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Autore: HarryJo    20/10/2010    7 recensioni
Dal secondo capitolo:
Arianna disse: “Lei è Francesca!”
Il ragazzo mi guardò: gli strinsi la mano e non gliel’avrei mai voluta lasciare.
Capelli neri, occhi castani, sorriso stupendo. Ecco com’era, ecco com’è. Alto, snello, perfetto. Mi ero incantata a guardarlo, così. L’avevo incastonato nell’oro più prezioso.
“Chi sei?”. Oddio, la voce mi fece tremare il cuore. Ma davvero esisteva? Il mio cuore nel frattempo aveva iniziato a correre una maratona, e sembrava determinato a vincere a tutti i costi.
“Francesca” risposi incerta, senza togliere né la mano né lo sguardo.
“Chi sei?” ripeté lui, ridendo.
“Così la metti in imbarazzo!” osservò Arianna, che, anche se io non me n’ero accorta, era ancora lì accanto a me.
“Chi sei?” chiesi io, unendomi alle sue risate.
“Zeno!” Oh.
Il primo pensiero fu: ma che nome insolito!, solo che me lo tenni per me. Dopotutto, a una tale rarità di bellezza, corrispondeva una rarità di nome.

Dall'ultimo capitolo:
Oggi mi son detta che questa vita ha sostanzialmente tre tempi verbali: il passato, il presente e il futuro. E a te appartiene solo il primo. Così, ho raccolto tutti i miei pezzi, che sanno ancora di te, e li ho ricomposti.
Storia vera!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Erica & Davide, it's a never ending story.'
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5 – D’amante in guancia un puro bacio

5 – D’amante in guancia un puro bacio.

 

 

 

26 giugno 2010.

 

Arrivai in stazione alle 16.04 e non c’era. Pensai davvero di esser stata presa in giro, che mi aveva ingannata o che so io, che si stesse facendo quattro risate a casa, mentre io ero lì, sola, a guardarmi in giro. Me ne stavo andando, con le lacrime agli occhi mi stavo dirigendo a prendere il biglietto per tornarmene a casa. Avrei stracciato la sua immagine dal mio cuore, avrei cancellato le sue parole, avrei distrutto il ricordo di quel giorno, avrei…

Mi girai, d’impulso. Era dietro di me, più perfetto che mai, più perfetto di qualsiasi perfezione. Gli occhi si inumidirono ancora per qualche istante, ma poi riuscii a riavere il controllo sulle mie gambe, tanto che sorrisi e mi avvicinai.

Maglietta azzurra, braghette corte marroni, mani in tasca, lui.

Maglietta azzurra, jeans blu corti, mani in tasca, io.

Era un po’ come vedermi allo specchio nella mia forma maschile, solo che lui era la bella copia, quella luminosa, quella splendente; lui era il quadro da un milione di euro, io lo schizzo buttato nel cestino.

“Volevo vedere se ti accorgevi che ti ero dietro” mi disse, appena fui abbastanza vicina da sentire il suono perfetto della sua voce.

“Gentile” mormorai, e poi risi. Averlo lì mi rendeva felice come non mai, come nessuna persona abbia mai sperimentato sulla propria pelle.

“Facciamo un giro?” propose, ed io annuii in silenzio.

Fu estremamente… Bello e semplice, parlare con lui. Camminavo e non mi accorgevo della stanchezza, i piedi lo seguivano e gli occhi lo ammiravano, il cuore batteva nelle sue parole e la testa accondiscendeva ad ogni suo pensiero, le mie orecchie ascoltavano i suoi discorsi e la mia bocca si cibava dei suoi sguardi. Mi aveva presa, rivoltata e inginocchiata davanti a lui: ero in suo potere.

“Sai, non so se la fanno più quest’anno la festa della birra a Breda” gli dissi dopo un’oretta circa, appena seduti in una panchina sperduta. “Mancano i fondi”.

“Cosa? Ma proprio quest’anno che c’era un buon motivo per andarci?” sbuffò lui. “E il buon motivo non era di certo la birra” aggiunse poi, guardandomi.

Sentii il cuore cominciare a fare le capriole dentro di me; sembravano esser passati secoli dall’ultima volta che aveva praticato ginnastica artistica a livello agonistico.

“E qual è il buon motivo, scusa?” chiesi, curiosa di saper la risposta.

“C’è una tipa che conosco che mi sta simpatica che vien da lì” rispose, vago.

