Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
12. In frantumi
Lui.
Le sue labbra
sembravano più vicine di quanto non fossero in
realtà. Quando lei
scosse il capo, negando alla sua domanda, gli parvero invitanti come
non mai, come se lo stessero chiamando.
E se fossi io il
primo? Si chiese, provando ad immaginare l'esatta sensazione
che
avrebbe provato nel momento in cui le loro labbra si fossero
sfiorate. In un certo senso sarebbero state sue per sempre,
perché
sarebbe stato il primo a baciarle. Nessuno altro avrebbe avuto
più
importanza nei ricordi di lei. Sarebbe stato indimenticabile,
comunque fossero andate le cose.
Un pensiero però
bloccò ogni suo slancio. C'era una vocina nella sua testa
che
continuava a borbottare senza sosta.
Bravo idiota!
Gli diceva. E dopo che l'avrai baciata che farai?La guarderai
fuggire via senza fare niente, ecco cosa farai! La perderai per
sempre!
Che stesse
impazzendo, o che quella fosse solo la voce della sua coscienza, non
aveva torto. Non poteva permettersi di mandare tutto a rotoli con
Hannah. Quello non era il momento giusto, e aveva paura che non
sarebbe mai arrivato. Aveva il sentore, del tutto giustificato, che
lei sarebbe sempre scappata, perché era questo che faceva:
fuggiva
da ciò che le era estraneo, e l'amore lo era molto
più di tante
altre cose, non sapeva proprio cosa fosse. Certo lui non aveva la
presunzione di dichiararsi onnisciente sull'argomento, ma era di
certo un passo o due avanti a lei.
-No...? Ah...
Allora... Promettimi che mai, e dico mai, per nessuna ragione al
mondo, lo sprecherai per uno come Thomas Rushmore!- Le sorrise
arricciando il naso come era solito fare. L'ironia era sempre la sua
ancora di salvezza e maschera migliore. Per Jace era sempre stato
facile nascondersi dietro una battuta e qualche risata. Non si
rischia di esporsi inutilmente, di venire feriti e Jace non c'era mai
andato tanto vicino prima che arrivasse Hannah. Cosa gli stesse
capitando non riusciva proprio a capirlo. Captò come un
lampo di
delusione nello sguardo di lei, ma lasciò correre.
-No... No di certo.
Non bacerei mai uno sconosciuto. Lo prometto, se ti fa sentire
meglio.- gli rispose scuotendo il capo con convinzione, seppure
apparisse piuttosto confusa. Una promessa del genere probabilmente
per lei non aveva alcun senso logico, forse non aveva senso per
nessun altro che non fosse Jace. Per lui non solo ne aveva, ma era
importante che lei lo promettesse, perché una volta fatto
questo era
sicuro lei non l'avrebbe infranta. Hannah era leale e sincera, non
avrebbe mai mancato alla parola data.
-Allora non vi siete
visti al maneggio? Non avete cavalcato verso il tramonto in sella a
Charlotte? - Non riuscì a controllarsi. L'ironia cominciava
a
trasformarsi nel peggior tipo di sarcasmo: quello dettato dalla
gelosia. Il tipo più subdolo, perché difficile da
controllare. Una
parola di troppo e ogni velo cade, scoprendo tutto quello che si
vorrebbe celare agli altri. Per sua fortuna Hannah era troppo ingenua
anche per riconoscere la gelosia, che le era sconosciuta quanto il
sentimento che l'aveva generata.
-Certo che no. A dir
la verità mi ha spaventata. Ha un modo davvero bizzarro e
spaventevole di avvicinare le persone. Perché mai dovrei
avvicinarmi
a qualcuno che mi fa spiare? E poi a scuola non l'ho mai incrociato
in questi giorni, quindi immagino il suo non fosse reale
interessamento. Jaquie dice che vuol farti dispetto, che crede... -
arrossì violentemente - ...che... Io e te... Siamo... Come
posso
dire...- improvvisamente sembrò avesse inghiottito un enorme
viscido
rospo, perché la sua voce si era ridotta quasi ad un
rantolo. Aveva
abbassato lo sguardo, a fissare il copriletto, mentre con un dito ne
seguiva le zigzaganti righe colorate.
