Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: BBV    21/10/2010    7 recensioni
A diciotto anni, la vita di Victoria Hamilton
è stata completamente stravolta da un brutto incidente,
che l'ha portata a trasformarsi in una teenager ribelle e sfacciata.
Sua madre decide di mandarla a vivere dal padre e dalla sua nuova famiglia: una moglie e due figlie.
Insieme a suo fratello Shane parte per Longwood, un piccolo paese sperduto del Wisconsin.
Per Victoria è l'inizio di un incubo, un incubo dove appare Nathan,
un ragazzo presuntuoso e irruente, il ragazzo della sua sorellastra.
Un ragazzo che con prepotenza, arroganza e gesti folli riesce a sconvolgerle la vita.
«Se non mi dici il tuo nome, io mi butto», strillò ancora, facendomi sobbalzare.
«Victoria», gridai con quanto fiato avevo in gola. «Il mio nome è Victoria».
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie ''The Rain Series''
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5
"Scommessa"

 


Entrammo in una stanza più piccola della precedente, anche più polverosa. Al centro c’era un grosso lenzuolo che copriva una moto. Forse la moto. A stento si riusciva a ragionare in quel buco simile alla cella di un carcere. Di una cosa ero certa, mi sarei sporcata parecchio, anche solo con la vernice.

 

«Aspettami qui», mi ordinò Nathan, secco e sbrigativo.

 

Aspettai che scomparisse dietro la porta prima di dare un occhiata alla stanza. C’erano tanti attrezzi che non sapevo riconoscere, ma in un angolo, c’erano nascosti anche dei libri. Erano vicino alla porta, di fianco ad un cassonetto. Curioso come posto, quasi insolito, forse si trovavano lì per un motivo ben preciso.

Nascosi le mani nelle tasche dei pantaloncini, cacciai, senza pensarci, un foglietto stropicciato che non riconobbi, lo aprii di con cura, rileggendo il poco che c’era scritto.

 

  • Mentalmente squilibrato
  • Prepotente

E a quella voce aggiunsi con una penna trovata sul uno scaffale:

  • Spaccone

E per l’ultimo, con una grafia ancora più disordinata e frettolosa:

  • Lunatico

 

Ci stavo prendendo gusto a scrivere gli aggettivi che più gradivo su Nathan. Dovevo riconoscere che la tecnica di Kate aveva dato i suoi frutti: tutta la mia furia era stata chiusa in quel pezzo di carta.

Appena sentii dei passi avvicinarsi, rimisi al suo posto il fogliettino stropicciato, riposai la penna sullo scaffale polveroso. Intanto Nathan era tornato con alcuni fogli in mano e un aria scocciata.

 

«Tieni», mi porse i fogli. «Devi firmarli».

 

«Cos’è?», domandai leggendo le prime righe del foglio.

 

«Un piccolo contratto, fatto da me. Devo avere la sicurezza che tu domani ritorni». Disse con tono serio.

 

«Non ho voglia di scherzare», esordii senza pensare neanche per un attimo all’eventualità che stesse dicendo qualcosa di realmente serio.  Quando dal suo sguardo capii che non ci sarebbe stata nessun sorriso di scherno, sbiancai.

 

«Ma che stai dicendo? Io non sono qui per lavorare. Il mio unico compito è riverniciare quella stupida moto a cui tieni tanto!», sbraitai.

Non rispose immediatamente, meditò su qualcosa, e fu la prima volta che lo vidi riflettere prima di parlare.

Rimasi in attesa di una risposta che potesse calmare il caos di emozioni che mi stringeva lo stomaco fino a farmi venire la nausea: una reazione esagerata quanto disgustosa, lo so. 

Senza che potessi prevederlo, avanzò velocemente verso di me e prendendomi in contropiede mi bloccò con le spalle al muro, tenendo le sue mani tese all’altezza della mia testa. Era chiaro che volesse incutermi paura, ma il disagio era l’unica sensazione che mi suscitava. Anche se…forse un po’ mi spaventava la sua vicinanza.

 

«Sono io che non ho voglia di scherzare», mormorò brusco, stanco. I miei occhi, però, non smettevano di guardare le sue labbra così vicine, gli occhi così intesi, il suo corpo quasi attaccato al mio. Di lì a poco avrei cominciato a sudare freddo.

