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Autore: ElfoMikey    16/10/2010    2 recensioni
"Ripensandoci la mia vita è stato un disastro continuo, ma arrivato a questo punto non riesco a pentirmi di nulla.
Okay, forse di un paio di cose.
Sorrido tra me, accarezzando la spalla nuda di Ryro con la punta delle dita, mentre le pareti della nostra camera sono abbagliate dai primi raggi del mattino.
È questo il mio posto.
Finalmente so dove stare."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ryden2

 

 Prima Ryden scritta dal punto di vista di Brendon. Prima di leggere dovete sapere che i Panic! At the disco e i  The Young Veins non sono di mia proprietà( ma dai xD) e nulla è scritto a scopo di lucro.

Altra informazione: i pezzi in corsivo si riferiscono al presente, gli altri sono tutti flash back.

 Ps: questo è diciamo il continuo di  I know it's sad that I never gave a damn about the weather, and it never gave a damn about me.” Solo dal punto di vista di Brendon, e con flashback differenti  che raccontano della loro storia.

 

Buona lettura ^^

 

 

 

 

 

 

 

“Take a chance, take your shoes off, dance in the rain… we're splashing around, and the news spread all over town…”

 

 

 

 

 

 

Quella mattina la sveglia suonò fastidiosamente alle sei e mezzo del mattino.

Non ero lucidissimo per colpa di Pete che la sera prima mi aveva portato a bere per tutti i locali presenti a Las Vegas. Ed ero rientrato solo due ore prima.

Ehi, non era colpa mia, okay?

Mi ha trasportato di peso.

E io ho solo ritenuto che ribellarmi sarebbe stato troppo poco carino.

L’idea iniziale era di bere fino a dimenticare ogni cosa.

Ovviamente non fu così, perché appena guardai la stanza notai il vestito elegante pronto per essere usato, che mamma mi aveva portato la sera prima. Così arrivai alla conclusione che la serata appena passata mi aveva procurato solo un mal di testa incredibile e il vago ricordo di me amoreggiante addosso a un lampione.

Mi alzai per spegnere il suono insistente della sveglia che avevo posizionato strategicamente sul comò in fondo alla stanza.

Non servì a nulla, perché mi ributtai a peso morto sul letto.

Fischiettai con tono lugubre una canzoncina, mentre affondavo la testa sotto il cuscino.

In realtà doveva essere il giorno più bello della mia vita.

Il matrimonio è una delle più belle leggi della chiesa, che ti permette di vivere per sempre affianco alla persona amata, promettendole fedeltà eterna.

Dovevo essere agitato e in preda alla più sconvolgente delle crisi isteriche per una piega del vestito mal stirata.

E invece, mi sentivo vuoto.

Totalmente.

Mia sorella maggiore entrò nella stanza con prepotenza, alzando con forza e allegria la serranda della finestra.

“Che lo sposo si svegli!!” urlò, agitando le coperte per infastidirmi.

“Preferisco morire, grazie.” Ribattei tragicamente.

“Nervoso?” la sentii sedersi al mio fianco e ridacchiare per le mie condizioni.

“Sì…” mentii.

Ma quale nervosismo prematrimoniale? 

Avevo l’attività emotiva e celebrale di un morto in decomposizione.

“Vedrai è solo un momento, poi quando la vedrai venirti incontro tutte le tue paure svaniranno.” Mi rassicurò, mentre la mia mente viaggiava verso una chiesa gremita di gente e la mia attesa colmata dal suo arrivo. I capelli lisci che gli ricadono morbidi sul collo, la camicia bianca, il gilet rosso con quelle bellissime rose e i suoi occhi castani cerchiati di nero.

Aprii gli occhi di scatto.

Avevo seriamente immaginato Ryan attraversare la navata per sposarmi?

Il mio cuore mancò un battito e le guancie si colorarono di rosso.

Sarebbe stato meraviglioso.

Sorrisi inconsciamente, mentre il mio sogno ad occhi aperti si allargava, immaginando una vita intera al suo fianco.

“Che splendida visione…” commentai, assolutamente assorto dalla mia fantasia.

“Cosa ti avevo detto? Ti basta immaginare Sarah per farti sparire ogni problema!” esclamò.

“Sarah?” chiesi, guardandola come se fosse pazza.

Sarah chi?

Ah! Sì, Sarah, giusto…

 Mia madre fece la sua trionfale entrata, prima che mia sorella potesse rispondere. Era seguita da una ragazza che con fatica le stava alle calcagna per sistemarle una strana acconciatura.

Sembrava un nido di piccione, ma rimasi zitto.

Si sapeva che l’unico con il reale senso del gusto in quella casa ero solo ed esclusivamente io.

“Tesoro! In piedi! Non lo vedi com’è tardi?” strillò, cominciando a trafficare per al stanza.

Alzai gli occhi al cielo.

Non sarei riuscita a sopportarla un minuto di più.

“Mamma, per favore sono a mala pena le sette del mattino e devo solo farmi una doccia e infilarmi un vestito.” Ribattei, portandomi le mani hai capelli.

“Ma abbiamo il rinfresco, le foto, devi accogliere gli invitati!” esclamò, assumendo un’aria melodrammatica assolutamente pessima.

Sbuffai.

Devi, devi, devi.

Da quando sono nato è sempre stata una continua guerra con gli obblighi.

“ Deve essere tutto perfetto. E devi sposarti con Sarah e vivere felice.

Non voglio più farlo. “Sarà tutto perfetto, mamma.” Mi sforzai di sorriderle per riuscire a togliermela di torno il più preso possibile.

Mia sorella la seguì poco dopo, dopo aver posato le fedi su comodino.

Presi la scatoletta di velluto blu fra le mani e aprendola ne accarezzai il dorso morbido.

Immaginai una di queste attorno all’anulare di Ryro, con la sua mano stretta nella mia.

Non potevo andare avanti in quel modo.

Non ci sarei più riuscito.

Ero arrivato fino a lì e la cosa più saggia era concludere quello che era stato prefissato.

Mi vestii in silenzio, sistemandomi i capelli e appuntando un fiore alla giacca nera.

Una rosa.

Sfiorai i pelati delicati e profumati e mi sembrò di sentire ancora la consistenza morbida della sua pelle.

Ce l’avrei fatta a sposarmi con l’immagine di Ryan davanti agli occhi?

Perché non era comparsa prima questa paura? Perché l’avevo costantemente repressa?

Uscii dalla stanza scontrandomi con Spencer, il mio testimone, che mi guardava radioso.

“Ecco lo sposo!” urlò, facendo voltare verso di noi gli invitati al rinfresco che già si stavano ingozzando come dei maiali.

La maggior parte erano parenti che non avevo mai visto.

Pete mi venne incontro, trascinandosi dietro Pat e la sua bella moglie Ashlee.

Sorrideva.

Sadicamente.

“Pronto per sposare Ryan? Ops, volevo dire Sarah!” disse schiaffandosi una mano in fronte.

L’avrei ucciso in quel momento.

“Pete, mi stupisce che tu abbia sbagliato, infondo i nomi, come le loro personalità non si assomigliano molto.” Pat, rincarò la dose, posandomi un braccio sulla spalla.

“Che vuoi che sia, sarà la forza dell’abitudine o il fatto che ieri stavi sbaciucchiando un lampione chiamandolo Ryan e dicendogli di sposarlo!”

