Film > The Phantom of the Opera
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Autore: Alkimia    18/10/2010    3 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ce la posso fare. E se non ce la faccio in questi giorni in cui ho una voglia matta di scrivere di POTO penso che non ce la farò mai più...
Grazie ai miei pazientissimi lettori *_*

@ tehangelsee: Contenta che il siparietto ti sia piaciuto, a me ha divertito moltissimo scriverlo. Prima o poi dovrò scrivere qualcosa di allegro su Erik, lo facciamo sempre soffrire nelle fanfiction...

@ Keira: il Maestro è molto contento del fatto che tu voglia uccidermi, ha detto che se vuoi una mano lui è a disposizione... Ah, no vedete, Maestro... alla fine mi vuole bene! Me fa pernacchia al musO.  Comunque, per rispondere alla tua domanda, si, il tempo delle vicende è lo stesso. Alex... io adoro vessare quel ragazzo, non si era capito? XD

@ pittolaFede: grazie di aver letto anche questa storia ^^ il tuo livello di masochis... ehm, interessamento, mi fa gongolare come un nano da giardino XD Ok, torno seria. Grazie per quello che mi hai scritto *_* tutti questi “brava” tutti assieme potrebbero anche farmi male =)



CAPITOLO VENTOTTESIMO
Gli occhi del nemico

Blaise Bertrand stava cominciando a trovare quel viaggio di una lentezza snervante.
Tutti parlavano del treno come una fantastica invenzione che avrebbe portato l'uomo più velocemente verso il futuro e invece quella rumorosa macchina a vapore era lenta, scomoda e affollata. Tremendamente affollata.
Accanto a lui era seduta una donna di mezza età con al seguito un gregge di figliole tutte intente a ricamare. Come diamine facessero a infilare il filo di cotone nella cruna dell'ago, in mezzo agli sballottamenti del vagone, era un mistero che Bertrand aveva anche trovato interessante, almeno per i primi cinque minuti, poi aveva cominciato a innervosirsi.
Come diamine facessero le donne a... a essere donne, era qualcosa che l'investigatore trovava misterioso e frustrante allo stesso tempo.
Come faceva una prostituta a lasciare la camera di un bordello a testa alta? Come faceva una cameriera a sopportare le vessazioni della padrona capricciosa? Come faceva una madre  a sopportare i dolori del parto e mettere al mondo un secondo, terzo quarto figlio?
Come aveva fatto quella ragazzina spaurita che era Christine Daae a rischiare la vita per quel mostro e a ingannarlo? Probabilmente quella stupida già portava in grembo il figlio bastardo di quell'essere...
Naturalmente Bertrand non era un'anima avvezza ai buoni sentimenti, altrimenti la sua mente avrebbe stroncato sul nascere quella fila di domande.
L'amore, che assurdità!  
Curioso che un cervello tanto abituato a lavorare di logica non avesse raggiunto un'ovvia conclusione: se si poteva provare odio, odio da accecare la vista e i pensieri, era giusto supporre che esistesse un sentimento altrettanto forte ma contrario. Se l'odio era tanto reale per chi lo provava doveva essere per forza reale anche il suo opposto.
Ma che motivo avrebbe mai avuto di pensare a certe eventualità? A lui l'odio andava benissimo, con o senza il corrispettivo contrario.
E l'odio di Bertrand in quel momento avrebbe potuto fare da carburante a quel treno, tanto era nero e incandescente.
Le sue azioni non avevano mai conosciuto altra ragione. Ed era così anche quella volta.
Nel momento stesso in cui i direttori dell'Opera Populaire gli avevano affidato le ricerche del leggendario Fantasma, quell'uomo...  quell'essere, era divenuto suo nemico. Ogni uomo da scovare, imprigionare, uccidere era suo nemico, e un nemico non merita altro che odio.
“... e gli amici dei nemici sono miei nemici” borbottò Bertrand a mezza voce,
“Come dite?” chiese perplessa la donna seduta accanto a lui
“Niente, pensavo a voce alta”
“Oh, accidenti! Mi è caduto l'ago, non lo troverò mai in questo vagone...”.
Bertrand celò a sento un ghigno.
Gli amici dei nemici erano suoi nemici. Avrebbe dovuto capirlo fin dal primo momento che quel giornalista pedante sarebbe divenuto una spina nel fianco, chiunque avesse un senso troppo elevato della giustizia era una spina nel fianco per lui, i suoi metodi non sembravano mai giusti, eppure erano efficaci, sensati, come l'odio. Se Alexandre Dubois non si fosse messo di mezzo a quest'ora il Fantasma dell'Opera, Erik o come diavolo si chiamava, avrebbe già avuto ciò che meritava. Per non parlare poi di quel bamboccio sospiroso del visconte, perso dietro a una fanciulla che aveva preferito un mostro fuorilegge a un ricco giovane blasonato.
Ah si! C'erano troppe cose che Bertrand faticava a capire.
L'investigatore li aveva spiati partire. Ormai non aveva più dubbi sulla loro destinazione, alcuni giorni primi era stato alla redazione del giornale dove lavorava Alexandre ed era riuscito a sapere dove aveva abitato la famiglia Dubois prima di trasferirsi a Parigi.
Il visconte e la ragazza erano partiti in carrozza, nel caso Christine fosse stata male durante il viaggio, avrebbero potuto fermarsi in una qualsiasi cittadina lungo il tragitto.
Viaggiando in treno Bertrand era certo di arrivare a Saint- Gaudens prima di loro, ma avrebbe atteso che la famigliola fosse di nuovo riunita prima di colpire.