 

«Stai tremando», disse improvvisamente, più calmo, stupito. Ma la vera stupita ero io, che non mi ero accorda di aver iniziato a tremare. I palmi della mani attaccate al muro non stavano ferme, il petto seguiva il respiro con movimenti irregolari. Sembrava che stessi per avere una crisi epilettica. Che razza di reazione avevo? Non mi era mai successo. Nathan sembrava meno arrabbiato, ma continuava a non dare segni di cedimento, le sue mani, il suo corpo erano ancora a pochi centimetri da me.

 

«Va bene», si staccò di colpo, dandomi le spalle. «Giochiamoci il contratto con una scommessa», dichiarò di colpo.

Mi bastava un’altra idiozia per svenire a terra dal mal di testa. Quel ragazzo era seriamente preoccupante, il mio cervello era pieno dei suoi strani cambiamenti di umore, dello stress a cui mi stava sottoponendo da due giorni interi. Forse sarebbe stato tutto più facile se gli avessi lasciato raccontare a mio padre quello che era successo, ma ormai, sembrava troppo tardi.

 

«Una scommessa?», ripetei.

 

«Già, scegli tu la scommessa, io penserò a vincerla», tornò al suo sorriso strafottente, sebbene mi sembrasse più sforzato. Ma dopotutto che ne potevo sapere io?

Per un attimo provai seriamente a pensare ad una scommessa che lui non avrebbe potuto mai vincere, e tutto tornò più chiaro. Mi stava dando carta bianca e quale migliore occasione per svignarsela? Toccava scommettere su qualcosa di schiacciante.

 

«Scommettiamo che riesco a picchiarti a sangue senza sentire i sensi di colpa?», mi uscì spontaneamente.

 

«Questa non la chiamo scommessa, e comunque, riuscirei a farti sentire anche i sensi di colpa»,

 

Decise di ritrattare lui: «Scommettiamo che non riesci ad aggiustare il problema della moto? Sai, ha un piccolo problema alla ruota, dovrei cambiarla… », non terminò la frase che una voce lo interruppe.

 

«Io ce la posso fare!», quella voce arrabbiata ero io. Ma perché non pensi prima di parlare Vicky? Maledissi me stessa.

 

«Perfetto! Se ce la fai, non ci sarà nessun contratto», mi tese la mano chinando il capo imitando un gesto glorioso.

Esitai per più di un minuto a tenderla a mia volta, gelida e tremante com’era. Infatti, ci pensò Nathan ad afferrarmi la mano e a stringerla nella sua, con i suoi modi bruschi.

Mi accorsi di avere la pelle d’oca quando notai le nostre mani combaciare perfettamente, e ignorando i brividi di piacere, finsi che non fosse successo niente.

 

«Sei coraggiosa», disse con tono per niente sorpreso. «Ma il coraggio a volte, è la peggior dote degli ingenui».

 

---------

 

Quando uscii –scombussolata- da quell’officina, fuori c’era il vento. Un vento fresco, che mi scompigliava i capelli, che rilassava i muscoli. Mi piaceva pensare che quel vento fosse stato mandato da qualcuno per me. Era così rilassante che se non avessi avuto la responsabilità di guidare, mi sarei addormentata seduta stante sotto le lievi carezze trasparenti del vento.

Quando tornai a casa, mi accolse il viso scocciato e annoiato di Shane, e trovai pane per i miei denti affamati.

 

«Idiota di un fratello», lo chiamai ad alta voce, non importava che stessi sbraitando come una volgare ragazzaccia del popolo dell’Ottocento. «Che fine hai fatto tutto il giorno?», continuai imperterrita. Riconobbi le mie urla contro Shane come una valvola di sfogo per tutto quello che mi era capitato precedentemente.

 

«Sono cose mie, che non ti devono interessare», mi rispose con un arrogante smorfia sul viso che volentieri gli avrei tolto con un calcio. Ma sarebbe stato poco femminile e sarebbe stato meglio evitare ospedali e centrali di polizia.

 

«Tu non sai cosa mi è successo oggi», attaccai improvvisamente con un tono stridulo e stonato, che il mio professore di canto avrebbe etichettato come il colpo della strega di un cantante. Non avevo più il controllo del mio tono, io che vivevo della mia voce.

