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Autore: Maggie_Lullaby    21/10/2010    5 recensioni
«Mi sei mancata, Dils», disse Joe, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi.
«Anche tu a me, Joe», sorrise lei, a trentadue denti, per poi prenderlo per mano. Per loro era naturale stringersi, abbracciarsi, tenersi per mano, perché, l'uno per l'altra, erano solo migliori amici, perché così doveva essere, perché entrambi avevano perso i loro precedenti migliori amici e non potevano permettersi di perderne un altro. Perché una relazione, che in fondo era quello che veramente desideravano, non poteva esistere. Per paura, forse, codardia, anche. O più probabilmente il coraggio, il coraggio di continuare a guardarsi negli occhi e resistere al voler sfiorare con le proprie labbra quelle dell'altro, sfiorarsi e sentire una corrente elettrica, accompagnata dal desiderio di andare oltre, ma continuare a toccarsi come due buoni amici.
Dedicata a quella persona speciale che è Diletta.♥
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Diletta.'
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You're My Best Friend.

You're the best friend
that I ever had
I've been with you such a long time
You're my sunshine
And I want you to know
That my feelings are true
I really love you


Diletta si scostò i lunghi capelli mori dagli occhi scuri, osservando la massa di gente che si spingeva nel piccolo aeroporto di Pisa, alzandosi sulla punta dei piedi per riuscire a scorgere un segno di lui, che fossero i capelli, o la sua borsa da viaggio preferita, o i suoi pantaloni troppo stretti, o il suo sorriso contagioso.

Sorrise al solo pensiero di averlo tutto per sé per un intero week-end, suo e di nessun altro, nemmeno dei suoi stessi fratelli, che erano rimasti a Dallas.

Solo lei e Joe. Per due giorni. Lei, la semplice sedicenne, e Joe, il ventunenne completamente fuori di testa. Il suo migliore amico.

Ancora non le era ben chiaro come Joseph – Joe Jonas, l'Idiota, il Troglodita, la pop star – fosse diventato il suo migliore amico. Era cominciato tutto due anni prima, con una cartina sbagliata nel bel mezzo di Milano in cui si trovava per trovare un'amica e un taxi. Erano saliti entrambi sullo stesso taxi, per risparmiare tempo dato che entrambi andavano più o meno nella stessa direzione ed era semplicemente iniziata.

E mai finita.

Due anni di e-mail e chat ad orari impossibili, di concerti seguiti via TV dall'altra parte del mondo, telefonate brevi, lettere troppo lunghe.

Diletta l'aveva sentito al telefono piangere quando Camilla aveva chiuso con lui, l'aveva sentito ridere, felice, quando si era messo con Ashley. E quando parlava dei suoi fratelli ne rimaneva come ipnotizzata.

Le cuffie dell'iPod penzolavano fuori dalla tasca dei suoi jeans, dondolando quando lei saltellava sul posto cercando di vederlo.

Era stata chiara sul luogo dell'incontro: aveva detto sotto l'insegna della pubblicità di Armani, l'unico cartellone in tutto l'aeroporto al riguardo, e il suo volo era atterrato quindici minuti prima.

«Stupido Joseph», mormorò, incrociando le braccia al petto, irritata e appoggiandosi alla parete dietro di sé, dando un'occhiata ai passanti.

Quella volta non sarebbe stata lei ad andare a cercarlo, doveva essere lui trovarla, non come le otto volte precedenti.

Si voltò, per osservare distrattamente il cartellone pubblicitario, colpita da un dubbio improvviso. Per la stanchezza che l'accompagnava dal primo giorno di scuola magari poteva aver sbagliato e letto sbagliato. Ma no, lei non era mica così stupida, lei non era come Joe.

Due braccia muscolose le cinsero la vita in una presa possente ma allo stesso tempo dolce, leggera, e poi una voce sussurrata nell'orecchio destro.

«Ciao, Dils», mormorò Joe, ridacchiando, per poi stamparle un bacio su una guancia, per poi voltarla nella sua direzione.

Diletta lo guardò con gli occhi spalancati dalla felicità, come nei cartoni animati.