“Come si chiama? Forse la conosco” lo stuzzicai.

“Francesca” disse e distolse lo sguardo. Mi crollò il cuore, poi si ricompose e cominciò a ballare, saltare e cantare dentro al mio petto, tanto che ci misi un po’ per rispondere e stare al gioco.

“La conosco, sì. Mi hanno detto che sarebbe molto dispiaciuta anche lei se non facessero la festa della birra, il che è strano, di solito non le importa molto, anzi”.

“Oh… E per caso sai come mai le interessa tanto quest’anno?” chiese lui, sempre evitando i miei occhi.

“C’era un tipo che le stava simpatico che le aveva promesso che sarebbe andato a trovarla” dissi, cercando di normalizzare i battiti del cuore, invano.

“Ah… Un tipo…” mormorò, quasi triste.

“Il suo nome mi sembra inizi perZ’ e finisca per ‘eno’!” esclamai, euforica.

Zeno! Lo conosco, è un figo!” urlò lui, e finalmente tornò a guardarmi, mentre io non riuscivo a smettere di ridere. Ero felice, spensieratamente felice, e più nessun macigno mi pesava il cuore. Quando spensi le mie risate, lui mi fissò negli occhi a lungo e poi disse: “Scherzi a parte, il mio buon motivo per venire alla festa della birra a Breda, eri tu”.

“Ed il mio eri tu” mormorai, un po’ intimorita dal suo sguardo perforante e con le guance che si tingevano di rosso.

Rimanemmo per secoli a guardarci così, a sorriderci. Poi, lui si avvicinò e mise un braccio dietro le mie spalle. Spontaneamente abbassai lo sguardo per un po’, ed un ciuffo di capelli mi ricadde sulla guancia sinistra. Lui sfiorò con le dita la mia pelle e mi scostò la ciocca, riponendola dietro all’orecchio. Il tocco delle sue dita, caldo e perfetto, mi aveva resa cremisi, ma non feci davvero tempo a rendermi conto di quel gesto, perché le sue labbra si appoggiarono alla mia guancia per qualche secondo e poi si staccarono.

Mi ha bruciato quell’istante, ha incenerito la mia guancia, mi ha marchiato a fuoco, mentre la terra si era fermata e il sole aveva cominciato a girare intorno a noi. E fu alba e tramonto, fu giorno e notte, fu sole e luna, mentre io lo guardavo negli occhi, sorpresa.

Poi, scoppiarono i fuochi d’artificio e la gente attorno a noi cominciò a danzare, gli uccelli a cantare, i bambini a ridere; le nostre labbra invece si esploravano pian piano, si assaporavano nella favola che ci circondava.

Ci staccammo e ci abbracciammo, e mentre mi appropriavo di un calore che non era il mio, le sue parole cominciarono ad avvolgermi: “Se non l’hai ancora capito, ma credo di sì perché sei intelligente, mi piaci”.

Dell’enorme festa che si era creata prima, niente era rimasto, si era tutto fermato, come se qualcuno avesse schiacciato il tasto ‘stop’ per cercare di capire e di assaporare bene quelle parole, nuove.

“Visto che sei più intelligente di me, l’avrai capito anche tu che anche per me è così” mormorai, e quel giorno, forse precoce, anzi, di sicuro così, fu l’inizio della nostra storia. Lui aveva imprigionato il mio cuore nel suo ed io mi ero limitata a guardarlo dietro alle sue sbarre e a sorridere, perché ero convinta che fosse lui, la mia salvezza.

 

 

{ Spazio Harry_Jo.

Eccoci, questo è stato il giorno più difficile da scrivere, credo. Insieme a pochi altri.

Come forse avrete notato, non ho avuto il coraggio di dire “mi piaci” a mia volta, il mio era un semplice e banale “anche per me”. E non sapete quanto me ne pento tuttora.

A chi lo dedico questo? Beh, sono egoista, lo dedico a me, perché le lacrime che ho versato nella tastiera, in queste parole, non sono mai state così pesanti.

Spero di sapere cosa ne pensate, anche se vedo sempre che non riscuote successo per quanto riguarda le recensioni, questa storia. Comunque non mi butto giù e continuo a scriverla, perché ne ho bisogno, e perché comunque 12 persone la stanno seguendo, che ringrazio con tutto il cuore.<3

Un abbraccio, Vostra

Erica.

   
 
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