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Autore: controcorrente    17/10/2010    3 recensioni
"Le sue figlie nubili potevano dire ciò che volevano, ma non era certo colpa sua se il padre preferiva trascorrere il tempo con lei piuttosto che con loro. In fondo lei era stata scelta, mentre quelle vecchie zitelle acide erano il frutto dell’espressione dei doveri coniugali dell’uomo. Dalle confessioni del ricco amante, Jeanne aveva compreso infatti un aspetto del suo carattere che molti, compresi i familiari, non avevano notato o non volevano ammettere. Luigi XV era un uomo che tendeva ad annoiarsi molto facilmente." Un momento qualsiasi della contessa Du Barry
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Salve a tutti, sono cicina. Questa è la seconda storia originale che pubblico su questo sito e non so davvero se vi piacerà. Ho apprezzato davvero molto le recensioni che sono state scritte per la mia precedente storia su Agrippina minore. Amo molto la storia e tutto ciò che presenta un’ambientazione del genere, sia che faccia parte di una vicenda vera, sia che provenga da un fatto verosimilie. E’qualcosa che mi ha da sempre suscitato un grande fascino.  Per questo motivo ho iniziato quasi subito a scrivere fanfic su Lady Oscar un po’perché mi piaceva la vicenda, un po’ perché ero attratta dal luogo in cui era ambientata la storia. Se qualcuno segue le mie long-fic su Lady Oscar credo che apprezzerà la mia one-shot.

Per questo motivo ho iniziato a scrivere questa storia autoconclusiva su un personaggio che mi ha incuriosito non poco: Madame du Barry.

Vi auguro quindi buona lettura!

 

IL RISVEGLIO DELL’ANGELO

 

La porticina nascosta nella parete della lussuosa camera si richiuse piano piano, senza fare rumore. La stanza ritornò nuovamente ad essere avvolta nel silenzio e nella lieve penombra offerta dalle tende della finestra e dal baldacchino.

Passarono alcuni minuti, poi dalle coperte del letto, fece capolino una testa bionda e leggermente spettinata. Si stropicciò gli occhi azzurri, ancora impastati dal sonno, e nuovamente volse lo sguardo nella stanza in cui si trovava. A giudicare dalla luce proveniente dalle finestre, doveva essere mattino inoltrato.

Con uno sbuffo si mise a sedere, lasciando che il lenzuolo, le cadesse intorno alla vita, scoprendo così il petto generoso.  La dama si massaggiò la testa, nel tentativo di scacciare dalla sua mente la stanchezza della notte passata. Mentre era immersa in questa operazione,  lo sguardo le cadde su uno specchio, posizionato di fronte al letto.

Scrutò con attenzione i particolari del suo corpo: i biondi capelli spettinati, che le cadevano in morbide onde sulle spalle, gli occhi azzurri e magnetici leggermente distanziati tra loro, che le conferivano un’aria languida e fintamente ingenua, e i tratti dolci ed accattivanti del viso.

La sua osservazione poi scese lentamente sui seni floridi e la vita sottile, lasciati in bella mostra dalla caduta del lenzuolo, e non poté fare a meno di sogghignare. Qua e là facevano la loro comparsa sulla pelle candida dei segni rossi che testimoniavano la passione esplosa la notte precedente.

Quel pensiero fece nascere sul volto della donna un sorriso di pura soddisfazione ed appagamento. Essere la favorita del re di Francia, rappresentava per lei un motivo di assoluto orgoglio e non le interessavano molto le occhiate sprezzanti che le erano lanciate di nascosto dal resto della corte. Ciò che davvero contava era avere le attenzioni del sovrano ed il suo appoggio per difenderla dai nemici che le erano intorno.

A differenza delle dame che avevano occupato in passato il ruolo di “Puttana reale” o,  più eufemisticamente, “Amante Ufficiale”, non poteva contare sull’appoggio del ceto da cui proveniva. Jeanne era una donna di umilissime origini che grazie alla fortuna e all’intraprendenza di cui era naturalmente dotata, aveva raggiunto una posizione di un certo livello. Era quindi logico che avesse suscitato l’invidia di molte dame, desiderose di accrescere il proprio status, concedendo le proprie grazie all’annoiato Luigi XV e diventando quindi sue favorite. Anche se nessuno osava dirglielo apertamente, era chiaro che la sua presenza non era ben vista a corte. Le giustificazioni di questa ostilità erano legate formalmente alla sua dubbia moralità, ma la donna, malgrado il suo aspetto apparentemente frivolo, non era così sciocca da non vedere le occhiate di desiderio di quelle donne che bramavano ricoprire la sua posizione.

