L’idea per questa one
shot è nata ieri. Devo ringraziare lele-cullen per
averla letta ed avermi dato la sua benedizione. Dopo aver finito la scrittura
ero decisa a non postare, ma lei mi ha dato la spinta di cui avevo bisogno.
Grazie, monamùr.
Buona lettura.
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Ti amo, Bella.
“Papà, sei pronto?”
Renesmee sbircia
dalla porta della camera de letto, impaziente come sempre.
“Quasi,” rispondo abbottonando i polsini della camicia. “E tu? Hai già messo le scarpe?”
“Sì,” dice facendosi avanti. “Quelle verdi che
mi ha regalato la zia Alice. Vanno bene?” Solleva
prima un piede e poi l’altro, appoggiandosi alla porta per trovare l’equilibrio
di cui ha bisogno. Del resto ha solo sei anni.
“Sono magnifiche,” dico con un sorriso. “Vieni qui,”
dico piegandomi sulle ginocchia. “Aiutami a scegliere la cravatta.” Nel momento
stesso in cui allargo le braccia, Renesmee attraversa la camera correndo e si
tuffa fra di esse. E’ il nostro modo per dimostrarci
affetto. Uno dei tanti, ovviamente.
“Prendi quella blu,” dice trascinandomi per mano verso l’armadio. Lo apre
sollevandosi sulle punte e sa subito dove cercare la cravatta di cui parla.
“Ecco, questa.”
“Questa?” dico
sollevando un sopracciglio. “Sei sicura? Il completo
che indosso è blu, ci vorrebbe una cravatta diversa…”
“No,” dice scuotendo la testa. Nel farlo,
la montagna di riccioli rossi si muove da un lato all’altro. “A me piace
questa.”
“Agli ordini,” ribatto con fare serio. Mi piego di nuovo per raggiungere
la sua altezza, e le porgo la cravatta. “Pensi di riuscirci stavolta?”
Renesmee tentenna,
e non è da lei. Solitamente non ha paura di nulla ed è sempre in prima linea
quando si tratta di sperimentare, ma quella della cravatta è un’avventura per
cui forse non è ancora pronta.
“Andiamo,” le dico con un bacio sulla fronte. “Ti mostro come si
fa.”
Con il mio aiuto e
la ripetizione di ogni passaggio per almeno tre volte, Renesmee riesce a fare
un buon nodo alla cravatta blu… quindici minuti dopo.
“Ecco fatto,” dico guardandomi allo specchio. “Vai a salutare Bingo, io
vado a prendere la macchina.”
“D’accordo, papà.”
Esce di corsa per raggiungere le scale che portano al piano di sotto, e sento
la sua voce chiamare Bingo, il nostro labrador. Lo saluta e gli raccomanda di
fare il bravo. Bingo risponde con uno sbadiglio che riesco a sentire con
chiarezza mentre scendo dal piano superiore.
Dopo aver chiuso la
porta ed aver aiutato Renesmee a salire in auto, metto la cintura di sicurezza
e infilo la chiave per partire. “Hai preso il tuo quaderno?” le chiedo prima di
accelerare.
Renesmee solleva il
quaderno usando due mani. “Certo,” dice sorridendo. “Ho
preparato un mucchio di disegni.”
“Sono secretati
come al solito, o posso dare una sbirciatina?” Aspetto una risposta guardandola
attraverso lo specchietto retrovisore.
“Non posso,” dice seria. “Lo sai. Li vedrai fra poco,”
aggiunge. “Non avere fretta.”
“D’accordo,” rispondo sorridendo. “Non ho fretta.”
Percorro le vie del
nostro quartiere guidando lentamente, osservando i giardini delle ville simili
alla nostra e gli alberi fioriti grazie alla bella stagione. Mi immetto nel
traffico sostenuto poco dopo, felice che – nonostante la grande quantità di
auto – il flusso sia scorrevole.
“Papà, posso farti
una domanda?”
“Certo, amore.”
Iniziavo a
preoccuparmi del suo prolungato silenzio. Renesmee è una grande chiacchierona.
Non a caso ha detto la sua prima parola a soli sei mesi.
“E’ vero che tanto
tempo fa il nonno ha cercato di ammazzarti con il suo fucile?”
“Che cosa?!”
“E’
stato lui a dirmelo… ieri pomeriggio, al parco. E’ vero?” chiede
dubbiosa.
“No… no, Renesmee…
no.”
“Quindi nonno
Charlie ha mentito?”
“No. Cioè sì… cioè…” Sbuffo rumorosamente,
cercando di riordinare le idee, e scrivendo nella lista mentale delle
commissioni da fare ‘Parlare con Charlie circa le cose da dire e quelle da non
dire a mia figlia’.