Spencer al mio fiancò oramai si rotolava sul pavimento dal ridere.

“Avete finito di prendermi per il culo?” ringhiai, mentre Pete mi scompigliava i capelli.

“Susu ragazzo mio, forza e coraggio!”

E ce ne voleva, perché mia madre stava trotterellando nella nostra direzione, con un sorriso che ritenevo la cosa più irritante del mondo.

Al suo fianco, mio padre salutava e stringeva mani che gli facevano le congratulazioni.

“Tesoro! Sei bellissimo!” urlò, stampandomi un bacio in fronte.

Mi rimase il segno del suo rossetto rosso, finchè non decisi di andare in bagno e togliermelo.

In realtà era una scusa bella e buona.

In bagno c’era una finestra che dava direttamente sul giardino.

Certo era un po’ alto, ma rischiare era la mia parola d’ordine.

Mi tolsi in fretta il rossetto dalla fronte e mi affrettai a spalancare la finestra.

Fuori l’aria di metà mattina era fresca e limpida, ne respirai per qualche secondo il profumo, poi misi un piede sul davanzale.

La signora Watson, la mia vicina, mi guardava con gli occhi spalancati dalla finestra di fronte alla mia, così le feci l’occhiolino e le mandai un bacio, prima di vederla sparire dietro le cortine verde acido.

Contai fino a tre, prima di posare anche l’altro piede sul davanzale.

Era una fuga perfetta.

Non avrei saputo organizzare meglio qualcosa.

“Brendon? Che stai facendo?!

Mio padre mi guardava con gli occhi spalancati dallo stupore.

“Papà! Ehm, nulla. Stavo controllando il nido di api sopra la grondaia e…

Non era una bugia, c’era davvero un nido di api sopra la mia testa.

“Stai per caso scappando?” chiese, chiedendo la porta alle sue spalle.

“Chi? Io? Figuriamoci! Brendon Urie non fugge mai!” risposi attaccando a ridere istericamente. “sì, stavo scappando.” Aggiunsi, ritornando composto.

“Figliolo, è naturale voler fuggire.” Iniziò, posandomi le mani sulle spalle. “quando sposai tua madre tentai anche io la fuga, ma come vedi ora sono qui.”

Certo, ma lui non stava fuggendo per andare a rifugiarsi tra le braccia della persona che aveva sempre amato. Che non era la sua futura moglie, ma addirittura un uomo.

Mio padre non poteva capirmi.

Nessuno della mia famiglia poteva.

Erano tutti così assurdamente convinti che mi ero dimenticato così facilmente del mio amore per Ryro.

“Vieni, torniamo di là. Tra poco dobbiamo essere in chiesa.” Mi feci trasportare in salotto, dove nascosi la mia aria afflitta con un sorriso.

Mi avvicinai a Spence e mi appoggiai alla sua spalla come un appiglio. “Voglio morire…” mormorai, tragico.

“Dopo quello che ti sto per dire morirai sul serio.”  Disse, addentando un pasticcino alla crema.

“Sono pronto, uccidimi!” esclamai.

“Ross vuole vendere l’appartamento.”

Fu un colpo.

Micidiale in mezzo agli occhi.

“COSA?!

“Abbassa la voce!” mormorò, mangiucchiando l’ennesimo dolce. “me l’ha detto un uccellino.”

“Ti senti ancora con Jon?”

“Chi lo sa…” disse, alzando la mano in modo vago. “comunque, mi ha dato il numero della sua agente immobiliare, nel caso tu voglia impedire questa cosa.”

Non gli risposi, ma afferrai il pezzetto di carta e me lo infilai in tasca.

“Ci penserò.” Dissi poi, cercando di mostrarmi non interessato alla cosa.

“Certo, come se non ti conoscessi, probabilmente fingerai di andare in camera per chissà quale cazzata e una volta dentro telefonerai per un appuntamento.”

“Non sono così prevedibile!” Spence alzò un sopracciglio nella mia direzione, facendomi sbuffare.

Poi fui rapito da mia madre per fare il giro dei parenti e scattare foto su foto, dove io sorridevo a malapena.

 Quando arrivò l’ora di partire, l’ansia cominciò a impadronirsi di me.

Volevo legarmi al letto e non muovermi più.

Fortunatamente quel genio di Pete aveva convito mia madre perché fosse lui a portarmi in chiesa.

“Okay, ma non fate tardi. Io ti aspetto all’entrata tesoro.” Mi lanciò un bacio prima di salire nell’auto insieme a papà.

“Peter Wentz, io ti amo!” urlai saltandogli al collo. “grazie a te ho evitato un lungo e doloroso viaggio con quella donna!”

 Pete ghignò soddisfatto, poi con un gesto cavalleresco aprì la portiera ad Ashlee che con un sorrisetto entrò, seguita dal marito, Patrick, Spencer e me.

“Credo che Gabe e gli altri siano già in chiesa.” Lo sentii borbottare, mentre la strada verso la chiesa si accorciava sempre di più.

Non volevo farlo.

Volevo stare con Ryro, su nostro divano a coccolarci o sul letto a fare l’amore.

“Pete? Potresti prendere la strada più lunga per favore?” dissi, incrociando il suo sguardo attraverso lo specchietto.

“Certo.”

Il risultato fu prendere una strada assurdamente trafficata.

Avevo spento il cellulare per non continuare a sentire le ripetitive chiamate di mia madre, che mi facevano salire il nervoso alle stelle.

“Brennybear, siamo arrivati.” Annunciò Pete.

Non mi ero accorto che la macchina si era fermata davanti alla bella chiesa che mamma e Sarah avevano scelto.

Patrick e Spence iniziarono a intonare la marcia funebre, mentre controvoglia scendevo dall’auto.

Scoprii che Sarah era arrivata e mi aspettava già all’altare. Mentre raggiunsi mia madre davanti al portone centrale, che aveva un sorriso sollevato, sulla faccia da prima preoccupata.

“Fatti sistemare la cravatta…” mormorò, mentre le sue dita laccate di rosso, sistemarono la cravatta nera lievemente stropicciata, poi afferrò il mio braccio, compiendo i primi passi verso la navata.

Sarah era meravigliosa, davvero.

Aveva un bel vestito di seta bianco che le fasciava il corpo e le lasciava le spalle scoperte accarezzate leggermente dal velo appuntato sotto una coroncina di diamanti.

Mi sorrise, felice.

E mi sentii una merda.

Le mani mi tremavano mentre quei suoi occhi chiari cerchiati di eye-liner non facevano che mutare per diventare quelli caldi e sinceri di Ryro.

Fu forse quello che mi spinse ad attraversare metà navata, sotto un silenzio religioso.

Poi qualcuno tossì e la rosa appuntata alla mia giacca cadde hai miei piedi.

La fissai perdere diversi petali nella caduta e rovinarsi leggermente, non mi accorsi di essermi fermato e nemmeno di mia madre che mi chiedeva a bassa voce cosa c’era che non andava.

Ritornai a guardare Sarah, che ricambiava il mio sguardo con apprensione.

Poi ritornai a guardare la rosa, sotto il borbottio agitato degli invitati.

Quella rosa mi ricordava così tanto Ryro, mi ricordava quanto ancora ero follemente innamorato di lui e quanto mi mancava.

Riposai il mio sguardo sulla mia futura moglie, che aveva fatto cadere il bouquet di fiori a terra.

