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Autore: vincenzoborriello    20/10/2010    0 recensioni
Un continuo confronto tra l'amore e la morte fino al fondersi dei due elementi nella mente di un folle assassino
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parlai con Mary, come se fosse fisicamente presente di fronte a me, pregai per lei; come se quei poveri resti umani, quel corpo senza vita, potesse ascoltarmi. Provai anche un po’ d’orgoglio nel dirle che il suo assassino era stato catturato, perché sapevo che era anche per merito mio, ma fu in quel momento che i sensi di colpa tornarono ad assalirmi, perché ancora non avevo potuto dire lo stesso alla mia Franceen e non sapevo se mai un giorno, avrei potuto farlo. L’idea di finire anch’io seppellito senza che Franceen avesse avuto giustizia, non mi dava pace. Era un chiodo fisso, di notte di giorno, che fossi a lavoro oppure attaccato alla bottiglia. Non esisteva anestetico per quel dolore, quel disagio interiore che se non lo si prova non lo si può capire. L’ansia che ti attanaglia e che ti toglie il respiro, il sudore freddo che come gocce di ghiaccio ti scende dalla fronte ed il cuore che batte all’impazzata. Tutto diventa faticoso, persino respirare…gli sbalzi d’umore che non fanno capire alle persone che tipo sei, come devono comportarsi con te; paradossalmente il peggio è quando ti senti allegro, ed è la paura di perdere quell’allegria che ti fa sprofondare nella tristezza, nella depressione più assoluta. È per questo che ho paura quando sono felice…la felicità mi spaventa perché so che è solo un attimo, un’insignificante frazione della mia vita, l’anticamera della disperazione, è il nulla che prepotentemente bussa alla tua porta, ti avverte del suo arrivo, che sta venendo lì da te per fagocitarti ed a renderti parte del nulla stesso distruggendoti. Appassito come un fiore su di una tomba abbandonata mi trascinavo tra i viali del cimitero, stanco per lavorare, stanco per pensare, esausto per reagire. Il tempo trascorreva inesorabile eppure era tutto fermo, tutto immutabile, nulla cambiava ed io restavo aggrappato al mio passato, ai miei ricordi. Il dolore era l’unica cosa che mi ricordava di essere vivo, svuotato ma vivo, seppur forse, in un senso più che altro meccanicistico, un pezzo di carne, un corpo con un’anima sanguinante che vagava tra altri corpi interrogandomi se fossero più fortunati loro oppure io. Stavo vivendo uno dei miei momenti di peggior depressione, un male oscuro che nel momento stesso in cui sembra svanito, ti ripiomba addosso come un avvoltoio su una carcassa putrescente attratto dal fetore che essa emana. Ero la prigionia della mia anima, un’angusta cella che impediva al mio spirito di ricongiungersi con Franceen in un luogo migliore, e se fosse stato anche l’inferno, non sarebbe potuto essere peggiore di dove mi trovavo. Lo ammetto, pensavo al suicidio, ci pensavo e ci penso spesso. Via di fuga, liberazione, portale per la gioia eterna accanto a Franceen, oppure…oppure semplice vigliaccheria, non lo sapevo e non m’interessava saperlo. Cos’altro avevo se non una tomba su cui riversare le mie lacrime, soffrire come un cane e dannarmi, maledirmi per quello che ho fatto e per quello che non ho fatto. Urlare il mio anatema contro un assassino senza volto, senza nome, e certamente senza umanità. Un mostro; ecco contro chi riversavo il mio odio, chi calamitava la mia rabbia, la mia disperazione. Solo una cosa non mi era chiara, il mostro contro chi urlavo era il carnefice di Franceen oppure io? Io che l’avevo mangiata, io che non ho saputo difenderla, nonostante la promessa fattale dinnanzi a Dio quando al suo dito posi l’anello, pegno del mio eterno amore. Lo ricordo bene quel giorno, com’è ovvio che sia, le gambe che mi tremavano e la voglia di scappare, poi tutte le mie paure svanirono quando dall’altare, avvolta da un fascio di luce, la vidi entrare con il suo abito bianco, accompagnata da suo padre e venire verso di me. Donald, mio suocero, così come Diana, la mamma di Franceen, dal giorno del funerale non mi hanno più rivolto la parola, e quando fanno visita alla loro figliola, io mestamente, me ne sto in disparte. Li capisco, come potrebbero mai guardarmi negli occhi dopo quello che ho fatto?
   
 
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