«Joe, sei qui!», soffiò, stringendosi al suo petto caldo e lasciandosi abbracciare, dondolando sul posto.

Il ventunenne ridacchiò e sorrise, abbassando il capo per baciarle i capelli. Era solo in situazioni come quella - quando nessuno al di fuori della propria famiglia sapeva dove fosse andato – che poteva permettersi simili slanci di affettività nei confronti delle sue amiche, in particolare con la sua migliore amica, dopo che con Demi era finita, in tutti i sensi.

«Mi sei mancata, Dils», disse Joe, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi.

«Anche tu a me, Joe», sorrise lei, a trentadue denti, per poi prenderlo per mano. Per loro era naturale stringersi, abbracciarsi, tenersi per mano, perché, l'uno per l'altra, erano solo migliori amici, perché così doveva essere, perché entrambi avevano perso i loro precedenti migliori amici e non potevano permettersi di perderne un altro. Perché una relazione, che in fondo era quello che veramente desideravano, non poteva esistere. Per paura, forse, codardia, anche. O più probabilmente il coraggio, il coraggio di continuare a guardarsi negli occhi e resistere al voler sfiorare con le proprie labbra quelle dell'altro, sfiorarsi e sentire una corrente elettrica, accompagnata dal desiderio di andare oltre, ma continuare a toccarsi come due buoni amici.

Continuare ad essere Joe e Diletta, e non i Jiletta come li avrebbe definiti la stampa. Solo loro.

Camminarono tenendosi per mani, scherzando, raccontandosi le ultime novità – la probabile gravidanza di Danielle, la nuova cotta del fratellino di Diletta, Lorenzo – salendo poi sul primo pullman che era passato.

«Sembri truzzo», riferì la ragazza, accennando agli occhiali da sole, sorridendo. «Ci saranno tre gradi, è nuvolo, e tu sei l'unico che porta gli occhiali da sole.»

«Se preferisci essere rincorso da una massa di fan impazzite dica pure, signorina», sbuffò Joe, passando un braccio intorno al braccio della ragazza mentre la solita scossa lo percorreva e in lei il desiderio di averlo suo scoppiava come una bomba ad orologeria.

«Allora, dove mi porti?», domandò Joe, interrompendo il silenzio che si era creato e che poteva acquisire un significato se fosse andato avanti.

«Da “Pancino”, sono le vacanze Natalizie, non ci sarà nessuno», spiegò lei con un sorriso. «Mangiamo lì e poi ti accompagno in albergo. Dopo hai libero arbitrio, facciamo ciò che vuoi tu».

Joe alzò le sopracciglia ad intermittenza, montando un'espressione a suo modo terrificante.

«Va bene, daccordo», disse, beffeggiando, mentre il suo sguardo si spostava verso il finestrino del pullman e guardava il paesaggio della periferia. Stavano entrando a Pisa.

La ragazzo lo osservò un attimo e si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo su una guancia, cingendogli poi la vita con le braccia e appoggiando la testa sul suo petto. Riusciva a sentire il suo cuore che aumentava i battiti cardiaci, come impazzito.

Joe aspettò qualche secondo prima di abbassare il capo e guardarla, mentre un sorriso spontaneo gli si dipingeva sulle labbra rosee.

«Comoda?», domandò, notando che Diletta aveva chiuso gli occhi e sembrava fosse pronta ad addormentarsi.

In tutta risposta lei annuì semplicemente mentre gli faceva la linguaccia, tenendo sempre gli occhi chiusi.

Joe scosse il capo e prese ad accarezzarle la schiena laddove arrivava tenendo sempre un braccio intorno al suo collo.

Una vecchia signora, coperta sino alla bocca da una lunga sciarpa a quadri, seduta di fronte a loro li guardava sorridendo appena sul volto rugoso, ricordando com'erano lei e suo marito – suo marito, che l'aspettava a casa – quando erano ancora giovani.

«È da tempo che non vedevo una coppia come voi», commentò, mentre il sorriso le si allargava sul viso ora illuminato da una luce nuova.