“Io…”

Quella singola parola rimbombò come un terribile eco tra le pareti della chiesa e mi investirono.

Lasciai di scatto il braccio di mia madre e cominciai ad arretrare lentamente.

Cosa ci facevo lì?

Perché non ero con Ryan? Perché non ero al mio posto, insieme a lui?

“Io… mi dispiace…” poi scappai.

Venni bloccato da Pete davanti all’entrata che mi porgeva le chiavi della sua auto. “Vai dal tuo Ryro.” Esclamò, scatenando il putiferio.

A me non importava di cosa pensava ora quella gentaglia che nemmeno conoscevo. Non mi interessavano più le imprecazioni di mio padre o i pianti di mamma.

Me ne andai solo con il rimorso di non aver detto prima a Sarah come stavano veramente le cose.

Salii in auto velocemente, e percorsi diversi kilometri fino a trovarmi davanti a quella casa.

Le serrande erano chiuse, e in una di esse stava ancora attaccato il cartello “vendisi”. Sospirai, felice di essere arrivato in tempo.

Rivolevo la mia vita.

La mia vita insieme a Ryan.

 

 

C’è stato un periodo della mia vita, dove nulla per me era certo.

Mi sentivo un po’ come la pallina di metallo del flipper che veniva sballottata da una parte all’altra senza la ben che minima cura.

Dovevo prendere una decisione, certo.

E non potevo continuare a vivere in quella situazione assolutamente ingestibile.

Mia sorella maggiore si era sposata il giorno prima e ne era venuto a conoscenza solo dopo una chiamata di un lontano parente, che a mala pena poteva considerarsi cugino, preoccupato per la mia assenza alla cerimonia.

Era stata forse la goccia che aveva fatto crollare ogni cosa.

Anche il mio rapporto con Ryan.

Non sapevo più come comportarmi, come reagire a quella indifferenza.

Dalla mia famiglia non era nemmeno considerato come membro. Ma io amavo la mia famiglia, l’amavo follemente, ma mai come Ryro.

Era arrivato alla consapevolezza che se i miei genitori non accettavano il mio chitarrista, era come se non volessero accettare nemmeno me.

Mi ero detto: okay vedrai che con il tempo andrà meglio.

Ma non fu così.

Chiamate senza risposta, porte sbattute, sguardi carichi di un sentimento che faceva quasi paura pronunciare.

Odio.

Poteva essere esagerato, ma lo sentivo così.

Non sapevo cosa era giusto fare e cosa non lo era. Mi sentivo diviso in due.

Ryro dal canto suo non si pronunciava più di tanto e questo mi avviliva. Speravo che desse più forza al nostro amore.

Presi una decisione mentre tornavo a casa dopo un’intensa giornata a girovagare con Pete.

Mi aveva praticamente costretto a uscire di casa alle sette del mattino, con Ryro che ronfava dolcemente al mio fianco e la sua voglia improvvisa di fare jogging.

“Sono a casa!” borbottai, togliendomi di dosso il cappotto per appenderlo nell’ingresso, scuotendo le spalle per un lungo brivido di freddo.

La casa era calda e nell’aria si aggirava un odorino niente male.

Ryro mi accolse correndo dalla cucina, con un sorrisone stampato sul viso e le guancie rosse.

“Bentornato!” strillò.

Mi venne da ridere.

Sembravamo una brutta versione di un telefilm anni settanta con la mogliettina che accoglie il marito dopo una lunga giornata di lavoro.

“Niente grembiulino rosa, Ryan?” scherzai, accogliendolo fra le mie braccia, mentre mi pizzicava un fianco.

“Simpatico!” scimmiottò, prima di staccarsi e indicare il salotto agghindato di candele profumate e una, da quello che sembrava, squisita cena. “ ho una sorpresa per te.”

Gli sorrisi, grato della sorpresa, baciandolo su una tempia. “Ho ordinato tutto in rosticceria, puoi stare tranquillo.” Disse, prima che potessi far qualsiasi domanda sul cibo.

“Devo parlarti.” Dissi all’improvviso, quasi senza accorgermene.

Lui sorrideva ancora, dolce, con gli occhi nocciola che brillavano.

“Dimmi.”

“Ho paura che questo sia il capolinea, Ryro.” Iniziai, sedendomi sul divano evitando accuratamente il suo sguardo.

Non disse nulla, vidi solo le sue braccia penzolare sui fianchi e le mani che tremavano, strette in una morsa.

Io congiunsi le mie, sospirando.

“Cosa vorresti dire?” mormorò, mentre la voce già aveva assunto toni più acuti.

“Ci ho pensato, davvero, e non credo sia giusto continuare così.” Rimasi con lo sguardo basso, senza avere la forza di alzarlo.

Sarebbe svanita anche la mia ultima briciola di controllo.

Ero convito, stupidamente, che abbandonare i migliori anni che la vita mi avesse mai offerto avrebbe fatto tornare quella normalità famigliare che credevo di averne bisogno come l’aria.

“Si tratta della tua famiglia, vero?” chiese, sospirandosi e sedendosi al mio fianco.

Io annuii, prendendomi un attimo di silenzio per formare un discorso di senso compiuto che non mi facesse sembrare così maledettamente indeciso.

Vedi, io non sopporto il loro rancore nei miei confronti. Non riesco ad accettarlo.” Cominciai. “il fatto che, stare con te, mi ha allontanato da quella che è la mia famiglia.”

“Quindi è colpa mia?!” strillò Ryro, irrigidendosi come pietra.

No, amore non è colpa tua.

È tutto a casa mia, solo mia…

Ma non lo dissi e questo silenzio fece supporre a Ryro che veramente pensavo che fosse lui la causa di tutto.

“Allora perché sei qui?” chiese, facendo un gesto plateale con la mano. “perché hai permesso che costruissimo tutto questo? Solo per vederlo crollare?”

Mi portai le mani nei capelli in un gesto disperato.

Così non andava.

“Perché mi sono innamorato di te!” risposi, come se la cosa fosse ovvia.

Ma oramai sentivo che per lui anche la consapevolezza che davvero lo amavo, più di tutti, più di qualsiasi cosa, stava scivolando via con fumo fra le dita. “ Solo che ora…Non riesco a guardarti senza pensare quanto male ho fatto alla mia famiglia, amandoti.”

Non mi rispose, e rimase in silenzio per diversi minuti, nascondendo a mala pena dei singhiozzi, mentre il mio cuore andava a comprimersi in una morsa così dolorosa, che afferrai il maglione con forza, come se lo volessi strapparmi il cuore.

“Non te ne andare…” lo sentii mormorare.

Era una supplica.

Ryro non aveva mai fatto una cosa del genere, orgoglioso com’era e com’è anche oggi.

Si tratteneva alcuni ciuffi di capelli con le lunghe dita affusolate, mentre piangeva.

“No ci resisto più in questa situazione…” mormorai, finchè me lo ritrovai in ginocchio davanti a me.

Mi prese il viso fra le mani e accennò un breve sorriso, con le lacrime che bagnavano copiosamente le sue guancie.

“Possiamo farcela insieme, gli faremo capire quanto ci amiamo. E quando capiranno, ti accetteranno di nuovo.

“Non è così semplice Ryro!” esclamai, afferrandogli i polsi per stringerli forte. Volevo che si allontanasse, che andasse via, prima di farmi cambiare idea e vivere ancora un inferno.

Poi mi baciò, si sporse verso di me e appoggiò con forza le sue labbra sulla mie.

