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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    21/10/2010    1 recensioni
“Cosa vuol dire che te ne vai?” ebbe il coraggio di domandare la biondina nel primo banco verso la porta, si rizzò in piedi, guardandola con espressione vacua, si voltò più volte, come a cercare conferma da parte dei ragazzi che le stavano attorno, ma nessuno aveva la forza di parlare: “Mi spiace…” mormorò l’interessata, alzando appena gli occhi per incrociare quelli azzurrissimi dell’altra, “Ma devo trasferirmi fuori Italia da mio padre, non finirò la scuola con voi…”."
Quanto può essere difficile per un'adolescente lasciare la scuola e trasferirsi con la famiglia? Gli ultimi momenti con i compagni di classe, con una in particolare, possono essere i più brutti della propria vita.
Attenzione! Accenni di un sentimento omosessuale.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN' ULTIMA NOTTE ANCORA

La ragazza si guardò per l’ultima volta nello specchio, l’immagine che quello rimandava era sempre la stessa, anche se negli occhi si poteva scorgere una punta di malinconia.

Lei si lisciò il maglioncino rosso scarlatto, scostando con una mano le briciole della colazione.

Si guardò attorno con aria spaesata, quell’ingresso la rendeva triste, era così vuoto, invaso da pacchi pronti per essere spediti.

Era il suo ultimo giorno in quella casa.

Ed era anche il suo ultimo giorno in quella città.

Con un sospiro esausto, si mise addosso la giacca, prese lo zaino e accese il lettore mp3: e ora, doveva affrontare l’ostacolo più insormontabile della sua vita.

Il suo stesso cuore.

§§§

Nervosamente, con lo sguardo basso, la ragazzina stava in piedi vicino alla cattedra mentre si tormentava le dita, sentiva gli sguardi dei suoi compagni su di sé ma lei non sapeva che dire, l’intera stanza era immersa nel silenzio più profondo, un silenzio sconvolto e scioccato.

“Cosa vuol dire che te ne vai?” ebbe il coraggio di domandare la biondina nel primo banco verso la porta, si rizzò in piedi, guardandola con espressione vacua, si voltò più volte, come a cercare conferma da parte dei ragazzi che le stavano attorno, ma nessuno aveva la forza di parlare: “Mi spiace…” mormorò l’interessata, alzando appena gli occhi per incrociare quelli azzurrissimi dell’altra, “Ma devo trasferirmi fuori Italia da mio padre, non finirò la scuola con voi…”.

“Non è possibile…” sussurrò un coetaneo con spessi occhiali sul naso e capelli nerissimi e disordinati che gli ricadevano su una camicia di cotone grezzo a quadrettoni: “è l’ultimo anno, non possono aspettare prima che tu finisca la maturità?” chiese lui con lo sguardo triste, “Purtroppo no, non ho ben capito il motivo ma devo iscrivermi a scuola prima di novembre.” rispose lei.

Un mormorio diffuso percorse la classe, qualcuno pianse.

“Dai, non fate così! Mica non la rivedremo più!” provò a rassicurarli il professore di matematica, che poggiò una mano sulla spalla della sua studentessa, “E poi, potrete sempre sentirvi, esistono le mail, esiste il computer, grazie a Dio!” li rimbrottò lui, “Quindi, basta musi lunghi!”.

Tutti annuirono, poco convinti, e si assieparono attorno alla compagna per salutarla, fu deciso di comune accordo che quella sera sarebbero andati tutti a mangiare una pizza per stare ancora assieme, l’ultima sera.

Ma in tutto quel vociare confuso e incerto, solo una persona non aveva mosso un muscolo, non si era minimamente alzata dal banco; stava seduta, con un romanzo sulle gambe, immersa apparentemente nella lettura, avulsa da ciò che la circondava, quasi insensibile alla notizia.

Eppure, da almeno venti minuti, era testardamente ferma sulla stessa pagina.

