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Autore: LA dreamer    18/10/2010    3 recensioni
Ahsley e Alice due amiche da sempre, l'una lo specchio dell'altra, l'una la sicurezza dell'altra. E poi c'erano loro, i loro migliori amici, i loro fratelli, i loro amori, i compagni di una vita passata insieme.
New York era grande, era affollata, era piena di gente che andava e veniva, ma mai mi sarei aspettata, in tutto quel caos, di rivederlo.
Mi voltai verso destra come se qualcuno mi stesse chiamando, e dopo due anni rividi lo specchio della mia felicità. Rimanemmo in quella posizione per non so quanto tempo e prima di voltarmi per scappare da lui, sussurrai il suo nome, un nome che mi era mancato, un nome su cui tante volte avevo fatto affidamento << Matt >>
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi tornata con un bel pò di ritardo come mio solito, ma so che mi perdonerete.
Finalmente siamo arrivati al punto cruciale della storia, movimentiamo un pò questi esserini e facciamoli penare un pò.
Buona lettura a tutti (per chi ancora legge).

Attimi di terrore in uno sprazzo di luce.
Le gambe tremanti.
Il cuore che cessa di battere.
Sento la terra sotto i miei piedi mancare.
Sento il respiro corto pronto a fermarsi.
Ti cerco. Vi cerco. Non vi trovo.
I miei occhi hanno per un momento deciso di chiudersi per poi non riaprirsi più.

I giorni passavano lenti,
Le ore sembravano prendersi gioco dei miei respiri.
Vivevo la mia vita come sempre, pensando che, però, stavolta, avevo un qualcosa in più. Avevo lui.
Studiavo, seguivo i loro successi, organizzavo insieme a Alice i loro concerti e aspettavo ogni sera il suo arrivo sulla porta di casa, pronta a riceverlo tra le mie braccia.
Ogni sera quella piccola routine mi faceva stare bene nonostante odiassi la routine, amavo il rischio, amavo le novità.
Mi bastava poco per stare bene. Mi bastava alzarmi la mattina e vedere Matt che si preparava per il lavoro, vederlo dormire al mio fianco o ridere con quella voce nasale e a volte un po’ roca,ma così bassa e profonda.
Mi bastava sapere di arrivare alla fine della via di casa mia per trovare il sorriso dolce di Alice che mi guidava nelle mie giornate senza mai lasciare la mia mano,esattamente come c’eravamo promesse tanti anni fa.
Mi bastava aprire la porta alle 7 di sera per vedere la mia gioia più grande camminare verso di me pronto a risvegliare ancora una volta il mio cuore. Brian era la mia follia più grande.
Mi bastavano Zacky Jimmy e Johnny a riempire la mia vita.
Aspettavo solo la fine della scuola per poter chiudere la mia vita in una valigia e partire pronta a conoscere il mondo, a presentarmi al suo scoppetto sorridendogli come una bambina sorride alla vita infantile. Ero pronta a non dover più tornare e più i giorni passavano più sentivo in me crescere quel brivido immenso che mi percorreva la schiena arrivando al mio cuore, creando vortigi di emozioni che faticavo a spiegare. Mamma mi guardava e sorrideva ogni volta che ci provavo e alla fine mi diceva sempre: non puoi spiegarlo Ash, devi viverlo.
Aveva ragione,ma come potevi sapere tu mamma che tutto questo non l’avrei mai vissuto che avresti visto lentamente tua figlia morire nel suo dolore senza riuscire a salvarla da un inferno senza uscite?
Potevi tu mamma,quel giorno, salvarmi dal lento oblio che mi stava lentamente avvolgendo tra le sue braccia ingannevoli, ghignando con fare meschino?
NO.
Non potevi mamma.

