Libri > Hyperversum
Segui la storia  |       
Autore: Dean Lucas    14/10/2010    3 recensioni
Ian riabbraccia Isabeau ma scopre il prezzo del perdono di Ponthieu: i ragazzi si vedono costretti a ritornare con Isabeau nel presente in cerca dell'unico manufatto che può convincere Guillaume. Nel passato, una donna mette alla luce una bambina, senza sapere che avrebbe scritto alcune delle pagine più importanti della storia di Francia. Il suo destino si intreccerà con quello di Ian, Daniel, Isabeau e Ty, tra guerre e assedi, sconfitte e vittorie e soprattutto un nuovo amore più forte di ogni cosa. E quando tutto sembrerà ormai perduto, e la vita della misteriosa ragazza e il segreto stesso di Hyperversum saranno in grave pericolo, una donna dovrà prendere la decisione forse più importante nella storia dell'umanità. Chi c'è dietro Hyperversum? I ragazzi forse l'hanno sempre saputo, ma quando arrriverà finalmente il momento di conoscere la risposta, questa li sorprenderà più ancora delle loro incredibili avventure.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ian osservò incredulo il moncherino della spada frantumata, ancora nelle sue mani. La risata sguaiata di Glasdale echeggiò nelle sue orecchie, mentre si vide perduto.

Dai libri sapeva che l’inglese sarebbe morto quel giorno, annegato nella Loira. Ma più di questo, la sua conoscenza della storia non chiariva se prima di morire Glasdale avesse ucciso anche lui.

Isabeau…  

Gli bastò scandire mentalmente quel nome per percepire il fuoco divampare nuovamente nelle vene e pervaderlo del tutto. L’Inglese ghignava ancora e giudicandolo ormai alla sua mercé, aveva abbassato l’arma, appoggiando il filo della lama a terra.

L’ira incontrollabile gli donò il coraggio per una mossa disperata. Con un colpo di reni, si scagliò inaspettatamente contro il suo nemico, chinando il capo come un ariete e facendo cozzare il proprio elmo contro il petto di Glasdale.

Il colpo fu terrificante e per qualche secondo lasciò entrambi frastornati. L’inglese indietreggiò di un passo e per mantenersi in equilibrio istintivamente staccò una mano dalla spada. Ian se ne avvide nel momento stesso in cui, con un calcio, colpì la mano che reggeva lo spadone, facendolo volare lontano.

L’inglese sembrò esitare per qualche secondo, sbalordito. Ian non gli lasciò il tempo di riaversi, caricò ancora a testa bassa, colpendo ancora una volta l’avversario sul petto. L’urto avrebbe scaraventato a terra qualsiasi altro uomo ma non Glasdale, che indietreggiò ancora ma riuscì a reggersi in piedi. La linea perfettamente ricurva della sua armatura adesso esibiva una voluminosa rientranza, dove l’elmo di Ian l’aveva centrato.

Glasdale non riusciva ancora a credere di essersi fatto disarmare così stupidamente. Con la mente tornò alla battaglia di Verdun, quando il vecchio conte di Ponthieu gli aveva strappato di mano la spada, umiliandolo davanti al suoi uomini. Come allora, una furia incontenibile e folle si appropriò di lui.

Se non potrò sminuzzare con la spada la tua carne, allora la staccherò a brandelli con i miei stessi denti! E si scagliò contro la linea di cintura di Ian, abbrancandolo in presa.

L’americano si avvide troppo tardi che la carica di Glasdale mirava a imprigionarlo nella morsa delle sue braccia, cercò invano di divincolarsi dalla sua stretta mostruosa e fu sorpreso di sentirsi sollevare da terra dalla forza di quel demonio. Prima che Ian riuscisse a scalciare, l’inglese piegò a terra un ginocchio, e fece piombare Ian sullo spuntone della piastra metallica che proteggeva l’articolazione. Ian fu investito da un dolore lancinante, ma Glasdale non gli diede nemmeno il tempo di urlare: adesso che aveva il volto del nemico alla portata del suo elmo, prese a tempestarlo di testate.

Ian cercò di voltare il capo, quel tanto perché i colpi dell’inglese non lo centrassero frontalmente: diversamente, gli avrebbe schiacciato il setto nasale, come se fosse burro.

Dalle feritoie del suo elmo, Glasdale intravedeva il sangue del rivale imbrattare il metallo della corazza ad ogni colpo che sferrava. Ma non sarebbe riuscito a finirlo in quel modo, con un guizzo degli occhi cercò la spada e la trovò a una decina di passi alla sua destra. Assestò un ultimo colpo al suo avversario e lo abbandonò a terra, mente scattava verso l’arma.