Sentivo il sapore amaro delle lacrime, mischiato al suo sapore e non resistetti. Gli circondai il viso con una mano per approfondire quello che avrei giurato essere l’ultimo bacio.

“Resta con me…” mormorò, toccandomi le labbra con la punta delle dita.

“Forse non ti amo abbastanza per farcela…”

Abbassò il capo, scostando le sue mani da me come se si fosse scottato.

E senza pensarci, allungai una mano per passarla nei suoi capelli morbidi, volevo cercare di alleviargli un po’ il dolore, ma fu una cosa stupida perché lui si scostò così in fretta che rimasi un attimo senza parole.

Ma cosa speravo ancora? Che si facesse toccare?

Addirittura consolare?

“Vattene allora.” sibilò. “prendi le tue fottute cose ed esci da quella fottuta porta.” Concluse mentre il tono della voce si alzava, lievemente arrochito.

Non dissi più nulla, e mi alzai da quel divano per marciare lentamente verso la porta.

“Non pensare di tornare Urie, perché se solo ci provi non troverai più il tuo Ryro, pronto ad accoglierti e ad amarti come se nulla fosse.” Lo guardai per l’ultima volta in volto, in quel volto che sentivo ancora di amare alla follia.

“Non tornerò indietro.”

Non ne ero affatto sicuro.

Mi richiusi la porta alle spalle, appoggiandomi ad essa per poter riordinare le idee.

Avevo appena lasciato Ryan.

La consapevolezza di averlo veramente fatto mi colpì così forte da farmi crollare a terra, lasciando finalmente che le lacrime uscissero dai miei occhi, incapace di trattenermi oltre.

Poi sentii un urlo, e un rumore forte, come se qualcuno stesse buttando all’aria un intero appartamento.

Mi raggomitolai sulla porta, ascoltando i frastuoni che la rabbia e il dolore di Ryro provocavano e mi sentii una vera merda.

Però mi sentii sollevato quando capii che da quel momento, ogni cosa tornava al suo posto.

Esattamente dove credevo dovesse stare.

Fu in quel momento che mi venne in mente una cosa importante.

Era il 23 febbraio.

Il nostro quarto anniversario.

 

 

Innamorarmi di George Ryan Ross III è stata la cosa più spontanea e naturale che abbia mai fatto.

Lo conosco da molto certo, ma il sentimento che nutrivo per lui era apparso e maturato nel tempo.

Non saprei dare un momento esatto, dove mi sono detto, sì, è lui il solo e unico.

Lo amavo così tanto da essere in grado di annullare ogni cosa, perfino me stesso.

Prima metterci insieme, mi ricordo che accoglievo ogni singolo secondo passato insieme a lui come un dono da non sprecare, timoroso di poter sentirne la totale mancanza.

Era il 24 dicembre del 2008 e il Natale avevamo deciso di passarlo in famiglia.

Okay, non una famiglia normale, anche perché se un certo Pete Wentz ne era il capo famiglia tutto ciò che c’era di normale spariva, diventando improvvisamente anomalo.

Va bene, okay lo ammetto.

Non che io fossi così, come dire… comune.

Avevo i miei difetti e troppi zuccheri nel corpo per riuscire a rimanere fermo per più di un minuto.

Comunque sia, il fatto è un altro.

A quei tempi ero un ragazzo affascinante, pieno di carisma e di un umorismo strabiliante.

Tu lo sai, io lo so, Ryro lo sa (anche se non vuole mai ammetterlo) e pure il mio cane ne è a conoscenza. Inoltre ero romantico. Non un romantico qualunque sia chiaro. Un romantico vero.

Come quelli che scalano edere per arrivare dalla loro bella con una rosa rossa tra le labbra e le spine conficcate nella lingua.

Chiaro il concetto?

Quindi, io volevo fare qualcosa che Ryro avrebbe ricordato anche sul punto di morte.

Il punto era, cosa?

Avevo talmente tante idee in testa da non essermi accorto dell’arrivo del Natale e io ero rimasto con un solo pacchetto contenente un peluche con le sembianze di un koala.

Ero veramente deluso di me stesso.

Arrivammo nell’enorme casa di Pete, un po’ in ritardo e il mio morale sotto le scarpe.

Ryan fischiettava allegro una canzoncina di Natale, mentre scendeva dall’auto saltellante.

“Si può sapere che c’è?” mi chiese, afferrando la mia mano per intrecciare le nostre dita.

“Nulla…” borbottai, affondando il naso nella sciarpa.

“Ancora pensi al regalo?” esclamò lui, alzando gli occhi al cielo.

Sì, alla fine gli avevo detto del mio piano mal riuscito. Anzi, non iniziato.

Ero così avvilito che lui mi aveva chiesto cosa c’era che non andava e così gli ho detto tutto.

Non aveva insistito molto, perché si sa, sono uno che riesce a stare in silenzio.

“Ti ho detto che non è importante! E poi i fuochi d’artificio dell’anno scorso mi bastano ancora per una ventina d’anni.

Sospirai soddisfatto.

Quello si che era un regalo.

Raggiungemmo la grande porta di legno addobbata a festa e mi allungai per suonare il citofono.

“Oh, oh, oh, Buon Natale!”

Rimanemmo in silenzio a guardarci.

Il citofono aveva appena parlato.

Suonai ancora una volta, praticamente ipnotizzato da quell’aggeggio natalizio che quel genio di Pete aveva fatto istallare a casa sua.

“Oh, oh, oh, Buon Natale!” lanciai un grido isterico, cominciando schiacciare quel bottoncino rosso che aveva attirato la mia attenzione, invadendomi di gioia.

Almeno finchè Ryan non mi diede un calcio negli stinchi. “Ma la vuoi piantare?! Sembri un mongoloide!”

Mugugnai delle scuse, abbassando lo sguardo pentito. Anche se una piccolissima parte di me voleva suonare il campanello ancora una volta.

“A volte mi sembra di avere a che fare con un bambino dell’asilo! E poi dici di essere l’uomo in questa relazione!” stava dicendo Ryro, imbronciandosi improvvisamente.

“Non è colpa mia! È Pete che mi tenta!” provai di difendermi.

“Sì certo, certo…”

Ryro era così, si arrabbiava per le minime cose, ma poi gli tornava il sorriso e non si ricordava mai perché ce l’aveva con me l’attimo prima.

Gabe venne ad aprirci con un sorrisone enorme stampato sulla sua faccia da Gangster. “Oh eccoli i ritardatari! Stavamo aspettando solo voi!”

“Colpa della Diva Ross che era in piena crisi premestruale.”

A quel punto un altro calcio me l’ero meritato sul serio.

Come aveva detto Gabe, la sala era già piena di gente. Tutti addobbati a festa e con i calici pieni di champagne.

Patrick ci venne incontro già barcollante e ci stampò un bacio sulla bocca prima di andarsene a parlottare con una sedia che aveva per caso urtato.

Insomma, normale amministrazione.

Ryro mi si strinse addosso, allargando le labbra in un sorriso. “Pete ha fatto le cose in grande!” mi sussurrò, mentre Gabe si era allontanato per rincorrere William Beckett.

“Non poteva essere diversamente!” ribattei, lasciandogli un bacio sul collo scoperto.

La musica era davvero alta e più che una festa di Natale sembrava un party di Halloween.