§§§

Il freddo vento di ottobre si insinuò sotto i cappotti dei giovani seduti sulla spiaggia sassosa che, stretti gli uni agli altri, osservavano in silenzio il mare.

Non avevano molto da dire, non sapevano in effetti cosa potevano dire in quei momenti, era centomila volte più comodo stare zitti.

Il campanile della chiesa battè la mezzanotte.

Era ora.

“Beh, è meglio che mi avvii, devo andare in aeroporto e il mio volo parte alle 3.” spiegò con un certo rammarico la ragazza in partenza; di malavoglia, tutti si alzarono e a turno la abbracciarono, di andare con lei non era il caso, aveva espressamente chiesto di non essere accompagnata da nessuno tranne che dalla compagna di banco, sarebbe stato molto più difficile altrimenti salutarli.

“Ricordati di portare a scuola con te il cuscino col l’orso!” si raccomandò un’amica, facendosi strada tra gli altri, “Così se per caso ti venisse un attacco di sonno come tuo solito, almeno starai comoda!” cercò di sorridere, ma non era facile.

“Lo farò, grazie a tutti. Davvero.” Sussurrò lei, stringendo e facendosi stringere dal suo “papà”, un ragazzone dalle spalle larghissime e dal cuore affettuoso: “E voi, ricordatevi di finire il sito anche per me. Ah, e voglio anche la foto di classe!” pretese con aria palesemente infantile, puntando l’indice verso di loro.

Una coetanea dai capelli rossi le si avvicinò e le passò la tracolla strapiena: “Andiamo, prima che tu perda il volo.” disse lei neutra, la sua espressione non sembrava minimamente turbata; la compagna annuì, asciugandosi gli occhi, “Appena arrivo a destinazione vi chiamo, d’accordo? Credete che la zietta si possa incazzare se vi chiamo durante il compito in classe?” sogghignò lei, prima di venire trascinata via dall’amica.

§§§

“Tieni, voglio che lo tenga tu!” esclamò la studentessa, passando alla rossa un volume a fumetti, “Io me ne farò spedire una copia da Sara, eventualmente.” disse, frugando nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi della moto.

La ragazza non rispose, chinò solo il capo in cenno di ringraziamento.

“Eddai! Parla, dì qualcosa! Ho chiesto di farmi accompagnare da te per salutarti come si deve ma almeno mostra un segno di vita!” esclamò stizzita la giovane, dando una manata al casco poggiato sul sellino; l’elmetto cadde a terra con un tonfo sordo.

“Cosa dovrei dire, spiegamelo!” gridò l’altra, afferrandola per le spalle, “Quella che doveva parlare sei tu, potevi dircelo prima che dovevi andartene!” sembrava triste e delusa, “E invece lo veniamo a sapere l’ultimo giorno!”; l’interessata sospirò: “Io l’ho saputo una settimana fa, e guarda che per me non è stato semplice, non volevo che voi cambiaste il vostro comportamento verso di me sapendo che dovevo andarmene! Non volevo rovinare gli ultimi giorni che avremmo passato assieme…” mormorò imbarazzata lei.

La rossa mollò la presa, voltando il viso per non farsi vedere piangere.

Fu un attimo.

La bruna le afferrò il mento, facendola girare e poi la baciò sulle labbra, indugiando per qualche minuto in quella posizione; poi, si scostò, raccogliendo il casco da terra: “Mi spiace, avrei voluto dirtelo prima, avrei voluto dirti tante cose prima, troppe, ma non volevo perderti. Addio, amica mia, addio, amore mio…” sussurrò tra le lacrime, sfiorandole per l’ultima volta il viso e stringendola con forza tra le braccia.

Mise nelle orecchie le cuffiette dell’iPod e saltò in sella alla moto.

Una mano alzata in uno strambo segno di saluto fu l’ultima cosa che la rossa vide.

Scioccata, ella si sfiorò le labbra, ancora bollenti, senza però capire appieno quel gesto; sentì solo il cuore creparsi irrimediabilmente.

   
 
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