«Ehm... What? I'm american», domandò Joe, con cipiglio incuriosito. Diletta gli aveva insegnato qualche parola in italiano ma non era ancora capace di fare un discordo, né tanto meno di comprenderlo.

Nathalie Jenkins in Squadrelli, che era nata in America e espatriata in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale per nascondersi in campagna da alcuni parenti e conosceva benissimo, quindi, l'inglese.

«È da tempo che non vedevo una coppia come voi», ripeté l'anziana donna nella lingua madre del ragazzo.

Joe abbassò istantaneamente lo sguardo su Diletta, che strano a dirsi sembrava essersi davvero addormentata o era caduta comunque in uno stato di dormiveglia.

«Oh, ma noi a dire il vero non stiamo insieme», spiegò Joe, talmente velocemente da mangiarsi le parole facendo ridacchiare Nathalie.

«Non sembra proprio», disse, accarezzando con la voce lo sguardo amorevole che Joe rivolgeva alla sua migliore amica. «La guardi come... Se fosse la tua ragione di vita.»

«Lo è», chiarì Joe. Lo era, era la sua Diletta, senza di lei non sarebbe riuscito a sopravvivere. Non poteva nemmeno pensarci, sarebbe stata una vita come senza i suoi fratelli, avrebbe perso una parte fondamentale di sé stesso.

«Oh», disse la donna. «Forse dovrei starmene zitta, forse ho perso il senno, dopotutto, ma a me parete più di semplici amici. Perdonami, ragazzo, se ti sembro invadente, ma non vedo qualcuno guardare una ragazza come te da anni».

Joe sorrise, senza sapere che dire. Come avrebbe potuto comunque ribattere? Glielo diceva anche sua madre che guardava Diletta come se lei fosse il centro dell'universo, come se fosse il sole o la stella più grande, più bella e più luminosa nello spazio.

«Forse è vero», mormorò infine.

«Già, forse», sorrise la vecchia, alzandosi dal suo sedile e avvicinandosi alle porte scorrevoli del pullman che si stavano aprendo arrivato a una fermata. «Buona giornata».

«A lei», ricambiò il ragazzo. La seguì con lo sguardo mentre scendeva e il bus riprendeva il suo percorso finché non girò a una curva.

Non la rivide mai più, ovviamente.

«Dils, qui io non so dove devo scendere, se sei viva dammi un segno», mormorò il ragazzo in un orecchio della sedicenne.

«Idiota», sibilò Diletta pochi secondi dopo, togliendo la testa dal petto di Joe dov'era rimasta appoggiata sino a quel momento.

«Ti amo anch'io», scherzò Joe, con un fondo di verità.

Quelle parole, per quante buttate giù a caso fecero perdere un battito al cuore della ragazza, che poi riprese a battere più forte che mai.

Stupida, si sussurrò, lascia perdere, è il tuo migliore amico.

Scesero e si avviarono, sempre tenendosi per mano, verso Pancino, la pizzeria, a parere di Diletta, più buona nel raggio di chilometri.

Come aveva predetto la ragazza il locale era quasi interamente vuoto, durante le vacanze di Natale erano tutti partiti lasciando i proprietari del ristorante a destreggiarsi tra pochi clienti.

Mangiarono in un tavolino per due, scherzando e ridendo, intrecciando le mani ogni tanto. Era come una dipendenza, necessitavano l'uno dell'altra come ha bisogno una canzone di una melodia.

A fine pranzo litigarono su chi avrebbe pagato il conto e come al solito finì che divisero il conto, ma non appena la ragazza si distrasse un po' Joe le infilò una banconota nella borsa, restituendole i soldi che aveva speso.

«Sbaglio o ora è il mio turno?», domandò il cantante, montando un'espressione da pazzo sul volto giovane facendo ridere Diletta.

«Sì, l'avevo promesso e così sarà», annuì, non più tanto convinta.

«Benissimo!», esclamò lui mettendole il cappello che portava lui in testa sentendo l'aria ancora più frizzante di quanto lo fosse stata prima della loro entrata nella pizzeria.