-Che stiamo insieme.
Non è una cosa così imbarazzante da dire.- le
sorrise, posandole
una mano sul capo, a scompigliarle i capelli, per quanto potesse. Il
fatto che lei non riuscisse neppure a pensare a loro due come una
coppia senza entrare in crisi passò del tutto in secondo
piano.
L'attenzione del ragazzo si era fissata tutta sulle parole
“mai”
e “incrociato”. Quindi aveva ragione, l'aveva avuta
fin
dall'inizio. Thomas voleva usarla per fargli dispetto, ed era stato
lungimirante e accorto come suo solito nel comprendere ancor prima di
lui stesso quanto sarebbe diventata importante per lui quella
ragazzina che cercava di starsene nascosta dietro le quinte e che era
stata tirata sotto le luci della ribalta contro la sua
volontà. Lui
l'aveva capito subito che sarebbe diventata la protagonista, e non
una semplice comparsa presto dimenticata, dello spettacolo della vita
di Jace.
Era sorpreso però
dalla sua onestà, se così poteva definirsi. Jace
si era detto
sicuro che il ragazzo avrebbe approfittato della sua assenza per
cercare di entrare nelle grazie di lei, e la cosa lo faceva
impazzire. Invece Tom lo stava aspettando. Niente pugnalate alle
spalle né sotterfugi, una volta fatta la prima mossa doveva
aver
preferito tutt'altra condotta. E certamente doveva essere sicuro di
vincere.
-Non ti preoccupare.
Appena torno a scuola risolvo io le cose con lui. Non ti
farà più
seguire, te lo posso assicurare.- le disse. Peccato non poterle
assicurare che si sarebbe liberato di lui definitivamente. Era
iniziare una vera e propria guerra, senza sapere bene per cosa
combattere. C'era della generosità nel suo agire? Per
davvero voleva
soltanto trarre l'amica dall'antipatica situazione in cui si era, suo
malgrado, trovata invischiata? Oppure il suo unico egoistico scopo
era quello di impedire alla ragazza di allontanarsi da sé?
Quando in
seguito, trovatosi da solo, tornò a rifletterci su, non
seppe darsi
una risposta.
-Lo so. É che sono
certa ci sia stato un fraintendimento, e vorrei avere il coraggio di
fare qualcosa anche io.- replicò, tornando a tormentare la
punta
della treccia, con lo sguardo basso.
-Invece non devi
fare nulla, è che ti ci sei trovata dentro per sbaglio.- il
ragazzo
scosse appena le spalle, come se fosse una cosa di poco conto. - Sono
io che me ne devo occupare.- sospirò cambiando poi discorso
frettolosamente. - Okay, basta, cambiamo argomento vuoi? Dicevamo,
quindi nessun primo bacio? Neppure nessun fidanzato? Non avrai mica
un promesso sposo nascosto da qualche parte?- chiese con una smorfia
di totale disapprovazione.
-No, nessuno.
Frequentavo un collegio femminile, ricordi? Gli unici ragazzi che
avevo modo di frequentare non erano affatto interessanti. Non per me,
perlomeno.- soggiunse, arrossendo appena.
-E chi sarebbe
interessante per te?- si ritrovò a chiederle d'istinto e con
una
punta di ansietà.
-Ragazzi! É
pronto!- La voce squillante di Greta, che li chiamava dalla cucina,
interruppe la loro conversazione.
-Dio mio...- il
ragazzo fece roteare gli occhi al cielo. - Andiamo, prima che creda
io sia scappato dalla finestra. I broccoli ci attendono!-
esclamò
con aria sofferta e battendosi una mano sul petto, facendo scoppiare
a ridere Hannah.
***
La cena si svolse
quanto meno tradizionalmente possibile. Nessuno di loro sedeva a
tavola: Jace era stato sistemato in poltrona ben coperto ed
infagottato sotto più di una coperta, e per non farlo
sentire in
esilio Greta e Hannah si erano trasferite sul divano. Certo non era
affatto una sistemazione comoda, ma Jace vide che Hannah gradiva la
bizzarra sistemazione. Sembrava divertirsi e addirittura rideva del
loro continuo battibeccare come non l'aveva mai sentita fare. Era
così bello vederla comportarsi con quell'insolita
naturalezza,
sembrava illuminarsi sempre di più ad ogni risata.