Ben presto, Ian comprese che sul lato dove l’inglese l’aveva colpito ripetutamente, il metallo deformato dell’elmo sfregava contro la carne viva. Appena mosse il capo, un dolore atroce lo paralizzò, come se un coltello stesse affondando dentro la guancia. Ignorando con uno sforzo tremendo la fitta, si sfilò l’elmo e lo scagliò a terra. Davanti a lui, più lontano, Glasdale stava raccogliendo la spada.

Ty, che fino ad allora non aveva potuto fare altro che assistere impotente allo scontro, irruppe tra i soldati che assistevano al duello.

“E’ finita, Ian! E’ finita!” gli urlava, “Les Tourelles è in mano nostra! Lascia che questo infame sia catturato, non morire per orgoglio, non morire per niente!”

“La mia vita non vale niente senza Isabeau!” gli gridò di rimando l’americano.

“Maledizione, non permetterò che tu ti faccia ammazzare davanti ai miei occhi! Me ne frego del tuo orgoglio, so di fare la cosa giusta…”, con un cenno ordinò ad alcuni soldati di farsi avanti, avanzando lui stesso verso Ian.

“Non immischiarti!” gli ringhiò rabbiosamente contro, “Se mi sei amico stanne fuori”.

“Oh, va al diavolo!” gli replicò Ty mentre sguainava la sua spada e la lanciava in alto verso l’amico, “Prendila, è tua! Appartiene al Falco d’Argento, non si spezzerà, né ti tradirà mai!”

Ian afferrò al volo l’elsa, nel momento in cui Glasdale raccoglieva la sua arma e la sollevava verso di lui.

Era la spada più straordinaria che avesse mai visto: la guardia era forgiata in modo da riprodurre due ali stilizzate che si aprivano in volo. Gli intarsi sull’impugnatura descrivevano il piumaggio di un falco i cui artigli si aggrappavano in rilievo alla base della lama, mentre la testa e il grosso becco ricurvo davano forma al pomolo.

La lama era percorsa dalle parole intagliate nel mezzo: In Manu Falconis Invictum Ero.

L’inglese si dispose in una posta d’attacco.

“Riconosco che sei migliorato, da quando abbiamo combattuto l’ultima volta, ma temo di essermi stancato di giocare”, annunciò Lord Glasdale. “Adesso tocca a me attaccare…”

Ora che non indossava più l’elmo, Ian era certo che l’inglese avrebbe mirato al volto e si preparò a difendersi. Glasdale trasformò gli ultimi passi in corsa e con straordinaria agilità portò l’assalto con un fendente alto.

 Ian sollevò i gomiti in alto e bloccò il ferro avversario con una parata rovesciata. La lama di Glasdale cozzò contro la sua a pochi centimetri dal suo viso.

L’inglese non arrestò tuttavia la sua azione e con un gesto fluido portò un nuovo attacco dal lato opposto. Ian fu costretto a indietreggiare mentre parava l’assalto frapponendo orizzontalmente la lama davanti al proprio volto.

Glasdale non lo lasciò nemmeno respirare mentre continuava ad affondare i colpi come se fossero un unico movimento, naturale e continuo. Con un sapiente gioco dei polsi, lo tempestò di fendenti rovesci e diritti, uno dopo l’altro, senza sosta, senza tregua.

Ian attinse alla propria rabbia infinita, che ancora avvampava dentro, per ignorare il dolore sempre più acuto ai polsi, dopo ogni parata e le forze che gli venivano inesorabilmente meno. Aveva sempre un occhio sulle mani del nemico, in modo da avere conoscenza dell'origine dell'attacco e prefigurare la direzione dell’assalto.

All’improvviso, l’inglese eseguì un movimento più ampio delle spalle e trasformò il fendente alto al volto in un falso dritto sotto la cintura. Ian roteò disperatamente i polsi, guidando la lama di traverso e sollevando l’impugnatura della spada fino al petto, per difendere il maggiore spazio possibile. Vide un lampo attraversare gli occhi dell’inglese e subito dopo si accorse dello stivale dell’avversario che lo centrava al ginocchio sinistro.

Il dolore fu tremendo e Ian dovette inginocchiarsi per non perdere l’equilibrio. Glasdale, con un urlo gutturale, roteò ancora una volta i polsi e portò un colpo di taglio rovescio diretto alla gola dell’avversario.

Ian alzò rapidamente, ancora più in alto, la presa sull’arma, mentre con la spada rovesciata, parava con difficoltà il colpo dell’inglese.

Il clangore fu così potente che sembrò che la spada dovesse spezzarsi ancora, ma le lame rimasero invece legate l’una all’altra.

“Iaaaaan!”

Fu in quel momento che udì il grido di una donna.