Non eravamo riusciti a beccare il padrone di casa nemmeno per un saluto, così io e Ryro decidemmo i rintanarci in una stanza per festeggiare a modo nostro.

Ryro era davvero la sensualità fatta a persona. Ogni cosa di lui per me era meravigliosa e mi attirava come una calamita.

Mi baciò a lungo, mentre mi teneva bloccato sullo stipite della porta e quelle sue mani così perfette e lisce che mi accarezzavano il petto sopra la camicia bianca. Cercai a tentoni la maniglia della porta che si aprì con un cigolio sinistro. Eravamo troppo impegnati a consumarci le labbra per accorgerci che la stanza era illuminata e che aveva già due occupanti, che si stavo rotolando come matti nelle coperte.

Poi uno di loro urlò e ci fece staccare.

Spencer ci guardava con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli arruffati.

“Cos’hai da urlare?” borbottò una voce.

Era sotto le coperte e io avevo seriamente timore di vedere la sua faccia. Poi il viso rosso di Jon apparve dal nulla, assumendo lo stesso identico sguardo da pesce fuor d’acqua di Spence.

Calò un silenzio talmente profondo, da sembrare quasi irreale e mi girai verso Ryro che era rosso fino alle punte dei capelli.

“Scusate!” Urlò, prima di afferrarmi per la sciarpa che portavo ancora al collo e trascinarmi fuori da quella stanza.

Ci rifugiammo in un’altra stanza, fortunatamente libera. Ryan aveva il fiatone e lo sguardo sconvolto.

“Ma li hai visti?!” esclamò. “erano, erano…”

“…intenti a scopare, sì.”

“Non lo dire!!” urlò, alzando le braccia e agitandole con veemenza. “ non è normale!!!

Alzai un sopraciglio, mentre mi sedevo su una comoda poltrona posta hai piedi del letto. “ Non capisco, spiegati.”

“Sono due uomini!” strillò, guardandomi come se fossi matto. “due persone dello stesso sesso! Maschi!”

Okay, Ryro era partito per la tangente.

“Ryro, tesoro… vorrei metterti al corrente che anche noi siamo uomini e stiamo insieme.” cercai di dire con più tatto possibile. Non volevo essere sbranato da nessun Ryan Ross inferocito.

Il mio amore si blocco per un attimo, prima di balbettare qualcosa e sedersi sul letto a peso morto. Si scompigliò i capelli, sospirando.

“Ma tra noi è diverso…” provò a dire.

Lo osservai per un attimo in viso, ancora rosso di imbarazzo, e notai la sua indecisione negli occhi.

Mi piaceva il fatto che lui considerasse la nostra storia differente da qualsiasi altra. Non perché sbagliata, ma perché speciale.

Mi ripeteva sempre che noi avevamo un mondo a parte dove poter rifugiarci per vivere e ritagliarci momenti solo nostri.

Su questo non avevo mai avuto dubbi, era sempre stato diverso.

Non che avessi avuto molta esperienza prima di lui, certo. 

Rimase in silenzio per un po’, torturandosi le mani con la testa incassata nelle spalle.

“Senti, non stare a tormentare il cervello per questo. Sono fatti loro con chi vogliono fare l’amore, no?” dissi, avvicinandomi per passargli una mano nei capelli per riordinarli.

Lui annuì, poi alzo lo sguardo sul mio, sorridendo. “Cos’è questa improvvisa razionalità, Mister Urie?” mormorò.

“Non fare domande sarcastiche, per una volta che dico qualcosa di sensato…!” borbottai prima di essere baciato a lungo.

Pete venne a cercarci neanche venti minuti dopo, quando la situazione si era fatta davvero interessante e per colpa della sua insistenza avevamo interrotto.

Ryro mi diede un bacio sulla punta del naso, sorridendomi, prima di trascinarmi per le scale e raggiungere gli altri che erano pronti per il brindisi natalizio.

La festa si trascinò fino alle prime luci dell’alba e aveva reso me e Ryro piuttosto alticci.

Okay, non è certamente la più classica delle visioni natalizie ma ehi… cosa c’era di più spettacolare di avere accanto a me la persona più importante della mia vita, in uno dei giorni più belli dell’anno?

 

 

 

Era il nostro secondo concerto dopo l’uscita di Pretty Odd. Eravamo piuttosto nervosi, ancora incerti di quel cambiamento così radiale nella nostra musica.

Jon stava in silenzio, intendo a ripassare i suoi accordi, mentre Spencer saltellava qua e là per riscaldarsi.

Io invece, mi stavo letteralmente drogando di Red Bull. Quella che stava bevendo doveva essere la terza, o la quarta?

Ryan era rintanato nello spogliatoio da un’ora, intento a provarsi non so quante camice.

Lui era un maniaco delle camice, era impressionante quante ne aveva, tutte di tonalità diverse o trame differenti.

Mi ricorda Jon. Solo che lui era un maniaco delle infradito.

Mentre io, io ero un maniaco a basta.

“Okay, come sto?” mi chiese, uscendo dallo stanzino, allargando le braccia per farsi guardare meglio.

“Lo sai?” iniziai osservandolo dalla testa hai piedi e viceversa. “tutto di te, partendo dal cappello, per passare alla camicia e a quella giacca marrone coordinata con i pantaloni, grida solo una cosa.”

Lui portò le mani sui fianchi, pronto a scattare. “Cosa, sentiamo.”

“Sono Gayyyyy!” esclamai alzando le mani a mezz’aria.

Ryan si guardò con circospezione nello specchio dietro di me. “Devo cambiarmi?”

“No, così stai benissimo.” Replicai, alzandomi per posargli un bacio sulle labbra.

Era vero, anche se a volte mi mancava lo stile del vecchio Ryro. Adoravo i suoi gilet ricoperti di pizzi e volant e il suo trucco colorato. Quella era una versione spensierata e perversa che veramente amavo.

Non che la sua conversione all’hippie fosse un male, anzi.

“Ragazzi, muovete il culo il pubblico non aspetta.”  Zack entrò come una furia nel camerino, spronandoci a scattare.

Diedi un ultimo bacio a Ryro che non si lamentò almeno finchè non lo trascinai in un caschè molto artistico.

“Volevi farmi sbattere la testa sul pavimento?!” strillò, aggiustandosi la giacca, prima di uscire.

“Ma amore volevo fare una cosa romantica!” lo inseguii.

“Tentando di uccidermi?!” non potei rispondere perché il boato dei fan ci investì con la potenza di un uragano.

Spencer si accomodò dietro la sua batteria, seguito da Ryro e Jon che dopo aver afferrato gli strumenti. Io mi avvicinai a Ryro, sporgendo il labbro all’infuori cercando di attirare su di lui un po’ di compassione. Lui si limitò a spintonarmi, ma accennò un sorriso.

Trotterellai felice verso la mia chitarra, mentre Jon già incitava il pubblico a cantare.

 Suonare era sempre stata la passione più grande della mia vita, (okay, molto probabilmente dopo ogni cosa che riguardava Ryro) non molto approvata dai miei genitori, ma sempre inseguita, senza abbandonarla mai.

Avevo iniziato quel sogno proprio insieme a lui, con Spence e Brent al seguito.

Non era la mai idea quella di cantare inizialmente, io volevo solo suonare.

Poi siamo arrivati qua.

Non avevo mai scritto testi in vita mia, cioè solo parole abbozzate su pezzetti di carta e lasciate al caso.