 

«Non mi interessa», mi rispose con uno sbuffo così forte da far sobbalzare anche la ciocca di capelli scura che aveva davanti agli occhi. Shane si stava annoiando e lo capii dai suoi occhi semi chiusi e le braccia rilassate sui fianchi. Eppure credevo che si fosse divertito tutto il giorno. Avrei dovuto chiedergli dell’incontro con Nathan? No, finché potevo, avrei evitato quanto più possibile quel nome. 

 

«Ed io non avevo intenzione di dirtelo», gli feci la linguaccia, offesa dal poco interesse che riuscivo a suscitare.

 

«La cena è pronta, se vuoi mangiare vieni a tavola», continuò come se stesse leggendo un copione. Al solo sentire l’odore del cibo, il mio stomacò esultò di gioia e soddisfazione, dato che non avevo mangiato niente per tutto il giorno e la voglia di parlare con Shane scemò nel giro di qualche secondo. Mi diressi in cucina, dove a tavola, mancavamo solo noi. Papà sedeva a capotavola, il suo posto preferito, con l’aria stanca e gli occhi pieni di sonno. Emma e Madison l’una di fronte all’altra stavano discutendo sui vantaggi e gli svantaggi della coca-cola, e Norah comparì dietro le nostre spalle con teglia di ravioli che emanavano un profumo invitante.

 

«Bentornata», mi salutò lasciandosi andare in grosso sorriso. «Spero che ti piaccia quello che ho cucinato», presi posto a sedere di fianco a Madison, fissando Norah che con frenesia ed eccitazione si agitava con le mani in attesa del verdetto. Afferrai la forchetta e l’affondai nel mio piatto di ravioli, poi mangiai il boccone. Il mio stomacò gongolò.

 

«Sono perfetti», annuii accennando un sorriso che era solo una smorfia in confronto al suo.

 

«Vicky ha ragione, Norah», mi voltai verso Shane che, ancora non mi spiego come, era già alla fine del pasto.

 

«Com’è andato la prova del lavoro?», Emma chinò il capo mentre afferrava anche lei l’ultimo boccone con la forchetta. Per poco, però, non sputai il mio.

 

«Stai cercando un lavoro?», mormorò sorpreso mio padre,che sembrava uscito dal come, rianimato solo dalla mia notizia.

 

«Gliel’ho consigliato io, papà», intervenne tempestivamente Shane, con la sua innata sicurezza, salvandomi in corner.

 

«Lavorerà con Nathan», aggiunse Emma bevendo un sorso di coca-cola pieno di cubetti di ghiaccio.  

 

«Oh Nathan», papà sospirò ingoiando quel boccone che gli era rimasto in gola, e riprendendo il suo normale colorito color carne. «Un ottimo ragazzo», aggiunse borbottando. Ma a quel punto, fui io a soffocare e a perdere il mio bianco pallido trasformandolo in un rosso fuoco. Ero l’unica che non era d’accordo sull’ottimo ragazzo? A quanto pare, nessuno si scomodava a contraddire mio padre.

 

«Come è andata oggi a lavoro, papà?», e con una semplice domanda cambiammo argomento, e passammo la serata tra parole gettate all’aria e risate.

Quando fui sul punto di salire in camera per andare a dormire, proprio sulle scale, mi fermai.

 

«Ciao tesoro», disse un voce dietro le mie spalle.

 

«Hey papà», dissi più debolmente, con un semplice cenno della testa.

 

«Ha chiamato tua madre oggi», mi disse. «Mi ha detto che ti salutano tutti i tuoi professori e i tuoi amici», mi sorrise sollevato.

 

«Papà, buonanotte!», Madison interruppe il nostro patetico tentativo di fare conversazione. Si aggrappò al suo braccio e lo strinse forte, regalandogli un grande sorriso. 

Provai un pizzico di fastidio nel vederli insieme, non perché mio padre stava abbracciando una ragazza che effettivamente non era sua figlia, ma perché anche a me, mancava terribilmente poter stare tra le sue braccia senza preoccuparmi di doverlo evitare. Sentirmi sua figlia, non sopportavo di avere questo desiderio.

 

«Va bene, grazie…allora, buonanotte», scossi la testa confusa. Di solito, nei film non succedeva così. Non era stata una discussione tra padre e figlia, sembrava più un imbarazzante rito di passaggio per due sconosciuti.