Quel giorno apparentemente poteva essere come qualsiasi altro giorno di Giugno ad Huntington Beach.
Mi alzai alle 8.30 come sempre. Avevamo finito gli esami e di conseguenza il liceo eravamo liberi da ogni vincolo, da qualsiasi obbligo nei confronti dell’istruzione. Avrei voluto fare l’università ma in questo momento la mia priorità stava negli Avenged Sevenfold.
Per festeggiare la fine della scuiola e degli esami andati a buon fine organizzammo a casa di Brian una festa memorabile, come tutte quelle che eravamo soliti organizzare. Ormai eravamo conosciuti a Huntington Beach per le nostre feste e ogni volta che ce n’era in programma una tutti quanti iniziavano a prepararsi settimane prima. Non ci importava selezionare chi poteva venire e chi no, la porta era aperta per tutti, proprio per questo eravamo così tanto considerati e ammirati. A noi non importava di chi fosse presente, l’importante è che ci fosse.
Andai in bagno come sempre per lavarmi la faccia e i denti. Il sole caldo di quella mattina mi teneva compagnia negli spazzi casalinghi dove riusciva a infiltrarse attraverso le tende. Mi accarezza dolcemente la pelle ancora poco colorita e mi faceva sentire ancora di più a casa.
Passai dalla camera di Matt stranamente in ordine. Il letto era rifatto e non c’era traccia di alcun vestito fuori posto, mi sembrava strano, ma in quel momento non ci pensai più tanto, tanto quanto dovevo invece.
Scesi in cucina e feci colazione con calma. Avevo deciso di lavorare per quel poco tempo che mi divideva dalla nostra partenza, convinta che sarei partita. Avevo bisogno di qualche soldo per non dover pesare ne su Brian ne su mio fratello e quale lavoro migliore in un bar poteva fare al caso mio in quel momento? Lavoravo solo mezza giornata eppure mi appagava ugualmente, l’ambiente mi piaceva e la vicinanza così stretta al mare mi faceva ricordare quanto potesse mancarmi quel blu così intenso e quel profumo di salsedine con cui ero cresciuta. Ma sarei ritornata in quella cittadina che mi aveva aiutato a crescere.
Mandai, come d’abitudine, un messaggio a Brian a cui non ebbi mai risposta, anche quello doveva risultarmi strano, ma non riuscivo a farci più di tanto caso.
Iniziai la mia giornata lavorativa, pensando alla sera quando avrei aperto la porta di casa trovandolo sotto il mio portico, sorridente e stanco della sua giornata di musica e di studio. Sorridevo e lavoravo, parlavo con le mie colleghe e gli raccontavo di quanto ero impazziente del loro successo solo per sentirmi felice insieme a loro. E loro mi ascoltavano e mi invidiavano quasi come se stessi parlando del loro gruppo preferito. Per me lo erano e giuro che non ero di parte.
Non appena uscì dal locale fui invasa ancora una volta da quella strana sensazione di angoscia. Mi fermai un attimo a lato della strada con la macchina e presi due boccate d’aria fresca. Cercai di calmarmi senza dare troppo nell’occhio. Presi in mano il cellulare e non trovai nessun messaggio, quel giorno Johnny non era nemmeno passato dal bar, un altro piccolo particolare che mi sfuggì in quel momento, ma che a lungo andare mi stava facendo sempre di più agitare.
Solo allora mi resi conto che c’era qualcosa che non andava, solo in quel momento riuscì a mettere insieme tutti i vari pezzi non capendo ancora cosa stesse succedendo alla mia vita, troppe cose stavano andando in un verso che io non avevo scelto, troppe conti non tornavano.
Cercai di non pensare troppo in negativo, ma in quel momento mi venne in mente lo sguardo di Brian la sera prima, era diverso, era vicino, ma allo stesso tempo mi stava chiedendo scusa e io non avevo capito nulla, mi ero solo lasciata incantare dal suo sorriso sforzato. Mi guardava come se fosse l’ultima volta, mi osservava come a voler ricordare tutti di me. Il bacio che mi diede prima di andare a casa era stato in qualche modo diverso dai soliti, era stato lungo e disperato, quasi come se fosse l’ultimo.
Ricominciai a guidare cercando di ignorare tutte queste emozioni che mi stavano rapendo il corpo non facendolo più ragionare, nel momento in cui arrivai a casa quella sensazione aumentò a dismisura, guardai la porta d’ingresso, guardai il giardino, guardai le finestre e qualsiasi particolare la componesse e mi resi quasi conto di non conoscerla più, come se fosse la prima volta che mi trovavo davanti ad essa, era come se non volessi più riconoscerla come casa, ma come un incubo che stava per avere inizio.
Le nubi che si stavano formando in cielo aumentavano le mie paure.
Il primo temporale estivo di Huntington Beach stava per scatenarsi in concomitanza con i miei sentimenti.
Entrai in casa di corsa e la trovai nel suo solito silenzio, un silenzio che mi stava uccidendo, come il silenzio del mio cellulare che non aveva intenzione di suonare, come il silenzio di Brian di ieri sera.
Lasciai la borsa all’ingresso e corsi su per le scale trovandomi davanti alla camera di Matt. Avevo paura di aprire la porta e rendermi conto che tutte le mie sensazioni e i miei sospetti stavano per rivelarsi veri. E lo feci. Aprì la porta e trovai la stanza esattamente come l’avevo lasciata questa mattina: in ordine, in silenzio, anonima. Corsi verso l’armadio e l’aprì con un gesto secco; in quel momento mi resi conto che l’incubo era iniziato. L’armadio era vuoto, la scrivania era deserta, mancava il computer portatile di Matt, mancavano i suoi quaderni, le sue mille scartoffie, mancava persino la sua felpa perennemente sulla sedia.
Non c’era nemmeno più il suo profumo dolce. La stanza aveva assunto un aspetto completamente desolato. Tutto il suo ricordo era svanito insieme al suo corpo.
Mi allontanai in preda al terrore portando le mani alla bocca per evitare di urlare e scatenare la mia ira.
Non riuscivo a crederci, non potevo crederci: se n’era andato senza di me, tutti quanti loro erano scappati lasciando me e Alice qui a combattere da sole contro il mondo.
Con lo sguardo perso e senza più uno straccio di emozione tornai in camera mia trovando sul letto due buste. Riconobbi subito la calligrafia di Matt e di Brian. Mi avvicinai a loro lentamente, intimorita e confusa. Una parte di me voleva aprirle, l’altra si rifiutava di sapere cosa ci fosse scritto, quale scusa patetica ,nel tentativo di non farsi odiare, avessero cercato e scritto su un inutile foglio di carta bianco.
Mi sedetti sul letto e aprì la prima lettera. Quella di Matt.