La donna e le sue figlie stavano ancora cercando l'ago smarrito, come se fosse possibile ritrovare un ago sul pavimento di un vagone ferroviario!
Certa gente sa essere veramente ostinata e Bertrand provava sempre un certo disagio davanti all'ostinazione altrui.
“Oh monsieur, grazie al cielo!” esclamò la donna battendo rumorosamente le mani,
l'investigatore la guardò senza capire,
“Il mio ago, è finito sotto la vostra scarpa. Meno male, altrimenti sarebbe rotolato via”,
Bertrand guardò verso il basso, l'ago scintillava contro la sua suola.
“Si, madame, è davvero difficile che qualcosa sfugga quando incontra me” rispose.
La donna giurò di aver visto sul viso dello sconosciuto un sorriso crudele. Raccolse il suo ago e tornò al suo ricamo.
Quando l'uomo scese a un'altra stazione per prendere una coincidenza, la donna sentì come se si fosse liberata da un peso, poi si disse che era stata solo suggestione, che quell'uomo sembrava un signore così a modo, e non ci pensò più.

*

Gli occhi si riempivano di ogni cosa.
Erano occhi giovani che del mondo avevano visto così poco!
Christine passava gran parte del viaggio con il viso appiccicato al finestrino della carrozza. Aveva visto sfilare grandi campagne con giganteschi mulini a vento, cittadine brulicanti di persone, villaggi di contadini o pescatori. E alcune volte si era sentita anche un po' stupida a causa del suo stesso stupore. Per lei l'universo non era altro che un teatro, i cieli erano soffitti affrescati e le giornate erano scandite dalle fiamme dei candelabri e delle lampade ad olio.
D'un tratto si ricordò di quando aveva viaggiato insieme a suo padre. Dopo la morte di sua madre avevano lasciato la Svezia e avevano girato l'Europa per un po' prima di trasferirsi stabilmente a Parigi, poco prima che anche suo padre la lasciasse. Ma quei viaggi, le cose che aveva visto, le città che aveva visitato erano solo ricordi sfocati. Da molto tempo il mondo aveva smesso di esistere per Christine.
La fanciulla si chiese se anche Erik non avesse provato le stesse cose durante il viaggio. Anche per lui, per tanti anni, non c'era stato nient'altro all'infuori del teatro.
Il pensiero di Erik la fece sospirare.
Raoul sollevò gli occhi dal libro che stava tentando (o forse fingendo) di leggere e la guardò preoccupato.
“Sto bene” dichiarò la fanciulla prima che il visconte le chiedesse qualcosa
“Sei stanca? Vuoi fermarti? Hai bisogno di qualcosa?” chiese lui,
Christine sorrise di tenerezza,
“Ho detto che sto bene” rispose.
I due giovani restarono a fissarsi in un silenzio imbarazzato. In quei giorni Christine aveva ritrovato tutta la sua timidezza e quei modi di fare da bambina insicura e spaurita.
Dovette racimolare un bel po' di coraggio per chiedere:
“Raoul, perché lo fai?”,
il visconte sbatté le palpebre in un'espressione perplessa. La cosa buffa è che nemmeno lui conosceva la risposta a quella domanda.
“Lo avrebbe fatto chiunque”, la buttò lì con un'alzata di spalle, con talmente tanta noncuranza da non riuscire a convincere nemmeno se stesso.
“Non dire sciocchezze!” replicò Christine
“Intendevo dire che lo avrebbe fatto chiunque per una persona che ritiene importante”. Raoul sentì che stava arrossendo come un bambino.
Cosa doveva fare? Fingere che lei non fosse importante? Fingere che non avrebbe fatto ogni cosa per la sua felicità?
Ogni cosa, già. Persino portare una pistola nella tasca, all'insaputa della sua Dolce Lottie, naturalmente. Portare una pistola, lui! Lui, che l'odore della polvere da sparo gli faceva venire l'emicrania! Lui che l'ultima volta che aveva tenuto in mano un'arma da fuoco era stato anni prima, quando suo padre aveva preteso che il suo unico figlio maschio lo accompagnasse in una battuta di caccia...  e quando aveva avuto sotto tiro una magnifica lepre aveva mancato la mira di proposito, tanto gli faceva ribrezzo l'idea di uccidere!
“Scusa Raoul, ho fatto una domanda stupida” disse Christine
“Non importa- rispose lui sforzandosi di sorridere- io ne faccio spesso”.
Entrambi guardarono fuori dal finestrino chiedendosi quanto mancasse ancora per raggiungere Saint Gaudens. Quel viaggio cominciava a diventare estremamente difficile.

