You're
My Best Friend.
You're
the best friend that I ever had I've been with
you such a long time You're my sunshine And I
want you to know That my feelings are true I
really love you
Diletta
si scostò i lunghi capelli mori dagli occhi
scuri, osservando la massa di gente che si spingeva nel
piccolo aeroporto di Pisa, alzandosi sulla punta dei
piedi per riuscire a scorgere un segno di lui,
che fossero i capelli, o la sua borsa da viaggio
preferita, o i suoi pantaloni troppo stretti, o il suo
sorriso contagioso.
Sorrise
al solo pensiero di averlo tutto per sé per un
intero week-end, suo e di nessun altro, nemmeno dei suoi
stessi fratelli, che erano rimasti a Dallas.
Solo
lei e Joe. Per due giorni. Lei, la semplice sedicenne, e
Joe, il ventunenne completamente fuori di testa. Il suo
migliore amico.
Ancora
non le era ben chiaro come Joseph – Joe Jonas,
l'Idiota, il Troglodita, la pop star – fosse
diventato il suo migliore amico. Era cominciato tutto
due anni prima, con una cartina sbagliata nel bel mezzo
di Milano in cui si trovava per trovare un'amica e un
taxi. Erano saliti entrambi sullo stesso taxi, per
risparmiare tempo dato che entrambi andavano più
o meno nella stessa direzione ed era semplicemente
iniziata.
E
mai finita.
Due
anni di e-mail e chat ad orari impossibili, di concerti
seguiti via TV dall'altra parte del mondo, telefonate
brevi, lettere troppo lunghe.
Diletta
l'aveva sentito al telefono piangere quando Camilla
aveva chiuso con lui, l'aveva sentito ridere, felice,
quando si era messo con Ashley. E quando parlava dei
suoi fratelli ne rimaneva come ipnotizzata.
Le
cuffie dell'iPod penzolavano fuori dalla tasca dei suoi
jeans, dondolando quando lei saltellava sul posto
cercando di vederlo.
Era
stata chiara sul luogo dell'incontro: aveva detto sotto
l'insegna della
pubblicità di Armani, l'unico cartellone in tutto
l'aeroporto al riguardo, e il suo volo era atterrato
quindici minuti prima.
«Stupido
Joseph», mormorò, incrociando le braccia al
petto, irritata e appoggiandosi alla parete dietro di
sé, dando un'occhiata ai passanti.
Quella
volta non sarebbe stata lei ad andare a cercarlo, doveva
essere lui trovarla,
non come le otto volte precedenti.
Si
voltò, per osservare distrattamente il cartellone
pubblicitario, colpita da un dubbio improvviso. Per la
stanchezza che l'accompagnava dal primo giorno di scuola
magari poteva aver sbagliato e letto sbagliato. Ma no,
lei non era mica così stupida, lei non era come
Joe.
Due
braccia muscolose le cinsero la vita in una presa
possente ma allo stesso tempo dolce, leggera, e poi una
voce sussurrata nell'orecchio destro.
«Ciao,
Dils», mormorò Joe, ridacchiando, per poi
stamparle un bacio su una guancia, per poi voltarla
nella sua direzione.
Diletta
lo guardò con gli occhi spalancati dalla
felicità, come nei cartoni animati.
«Joe,
sei qui!», soffiò, stringendosi al suo
petto caldo e lasciandosi abbracciare, dondolando sul
posto.
Il
ventunenne ridacchiò e sorrise, abbassando il
capo per baciarle i capelli. Era solo in situazioni come
quella - quando nessuno al di fuori della propria
famiglia sapeva dove fosse andato – che poteva
permettersi simili slanci di affettività nei
confronti delle sue amiche, in particolare con la sua
migliore amica, dopo che con Demi era finita, in tutti i
sensi.
«Mi
sei mancata, Dils», disse Joe, prendendole il viso
tra le mani e guardandola negli occhi.
