QUARTO CAPITOLO
- James, dice che stai cercando di diventare una scrittrice
di gialli-horror, e sai, io ho letto molti libri di Stephen
King e…- iniziò Eve.
Ci trovavamo in
pizzeria, come previsto dall’appuntamento, ma, colpo
di scena, William era nettamente in ritardo e Eve
stava cercando di intrattenermi nel frattempo, come fanno alcuni presentatori
televisivi quando c’è un problema con il personaggio noto che deve entrare in
scena o un problema grafico. James non aveva fatto
che ciondolare avanti ed indietro, durante tutto il discorso di
Eve, ma, prevedibilmente, senza dire una
parola e, apparentemente, senza aver ascoltato una parola.
Aspettavamo
davanti all’ingresso, ma qualcosa mi diceva che William non sarebbe venuto
affatto. Erano passati venti minuti e di lui, nemmeno l’ombra.
- Sai, l’altro
giorno sono andata all’acquario e, non ci crederai, c’erano delle specie nuove
di delfini che non avevo mai visto… - Eve cambiò
discorso avendo esaurito la sua conoscenza su Stephen
King.
Mi dispiaceva un
po’ per lei perché, anche se ne era inconsapevole, per
circa un quarto d’ora non aveva fatto altro che parlare da sola, davanti ad un
muro. Ero troppo preoccupata di quel ritardo per badare alle sue grandi
avventure. E, non so perché, sfogavo la mia preoccupazione fissando James mentre
annuivo alle esclamazioni di Eve, facendomi venire un
torcicollo. Il suo volto era impassibile, come al
solito, ma dalle sopracciglia impercettibilmente inarcate avevo capito che non
era da William comportarsi in quel modo.
-
Deve essere
successo qualcosa, è meglio se chiamiamo a casa sua. Eve,
hai il suo numero, in borsa? Tieni- le diede qualche
spicciolo – qui vicino deve esserci una cabina telefonica -.
-
Hai ragione,
cosa gli sarà successo? – e,
senza attendere risposta, si diresse verso la cabina dall’altra parte della
strada.
Ci lasciò da
soli.
Come al solito non dissi nulla.
Come al solito James non disse nulla.
Un altro silenzio
imbarazzante.
Dovevo evitarlo,
almeno quella volta.
-
Scommetto che
non capita spesso che William sia così in ritardo, giusto? – domandai incerta
con un filo di voce.
La sua
espressione si addolcì, per fortuna. Mi capiva.
-
Non ti
preoccupare, questo non vuol dire che non ti rispetti o altro, deve essergli
successo qualcosa, ne sono certo. Ha un sacco di
difetti, lo ammetto, ma quando una ragazza gli piace….
-
Sì, hai
ragione, non sembra il tipo! – terminai decisa a non fargli finire la frase. Mi
sembrava una presa in giro, da parte mia, naturalmente.
Tutti quei
problemi, le incomprensioni, le uscite…come sarebbe finita quella storia? William avrebbe pagato…ma poi? Sarebbe
cambiato poi tanto? Tutta la scuola avrebbe capito che non c’è da fidarsi di
me, ma non era quello che più mi preoccupava ... e tutte la
altre persone che avevo preso in giro? Come al
solito Kate aveva fatto appositamente un errore di
calcolo e aveva trascinato anche me. Ma ormai c’ero dentro fino al collo, non
potevo farci più niente.
-
Sua madre dice
che lo hanno chiamato per una questione urgente a scuola è non ha avuto il
tempo di contattarci. Deve essere qualcosa di importante
– Eve tornò di corsa preoccupata dopo una rapida
telefonata.
-
Lo sapevo che
è successo qualcosa! Ma ora cosa facciamo? Mangiamo lo
stesso, che ne pensate? Non penso che William corra gravi pericoli a scuola! -
propose James.
-
Sì, va bene, entriamo – trassi un sospiro. Cosa
avrei dovuto dire a Kate? Che
tutto il piano era fallito e che a William non importava nulla di me, in
realtà?
Come tutte le
altre sere, la pizzeria era ghermita di gente, ma per fortuna avevamo prenotato
un tavolo, anche se per il ritardo avevamo dovuto spiegarci. “Stranamente”
aleggiava uno insolito silenzio tra di noi: Eve sembrava preoccupatissima, James era del tutto calmo ed io…io non sapevo cosa dire, se
dovevo dire qualcosa.
Ci sedemmo in un
tavolino, mentre il cameriere ci offriva il menu. Leggemmo
velocemente la lista, ordinammo e ci scrutammo nervosamente. Tutto
questo senza dire una parola.
-
Allora, Joyce…hai già scritto qualcosa di tuo? Intendo un giallo,
naturalmente -
lacerò Eve il silenzio, per fortuna.
A dir la
verità non vorrei parlarne, ho già troppi problemi, avrei voluto rispondere, ma mi sentivo
troppo in colpa per averla ignorata fuori dalla pizzeria
e poi non volevo rifinire in un’altra situazione scomoda e imbarazzante.
-
Ehm, sì, ho
iniziato una storia stupida, come prova, niente di importante…
- accennai.
-
Uao! Mi piacerebbe troppo leggerlo, ti darei il
mio commento critico, che ne dici?
-
Ha ragione Eve, quello che conta è proprio
quello che pensa il pubblico di ciò che scrivi, non chi lo scrive, e la
simpatia per quella persona. Dalla a Eve così nel tempo libero lo legge anche a me – intervenne James.