*

Ad Alexandre non piaceva l'inattività. Cominciava a sentire la nostalgia del gran trambusto che c'era lì al giornale, delle chiacchierate con sua madre, della compagnia di Raoul. In un angolo remoto della sua mente provava anche nostalgia di Bertrand. Non che rimpiangesse la compagnia di quel criminale, ma non poteva fare a meno di pensare che le settimane trascorse a indagare sul Fantasma dell'Opera fossero state le più emozionanti della sua vita.
Se avesse saputo che quella storia lo avrebbe portato a restare rintanato nella sua vecchia casa con il suo fratello redivivo... ah, al diavolo! Se lo avesse saputo, avrebbe fatto esattamente le stesse cose.
Era così che doveva essere.
Dopo il ritrovamento dei vecchi documenti di suo padre, del finto certificato di morte, Erik si era chiuso ancora di più nel suo mutismo.
L'inattività cominciava a pesare a entrambi.

Dopo alcuni giorni di silenzio, Erik aveva comunque trovato un passatempo. Si era dedicato a riparare il pianoforte che c'era nel salotto, un vecchissimo modello di pianoforte a muro.
La sistemazione del vecchio strumento era diventata fonte di curiosità anche per Alexandre, il quale si era reso conto di non aver mai sentito suo fratello suonare. Aveva avuto prova delle sue strabilianti capacità canore la sera della rappresentazione del Don Juan, ma non aveva mai sentito Erik al pianoforte, tanto che quando terminò di riparare lo strumento Alexandre cominciò a gironzolargli attorno in attesa di sentirlo suonare.
“Chi era il musicista di casa?” domandò il maggiore dei fratelli Dubois guardando la tastiera
“Nessuno. Penso che il pianoforte fosse già qui quando i...” Alexandre si bloccò. Non aveva il coraggio di pronunciare le parole i nostri genitori.
“Penso che fosse già qui quando la casa fu acquistata- concluse- Non fu buttato via in previsione di un figlio che avrebbe preso lezioni di musica, come molti bambini fanno di solito... ma io della musica non ho mai voluto saperne niente. Non sapevo nemmeno che fosse rotto”,
Erik annuì vagamente e posò le dita sui tasti suonando un LA. Il suono che uscì dal pianoforte era debole, come se anche la musica fosse sommersa dalla polvere degli ingranaggi interni.
Alexandre arricciò il naso,
“E' vecchio... molto” disse quasi in tono di scusa
“E' un pessimo strumento, suonerebbe male anche se fosse nuovo” borbottò Erik e si allontanò dal pianoforte senza aggiungere altro. Suo fratello vide un velo di tristezza così profonda nei suoi occhi che per un attimo ebbe paura.
“Christine sarà qui a giorni” gli ricordò. Quel nome aveva sempre la capacità di scalfire la coltre di gelo, alle volte Alexandre riusciva persino ad avere un dialogo accettabile con suo fratello se l'argomento di discussione era mademoiselle Daae.
“E quando sarà qui?” chiese Erik con un sospiro sconsolato
“Smettila di comportarti come se non ci fosse futuro!- replicò Alexandre- Quando sarà qui... la sposerai, tanto per cominciare!”,
uno strano sorriso infantile increspò le labbra dell'uomo che era stato il Fantasma dell'Opera. Poi fu di nuovo silenzio.