«Anche
tu a me, Joe», sorrise lei, a trentadue denti, per
poi prenderlo per mano. Per loro era naturale
stringersi, abbracciarsi, tenersi per mano, perché,
l'uno per l'altra, erano solo migliori amici,
perché così doveva essere, perché
entrambi avevano perso i loro precedenti migliori amici
e non potevano permettersi
di perderne un altro. Perché una relazione, che
in fondo era quello che veramente desideravano, non
poteva esistere. Per paura, forse, codardia, anche. O
più probabilmente il coraggio, il coraggio di
continuare a guardarsi negli occhi e resistere al voler
sfiorare con le proprie labbra quelle dell'altro,
sfiorarsi e sentire una corrente elettrica, accompagnata
dal desiderio di andare oltre, ma continuare a toccarsi
come due buoni amici.
Continuare
ad essere Joe e Diletta, e non i Jiletta come li avrebbe
definiti la stampa. Solo loro.
Camminarono
tenendosi per mani, scherzando, raccontandosi le ultime
novità – la probabile gravidanza di
Danielle, la nuova cotta del fratellino di Diletta,
Lorenzo – salendo poi sul primo pullman che era
passato.
«Sembri
truzzo», riferì la ragazza, accennando agli
occhiali da sole, sorridendo. «Ci saranno tre
gradi, è nuvolo, e tu sei l'unico che porta gli
occhiali da sole.»
«Se
preferisci essere rincorso da una massa di fan impazzite
dica pure, signorina», sbuffò Joe, passando
un braccio intorno al braccio della ragazza mentre la
solita scossa lo percorreva e in lei il desiderio di
averlo suo scoppiava
come una bomba ad orologeria.
«Allora,
dove mi porti?», domandò Joe, interrompendo
il silenzio che si era creato e che poteva acquisire un
significato se fosse andato avanti.
«Da
“Pancino”, sono le vacanze Natalizie, non ci
sarà nessuno», spiegò lei con un
sorriso. «Mangiamo lì e poi ti accompagno
in albergo. Dopo hai libero arbitrio, facciamo ciò
che vuoi tu».
Joe
alzò le sopracciglia ad intermittenza, montando
un'espressione a suo modo terrificante.
«Va
bene, daccordo»,
disse, beffeggiando, mentre il suo sguardo si spostava
verso il finestrino del pullman e guardava il paesaggio
della periferia. Stavano entrando a Pisa.
La
ragazzo lo osservò un attimo e si alzò
sulle punte dei piedi per baciarlo su una guancia,
cingendogli poi la vita con le braccia e appoggiando la
testa sul suo petto. Riusciva a sentire il suo cuore che
aumentava i battiti cardiaci, come impazzito.
Joe
aspettò qualche secondo prima di abbassare il
capo e guardarla, mentre un sorriso spontaneo gli si
dipingeva sulle labbra rosee.
«Comoda?»,
domandò, notando che Diletta aveva chiuso gli
occhi e sembrava fosse pronta ad addormentarsi.
In
tutta risposta lei annuì semplicemente mentre gli
faceva la linguaccia, tenendo sempre gli occhi chiusi.
Joe
scosse il capo e prese ad accarezzarle la schiena
laddove arrivava tenendo sempre un braccio intorno al
suo collo.
Una
vecchia signora, coperta sino alla bocca da una lunga
sciarpa a quadri, seduta di fronte a loro li guardava
sorridendo appena sul volto rugoso, ricordando com'erano
lei e suo marito – suo marito, che l'aspettava a
casa – quando erano ancora giovani.
«È
da tempo che non vedevo una coppia come voi»,
commentò, mentre il sorriso le si allargava sul
viso ora illuminato da una luce nuova.
«Ehm...
What? I'm american», domandò Joe, con
cipiglio incuriosito. Diletta gli aveva insegnato
qualche parola in italiano ma non era ancora capace di
fare un discordo, né tanto meno di comprenderlo.
Nathalie
Jenkins in Squadrelli, che era nata in America e
espatriata in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale
per nascondersi in campagna da alcuni parenti e
conosceva benissimo, quindi, l'inglese.
«È
da tempo che non vedevo una coppia come voi»,
ripeté l'anziana donna nella lingua madre del
ragazzo.