Davanti a lui, dietro alle spalle di Glasdale, vide Daniel emergere dai miasmi delle rovine in fiamme della fortezza. Una ragazza era aggrappata alle sue spalle, e pure se ai suoi occhi appariva irriconoscibile, pure se il suo urlo era alterato dalla paura, qualcosa dentro di lui la riconobbe.

Isabeau.

E in quel momento finalmente seppe. Seppe che anche nell’abisso più cupo e tetro poteva albergare la speranza. Che non c’era sofferenza senza gioia. Che non esisteva tenebra senza luce.

E fu consapevole che persino l’odio più viscerale, cui aveva attribuito il potere di infondere una forza invincibile, era in realtà ben misera cosa rispetto alle energie che poteva trasmettergli l’amore.

Glasdale, del tutto ignaro della donna che era comparsa alle sue spalle, disimpegnò la lama e si preparò a calare come una mannaia il colpo che avrebbe sbriciolato il cranio indifeso del suo avversario.

Nel tempo in cui l’inglese portava indietro i gomiti, per sferrare l’attacco decisivo, Ian sollevò il ginocchio posato a terra. Per darsi slancio usò come perno l’altro piede, roteò come un fulmine il busto e il braccio, e falciò l’aria con un fendente orizzontale.

Glasdale, stupito e innervosito dalla rapidità del movimento, non poté che rinunciare all’assalto e disporsi per una parata rovescia in grado di intercettare il ferro avversario.

Ian aveva bene a mente la raccomandazione del maestro d’armi di Chatel Argent, durante il suo addestramento a Chécy: “il colpo migliore è sempre quello che percorre la minore distanza, il colpo della strada retta”.

Ebbene, vuol dire che d’ora in poi farò l’esatto contrario, se voglio avere qualche possibilità di sorprendere quel maledetto.

Un istante prima che la sua lama toccasse quella dell’inglese, arrestò l’attacco, ruotò i gomiti e in quello che sembrò un solo movimento, senza soluzione di continuità, eseguì un giro completo su se stesso nella direzione opposta.

Glasdale si avvide troppo tardi di quel gesto folle. Per preparare la difesa aveva caricato tutto il suo peso sulle spalle e sulle braccia, che ora erano lente a reagire. Senza poterne approfittare, osservò il rivale che per un istante apriva del tutto la guardia, mentre piroettava su se stesso.

L’avvitamento del busto fornì al colpo di Ian una forza e una imprevedibilità altrimenti inimmaginabili.

Per la prima nella sua vita, Glasdale conobbe l’atroce consapevolezza di non aver saputo prevedere, con una frazione di anticipo, la mossa del suo avversario.

Un istante dopo percepiva un lampo incandescente abbattersi contro il suo fianco sinistro, proprio sotto la corazza, dove lo proteggeva solo una cotta di maglia.

Nessuno era mai riuscito a ferirlo in un duello, era incredulo e indignato. Non riusciva a spiegarsi in che modo quell’uomo avesse trovato le forze, l’ingegno e la velocità per sferrare un attacco del genere. L’umiliazione lo ferì più del dolore che gli bruciava il fianco. Sollevò l’arma, bramando di vendicare senza indugio quell’offesa intollerabile.

Ian disimpegnò la lama dalle maglie di ferro che aveva sbriciolato, staccò la mano sinistra dall’elsa, e col solo movimento del polso dell’altra mano, mulinò il ferro come se fosse un’elica impazzita. La spada ruotò più volte su se stessa, e quando Ian l’arrestò, la stava impugnando al contrario, pronto a lanciarsi contro l’avversario con un gesto ancora più folle e inatteso.

 Sollevò in alto il braccio, adoperando come un’arma il pomolo forgiato con la testa del falco e si scagliò su Glasdale, con tutta la forza di cui era capace. Lo centrò sulla parte bassa dell’elmo, cogliendo l’inglese del tutto impreparato a fronteggiare quella mossa inconcepibile.  

Il metallo che proteggeva Glasdale si incrinò, screziandosi di rigagnoli sangue.

E Ian colpì ancora, ancora e ancora, riducendo in una poltiglia raccapricciante il muso dell’inglese, finché il pomolo stesso della sua spada si sbriciolò sotto la sua furia.

Solo allora fece un passo indietro e ruotando nuovamente tra le dita l’elsa della spada, tornò a impugnarla nel verso corretto, preparandosi a sferrare il colpo di grazia.

Glasdale sI levò l’elmo sputando a terra l’impiastro di sangue e denti che gli riempiva la bocca. La lingua si muoveva liberamente nel palato, senza trovare più altro attrito che il sangue.