Mia piccola Ashley, non riesco a trovare le parole per dirti quanto in questo momento mi sento in colpa per ciò che ho fatto.
Ti avevo promesso che ti avrei portato via da quel posto e invece me ne sto andando da solo, come un ladro che scappa dopo una rapina, senza nemmeno poterti parlare un’ultima volta negli occhi, stringendoti un’ultima volta facendoti sentire che nonostante tutto io per te ci sarò sempre.
Non posso immaginarti in questo momento di puro dolore, ma credimi, anche se è difficile, che per me è lo stesso. Ti chiedo scusa Ashley, ti chiedo di scusarmi per non averti detto la verità per non aver avuto il coraggio di dirti che me ne sarei andato senza di te e Alice. Non abbiamo avuto scelta credimi.
Ma un giorno tornerò e in quel momento ti porterò via con me, tornerai a far parte della mia vita senza nessun ostacolo.
Prenditi cura di te stessa sorellina mia.
Scusami.
A presto.
Matt xxx.

Lasciai cadere sul pavimento quella lettera senza riuscire a dire nulla, senza riuscire a versare una sola lacrima.
Aprì la lettera di Brian prendendo a pugni il mio cuore.

Amore mio,
Mio piccolo e dolce angelo. Non ho scuse, non ho parole, non posso permettermi di averne in questo momento. Faccio fatica anche solo a guardarmi allo specchio dopo ciò che sto facendo, dopo che solo ieri sera ho assaporato per un ultima volta le tue labbra, ho chiuso dentro il mio cuore i tuoi occhi verdi e fatto mio il tuo sorriso così innocente e splendido.
Non ti chiederò di perdonarmi, non me lo merito,non farti del male, non cambiare mai, non smettere mai di essere ciò che sei davvero, perché sei la persona più bella che abbia mai conosciuto.
Ti chiedo solo una cosa: non dubitare mai del mio amore per te. Ti ho amata davvero e mai smetterò di farlo. Tutto questo è sbagliato lo so, tutto questo è strano, ma credi a Matt quando dice che non abbiamo avuto scelta.
Non scorderò mai ogni momento insieme, noi che abbiamo saputo trasformare il nostro dolore in amore puro. Per favore perdonami, non smetterò mai di amarti.
Addio amore mio.
Ti amo.
B. xxx