Quando cominciò a
sperare che il tempo scorresse lentamente, questo sembrò
accelerare,
sfuggente come non mai, e quando sentirono bussare alla porta
capì
che il loro, per quella sera, era giunto al termine. Improvvisamente
calò il silenzio, e gli occhi di tutti e tre volarono verso
la porta
d'ingresso. Hannah si spense come una lampadina fulminata: l'ultima
ora era stata come la scintilla che precede piombare improvviso del
buio. Jace lanciò uno sguardo all'orologio appeso al muro
della
cucina, giusto accanto alla porta d'ingresso: sapeva chi era e questi
era più che puntuale, spaccava letteralmente il minuto.
Com'era sua
abitudine, del resto.
Greta si alzò piano
e con circospezione, camminando lentamente e il più
silenziosamente
possibile come se non sapesse chi poteva trovare aldilà
della porta,
mentre invece intuiva chiaramente chi potesse essere. Posò
il
proprio piatto sul tavolo e si avvicinò alla porta,
guardando dallo
spioncino. Un sommesso brontolio confermò ciò che
Jace aveva solo
immaginato.
-é arrivato tuo
padre, Hannie.- borbottò, aprendo la porta con stizza. - In
America
si usa suonare al citofono, sa? É quella scatolina con tanti
pulsanti giù all'ingresso. E pensi un po', accanto ad ognuno
di
questi tecnologici pulsantini c'è una cosa fantastica: una
targhetta
illuminata, con su scritti tutti i nomi di chi abita qui. Ce
n'è uno
per ogni famiglia, sa! Che tecnologia fantastica, non trova?- fu il
suo saluto, grondante sarcasmo e accompagnato da un antipatico
sorrisetto di circostanza. Hannah scattò in piedi alla vista
del
padre, rischiando di far cadere a terra il piatto che teneva poggiato
sulle ginocchia. Si affrettò a raggiungerlo con sorprendente
solerzia. Era bastata solo la sua presenza a raggelare l'atmosfera.
Jace non poté fare a meno di chiedersi cosa mai sarebbe
successo se
avesse pure aperto bocca. Padre e figlia non si erano neppure
salutati, era bastata una sola occhiata.
-Ahm... Le mie cose
sono in camera sua...- mormorò, tenendo ancora il piatto tra
le
mani, rivolgendosi a Greta. Fino a pochi minuti prima le dava del tu,
ora era tornata ad un Lei molto più formale. La
verità era che non
osava rivolgersi alla donna in un qualsiasi altro modo, davanti a suo
padre.
-Vai pure tesoro,
non ti preoccupare, sono sul letto.- Le posò una mano, su
una spalla
e prese il piatto con l'altra, spingendola appena verso la porta.
Quando la ragazza ebbe svoltato l'angolo, Greta si voltò
verso
Barnes. - L'ha addestrata proprio bene, sua figlia. Come un cagnetto
da salotto. - commentò caustica, sparì dal suo
volto ogni accenno
di sorriso- C'è un malato qui... - Jace, sentendosi
sollevò una
mano, sorridendo all'uomo. - Entri e mi faccia chiudere la porta, non
voglio certo che mio figlio prenda una polmonite perché lei
ha
fretta di levare le tende. - sbottò ancora. Non appena
l'uomo si fu
allontanato dalla porta, questa venne sbattuta con forza producendo
un botto fragoroso.
-Buonasera Greta.-
Tutto nel Signor Barnes sembrava irradiare gentilezza e cortesia.
Sembrava non avesse sentito una sola parola di quanto Greta gli aveva
detto, ed era rimasto indifferente al suo sarcasmo. Era entrato in
casa con un raro sorriso sulle labbra, e ora si guardava intorno con
una certa curiosità. - Signor Stein, lieto di vederla.-
quando i
suoi occhi di ghiaccio si posarono su Jace, il suo sorriso
svanì nel
nulla, quello del ragazzo invece sembrava scolpito sul suo volto,
incancellabile nonostante la debolezza derivata dalla febbre. Non gli
rivolse altra attenzione, tornò subito a rivolgersi a sua
madre.