In camera, afferrai il portatile e aggiornai con un e-mail senza destinatario mentre premevo il tasto play del mio i-pod.

 

“Cara Rain,

il secondo giorno di permanenza è stato peggiore del primo, sotto certi versi.

Shane è scomparso tutto il giorno, lasciandomi sola in balia degli abitanti di Longwood e le loro stranezze. Papà non fa altro che lavorare e scambiare si e no due parole la sera, quasi mi stesse evitando per l’imbarazzo. Nathan, il ragazzo a cui avevo graffiato la moto, mi ha costretta a dirgli il mio nome con l’inganno: fingendo di volersi gettare dal ponte nel fiume. In compenso gli ho tirato uno schiaffo. Mi ha incastrato davanti a Norah ed Emma, costringendomi ad accettare la sua generosa offerta di lavoro nella sua officina, dove si trovava proprio una moto da riverniciare. E’ strano, ma non riesco a ripercorrere la giornata in senso cronologico, alcune cose le ho completamente dimenticate, altre invece si ripetono continuamente nella mia testa senza pausa. Come ricompensa per quello che mi è successo, ho incontrato una ragazza, Marnie, mi sembra una apposto, seppure un po’ strana. E ho conquistato la simpatia di Madison. Mi manca casa mia, il mio stereo ad alto volume, la videocamera con cui facevo stupidi video, il soffitto coperto di stelle di plastica, il microfono sotto il cuscino. Mi manca la mamma. Eppure…credo di potercela fare qui. Un altro giorno sta per cominciare…

 

Vicky.”

 

«Papa don’t preach, I’m in trouble deep», uno strano suono non comune o e tantomeno ricollegabile ad un altro rumore, risuonò per le stanze di casa Hamilton. Il rumore, molto simile al rompersi delle foglie secche in autunno, era la voce di Shane, che come un ladro si era intrufolato in camera, e con lui aveva portato l’aria elettrica della mattina, il sole sui miei occhi chiusi e un grande mal di testa.

 

«Sei un disastro come cantante!», mi lamentai nascondendo la testa sotto il cuscino. Sentii anche Emma mugolare e capii che anche lei non gradiva il canto mattutino di Shane.

 

«Mi dispiace, Norah mi ha detto di svegliare te ed Emma, a qualunque costo», sorrise compiaciuto e riprese nel suo canto stridulo e torturatore.

 

«Ti prego Vicky, fallo smettere!», arrivò basso e lieve il lamento di Emma, anche lei nascosta sotto il cuscino tra le coperte rosa. Sospirai fino a trasformare lo sbuffo in un ringhio infastidito. Nel frattempo, Shane continuava a cantare sulle note di Madonna, indifferente del nostro mal d’orecchie.

 

«*Papa i know you’re going to be upset,

‘cause i was always your little girl

but you should know by now,

I’m not a baby».

Nei miei diciassette anni di vita avevo imparato tutte le tecniche per distruggere mio fratello. Uno di quelli, era giocare la sua stessa carta. Shane credeva che con un po’ di canto stridulo mi avrebbe convinta a scendere dal mio morbido e soffice letto? Bene, io con il mio canto lo avrei convinto ad andarsene.

Tossi per qualche secondo, poi mi decisi a disfarmi del cuscino e delle lenzuola.

 

«Papa don’t preach, I’m in trouble deep, papa don’t preach», gridai quanto più forte possibile, sperai che mi sentissero anche al piano di sotto, mi ero quasi dimenticata di quanto fosse divertente cantare. C’era qualcosa di confortante nel liberare la propria voce, intonata o stonata che fosse e lasciarsi andare. Era eccitante.

 

«…e adesso, se non vuoi che continui così per tutto il giorno –perché sai che posso farlo- esci da questa stanza e lasciaci dormire», lo minacciai. Emma annuii insonnolita ma contenta. Shane scosse la testa, alzò le mani in segno di resa, -suo gesto caratteristico- e scomparve dalla nostra stanza.

 

«Se non avessi troppo sonno, ti ringrazierei», mormorò Emma già nel mondo dei sogni.

«’Notte», dissi in un soffio, prima di guardare l’orario al display del cellulare. Erano le dieci e mezzo.

 

Ma dopo essermi svegliata non riuscii a sonnecchiare più di dieci minuti.