A quel pensiero, Jeanne scoppiò in una sonora risata: potevano pure avere nobili natali, ma nessuno meglio di una puttana professionista, sapeva come dare piacere ad un uomo.

Forse era questa capacità l’aspetto più evidente della sua vita passata che, unito ai suoi modi, spigliati e diretti, evidenziavano la sua origine popolana. Ovviamente il suo essere una plebea era considerato dai cortigiani un motivo di infamia, più della sua stessa occupazione. Eppure, malgrado la loro pretesa di moralità, nessuno dei nobili che vedeva era digiuno dalla frequentazione di bordelli, anche se, qualora fosse stata notata loro la cosa, avrebbero detto il contrario.

A quel pensiero scosse la testa, come se volesse allontanare quei pensieri fastidiosi e fuori luogo.

Fin da quando era nata, aveva capito che ogni cosa esistente nel mondo aveva sempre una doppia faccia.

Un esempio lampante erano sicuramente i suoi genitori.

Suo padre era agli occhi della società un monaco intransigente mentre nel privato amava intrattenersi con le donne ed i banchetti.

Sua madre invece era un’umile sarta che arrotondava i magri guadagni, dandosi a pagamento ad amanti occasionali. Quando scoprì di essere rimasta incinta si recò dall’ultimo amante, chiedendogli di soccorrerla in quella situazione. Naturalmente il religioso non poteva legittimare ciò che si celava nel ventre della compagna, ma era comunque innegabile il fatto che non fosse venuto meno alle sue responsabilità, assicurando alla donna che avrebbe fatto tutto il possibile per non lasciare la creatura che sarebbe nata, nella miseria.

Jeanne non lo vide mai per tutta la sua infanzia ed era già qualcosa per lei sapere l’identità del genitore.

Anne Bécu, tuttavia, non era un’illusa e non si fidava molto delle promesse dell’uomo, soprattutto perché non erano parole sostenute da alcuna garanzia. Per questo motivo, aveva deciso quasi subito di chiedere aiuto all’amante del funzionario presso cui lavorava, prima che la gravidanza giungesse a termine.

Pensando alla madre, Jeanne provò una piacevole sensazione di malinconia: le doveva indubbiamente molto.

Pur non essendo una donna esemplare secondo la morale comune, Anne le aveva insegnato con il suo esempio, il valore dell’intraprendenza e della determinazione, qualità indispensabili per chi era costantemente ad un passo dalla povertà come loro. La sua lezione le era stata estremamente utile e, benché ormai fosse giunta al vertice della sua scalata, non provava vergogna per il suo passato, perché le aveva permesso di raggiungere una condizione di vita agiata e lontana dalla fame e dagli stenti.

Con un movimento aggraziato, la donna si era avvicinata allo specchio e per alcuni istanti contemplò la sua immagine, beandosi della bellezza che il suo corpo nudo manifestava.

Tutto in lei era prova di un fascino prorompente e vitale, privo di qualunque artificio.

Jeanne accarezzò con fare analitico le sue forme snelle e piacevoli, complimentandosi per la fortuna che aveva accompagnato la sua vita. Malgrado non avesse esitato a darsi a chiunque potesse garantirle un qualche benessere economico, doveva comunque ammettere che era riuscita a passare immune dai rischi previsti dalla professione di meretrice, a cominciare dalle gravidanze e dalla sifilide, fattori che potevano compromettere la perfezione del suo aspetto, nonché la sua salute generale.

Un’altra cosa che la donna aveva imparato dalla vita, era che ognuno doveva contare sulle proprie qualità, se non aveva il favore dei potenti. Nel suo caso, la dama aveva dalla sua, la bellezza folgorante ed un carattere tutt’altro che timido ed impacciato.