Finchè non ho scritto la sua canzone.

Era sua in tutti i sensi. Parlava di lui, di noi.

Folkin’around. 

Non so bene come sia iniziata, ma ancora ricordo il suo viso sorpreso a ogni parola che cantavo, cercando di abbozzare una melodia con una chitarra.

Non l’avrei fatta sentire a nessuno se lui non avesse insistito così tanto per inserirla nel cd. Tutte le volte pompava il petto orgoglioso e diceva che era sua. E io ridevo, abbracciandolo.

Oltre a quella, anche se Ryro negava spesso, altre canzoni mi riportavano alla mente un sacco di momenti che nella mia mente saranno sempre presenti, che non vorrei mai scordare o lasciarli incustoditi.

Mi piaceva cantarle e guardarlo mentre lo facevo. Aveva tutt’altro significato, scorgere quei occhi scuri, un po’ imbarazzati, un po’ estasiati, con il solo suono della mia chitarra e del suo tamburello e tante promesse nascoste dietro a una melodia.

Quella sera Ryro fu più permissivo del solito, concedendomi di fargli una carezza sui capelli dopo un bacio sulla tempia. E lui addirittura baciò me, okay sulla guancia, ma quell’iniziativa mi rendeva davvero felice, tanto che presi a saltare e scuotere il capo così forte da dover scacciare, successivamente, un capogiro.

Non sapevo cosa la gente pensava di noi, non mi importava, anche se ero veramente fissato con l’esibizionismo.

Mi piaceva provocare chi ci chiedeva se tra noi c’era qualcosa. Una battuta maliziosa, un sorriso furbo…

E Ryro che stava in silenzio facendo finta di nulla, ridendo e imbarazzandosi, lanciandomi occhiate di avvertimento che non facevano altro che aumentare il mio divertimento.

Quando il concerto finì, dopo un gran fracasso, scendemmo dal palco abbracciati, sorridendo a tutti. Tornammo in camerino, stanchi e sudati, con Pete alle calcagna con un sorriso soddisfatto sulle labbra e ci abbracciò a lungo, dicendo di amare le sue “gioie”.

Lanciai la giacca su una poltrona, dirigendomi a passo spedito verso il frigo bar per attaccarmi a una lattina di Red Bull. Bevvi velocemente, per poi ricominciare a cantare una canzone inventata sul momento che professava il mio amore per gli Energy Drink.

Ryro stava già accogliendo la calca di parenti che con urla e risa faceva complimenti sulle nostre performance.

Kate abbracciò suo fratello per poi dirigersi verso di me e darmi pacche sulle spalle, prima di fregarmi la lattina dalle mani e andarsi a sedere sul divanetto insieme a Spence. Rimasi indignato per qualche secondo, finchè la risata di Ryro non mi accolse. Mi stava guardando divertito, avvicinandosi sempre di più per scompigliarmi capelli sudati e lasciarmi un bacio al lato delle labbra.

Volevo catturarle e farle mie, ma non mi sembrava il caso, nonostante quella piccola cerchia di persone sapesse di noi.

Come chiamata dal cielo mia madre spuntò al mio fianco, con un' ingiustificata espressione di rimprovero.

“Vi pare il caso?” mormorò, afferrandomi il braccio con forza. “state dando uno spettacolo non gradito.”

“Grazie mamma, sono contento che ti sia piaciuto il concerto.” Esclamai, sorridendo sarcasticamente e avvinghiando con un braccio la vita sottile di Ryro.

La stavo sfidando, volevo mettere alla prova il suo autocontrollo e non mi bastavano le proteste sussurrate del mio ragazzo per fare smettere quella battaglia che durava oramai da mesi.

La mia famiglia era l’unica che non aveva accettato la mia relazione con Ryan. Non che gli altri l’avessero accolta a braccia aperte, ma avevano compreso alla fine. 

“Lascia perdere Bden, è okay.” Disse Ryan, abbozzando un sorriso triste.

“Non è okay finchè non la smetteranno di disprezzarti!” esclamai, facendo azzittire la stanza, mentre uno dei miei fratelli abbassava il capo, seguito da mio padre.

Era diventata ingestibile quella situazione. Non c’era un momento dove non sentivo quel disprezzo così insensato verso la persona che più in assoluto amavo.

“Ehi, ehi! Non me li strapazzate troppo, questi ragazzi hanno appena fatto uno dei live più belli della loro carriera!” Pete, entrò con un’enorme bottiglia di champagne, distribuendo sorrisoni.

Pete diceva sempre così, per lui ogni live era qualcosa di meraviglioso da festeggiare.

Il suo entusiasmo fu subito seguito da Jon e da Spencer, che sogghignavano soddisfatti.

Poi partirono i festeggiamenti, spostati poi in un locale vicino all’hotel.

Per tutta la serata non vidi più i miei genitori.

La serata era stata notevolmente movimentata, e dopo una trentina di brindisi dopo, Ryro, stranamente più stabile di me, mi sorreggeva mentre a piedi ci apprestavamo a raggiungere l’hotel.

Ci beccammo diversi sguardi contrariati dal portiere che dopo diversi tentativi di non ridergli in faccia capì che la nostra stanza era la 309.

“Quando siamo a letto, voglio fare l’amore tuuuuutta la notte!” urlai, arrancando per le scale.

“Ma se oramai è mattina!” lo sentii borbottare.

“Allora vorrà dire che lo faremo fino a domani mattina!”

Stavo dicendo, va bene... urlando frasi senza senso, ma Ryro doveva essere fuori di testa abbastanza da non accorgersi che stavo davvero alzando la voce in un hotel silenzioso alle quattro del mattino.

Appena varcammo la porta della stanza, Ryro la chiuse con un calcio, mentre io mi buttavo con assoluta sgarbatezza sul letto assaporando la freschezza delle coperte sulla pelle accaldata delle mie guancie.

Stavo per cadere in un lungo stato di dormiveglia e quasi non mi accorsi che Ryan stava gattonando sul letto, fino a raggiungere la mia schiena e sedersi a cavalcioni sul mio bacino.

Mi soffiò in un orecchio, facendomi rabbrividire di piacere.

Mi massaggiò le spalle dolenti per qualche secondo, prima di baciarmi il collo. Mugugnai rilassato, sul punto di addormentarmi.

“Se ti addormenti, te ne pentirai Urie.” Lo sentii minacciare al mio orecchio, mentre strusciava il bacino verso le mie natiche.

“Dormire? Sono sveglissimo!”  risposi, agitandomi tutto, prima di arrossire delle movenze di Ryro su di me.    

Gemette lascivo al mio orecchio, facendo salire l’adrenalina che prima si stava tramutando in sonnolenza.

Volevo voltarmi per baciarlo e togliermi quei vestiti che stavano fastidiosamente diminuendo le scariche di piacere che mi facevano formicolare le mani, ma solo un pazzo sarebbe stato in grado di fermare quei movimenti.

Fu lui a girarmi bruscamente, giusto per guardarmi negli occhi e riprendere a muoversi, mentre io cercavo di sfilargli la camicia già aperta.

Lo sfiorai come se non lo facessi ad anni.

Le braccia, le spalle, il petto, lo stomaco, ogni cosa di lui mi chiedeva, mi supplicava di essere sfiorata, baciata, leccata.

Mi sollevai a sedere giusto per attirarlo più vicino e mi dedicai a mordicchiare dolcemente quel collo, per farne una mia proprietà.

