unica che ti permette di sentirti ancora parte del mondo. La luce entra debolmente, interrotta a sprazzi dal continuo girovagare della auto in strada, ma tu non hai il potere di sentire tutta quella confusione, non hai tempo per queste futili cose, abbassi la testa e ti perdi ancor di più in quel silenzio immaginario, frutto della tua mente. Già, quella stessa mente che ti ha reso così debole, pronta a farti affrontare mille e complicatissime tempeste psicologiche. E hai paura di chiudere gli occhi, il timore di fare di nuovo quell'incubo ti assale, ma non hai più le forze di opporti alla tua stessa mente e così si ripete di nuovo quella scena solita; il tuo cervello elabora la tua figura, il tuo contorno immaginario, le tue ossa, i tuoi muscoli e ti proietta lì, al centro della stanza, con una rivoltella in mano. Hai le lacrime agli occhi, le braccia che tremano, quella maledetta arma padrona di tutto. E la avvicini di più alla tempia, quasi al punto di godere sentendo il freddo metallo a contatto con la tua pelle. Chiudi le palpebre, abbozzi un leggero sorriso e azioni un misero dito che sancisce la fine della tua eterna sofferenza. Puoi vedere il sangue che scorre, il tuo corpo disteso a terra privo di qualsiasi problema, ti senti sollevato da tutto e da tutti. Ma la realtà è ben altra, sei sempre lì, in quell'angolo, a pensar di trasformare quell'incubo in qualcosa di reale, concreto, con lo scopo di poter seriamente ricominciare a sentire quelle voci esterne, il rumore delle auto che passano. L'orologio del tuo polso destro si avvicina lentamente al tuo orecchio. Il tempo è fermo, nessun frastuono delle lancette che compiono il loro lavoro, il nulla. Decidi finalmente di passare all'azione, apri le palpebre ancora una volta. Ti ritrovi disteso in una sala d'aspetto medica, occupi tre sedie, le persone in piedi ti guardano con aria cattiva, lo senti. Ti sollevi e cominci ad osservare quei bianchi e pallidi fogli di carta che ti ritrovi in mano. Non è nulla di buono, lo senti. Qualcuno forse ha parlato di riproduzione incontrollata di cellule, sarà stato uno di quei medici col camice bianco e l'aria da saputello. A dir la verità non sai nulla di cosa significhino quelle parole e lasci scorrere tutto, preferendo rimanere nell'ignoranza.
Sono qui, estraneo da tutti ma pur sempre un essere umano. Continuo a rigirare quei fogli tra le mie mani, non mi do pace. Sono passate tre settimane, il mio corpo non da segni di miglioramento. La mia debolezza mi costringe a star seduto qui, in questa sedia a rotelle, ma vorrei scappare, fuggire, stare in una spiaggia isolata dal mondo, pronto a gustarmi la mia vita, ma non posso. Le certezze diventano dubbi, tutto appare sfocato. Ho trent'anni, ma quella rivoltella è perennemente puntata sul mio cranio da ventuno giorni, pronta ad esplodere da un momento all'altro.

  
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