A quel pensiero, trattenne con estrema difficoltà una risata: se il risultato della sua condotta di vita era stato alla fine diventare la favorita, non poteva certo lamentarsi. Doveva sicuramente ringraziare l’aiuto ed il sostegno del conte Jean-Baptiste du Barry, un uomo che aveva visto in lei, un ottimo strumento delle sue ambizioni. In fondo il loro era stato un rapporto di convenienza ben riuscito.

Per molti, quell’aristocratico vizioso era uomo immorale e senza scrupoli, per lei invece era un benefattore. Le aveva permesso di migliorare le sue naturali attitudini al’arte dell’alcova e di questo non poteva che essergli grata.  

Grazie ai suoi insegnamenti era riuscita ad occupare un ruolo che nessuna donna del popolo aveva mai osato neppure sognare.

Adesso aveva oro, gioielli, una residenza in campagna, vestiti all’ultima moda e una numerosa servitù, pronta ad esaudire ogni suo capriccio. Con uno sguardo distratto la dama guardò l’orologio, posto sopra il caminetto: erano quasi le undici ed il re non era ancora tornato da lei. A giudicare dalla fretta con cui si era allontanato, doveva essere un affare urgente.

Come sempre.

Alla favorita non importava molto. Per quella notte aveva assolto degnamente al suo compito, intrattenendo il sovrano con le sue abilità, come ogni amante ufficiale doveva fare. Le sue figlie nubili potevano dire ciò che volevano, ma non era certo colpa sua se il padre preferiva trascorrere il tempo con lei piuttosto che con loro. In fondo lei era stata scelta, mentre quelle vecchie zitelle acide erano il frutto dell’espressione dei doveri coniugali dell’uomo. Dalle confessioni del ricco amante, Jeanne aveva compreso infatti un aspetto del suo carattere che molti, compresi i familiari, non avevano notato o non volevano ammettere. Luigi XV era un uomo che tendeva ad annoiarsi molto facilmente.

Occorreva quindi trovare sempre nuovi stimoli per mantenere vivo il suo interesse e ciò valeva sia per l’arte amatoria, che per qualsiasi altra questione. Non appena il sovrano iniziava a stufarsi di qualcuno, infatti, tendeva a trattarlo con indifferenza e disprezzo. A Jeanne non importava molto avere il rispetto poiché la sua professione passata gli impediva di ottenere un simile privilegio e pure adesso che viveva negli agi, non mancavano episodi che mettevano in risalto la sua condizione di donna di dubbia moralità. Un esempio era sicuramente il trattamento che i reali europei le riservavano nei suoi confronti, prima tra tutte l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo che aveva chiesto tramite una lettera scritta dai suoi ministri di favorire presso il re l’alleanza tra la Francia e l’Austria.

Jeanne spostò con fastidio lo sguardo su un angolo della stanza. Se non ricordava male aveva messo il regalo che le era stato inviato da quella sovrana da qualche parte ma non le veniva in mente dove potesse averlo messo. Per quel che ne sapeva quella testa coronata non aveva molta simpatia per una donna del suo genere e non appena aveva avuto il messaggio che accompagnava il regalo, aveva compreso immediatamente il disprezzo che si nascondeva dietro alla fredda burocrazia della lettera recapitatale. Per questo, aveva dato ordine ad una delle sue cameriere di mettere il dono dove più desiderava, senza degnarlo di uno sguardo né sforzarsi di aprirlo.

Pure adesso, il pensiero dell’atteggiamento bigotto dimostrato in quell’occasione la infastidiva: c’era forse bisogno di sangue blu per fare la meretrice? Dopotutto, se il re avesse voluto, avrebbe potuto allontanarla in qualunque occasione. Certo, non era molto entusiasta di questa prospettiva, ma aveva imparato a trarre profitto da qualunque situazione e non era così ingenua da credere di poter rimanere a lungo la prima donna di Versailles. Presto sarebbe giunta una Delfina che avrebbe fatto compagnia al timido e bigotto principe ereditario.

A quel pensiero, la dama si accarezzò lentamente i biondi capelli.

Se la figlia era simile alla madre, probabilmente avrebbe mal tollerato la sua presenza a corte, così come faceva tutta la famiglia reale, tranne il sovrano. Sperava comunque che la sua ostilità non fosse eccessiva, malgrado nutrisse seri dubbi in proposito.

In fondo, se era ancora a Versailles lo doveva al re.