L’incredulità lasciò per la prima volta il posto al terrore. Qualcosa aveva trasformato quell’uomo e non riusciva a capire cosa. Ian sembrava attendere che l’avversario fosse di nuovo pronto a brandire la sua arma.

Glasdale decise di accontentarlo immediatamente, si scagliò su di lui come un cane rabbioso, facendo cozzare la sua lama contro quella di Ian e impegnandola in una prova di forza e di abilità che sapeva che non avrebbe mai potuto perdere.

Con un solo movimento del polso che aveva imparato da Geoffrey Martewall, Ian strappò via la spada all’inglese, facendola volare in alto e lasciando una volta di più Glasdale sgomento. Con la mano sinistra, Ian afferrò l’elsa dell’arma del rivale mentre ricadeva in basso. Ci fu lo stridore acuto del metallo contro metallo, mentre incrociava a forbice le due spade ai lati della gola del suo avversario.

Sul campo calò un silenzio innaturale.

Poi Ian udì le grida dei francesi che esultavano e lo acclamavano e di colpo la sete di vendetta che per tanto tempo l’aveva consumato, l’abbandonò, mentre la stanchezza aveva finalmente ragione di lui. Separò le due lame tese davanti alla testa di Glasdale e abbandonò le braccia lungo i fianchi, facendo strisciare le punte delle due spade a terra.

Glasdale indietreggiò cautamente verso il cancello della fortezza alle sue spalle.

Era sconfitto, finito, umiliato. Ma più di questo, non riusciva a capacitarsi di come era potuto accadere.

Gustò il sapore metallico del suo sangue. Tutt’intorno scorgeva solo i volti ostili dei suoi nemici, che gli gridavano contro ogni genere di oscenità. Incrociò lo sguardo con la strega francese dentro l’armatura. Nei suoi occhi vi lesse una pietà che non fu capace di sostenere.

Distolse immediatamente lo sguardo e fu sbalordito di posarlo su un’altra donna, quella cagna maledetta che non era riuscito né ad uccidere né a possedere. Vi scorse un odio infinito, identico a quello che covava lui stesso verso tutta la gente. Ma poi l’odio negli occhi della ragazza si smorzò, tramutandosi in una desolata commiserazione.

 Voltò disperatamente gli occhi in un’altra direzione, e Incrociò lo sguardo del giovane conte di Ponthieu che lui stesso aveva assassinato insieme al padre, a Verdun. Ma anche quel fantasma lo osservò severamente, esprimendo silenziosamente soltanto pena e compatimento. All’ora estrema, gli incubi del suo passato erano tornati ad esigere il loro prezzo.

Per Glasdale fu troppo, gli sguardi della folla presero a turbinare nella sua testa, insieme alle occhiate impotenti di tutte le vittime a cui in passato aveva strappato la vita. Perché tutti lo stavano fissando con quell’espressione di insopportabile pietà? Perché nessuno lo temeva più?

Quelle domande senza risposta lo gettarono nella follia e urlò più volte a quegli occhi di smetterla, ma essi non smisero di vorticare, né di fissarlo.

Girò goffamente su sé stesso, nel disperato tentativo di scorgere un posto dove quegli sguardi indagatori non avrebbero potuto seguirlo: davanti a lui si apriva la cancellata della fortezza in fiamme e senza esitazioni, si lanciò dentro.

Nessuno lo fermò.

Eccola Les Tourelles, l’inespugnabile. La roccaforte che finché lui era vivo non sarebbe mai caduta. Si addentrò ancora per qualche passo all’interno del passaggio, mentre il fumo nero lo accoglieva nel suo fosco abbraccio. Cominciò a tossire e a sputare sangue, mentre avanzava barcollando, picchiando di qua e di là contro le mura e i sostegni della fortezza.

Lontano dalle porte, il calore era intollerabile e le fiamme incombevano dall’alto e da ogni lato, aggrappate alle travi che bruciavano. Inevitabilmente, una lingua di fuoco ghermì la sua lunga chioma rossiccia, imprigionando i capelli nell’odore raccapricciante della morte.

Glasdale se ne avvide solo quando il calore incandescente lambì la carne. Agitò le mani nel vano tentativo di difendersi dal fuoco, ma riuscì soltanto a bruciarsi le dita. Non aveva fiato per urlare, non poteva fare nulla per alleviare il dolore lancinante, allora cominciò a correre. Una luce tenue illuminava il cancello sul retro che immetteva sul ponte e concentrò tutte le sue forze per raggiungere l’uscita.

Attraversò il ponte impazzito dal dolore e mentre esalava un ultimo grido disumano, si gettò nella Loira, compiendo il suo destino.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hyperversum / Vai alla pagina dell'autore: Dean Lucas