Scesi dal letto ancora una volta, tentando di non fare rumore e svegliare la bella addormentata.

Quel pomeriggio avrei dovuto raggiungere quell’officina ancora una volta e cambiare da sola, la gomma della moto di Nathan per una scommessa. Ero talmente indispettita che non riuscivo a pensare ad una soluzione per non perdere.

 

«Nathan arriva tra un’ora», mi spiegò Lucas, quando arrivai in officina. «Nel frattempo puoi aspettare qui», continuò con tono gentile e garbato.

 

«Grazie», gli feci un cenno con il capo e mi guardai intorno. Non c’erano molte persone oltre a Lucas, solo due uomini adulti che si occupavano delle macchine in religioso silenzio, non come i soliti meccanici rumorosi e rozzi.  

 

«Hey, Lucas?», lo chiamai con un idea stupida per la testa. Lucas si voltò verso di me e alzò le sopracciglia aspettando che parlassi. Vagava tre i miei pensieri l’idea che…

 

«Per caso, sapresti cambiare una ruota della moto?», tentai di essere convincente e sicura nonostante non sapessi di cosa stessi parlando, né tanto meno di cosa avevo bisogno di preciso. In risposta, Lucas mi guardò con sospetto e confusione. Mostrai il mio viso innocente e i miei occhioni spalancati e con un ultimo sforzo, sorridendo, lo convinsi. Ignorai i crampi allo stomaco che mi dicevano che era ingiusto ingannarlo e continuai a sorridere.

 

«Certo, sono qui per questo», risi cercando di moderarmi e lo invitai, con un gesto teatrale, a fare il suo lavoro. Era scorretto, lo sapevo, ma Nathan non aveva chiarito nessuna questione sul gioco sporco.

Scoprimmo la moto dal lenzuolo sporco e notai quando mal fosse ridotta. Il graffio che avevo provocato con una semplice monetina, era ancora evidente sulla vernice blu, ma era, con ogni probabilità, la parte migliore di quel rottame. Ipotizzai che Nathan avesse sfogato la sua rabbia sulla già vittima, motocicletta. Fatto stava che quella ruota, lei la doveva cambiare. Sul viso di Lucas c’era un espressione di disgusto mista a sorpresa e disperazione.

 

«Non sapevo che fosse ridotta così».

Prese a tastare ogni centimetro della motocicletta con una professionalità invidiabile. Provò il manubrio, controllò sul lato sinistro, quella che credevo fosse la frizione, i freni, i comandi, il cambio delle marce. E ad ogni suo movimento non dimenticava di spiegarmi cosa fosse e descriverne la funzione, come se potessi capire tutto in una sola lezione di mezz’ora. Quando cambiò la gomma, stringendo i denti per la fatica, mi rivolse qualche occhiata furtiva, e qualche sorriso accennato. Era sicuro di essere il migliore amico di Nathan? A me lasciava molti dubbi.

 

«E con questo, abbiamo finito», si strofinò le mani sporche e le ripulì ancora sui jeans rovinati. Si voltò verso di me soddisfatto e con un sorriso sfrontato che per un attimo mi ricordò sua sorella Marnie. Mi avvicinai a lui, certa di non essere credibile senza una prova della mia fatica.

 

«Te ne sarò grata a vita. Solo…potresti sporcarmi?», chiesi titubante e incerta di essere stata chiara.

 

«Che cosa?». Soffiò incredulo, e decisi di vuotare tutto il sacco.

 

«Nathan deve credere che sia stata io a cambiare la ruota», mi morsi il labbro inferiore, con il timore che avesse potuto prendersela, perché in fondo, lo stavo usando contro il suo migliore amico.

 

«Okay, non voglio sapere cosa sta succedendo», dichiarò scherzoso, allontanandosi dalla moto con passo forzato e stanco.

 

«Qualsiasi cosa, sono a tua disposizione», alzai le braccia per farle ricadere nuovamente lungo i fianchi, mostrando chiaramente il mio imbarazzo verso di lui. Cominciavo a sentire le conseguenze di quell’azione. Speravo solo che Lucas non scendesse ai livelli del suo amico.

 

«Sta tranquilla, magari un giorno di questi facciamo una passeggiata, ti faccio fare un giro di Longwood», esclamò in tono basso e gentile, rassicurante. Perciò, per quanto l’idea di fare un giro –molto breve- per Longwood non fosse per niente eccitante, mi piacque il modo in cui mi era stato proposto l’invito.