Il suo sguardo allora attraversò tutti gli oggetti presenti nella stanza e per un momento ebbe timore per il suo futuro, dopo la morte del sovrano, ormai in là con gli anni e tuttavia forte e in ottima salute.

Avrebbe rinunciato a quei lussuosi alloggi?

Ai quadri dipinti da pittori alla moda?

Alle suppellettili preziose e sofisticate?

Agli abiti, finemente cuciti con splendide stoffe e frutto del lavoro dei migliori sarti di Parigi?

Ai gioielli, che il re non mancava mai di farle?

Senza pensarci, Jeanne si avvicinò ad un prezioso portagioie in avorio. Lo aprì con estrema lentezza, gustandosi la meraviglia che provava ogni volta che vedeva il bagliore di quelle pietre luminose e ammalianti. Aveva un autentica passione per i gioielli, che fossero perle, rubini o diamanti. Luigi XV lo sapeva bene e non mancava occasione che non le facesse dono di qualche nuovo oggetto prezioso. Lei si lasciava viziare, abbandonandosi a queste attenzioni. Accoglieva con entusiasmo tutto ciò che le veniva offerto, ma non si poteva dire che fosse avida.

Tutta la corte era a conoscenza del fatto che dietro alle decisioni con fine umanitario, si celava la sua arte ma ovviamente tutti facevano finta di non esserne a conoscenza. Sarebbe stato troppo per l’orgoglio nobiliare, accettare la generosità di una popolana dissoluta. Per il resto, però le sue azioni erano molto limitate e la donna da parte sua non osava di più, consapevole che poteva perdere i favori del suo unico alleato in qualsiasi momento. Le voci in proposito, comunque, dicevano altro, facendole perdere le simpatie persino della popolazione che la accusava di essere la rovina dell’economia del Paese.

La favorita non se ne preoccupava molto perché riteneva di aver soltanto messo a frutto il suo talento, così come faceva la nobiltà di toga per quanto riguardava lo sfruttamente degli incarichi presso la Corte di Giustizia. Quale importanza poteva avere per lei sapere che dietro ai gioielli e ai vestiti si nascondeva un nuovo innalzamente delle tasse? Eppure, le sue donazioni, la generosità che dimostrava verso la servitù riflettevano in qualche modo il desiderio di restituire, seppure in parte, quanto il destino le aveva concesso. Non voleva essere un’ipocrita filantropa, ma desiderava avere intorno a sé meno nemici possibili.

Guardò nuovamente l’orologio.

Non era passato molto tempo dal suo risveglio e, conoscendo bene le abitudini del sovrano, presto avrebbe ricevuto nuovamente una sua visita.

Con calma prese alcuni gioielli dal portagioie e ritornò sul letto. Con lentezza iniziò ad indossare gli anelli ed i bracciali di pregevole fattura, senza smettere di rimirarsi allo specchio.

Era bellissima e quei monili la rendevano splendente come una gemma rara.

Un fiore nato dal fango della miseria e della corruzione.

Quel pensiero la fece sorridere ulteriormente.

Ancora non riusciva a credere di essere a Versailles.

Era incredibile sapere dove poteva portare l’intraprendenza di una donna del popolo e di un magnaccia.

Le sarebbe piaciuto continuare lo stile di vita che aveva iniziato a condurre da quando era la favorita ma sapeva che ciò non era possibile. L’unico suo punto di forza era la bellezza, un bene che aveva purtroppo il difetto di rovinarsi molto velocemente.

A quell’amara constatazione, Jeanne sorrise tristemente.

Rinunciare alla propria bellezza era un evento al quale presto o tardi sarebbe stata costretta a rinunciare, sebbene non fosse felice di una simile eventualità. Non era infatti solo il suo narcisismo innato a risentirne ma anche il terrore di dover nuovamente tornare ad elemosinare favori a persone di ogni genere.

No, non voleva.

Non desiderava tornare ad essere la miserabile donna del popolo del passato.

Eppure temeva di non poterlo evitare ed il pensiero la rese inspiegabilmente triste.

Non aveva nulla che avrebbe potuto accoglierla una volta che la sua vita di donna di corte sarebbe terminata.

Né un padre.

Né una madre amorevole.

Né una famiglia unita.