Il giorno dopo Erik trovò Alexandre immerso nella lettura di alcune carte, il ragazzo stava leggendo  alcuni fogli scritti in una grafia ordinata. Suo fratello lo fissò per qualche secondo senza dire nulla, poi lo vide sorridere e borbottare qualcosa.
“Che hai da ridere?” gli chiese, lui sussultò, non lo aveva sentito arrivare
“Ridevo di me stesso- rispose il giovane- questi sono gli appunti che ho scritto mentre facevo le ricerche nel teatro”,
Erik allungò una mano per prendere i fogli, ma Alexandre glieli strappò via dalle dita,
“No, non leggerli, sono solo sciocchezze” esclamò
l'uomo si sporse in avanti per afferrare il fratello che però riuscì a spostarsi di lato evitando la sua presa,
“Vedo che il significato della parola NO continua a esserti estraneo” protestò
“Non sono abituato a sentirmi dare risposte negative. Adesso, sarebbe molto meglio per te se tu mi dessi quei fogli di tua spontanea volontà”,
Alexandre ghignò scuotendo energicamente il capo, Erik si voltò con uno scatto e si lanciò verso di lui che scappò correndo verso le scale.
“Che lentezza! Si vede che stai invecchiando, fratello” disse il giornalista
“Non mi serve rincorrerti. A meno che tu non intenda volare via dalla finestra, prima o poi dovrai fermarti”.
Alexandre si infilò in tutta fretta nella sua stanza, ma Erik lo raggiunse prima che avesse il tempo di chiudere la porta a chiave e gli strappò i fogli da mano, quindi cominciò a leggere ad alta voce:
Sono certo che negli anni a venire tanto si parlerà del Teatro dell'Opera Populaire di Parigi, della sua grandezza e del suo prestigio. Ma io voglio raccontare un'altra vicenda, una vicenda che necessita di essere documentata perché non divenga una leggenda, perché certi fatti restino fatti e non favole... Buon Dio, Alexandre, come sei epico!”
“Lo sapevo che lo avresti trovato ridicolo!- borbottò il ragazzo- Ero intenzionato a scrivere un libro sul Fantasma dell'Opera, su come lo avremmo stanato... volevo raccontare la verità”
Erik sospirò
“Beh, allora è meglio che le cose non siano andate come speravi quando hai cominciato a scrivere queste note. Per i più, la verità sarebbe stata abbastanza deludente...” disse lasciando cadere i fogli. Di colpo non era più tanto curioso di sapere cosa avesse scritto suo fratello durante quelle settimane, non voleva sapere come appariva attraverso gli occhi di un nemico.
Alexandre raccolse le pagine che aveva scritto in un tempo che ormai gli sembrava lontanissimo e si avvicinò alla scrivania. Sollevò il coperchio del lume e avvicinò i fogli alla fiamma. La carta prese fuoco, le parole si trasformarono in fumo.
Il giornalista lasciò cadere il fogli nel braciere e li guardò consumarsi.
“Quella del Fantasma dell'Opera è una bella storia- mormorò- e sono certo che un giorno verrà raccontata. Ma non sarò io a farlo”.

*

Per un insieme di fatti curiosi avvenuti durante il tragitto da Parigi a Saint-Gaudens, la carrozza del visconte De Chagny e il treno di monsieur Bertrand giunsero a destinazione quasi allo stesso momento.