 

«Sai dove trovarmi!», risi, guardandolo scomparire dalla stanza. Eravamo rimasti io e quella moto scoperta dal telo. O almeno, così credevo.

«Subdola e manipolatrice», sobbalzai,  evitando fortunatamente, di urlare dalla paura. Il cuore aveva preso ad accelerare involontariamente, ripresi a respirare solo quando mi accertai che non fosse successo niente di grave. Ero stata solo sorpresa.

 

«Giochi sporco, eh? Occhi dolci al mio amico, e vinci la scommessa. Complimenti». Una voce, quella voce troppo intensa e rilassante per essere fastidiosa, mi aveva colto in flagrante. Mi voltai –con occhi colpevoli- giusto in tempo per incontrare gli occhi forti e duri di Nathan, che non facevano di certo una bella impressione.

 

Presi fiato per parlare, ma non ne uscì niente di più di un sospirò responsabile. «Ehm», fu il verso più simile ad una parola che riuscii a raccogliere tra il mio senso di vergogna e la rabbia.

 

«Che delusione», aggiunse. «Ed io che credevo che fossi diversa», pronunciò le parole con un’asprezza quasi dolorosa, fu incredibile sentirsi in colpa per aver lottato per vincere una battaglia. Forse c’era veramente qualcosa di sbagliato nei miei calcoli, ma il mio orgoglio non mollava.

Cominciavo a farmi condizionare troppo da quel Nathan. Mi lasciavo prendere dai suoi sguardi, mi lasciavo ferire dalle sue parole, mi lasciavo trascinare dalla sua presenza.

Per un attimo smisi di pensare, rivolsi le mie attenzioni al nulla, mi concentrai niente. Avevo bisogno di scappare via, ma non era quello di cui aveva bisogno la mia dignità.

 

«Io ho vinto la scommessa, perché tu non hai dato nessuna regola. Ma sono tanto diversa da rimanere a lavorare qui e riverniciare la tua moto».
L’avevo detto davvero?

 


*Papà so che ti arrabbierai

Perché sono sempre stata la tua piccola

Ma dovresti sapere da adesso

Non sono più una bambina.

 Fine Quarto Capitolo.

 

 

Salve! Se sono arrivata a non veder l'ora di poter aggiornare è soprattutto grazie a voi. Questa volta non scriverò un altro papiro di ringraziamento. Voglio limitarvi a dirvi grazie, come al solito, e a lasciarvi leggere questa storia. Allora, voi che mi dite? 

 

DreamsBecameTrue: Okay okay, forse è un pò colpa mia, se il capitolo vi lascia in sospeso, ma scarico il barile sulla protagonista.  E' Victoria che sceglie quando smettere di parlare. Sono contenta che Lucas ti abbia colpito, non voglio che sia visto come un terzo incomodo anche se potrà sembrarlo. Eh si, al di là delle cose sconce, che probabilmente verranno più in là, e forse anche in officina, Nathan confonde un pò, fa parte del suo compito! Grazie per il tuo simpaticissimo commento! Alla prossima!

CinziaBella1987: Grazie grazie! Sono la persona più felice del mondo se la mia storia ti ha convinto a commentare! Ma come hai detto, veniamo a noi...ebbene si, Lucas è Lucas, Nathan è Nathan, e in questo momento non ci avrai capito niente, lo so. xD Per chiarirti meglio, starà a voi interpretare le situazioni che si verranno a creare, un pò come quella di questo capitolo 4. Davvero odi Emma? Bé, sono punti di vista, e a me piace vederlì tutti! Vediamo cosa ne pensi di questo capitolo. Grazie ancora, al prossimo capitolo!
Shadow_Soul: Ciao, tranquilla, recensisci quando puoi, non avere fretta! Ahaha, vuoi sapere chi è Rain? Bé quello proprio non posso dirtelo, e poi chi ti dice che sia qualcuno? Oh, si hai ragione, ho dato un bel pò di indizi. Fatto sta che hai proprio notato quel piccolo dettaglio, eh? Brava! E grazie perché anche se non posso rispondere personalmente alle domande, mi fa sempre piacere sentire quali sono i vostri dubbi! Ciao! Un bacio!

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: BBV