“E’ accaduto molto
tempo fa,” dico a Renesmee. “Io e la mamma eravamo
ancora al liceo.”
“Eravate molto
giovani, quindi? E poi cos’è successo? Ti va di raccontarmelo?”
“Certo,” dico con un sorriso. “Io e la mamma stavamo studiando,
dovevamo preparare un saggio per il corso di letteratura americana. Quella era
la mia prima volta a casa Swan. Il nonno scelse di rientrare dal lavoro proprio
nel momento in cui stavo medicando la mamma, si era tagliata un dito con un
figlio di carta, ed ha pensato che fossi stato io a farle del male. E comunque
non ha usato il fucile,” preciso con un dito puntato
in aria. “Il nonno ha esagerato nel raccontarti questo episodio.”
“Il nonno lo fa
sempre,” risponde Renesmee con un sorriso che va da un
orecchio all’altro. “E poi cos’è successo? La mamma cos’ha detto?”
“La mamma mi ha
presentato a Charlie,” dico svoltando ad un incrocio.
“E lui ha capito che non ero un malvivente, ma un semplice amico di sua
figlia.”
Renesmee sorride, e
osserva il panorama attraverso il finestrino chiuso.
La verità è
un’altra. Quel giorno dovevamo sì preparare un saggio sulla letteratura americana, ma Bella ed io decidemmo di portare i compiti in
camera da letto, finendo dopo poco a baciarci sul suo lettino. Eravamo talmente
presi l’uno dall’altro che non ci rendemmo conto dell’arrivo di Charlie, e non
potemmo nascondere il fatto quando lui irruppe in camera di Bella con la
pistola fra le dita. Credeva che ci fosse un estraneo in casa, e che stesse
facendo del male a sua figlia. Bella approfittò di quell’occasione per
presentarmi a Charlie come il suo ragazzo, ed a nulla servirono i miei buoni
propositi. Charlie mi bandì da casa Swan per un mese, un lungo mese in cui
imparai ad arrampicarmi sull’albero del giardino per raggiungere la finestra
della camera di Bella e farle visita di notte o quando Charlie era in casa.
E’ un ricordo che
porto dentro insieme a mille altri e non vedo l’ora di poterlo raccontare a
Renesmee in assoluta libertà, ma credo che sei anni
siano pochi per una scoperta del genere. Meglio la versione edulcorata e priva
di armi.
“Siamo arrivati?”
mi chiede ad un certo punto, quando inizia a scorgere il solito viale alberato.
“Mm-mm.”
Parcheggio nella
piazzola accanto alle altre auto presenti, e scendo per aprire lo sportello
posteriore. Renesmee però mi ha battuto, come sempre. Stringe fra le braccia il
suo quaderno. “Andiamo,” dice liberando una mano per
prendere la mia.
Attraversiamo il
cancello nero in silenzio e quando i nostri piedi toccano l’erba verde Renesmee
lascia la mia mano ed inizia a correre. “Mamma! Mamma!” esclama, correndo con il quaderno fra le dita della mano
sinistra.
Una coppia di donne
si volta nella mia direzione, e a loro chiedo scusa con uno sguardo di
circostanza. Come me, neppure loro hanno il coraggio di dire nulla alla
bambina.
“Mamma!”
Renesmee arresta la
sua corsa accanto alla lapide di marmo colma di fiori. Io la raggiungo a passo
lento, come ogni volta. E come ogni volta mi fermo dietro mia figlia, appoggio
le mani sulle sue spalle, e mi piego sulle ginocchia per osservare la pietra
sotto cui giace il corpo di mia moglie, il corpo di
sua madre.
“Ciao, mamma,” dice lei con un leggero fiatone. “Siamo arrivati.” Si
volta verso di me con un nuovo sorriso. “Hai visto quanti fiori? Sono nuovi.”
“Già,” dico con un nodo alla gola. “La zia Alice e la zia
Rosalie saranno venute questa mattina.”
“Mamma, hai tanti
fiori. Sono colorati,” dice sedendosi sull’erba con le
gambe incrociate. “Sono sicura che se li vedessi ti piacerebbero, non è vero,
papà?”
“Certo. Le piacerebbero molto.”
Bella è morta dieci
mesi fa, in un incidente stradale. La mia vita è cambiata da allora. La vita di
mia figlia è cambiata da allora.
Cerco di non farle
mancare nulla, e la mia famiglia - assieme a quella di Bella - mi sta accanto,
ma il dolore che ho dentro non si è placato neppure un secondo da quel
maledetto giorno.
Niente può
cancellare la sofferenza, nessuno può riempire il vuoto lasciato da lei, da mia
moglie.