Ryro era bello.

Coglieva gli sguardi di tutti e io ne ero fottutamente geloso, perché lui era mio. Solo io volevo avere la possibilità di vederlo così arrendevole, appassionato, intraprendente.

“Comando io questa volta.” Sussurrò, afferrando i lembi della camicia e togliendomela bruscamente di dosso.

Lo lasciai fare e mi stesi nuovamente sulle coperte, diventate troppo calde per dare sollievo a quelle improvvise vampate di calore.

Mi lasciai spogliare, senza smettere di guardare i suoi occhi e le sue labbra continuamente mangiucchiate per il desiderio represso.

Non l’aveva mai fatto in quel senso.

Di solito i ruoli era invertiti, ma non mi dispiaceva essere sotto le sue possessive cure.

Il sesso l’avevo scoperto con Ryro, anche se a detta personale ( e non solo) ero davvero un talento naturale.

Fin da piccolo mi era stata data una strana importanza al sesso.

Ne ero quasi impaurito per i divieti imposti.

“Quanto ti sposerai, Brendon, avrai una donna che per te sarà tutto. Anche la tua compagna di letto.”

Credevo fosse realmente così, aspettare di sposarsi per mettere in atto tutti i doveri matrimoniali.

Ma fare l’amore non doveva essere un dovere, né qualcosa imposto da un pezzo di carta o da un prete.

Sentivo il desiderio, l’amore per Ryan montare ogni giorno di più, fino a desiderare di fare l’amore. E così è stato.

L’avrei addirittura sposato. E non era solo questione di sesso, ovviamente.

Anche perché sarei sembrato solo un maniaco sessuale.

Era diventata necessità il nostro contatto, necessitava come l’aria.

Quando sentii il suo corpo aderire al mio fu come essere catapultati in un altro mondo, in un’isola dove l’unica cosa che era necessaria era la nostra vicinanza, la nostra unione.

Era meglio di qualsiasi suono di chitarra o di un qualsiasi pianoforte.

Era come stare sospesi nel vuoto e ricadere all’improvviso su morbidi cuscini di seta.

Il mio essere totalmente dipendente da lui talvolta mi spaventava.

Mi faceva sentire matto, o forse solo più del solito.

Così accolsi le sue spinte, le sue braccia con devozione, mentre mi ansimava all’orecchio parole sconnesse, che a volte non avevano nemmeno un significato.

Ci buttammo nel piacere con forza, mentre tremavo, stringendo la sua vita con le gambe.

Ryro mi accarezzò i capelli umidi di sudore con dolcezza, districandoli con quelle sue lunghe dita morbide e meravigliose.

Gli baciai la spalla umida, confessandogli ancora una volta il mio amore per lui.

E mi baciò.

Baciarci dopo aver fatto l’amore era diventato qualcosa di meravigliosamente simbolico che ci ricordava quanto profondamente appartenessimo l’uno all’altro. Ripeto, non era solo un’unione di corpi, una soddisfazione personale.

Era molto di più.

Ci addormentammo quasi subito, Ryro ancora sopra di me, che non era affatto un peso, ma una soffice coperta.

Il mattino ci accolse impreparati e le tende lasciate aperte fecero bruscamente entrare il sole nella stanza. Ryro nella notte si era spostato nella sua parte, fregandomi tutte le coperte, così mi alzai scacciando un capogiro e un fastidioso dolore al sedere.

Mi bloccai sulla porta del bagno, arrossendo.

Avevo permesso a Ryro che mi facesse… quello.

E io mi ricordavo solo di quel dolore? Nient’altro?

Mi ripromisi di diventare astemio.

Promessa mai mantenuta.

 

 

 

 

A scuola tenevano diversi corsi pomeridiani di musica.

C’era chi si esercitava con il pianoforte, chi provava con la banda scolastica e chi come me voleva imparare a suonare un nuovo strumento. Chitarra mi piaceva e quando ero più piccolo avevo imparato a strimpellarla solo un poco, anche perché la mia priorità era il piano.

In quel corso non c’era tanta gente, eravamo sì e no una decina e la metà se ne andò dopo la prima lezione, stanca di imparare oltre.

Il ragazzo che sedeva accanto a me si chiamava Brent, e oltre a essere un tipo piuttosto taciturno era anche uno che non rideva mai.

Mi ero ripromesso di parlarci e provare a stabilire un rapporto di amicizia. Provai a comunicare con lui durante tutte le lezioni di chitarra, sedendomi vicino a lui e sorridendogli sempre allegro.

Era una vetta ardua da raggiungere, anche perché sembrava che lui avesse paura di me. 

Non demorsi e quando, finalmente mi parlò, mi prese in disparte, spostandosi il pesante ciuffo castano dagli occhi e abbozzando quasi, dico quasi un sorriso.

Feci quasi i salti di gioia, abbracciandolo urlando come un matto.

“Urie!” sbraitò Brent, diventando rosso dalla vergogna.

“Sì, Brent?” gli sfarfallai le ciglia davanti al naso, mentre gli strappavo un vero sorriso.

Ascolta, io e un amico abbiamo messo su una band.” Iniziò, aggiustandosi con maniacale cura il giubbotto di pelle. “ma ci manca la seconda chitarra.”

“Mi dispiace, non conosco chitarristi così bravi che hanno voglia di entrare in una band.” Dissi, rattristandomi per non essere stato di nessun aiuto a quello che consideravo già un amico.

“Ma sei stupido o cosa?” disse, alzando gli occhi al soffitto. Brontolò da solo per qualche secondo poi, tornò a guardarmi negli occhi. “a te andrebbe di provarci?”

Sgranai gli occhi, portando il palmo aperto della mano sul petto. “Io?”

“Vedi altri in questa stanza?” era sarcastico e sapevo che si stava infastidendo e forse pentendosi di avermi chiesto di entrare nella sua band.

“Beh, non so cosa dire…” borbottai, grattandomi la testa.

“Un: sì accetto, sarebbe gradito.” Rispose, Brent. “si tratta solo di una prova, una specie di audizione, facciamo qualche cover e poi decidiamo.” Specificò.

Mi portai un dito alle labbra, picchiettando con insistenza.

Una band voleva dire coronare un sogno, fare musica, avere amici e sogni in comune.

Gli sorrisi.

“Ci sto!”

 

Quello stesso pomeriggio, dopo essermi perso almeno una ventina di volte trovai l’indirizzo che Brent mi aveva scritto sulla mano prima di sparire di gran carriera.

Aveva detto che provano nel garage a casa sua e io avevo l’ansia mischiata alla gioia che mi attanagliava le viscere.

Ero abbastanza in anticipo e decisi di aspettare fuori, anche se il garage era aperto e gli strumenti facevano la loro bella figura.

Mi abbracciai alla chitarra acustica che mi ero portato dietro, cercando di diffondermi un po’ di coraggio, mentre dal silenzio assoluto nasceva una melodia. Un suono dolce di chitarra, che si prolungava nel tempo mentre io rimanevo lì, in silenzio, ad ascoltare ad occhi chiusi, cercando di imprimere dentro di me ogni nota.

E in qualche modo mi entrarono dritte nell’anima.

Quando la musica finì, mi riscossi da quella specie di dormiveglia, scuotendo il capo.

“Cazzo!” borbottò una voce.

Non era quella di Brent, aveva un tono più caldo, molto British. Parolaccia a parte.