Corsi fuori dalla mia camera, scesi le scale come un razzo e aprendo la porta mi fiondai in mezzo alla strada con ancora quelle lettere in mano. Pioveva a dirotto mentre versavo le prime vere lacrime di quella che non sembrava più una giornata come le altre.
Iniziai a guardarmi intorno nella speranza di vederli tornare indietro, di vedere il tour bus allontanarsi così da poterlo seguire, volevo che tutto questo fosse uno stupido scherzo, ma non fu così.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola la mia disperazione.
-DOVE CAZZO SEI?.-era tutto ciò che riuscivo a dire in quel momento. Continuavo a ripetere quella frase come un disco rotto, come se qualcuno mi avesse impostato il tasto di ripetizione.
Mi giravo da tutte le parti in preda al terrore, al panico più grande, non potevo e non volevo credere a quello che era successo, solo quando vidi Alice correre verso di me con in mano due lettere della stessa carta e di calligrafie simili, mi resi conto che tutto quello che stavo vivendo era vero, reale, suggestivo e parecchio doloroso.
Mi fermai dall’urlare incessantemente respirando affannosamente, lasciando che le gocce di pioggia bagnassero i miei vestissi, investissero prepotentemente il mio viso distrutto. Quando Alice mi raggiunse vidi i suoi occhi completamente spenti, vuoti, privi di qualsiasi emozione. Passarono pochi minuti prima che ci aggrappammo l’una all’altra scivolando sempre di più in un vuoto che difficilmente avremmo superato e da cui daremmo uscite. Ci inginocchiammo sulla strada stringendoci a vicenda lasciando libere nell’aria e nella pioggia quelle lettere. Le accarezzavo i capelli cercando di tranquillizzarla, ma io per prima non potevo essere calma, guardavo la strada davanti a me, pensavo a quante volte avevo sognato di percorrerla con loro, pensavo sempre che alla fine di quella strada c’era un mondo intero che aspettava di conoscermi, invece, da quel momento, infondo a quella strada non ci sarebbe stata altro che un’altra strada uguale a tutte le altre.
Tenevo ancora Alice tra le braccia senza smettere di piangere, scatenando la nostra ira, il nostro dolore insieme alla pioggia, quando mia madre corse fuori con un ombrello per farci scudo e portarci al riparo. Tutti quanti erano alla finestra guardando quella scena pietosa, due ragazze in mezzo ad una strada che piangevano e urlavano.
Alzai la testa e lo sguardo fino a quando non incontrai quello di mia mamma che mi fissava. Nei suoi occhi, auguali ai miei, così simili a quelli di Matt, leggevo dispiacere, leggevo anche in essi dolori, non sorridevano più, ma la stessa compressione che avevo imparato a ritrovare in loro, la trovai anche in quel momento.
-Andiamo in casa.-disse con tono solenne, chiuse l’ombrello e ci aiutò a tirarci in piedi, strette nelle sue piccole braccia corremmo fino in casa. Fece sedere me in cucina coprendomi le spalle con una coperta pesante visto che tremavo come una foglia, ma non era il freddo che mi faceva questa reazione, era la solitudine che prendeva possesso di me.
Portò Alice di sopra per farle indossare qualcosa di pulito e asciutto e mentre lei si cambiava singhiozzando in silenzio, mia madre chiamò la mamma di Alice dicendole di venire a prenderla.
Anche in quel momento vidi in mia madre una forza così grande da lasciarmi stupita nonostante la mia mente fosse completamente vuota e senza più un senso logico; mia madre ancora una volta si stava mostrando la grande donna che avevo imparato a conoscere nel corso della mia vita, forse soffriva anche lei per la partenza di mio fratello, per il dolore di sua figlia, ma non lo dava a vedere, in quel momento eravano più importanti due ragazzine strazziate dal dolore che il suo.
Alice scese dalla scale abbracciata a mia madre con in dosso una mia tuta e i capelli quasi asciutti. Mi guardò dritta negli occhi senza dire niente. Capì quel suo sguardo, era una promessa silenziosa che saremmo andate avanti che da quel momento in poi loro non avrebbero più fatto parte di noi, ci eravamo rese conto che loro non ci sarebbero più stati.
-Vieni che è arrivata tua mamma.- le sorrisi debolmente mentre mia madre l’accompagnava fuori, sentì che scambiava qualche parola con la signora Baker, ma non riuscivo, o forse non volevo, ascoltare veramente le loro parole, mi bastava la realtà.
Mi levai la coperta dalle spalle appoggiandola sulla sedia, guardai un’ultima volta la cucina e dandole le spalle percorsi le scale che portavano al piano di sopra. Ignorai le foto appese alla parete che ritraevano la mia vita, chiusi a chiave la camera di Matt senza nemmeno guardarla per un ultima volta e mi chiusi in bagno; sotto la doccia con l’acqua calda che scivolava sul mio corpo spesi tutte le lacrime che avevo nel mio giovane corpo. Ripensai a tutti i momenti che avevo vissuto con Matt, da quando ero piccola e i primi ricordi iniziavano a farsi largo nella mia memoria, a quando eravamo un po’ più grandi e sempre più uniti, a tutto ciò che avevamo passato insieme sempre senza mai lasciarci, ma ora tutte quelle promesse erano state infrante nel momento in cui mio fratello era uscito dalla porta di questa casa che ormai mi sembrava estranea.
Dedicai un pensiero ad ognuno di loro, ma nello stesso momento in cui uscì dalla doccia e mi guardai allo specchio, scacciai qualsiasi tipo di pensiero di loro, tolsi le utlime lacrime dalla mia faccia e mi ripromisi che non avrei mai più permesso a niente e nessuno di farmi ancora del male.
Guardai i miei occhi arrossati, li vidi spenti e vuoti, privi di ogni emozione, anche il mio volto non aveva più nessuna espressione, avevo completamente cambiato faccia. Affilai lo sguardo scrutando la me stessa persa e diversa, non mi riconoscevo già più, ma non importava, ora ero questo. Ora toccava a me prendere la rivincita su questa vita bastarda,
In quel bagno ripromisi a me stessa che gli Avenged Sevenfold per me non sarebbe mai più esistiti.

Ringrazio tutti per le recensioni e per chi ancora ha il coraggio di leggere questa storia.
Grazie all'amore mio che, nonostante rompe le palle tutti i santi giorni, mi sostiene sempre. TI AMO STUPIDA!

Kisses
LA dreamer.
  
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