Lei era solo un investimento vantaggioso per molte persone, a cominciare da chi aveva contribuito alla sua venuta al mondo. Un pezzo di carne strardinariamente bello e nato per dare piacere a chi ne faceva uso.

La sconosciuta familiare allo specchio iniziò improvvisamente a versare lacrime, mentre Jeanne sentiva qualcosa di bagnato rigarle le guance perfette. Stupita si toccò la pelle umida.

Non poteva crederci.

Stava piangendo e non voleva sapere perché: in fondo aveva la possibilità di avere tutte le ricchezze che desiderava. Era la donna più potente di Francia e non c’erano ragioni per cui dovesse essere triste, tranne forse l’avere un posto dove tornare.

Chiuse per un momento gli occhi, provando ad immaginare di essere avvolta dall’abbraccio della famiglia che aveva sempre desiderato.

Fu un attimo.

Improvvisamente, due braccia calde e vigorose la circondarono.

Jeanne sussultò ma non volle vedere chi era, preferendo rimanere nella sua fantasia impossibile.

“Perché il mio piccolo Angelo sta piangendo?Vi sentite bene?” sussurrò una voce roca e preoccupata.

La donna aprì gli occhi, e vide nel riflesso il volto del sovrano. Comprese che i suoi erano solo sogni e desideri irrealizzabili. Doveva accontentarsi dei beni materiali, gli unici che forse una persona come lei poteva ottenere.

“No, Maestà, non è nulla di cui dobbiate preoccuparvi.” Disse accogliendo il re con lo stesso luminoso sorriso di ogni giorno.

Di fronte a quella visione, Luigi XV rimase nuovamente folgorato.

Benché sapesse che fosse una donna di mestiere, non riusciva a fare a meno della sua presenza, allegra e calorosa. L’esatto contrario del rapporto freddo e formale che aveva con la sua famiglia. Insieme alla contessa Du Barry, riusciva a trascorrere momenti piacevoli, lontani dalle delusione che i suoi grigi parenti suscitavano nel suo animo, desideroso di vivere nel divertimento.

“Perché temete che sia triste, Maestà? Come potrei esserlo, ora che siete qui con me?” disse dolcemente, facendo per girarsi, ma il re non glielo permise.

“Contessa” disse, tentando di guardare il suo viso e non il resto del suo corpo nudo “vi prego di chiudere per un momento gli occhi e di riaprirli solo quando avrete il mio ordine. Concedetemo, benché ami profondamente i vostri occhi.”

La dama obbedì, facendo un profondo sospiro.

Sentì qualcosa di freddo circondarle il collo e la sua mente indovinò, grazie alla sua esperienza, quale fosse la sorpresa che il sovrano le avesse fatto, tuttavia fece finta di nulla.

“Ora aprite gli occhi, madame.” Disse gentile.

Jeanne obbedì e non poté fare a meno di sussultare per la sorpresa. Intorno al suo collo faceva bella mostra di sé una collana composta da più fili di perle, a cui si alternavano degli zaffiri. Non aveva mai visto gioielli simili.

“E’…E’ stupenda..” sussurrò senza fiato.

Luigi XV la guardò assorto mentre toccava quel monile, stupendosi della bellezza di quella creatura così incantevole.

“No” disse mentre si avvicinava al suo collo “Voi lo siete, mio piccolo Angelo. Perdonatemi per avervi lasciato sola.”

Jeanne si lasciò cullare dai baci che quell’uomo le lasciava lungo il collo.

“Mio re, come potete pensare che possa essere adirata nei vostri confronti?”disse inclinando la testa all’indietro, per dare modo al suo amante di farsi più audace. “Mi basta sapere che ora siete al mio fianco, il resto non conta” fece, prima di abbandonarsi del tutto all’abbraccio del suo regale amante.

 

Bene, questa è la seconda storia autoconclusiva che scrivo. Onestamente non so se il risultato è apprezzabile ma spero che sia abastanza fedele al personaggio storico. Il racconto descrive un momento precedente all’arrivo di Maria Antonietta e devo dire che non sono sicura che sia un brano fedele al periodo storico presentato. Forse qualche particolare della vita della Du Barry non è molto fedele alla realtà, non lo so.

Spero comunque che vi piaccia questo racconto.

 

Cicina

 

 

 

   
 
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