Joe
abbassò istantaneamente lo sguardo su Diletta,
che strano a dirsi sembrava essersi davvero addormentata
o era caduta comunque in uno stato di dormiveglia.
«Oh,
ma noi a dire il vero non stiamo insieme», spiegò
Joe, talmente velocemente da mangiarsi le parole facendo
ridacchiare Nathalie.
«Non
sembra proprio», disse, accarezzando con la voce
lo sguardo amorevole che Joe rivolgeva alla sua migliore
amica. «La
guardi come... Se fosse la tua ragione di vita.»
«Lo
è», chiarì Joe. Lo era, era la sua
Diletta, senza di lei non sarebbe riuscito a
sopravvivere. Non poteva nemmeno pensarci, sarebbe stata
una vita come senza i suoi fratelli, avrebbe perso una
parte fondamentale di sé stesso.
«Oh»,
disse la donna. «Forse dovrei starmene zitta,
forse ho perso il senno, dopotutto, ma a me parete più
di semplici amici. Perdonami, ragazzo, se ti sembro
invadente, ma non vedo qualcuno guardare una ragazza
come te da anni».
Joe
sorrise, senza sapere che dire. Come avrebbe potuto
comunque ribattere? Glielo diceva anche sua madre che
guardava Diletta come se lei fosse il centro
dell'universo, come se fosse il sole o la stella più
grande, più bella e più luminosa nello
spazio.
«Forse
è vero», mormorò infine.
«Già,
forse», sorrise la vecchia, alzandosi dal suo
sedile e avvicinandosi alle porte scorrevoli del pullman
che si stavano aprendo arrivato a una fermata. «Buona
giornata».
«A
lei», ricambiò il ragazzo. La seguì
con lo sguardo mentre scendeva e il bus riprendeva il
suo percorso finché non girò a una curva.
Non
la rivide mai più, ovviamente.
«Dils,
qui io non so dove devo scendere, se sei viva dammi un
segno», mormorò il ragazzo in un orecchio
della sedicenne.
«Idiota»,
sibilò Diletta pochi secondi dopo, togliendo la
testa dal petto di Joe dov'era rimasta appoggiata sino a
quel momento.
«Ti
amo anch'io», scherzò Joe, con un fondo di
verità.
Quelle
parole, per quante buttate giù a caso fecero
perdere un battito al cuore della ragazza, che poi
riprese a battere più forte che mai.
Stupida,
si sussurrò, lascia perdere, è
il tuo migliore
amico.
Scesero
e si avviarono, sempre tenendosi per mano, verso
Pancino, la pizzeria, a parere di Diletta, più
buona nel raggio di chilometri.
Come
aveva predetto la ragazza il locale era quasi
interamente vuoto, durante le vacanze di Natale erano
tutti partiti lasciando i proprietari del ristorante a
destreggiarsi tra pochi clienti.
Mangiarono
in un tavolino per due, scherzando e ridendo,
intrecciando le mani ogni tanto. Era come una
dipendenza, necessitavano l'uno
dell'altra come ha bisogno una canzone di una melodia.
A
fine pranzo litigarono su chi avrebbe pagato il conto e
come al solito finì che divisero il conto, ma non
appena la ragazza si distrasse un po' Joe le infilò
una banconota nella borsa, restituendole i soldi che
aveva speso.
«Sbaglio
o ora è il mio turno?»,
domandò il cantante, montando un'espressione da
pazzo sul volto giovane facendo ridere Diletta.
«Sì,
l'avevo promesso e così sarà»,
annuì, non più tanto convinta.
«Benissimo!»,
esclamò lui mettendole il cappello che portava
lui in testa sentendo l'aria ancora più frizzante
di quanto lo fosse stata prima della loro entrata nella
pizzeria.
«Ti
prenderai un accidenti, altrimenti», le spiegò,
scrollando le spalle.
«Joseph,
sono più abituata io al freddo che te. Vivi in
Texas»,
disse l'ultima parola come se fosse una parolaccia.