-
Perché? Tu non puoi… - mi interruppi
- …scusa, che stupida che sono.
Mi ero
dimenticata che non poteva leggere pervia della cecità. Che sciocca
che ero stata… mi sentivo davvero in colpa.
- Non è niente,
non credere di essere l’unica a sbagliarti qualche
volta, non ti preoccupare, non mi mette a disagio – prese a sorridere.
Cercai di
scrutare qualche sforzo nel sorridermi, la posizione delle sopracciglia, delle
labbra, degli zigomi, ma nulla, sembrava davvero non pensarci nemmeno.
-
No, voglio
ripeterlo, mi dispiace tantissimo – ripetei più forte.
-
E io voglio ripeterti che non è nulla di
grave. Comunque, che ne dici della mia proposta? Anzi,
quella di Eve?
Dovetti pensarci
per molto tempo: Kate non aveva voluto leggerla, ma
questo non voleva dire che potevo affidarla alla prima
persona che vedevo, di cui non conoscevo che il nome. Sapevo che Eve era una ragazza in gamba e magari anche una brava
persona… ma…non so perché…non mi fidavo di lei.
-
Preferirei
prima finire la storia per farla leggere. Sono solo
all’inizio ora – rifiutai cortesemente.
-
Oh, certo – Eve sembrava davvero dispiaciuta e per poco non cedetti, ma
la mia forza di volontà e il mio onore non si persero
d’animo.
James non disse nulla: pareva dispiaciuto o, più
che altro… quasi arrabbiato. Corrugava leggermente la fronte e le sue labbra
erano serrate. Ma non ne conoscevo il motivo. Più
passava il tempo, meno lo capivo, era una ragazzo davvero
enigmatico.
Le pizze
arrivarono rapidamente, ma quella sera non vi era più l’animo e l’eccitazione
della pizzata con i nostri compagni di scuola di
qualche sera prima. Desiderai che William fosse lì: almeno avrei fatto il mio
compito, mi sarei resa interessante a lui, mi sarei occupata di qualcosa per
ottenere qualcosa. Ed invece non era mio compito intrattenere anche James e Eve,
quindi non avevo nemmeno la forza di provarci. Era già una tortura quello che
avevo iniziato, non potevo finire per rovinarmi ancora di più l’esistenza. Se
mi fossi loro resa amica per poi ridergli praticamente
in faccia confessando che era tutta una messinscena, che facevano parte del
piano, non mi sarei potuta più guardare allo specchio per l’intera vita.
All’improvviso
sentii qualcuno correre verso di noi, ma ero girata, non capivo chi fosse.
- Cavolo! –
esclamò William buttandosi sulla sedia di fronte al nostro tavolo traendo un
sospiro. Aveva il fiatone, il viso paonazzo e la sua fronte era
leggermente sudata.
Lo guardai
allibita, come allo steso tempo lo fissarono anche Eve
e James presi da una certa insicurezza ed incertezza:
nessuno sapeva cosa dire.
Solo dopo qualche
secondo di silenzio e quando il battito cardiaco di William ritornò ad un ritmo
normale, questi ci degnò di una spiegazione.
- Lo so cosa
state pensando, anzi, forse non sapete cosa pensare – iniziò titubante - Di sicuro avrete
chiamato a casa mia e mia madre vi avrà detto che ho avuto una cosa urgente. Lo
credevo anch’io, ma qualcuno mi ha tirato un brutto scherzo. Una persona mi ha
chiamato a casa dicendomi che chiamava dalla scuola e
che avevo un problema, forse mi avrebbero cacciato dalla squadra di football e
dovevo correre a parlarne con il preside. Non sapevo di cosa
stesse parlando, ma sono corso lì e quando sono giunto dal preside,
questi mi ha detto che non capiva di cosa stessi parlando. E così sono corso
per venire qui. Chissà chi c’è dietro a tutto questo!
– serrò il pugno destro.
Ci guardammo in
faccia con aria preoccupata finché James chiese
qualche chiarimento: tutti ne avevamo bisogno.
-
Quindi, stai dicendo che qualcuno ti ha chiamato
con l’intenzione di farti correre a scuola con la paura di perdere il posto
nella squadra? È ridicolo, chi potrebbe essere stato?!
-
Per
quanto mi riguarda anche uno dei miei amici o forse anche tutti i miei compagni
di football avrebbero potuto farmi qualcosa del genere, ma non perché sono
maligni o altro: spesso ci facciamo degli scherzetti e non posso dire di
esserne fuori del tutto.
– spiegò – L’unica cosa è che non potevano scegliere
momento meno adatto per una cosa del genere. Mi dispiace ragazzi – si sentiva in colpa, anche se era stato principalmente lui la
vittima.
Che razza di
scherzo è questo?! Avrei voluto dire, ma nel cuore sentivo una strana paura: era
davvero una coincidenza che nello stesso giorno dello scherzo avesse un
appuntamento con me?! Magari qualcuno era a conoscenza
del piano e stava cercando di farlo fallire ma non in modo diretto. Forse non
si trattava di un cattivo scherzo.
-
Non è colpa
tua, non ti preoccupare. Avrai una fame terribile. Noi abbiamo finito, ma
possiamo stare ancora qui.
-
No, non ho
fame, usciamo pure, è ancora presto possiamo farci un
giro oppure sederci al parco…Che ne dite ragazzi? – propose Will
alzandosi dalla sedia.
Approvammo e, nella
serata calda, c’incamminarono
verso il Green Park, silenziosi.
Non avevo idea di
quello che avrei passato in quella serata.