Presi un po’ di coraggio e mi feci avanti, entrando nel garage con passo lento, quasi avessi paura.

Seduto a terra, stava un ragazzo magro, magrissimo, con i capelli che gli coprivano gli occhi scuri e il viso concentrato ad accordare al meglio la chitarra. Aveva dita lunghe e perfette, che si muovevano con sicurezza e armonia, mentre solleticavano le corde con dolcezza.

“Ehm… ciao!” esclamai, alzando una mano per mimare un saluto.

“Tu chi saresti?” chiese, scostandosi un ciuffo ribelle dalla fronte, guardandomi torvo.

“Sono Brendon, sono venuto per le prove.” Spiegai, indicando gli strumenti.

“Ah, l’amico di Brent.” Disse, prima di tornare a riservare tutta la sua attenzione alla chitarra.

“Già…” risposi, facendo dondolare le braccia in serio imbarazzo.

“Cosa fai lì impalato? Prendi la chitarra e inizia a suonare!” esclamò il ragazzo, che ancora non mi aveva detto il suo nome.

“Oh! Certo, certo!”  presi a togliere la custodia rigida frettolosamente, riuscendo a farla cadere ben tre volte prima di appoggiarla in un angolo.

Sentii il ragazzo che dietro di me aveva smesso di suonare e stava ridacchiando.

Una risatina piuttosto maligna in effetti.

“Quando avrei finito di distruggere tutto, siediti e cerca di venirmi dietro.” Disse, mentre io raccoglievo l’asta del microfono che avevo fatto accidentalmente cadere.

“Non aspettiamo gli altri?” chiesi, guardando con apprensione il vialetto deserto.

“Non credo verranno. Brent ha una nuova tipa e Spencer è in punizione per aver marinato la scuola già sei volte dall’inizio dell’anno. Mi spiegò, scrollando le spalle. “però sua madre ci ha permesso di utilizzare lo stesso il garage.”

Annuii, serrando le dita sul legno liscio della mia chitarra.

Quel tipo mi metteva timore.

Avevo le dita che tremavano e non riuscivo più a ricordarmi come si usava lo strumento e quando lui cominciò a far vibrare le prime note, io rimasi immobile a fissarlo, mentre si mordeva lievemente il labbro inferiore per la concentrazione.

Riconobbi la canzone, una vecchia dei Blink, e seppur con eccessivo timore, cercai di stargli dietro.

Quando iniziò a cantare mi venne da sorridere.

Aveva una voce incerta, bassa, con una dolce cadenza inglese.

Era la cosa più bella che avessi mai ascoltato.

Quando compresi la realtà di quel pensiero, arrossii sbagliando un paio di accordi e guadagnandomi l’ennesima occhiataccia storta.

Sorrisi a mo di scusa e lui distolse lo sguardo dal mio.

Scrollai le spalle, con lui pareva una partita persa già dall’inizio e ancora non lo conoscevo.

Cercai di distrarmi, iniziando a cantare l’unico pezzo della canzone che conoscevo a memoria. Chiusi gli occhi e dopo aver aumentato il ritmo, anceh il tono della mia voce diventò spaventosamente alto.

Era una cosa che succedeva spesso a quei tempi, se volevo cantare non mi importava dove mi trovavo o cosa facevo.

L’importante era farlo.

Non ero certo di avere tutte queste doti canore, ma a me piaceva.

Cantai il ritornello per ben due volte, senza accorgermi di aver sovrastato la voce del ragazzo.

Quando la canzone finì, assieme alla musica, mi ritrovai con il fiatone e un gran sorriso stampato sulle labbra.

“Tu…” lo sentii sussurrare con un’espressione sconvolta sul viso.  “tu sei…wow!”

Per la prima volta lo vidi sorridere, sorridere davvero. Rimasi un attimo spiazzato mentre mi buttava le braccia al collo urlando.

“Ryan! Porco cazzo ma chi era?!” un ragazzo in pigiama e pantofole stava davanti al garage con il fiatone, due occhi grandi come monetine e i capelli scompigliati tirati indietro da un  cerchietto rosa.

“Spence, ti presento il nuovo cantante dei Panic at the disco!” disse Ryan, questo pareva essere il suo nome, mentre si staccava da me per sorridere all’amico.

“Cosa?! Un attimo, non era un provino per la seconda chitarra?!” dissi, mettendo le mani avanti e guardando Spencer che aveva gli occhi che brillavano di gioia.

Poi un urlo infernale lo fece scattare sull’attenti “Cazzo è quella sclerotica di mia madre!” borbottò prima di sparire.

“Non pensavo che Brent avesse avuto così occhio!” continuò Ryan, lodandomi. Aveva le guancie rosse e il sorriso scintillante.

“Io non so se so cavarmela…” borbottai in risposta, ricevendo uno scappellotto dietro la testa.

“Cavartela? Vuoi forse prendermi in giro o stati giocando la carta del finto modesto?!” 

“No, davvero!” esclamai, portandomi una mano al petto.

Lui sembrò pensarci un attimo, poi torno a sorridere. “ In teoria sono io il cantante, ma se accetti di entrare ti cedo il posto. Non conosco voce più bella della tua!” urlò, arrossendo per il complimento appena fatto.

Io ridacchiai, mentre sentivo al cuore una strana fitta.

Non faceva male, era qualcosa di intensamente piacevole.

“Se le cose stanno così, potrei anche accettare…” mormorai vago, cercando di contenere la felicità.

Cosa che non avvenne, visto che poco dopo stavo correndo per il vialetto caricandomi un Ryan urlante sulle spalle.

Stava per iniziare l’avventura più stupefacente della mia vita.

Un’avventura che sarebbe diventata sogno e poi una splendida realtà.

 

 

****

 

 

Mi sveglio di soprassalto, gli occhi spalancati e la mente svuotata.

 Non è la prima volta che mi capita di sognare la mia vita, quella passata con o senza Ryro.

Ryro.

Mi volto per scoprirlo ancora vicino a me, i capelli castani che mi solleticano il collo e il suo viso immerso nel sonno.

È così bello riaverlo al mio fianco, sapere che c’è che esiste e che non è una futile immaginazione di occhi troppo stanchi per guardare ancora una volta la realtà.

Sono felice che mi abbia perdonato, che abbia voluto ancora una volta provarci, lasciando da parte paure e sospetti.

Sono un cretino, un deficiente, un idiota, un pazzo, chiamatemi come volete.

Non riesco ancora a pensare come, in tutto questo tempo io sia riuscito a sopravvivere sotto le cure di un altro amore.

Un amore non ricambiato, ma altrettanto dolce.

Per Sarah nutro davvero un profondo sentimento d’affetto, che sono sicuro al momento è ricambiato con odio profondo.

Non la biasimo. Mi merito questo e anche di più.

Per ora voglio guardare al mio futuro. E solo Ryro ha la chiave per aprire tutte le porte.

Ripensandoci la mia vita è stato un disastro continuo, ma arrivato a questo punto non riesco a pentirmi di nulla.

Okay, forse di un paio di cose.

Sorrido tra me, accarezzando la spalla nuda di Ryro con la punta delle dita, mentre le pareti della nostra camera sono abbagliate dai primi raggi del mattino.

È questo il mio posto.

Finalmente so dove stare.

 

 

 Grazie a chi è arrivato fino a qui.. me lo lasciate un commento? ^^

 

 

  
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