«Ti prenderai un accidenti, altrimenti», le spiegò, scrollando le spalle.

«Joseph, sono più abituata io al freddo che te. Vivi in Texas», disse l'ultima parola come se fosse una parolaccia. Distanza, maledetta distanza, maledetto Oceano Pacifico e maledetto fuso orario.

Il ventunenne non aggiunse altro e cingendole le spalle. Non appena Diletta gli aveva detto che avrebbe scelto lui dove portarla aveva subito pensato a quel luogo. Ne aveva talmente a lungo sentito parlare che ce l'avrebbe portata comunque, prima o poi.

«Non vuoi portare prima la tua roba in albergo?», gli domandò Diletta, cercando di stare al suo passo troppo veloce in quel momento.

Il ragazzo negò con il capo, lo zaino che utilizzava anche come bagaglio sulle spalle.

Diletta scosse il capo, sorridendo, vedendolo così concentrato mentre si sforava di capire dove la voleva portare.

«Jos...».

«Shh», mormorò lui, mettendole un dito sulle labbra, lasciandola di stucco. «Mi sto concentrando».

«Oh, beh, allora», disse Diletta, poi lanciò indietro la testa e rise.

Joe sentì un peso nel cuore sciogliersi al suono di una simile risata, la sua risata. Una risata così dolce, così melodica, come una poesia o una canzone.

«Ecco, ora so dove dobbiamo andare», sussurrò lui, quasi fra sé e sé e facendo un passo avanti.


Ooh, I've been wandering round
But I still come back to you (still come back to you)
In rain or shine
You've stood by me girl
I'm happy at home (happy at home)
You're my best friend


Addirittura Piazza dei Miracoli era vuota. Da un'intera vita che Diletta viveva a Pisa non l'aveva mai vista deserta, c'era sempre stata qualche coppia in un angolo, a scambiarsi dolcezze e baci rubati.

«Joe...», mormorò, piano, «cosa ci facciamo in Piazza dei Miracoli?».

Il ventunenne non rispose e si avvicinò semplicemente a lei, prendendole entrambe le mani e avvicinandole ai propri petti che quasi si sfioravano.

I loro nasi erano a pochi millimetri l'uno dall'altro, le bocche poco più distanti.

«Joe, per favore, non farlo», mormorò Diletta, abbassando il capo, ma senza allontanarsi.

«Cosa?».

«Non fare così, non comportarti con me come se fossi innamorato», lo supplicò.

Joe inarcò un sopracciglio, confuso.

«C... come? Perché?».

«Non voglio illudermi», ammise lei in un sussurro talmente basso che il ventunenne la udì appena.

E fu meraviglioso. Come se tutto fosse diventato migliore. Come se il mondo ora fosse a colore.

«Io ti voglio», disse lui, mormorando. «Ti voglio davvero, non come amico».

«Che... Che cosa stai dicendo?», chiese Diletta, confusa, mentre la schiena dorsale veniva scossa da un tremito, e probabilmente non era il freddo che le penetrava le ossa.

«Questo», sussurrò Joe, prendendole il viso tra le mani e avvicinandolo alle proprie labbra.

Diletta si pietrificò un attimo, cercando di capire ciò che stava accadendo. Non riusciva a capire perché il suo migliore amico la stesse baciando in Piazza dei Miracoli, il luogo in cui gli innamorati di solito si incontravano.

Si chiese, anche, perché una cosa che sarebbe dovuta essere così sbagliata le piacesse tanto, perché finalmente si sentisse completa.

«Sei la donna della mia vita», mormorò Joe, sentendo che lei non rispondeva al bacio. «Dovevo dirtelo».

Diletta scosse il capo.

«No», mormorò. «Sono la tua migliore amica» e prima che Joe potesse aggiungere altro fece di nuovo combaciare le loro labbra, in sincrono.

Nel freddo cielo pisano cadde il primo fiocco di neve.


Oh, you're the first one
When things turn out bad
You know I'll never be lonely
You're my only one
And I love the thing
I really love the things that you do

{You're my best friend; Queen}

{The End}




  
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