Distanza, maledetta distanza, maledetto Oceano Pacifico
e maledetto fuso orario.
Il
ventunenne non aggiunse altro e cingendole le spalle.
Non appena Diletta gli aveva detto che avrebbe scelto
lui dove portarla aveva subito pensato a quel luogo. Ne
aveva talmente a lungo sentito parlare che ce l'avrebbe
portata comunque, prima o poi.
«Non
vuoi portare prima la tua roba in albergo?», gli
domandò Diletta, cercando di stare al suo passo
troppo veloce in quel momento.
Il
ragazzo negò con il capo, lo zaino che utilizzava
anche come bagaglio sulle spalle.
Diletta
scosse il capo, sorridendo, vedendolo così
concentrato mentre si sforava di capire dove
la voleva portare.
«Jos...».
«Shh»,
mormorò lui, mettendole un dito sulle labbra,
lasciandola di stucco. «Mi sto concentrando».
«Oh,
beh, allora», disse Diletta, poi lanciò
indietro la testa e rise.
Joe
sentì un peso nel cuore sciogliersi al suono di
una simile risata, la sua risata.
Una risata così dolce, così melodica, come
una poesia o una canzone.
«Ecco,
ora so dove dobbiamo andare», sussurrò lui,
quasi fra sé e sé e facendo un passo
avanti.
Ooh,
I've been wandering round But I still come back to
you (still come back to you) In rain or shine
You've stood by me girl I'm happy at home (happy
at home) You're my best friend
Addirittura
Piazza dei Miracoli era vuota. Da un'intera vita che
Diletta viveva a Pisa non l'aveva mai vista deserta,
c'era sempre stata qualche coppia in un angolo, a
scambiarsi dolcezze e baci rubati.
«Joe...»,
mormorò, piano, «cosa ci facciamo in Piazza
dei Miracoli?».
Il
ventunenne non rispose e si avvicinò
semplicemente a lei, prendendole entrambe le mani e
avvicinandole ai propri petti che quasi si sfioravano.
I
loro nasi erano a pochi millimetri l'uno dall'altro, le
bocche poco più distanti.
«Joe,
per favore, non farlo», mormorò Diletta,
abbassando il capo, ma senza allontanarsi.
«Cosa?».
«Non
fare così, non comportarti con me come se fossi
innamorato», lo supplicò.
Joe
inarcò un sopracciglio, confuso.
«C...
come? Perché?».
«Non
voglio illudermi», ammise lei in un sussurro
talmente basso che il ventunenne la udì appena.
E
fu meraviglioso. Come se tutto fosse diventato migliore.
Come se il mondo ora fosse a colore.
«Io
ti voglio», disse lui, mormorando. «Ti
voglio davvero, non come amico».
«Che...
Che cosa stai dicendo?», chiese Diletta, confusa,
mentre la schiena dorsale veniva scossa da un tremito, e
probabilmente non era il freddo che le penetrava le
ossa.
«Questo»,
sussurrò Joe, prendendole il viso tra le mani e
avvicinandolo alle proprie labbra.
Diletta
si pietrificò un attimo, cercando di capire ciò
che stava accadendo. Non riusciva a capire perché
il suo migliore
amico la stesse
baciando in Piazza dei Miracoli, il luogo in cui gli
innamorati di solito si incontravano.
Si
chiese, anche, perché una cosa che sarebbe dovuta
essere così sbagliata le piacesse tanto, perché
finalmente si sentisse completa.
«Sei
la donna della mia vita», mormorò Joe,
sentendo che lei non rispondeva al bacio. «Dovevo
dirtelo».
Diletta
scosse il capo.
«No»,
mormorò. «Sono la tua migliore
amica» e
prima che Joe potesse aggiungere altro fece di nuovo
combaciare le loro labbra, in sincrono.
Nel
freddo cielo pisano cadde il primo fiocco di neve.
Oh,
you're the first one When things turn out bad You
know I'll never be lonely You're my only one And
I love the thing I really love the things that you
do
{You're
my best friend; Queen}
{The
End}
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