L'investigatore scese dal vagone, andò alla locanda della stazione e pranzò senza riuscire ad assaporare il cibo, tanto era forte il sapore della rivalsa che gli inondava tutti i sensi.
Dopo pranzo restò seduto al tavolo bevendo una generosa dose di cognac. E attese.
Era completamente preso dalle sue riflessioni quando sentì dei risolini provenire dalle sue spalle. Si voltò e vide un gruppo di ragazze sedute a prendere il tè. Quando guardò nella loro direzione si accorse che le fanciulle lo stavano fissando.
“Posso fare qualcosa per voi?” chiese con poco garbo,
le giovani si scambiarono alcune parole sottovoce, poi una di loro si alzò e andò verso di lui,
“Perdonate, monsieur, mi chiamo Corinne- disse la ragazza sorridendo- io e le mie amiche non volevamo importunarvi, ma abbiamo visto quel giornale accanto al vostro cappotto. Venite da Parigi, vero?”,
Bertrand guardò il cappotto che aveva piegato sullo schienale della sedia vuota accanto a sé, dalla tasca interna sporgeva una copia sgualcita di un vecchio giornale che aveva acquistato alla stazione di Parigi prima di mettersi in viaggio,
“Si, avete indovinato mademoiselle” rispose sbrigativo
“Oh, io e le mie amiche ogni tanto veniamo qui a prendere il tè sperando di poter parlare con qualcuno in arrivo da Parigi”
“Ah, capisco. Scopo della vostra vita è importunare gli avventori, magnifica occupazione davvero”,
Corinne rise, coprendosi il visino da bambola con la manina candida. Credeva che quella dello sconosciuto visitatore fosse una battuta.
“Vedete, una persona a me molto cara, un vecchio amico di infanzia è andato a Parigi a lavorare per un giornale- disse la giovane- così mi chiedevo se per caso mi potreste far dare un'occhiata al vostro di giornale, sono assai curiosa”,
a quelle parole qualcosa si accese nella mente di Bertrand,
“Vi riferite forse ad Alexandre Dubois?” domandò, il tono di colpo si era fatto più cortese
“Proprio lui! Ma allora lo conoscete!”
“Abbiamo condiviso una bella avventura, se così si può dire”
“Siete venuto a trovarlo? È qui da un paio di settimane. Speravo di poterlo andare a trovare, ma ha degli ospiti importanti e mi ha detto che preferisce vedermi quando potremo stare da soli”, lo sguardo di Corinne si accese di una scintilla di ostentata malizia, quella di una bambina che vuole fingere di essere cresciuta.
Bertrand si lasciò scappare una risatina. Conosceva Alexandre Dubois abbastanza bene da sapere che mai e poi mai avrebbe provato interesse per quella ragazzina.
“Ospiti importanti, dite?” le chiese fingendosi stupito
“Oh si, ne sono arrivati altri anche oggi, verso ora di pranzo. Una carrozza con un blasone. Ospiti importanti, per l'appunto, avrà fatto molte conoscenze a Parigi! Ma voi... non siete qui per lui?”
“Non solo per lui, mia cara.- concluse l'investigatore- Andrò a trovare il nostro caro Alexandre quando sarà il momento adatto. Prendete pure il mio giornale se volete”.

*

Raoul pensò che trovava difficile immaginare che il suo amico Alexandre fosse nato e cresciuto in un posto del genere. Saint- Gaudens era un luogo grazioso, ma appariva così... così provinciale.
Mentre il ragazzo era intento a pensare, Christine saltò giù dalla carrozza.
“Mio Dio! Hai deciso di romperti una gamba?” la rimproverò Raoul, ma la ragazza non lo ascoltò e andò a bussare alla porta della casa.
Anche Raoul scese dalla carrozza, per un po' resse con una certa determinatezza gli sguardi dei curiosi che si fermavano a osservare lo stemma dipinto sullo sportello della vettura, poi si sentì cogliere dall'imbarazzo. Non gli capitava mai di destare tutto quell'interesse e all'improvviso provò una grande voglia di tornare a casa.
Alexandre aprì la porta e sorrise,
“Benvenuti” disse raggiante.
Christine gli prese una mano tra le sue,
“Sono così contenta di rivederti!” esclamò
“Anch'io. Specie dopo aver trascorso tutto questo da solo in compagnia di quella specie di orso” scherzò il giovane.
Raoul entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle, lui e il suo amico videro Christine correre via, verso le scale.
“Sembra essersi ripresa del tutto- osservò Alexandre- e tu, mio amico dal cuor malato?”
“Sto ancora meditando su quale sia il modo migliore per farla finita” scherzò il visconte. La malinconia per quell'amore sperato e non ricambiato non gli era passata, ma in quel momento sembrava che intorno ci fosse quasi aria di festa.

*

Erano di nuovo insieme. Insieme.
Era tutto ciò a cui Erik riuscì a pensare mentre affondava il viso tra i capelli di Christine e ne aspirava il profumo.
Christine si sentiva stanca, a pezzi. La lunga strada l'aveva provata, la ferita non si era ancora rimarginata del tutto e lei era consapevole che era stata un terribile azzardo mettersi in viaggio.
“Oh, Erik...” mormorò
“Ritrovarti fa quasi più male che perderti” disse lui, con il cuore impazzito che martellava contro le costole.
Il vento soffiò via le nuvole dal loro orizzonte. Un orizzonte ancora lontanissimo eppure, finalmente, macchiato d'azzurro.
Una nuova tempesta si stava preparando, ma loro non potevano saperlo. Gli occhi del nemico scrutavano quello stesso orizzonte pronti a soffiarci contro altre nuvole. Gli occhi del nemico erano lì, vicini. Vicinissimi...

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Un luuungo paragrafo dedicato al cuoricino nero di Berty era dovuto.
I due fratelli che giocano ad acchiapparello non erano in programma, ma quanto mi piace farli azzuffare!
Per il resto... ehm ehm... lo so, il finale aperto è da pazza sadica, ma che ci volete fare? Ho a che fare con uno come Erik e si sa, chi pratica lo zoppo impara a zoppicare...

   
 
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