Un momento era con
me, felice, piena di vita come sempre. Un attimo dopo non c’era più. Andata.
Persa per l’eternità.
Ho dovuto dare la
notizia a Renesmee. Mi sono dovuto occupare del funerale. Ho dovuto riprendere
il lavoro. Mi sono sforzato di andare avanti per Renesmee, per cercare in tutti
i modi di affievolire la sua sofferenza.
Mi sono servito
dell’aiuto di mio cognato Jasper, e grazie a lui Renesmee ha trovato un modo
per elaborare il lutto, per esprimere il suo dolore. Ogni settimana, quando
veniamo al cimitero, Renesmee porta con sé un quaderno sul quale ha annotato
pensieri e disegni da condividere con sua madre.
Ero preoccupato,
all’inizio. Temevo che questo sistema potesse darle l’illusione sbagliata che
Bella fosse ancora viva, ma Jasper mi ha
tranquillizzato. Il quaderno è un mezzo per rimanere in contatto con Bella,
anche se solo virtualmente. Il quaderno è il modo in cui Renesmee riesce ad
elaborare i suoi pensieri e la sua mancanza.
Lo riempie di
disegni, e quando veniamo al cimitero li descrive a quello spirito di Bella che
sento sempre con noi, con me. Sono tanti, i disegni. Sono colorati. Io e lei al
cinema, io e lei ad un pranzo di famiglia. Renesmee e Charlie al parco,
Renesmee ed Alice al centro commerciale. Renesmee e Jacob, uno dei suoi
compagni di classe con il quale ha da poco iniziato a frequentare gli scouts.
Io e Renesmee mentre prepariamo un dolce per il suo compleanno.
“Mentre venivamo qui,” dice ad un certo punto, “papà mi ha raccontato di
quando ti sei fatta male mentre studiavate insieme…”
La invidio, sotto
certi aspetti. Invidio la calma con cui riesce a lasciarsi andare. Invidio il
modo in cui riesce a parlarle, come se fosse un gioco, con la giusta
spensieratezza che io non riesco ad avere.
“Papà,” dice voltandosi. “In uno dei vasi c’è poca acqua. Posso
andare a riempirlo?”
“Certo,” dico abbozzando un sorriso. Sollevo i fiori e li appoggio
sull’erba, dando a Renesmee il vasetto mezzo vuoto. “Lì c’è una fontanella,” dico indicando il punto più vicino per la raccolta
dell’acqua. “Ti aspetto qui.”
“Io vado, ma tu non
sbirciare nel quaderno, d’accordo?”
“D’accordo.”
La guardo camminare
lentamente, reggendo il vaso come se fosse una reliquia.
Giro gli occhi
sulla lapide, osservando l’incisione e le date.
“Ciao,” dico con un nuovo nodo nella gola. “Mi manchi. Ogni
giorno, Bella. Ogni santissimo giorno. Renesmee è felice, e questo è
sufficiente a farmi andare avanti. Si trova bene con gli scouts, anche se
secondo Alice dovrebbe dedicarsi anche ad attività più femminili, come la
danza. Conosci bene mia sorella… sappiamo entrambi com’è fatta. Bingo sta per
diventare papà. Marilyn, il labrador della tua amica Angela… te la ricordi? Beh…
Marilyn dovrebbe partorire da un giorno all’altro… Nessie è eccitata all’idea.” Fisso il nome ‘Isabella’ inciso sulla pietra, e lo
accarezzo con le punta delle dita. “Spero di renderti
orgogliosa… ovunque tu sia. Spero di essere un buon padre, lo sai… te lo
dico sempre. E spero di averti resa felice come meritavi. Non smetto di amarti,
anche se non ci sei più… lo sai, non è vero? Lo sai?”
Aspetto una
risposta che non arriva. Aspetto una risposta che non arriverà mai.
“Papà?” Renesmee mi
è accanto con il vaso colmo fra le mani. Legge il mio volto e sa che sono
triste.
Stavolta,
fortunatamente, sono stato in grado di non piangere.
“Ehi. Hai riempito
il vaso?”
Lei annuisce. “Puoi
mettere tu i fiori se vuoi.”
Lo appoggia
sull’erba, ai piedi della lapide, e mi osserva mentre sistemo i fiori uno alla
volta. Quando ho finito si avvicina e mi abbraccia, senza dire nulla. Stringe
le braccia attorno al mio collo e rimane così per qualche minuto.
“Ti voglio bene, papà.”
“Ti voglio bene
anch’io, Renesmee.”
Guardo la lapide continuando
a tenere mia figlia fra le braccia.
Ti amo, Bella.
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Grazie per essere arrivati fin qui.