-Mi dispiace, ho
suonato parecchie volte ma pare che il vostro campanello abbia
qualche problema. Piuttosto, mi sorprende che ci fosse il portone
aperto, in un quartiere come questo dovreste...-
-Dica, dopo aver
fatto tredici piani a piedi, crede veramente che un qualsiasi
delinquente, per quanto disperato possa essere, farebbe tutta quella
fatica per qualche dollaro?- lo interruppe la donna, zittendolo. In
realtà sarebbe bastato il suo sguardo a metterlo a tacere
tanto era
carico d'astio.
-Non posso darle
torto.- commentò solamente senza perdere una briciola del
suo
contegno.
Jace prese ad
osservarlo con maggiore attenzione, come se lo stesse studiando
attraverso le lenti di un microscopio. Sembrava, quasi per uno
scherzo del destino, che i ruoli si fossero invertiti: sua madre era
diventata scortese fino a rasentare la maleducazione, l'uomo invece
si era trasformato in un mite e cortese agnellino.
Era così che faceva
Greta quando si trovava davanti un uomo che le ricordava il suo ex
marito o per il quale provava anche la più vaga e
inconsistente
attrazione: era un semplice e banale meccanismo di difesa. A Jace
diceva sempre che non rimpiangeva d'essersi innamorata, ma che
ciò
non voleva dire che dovesse ricascarci alla prima occasione E
così
davanti a uomini affascinanti e maturi, per non dire attempati, si
trasformava in un mostro d'antipatia. Si poteva ben dire che
sprizzasse scortesia da ogni poro.
George Barnes
incarnava tutto ciò che Greta aveva trovato attraente nel
suo ex
marito. Era un uomo a cui i cinquant'anni calzavano a pennello, come
un abito cucito su misura. Era alto tanto quanto Jace, e possedeva un
fisico asciutto e atletico, nonostante sembrasse condurre uno stile
di vita piuttosto sedentario. Gli pareva, tutto sommato, d'una
bellezza nella media: il volto era scavato, sembrava stare
riprendendosi da una lunga malattia, e qualche ruga d'espressione
cominciava a farsi più marcata intorno agli occhi e sulla
fronte. I
capelli, d'un castano chiaro screziato qui e là di grigio,
invece
cominciavano a diradarsi e ritirarsi sulle tempie e l'attaccatura
della fronte, facendola sembrare più ampia di quanto non
fosse.
Eppure tutti i segni lasciati dal tempo, o dalla sofferenza, non
riuscivano ad intaccarne il fascino. C'era qualcosa nei suoi gesti,
nella sua voce o anche solo nel suo stare immobile davanti a loro,
che doveva essere estremamente attraente per una donna. Hannah non se
ne rendeva conto, ma era questo il tratto più marcato che
suo padre
le aveva trasmesso: fascino ed eleganza innati.
Per il resto, non si
somigliavano affatto, sarebbero potuti passare per sconosciuti. A lui
di certo non sembrava granché, e se le reazioni delle sue
compagne
di classe, tutte moine e sorrisini quando Barnes metteva piede in
classe lo divertivano e al contempo lo lasciavano perplesso, quella
di sua madre lo preoccupava.
-Sono pronta.- fece
Hannah con una vocina flebile, sbucando dal corridoio per poi correre
ad affiancarsi al padre, interrompendo il flusso dei pensieri di
Jace.
-Perfetto, andiamo
allora.- replicò l'uomo, degnandola appena di uno sguardo,
prima di
tornare a rivolgersi a Jace. - Signor Stein, i mie auguri... Ah, e
aspetto quella sua relazione di cui abbiamo parlato per
lunedì.
Trovi lei il modo di farmela avere, ma lunedì mattina deve
essere
sulla mia cattedra.- Jace vide Greta strabuzzare gli occhi e aprire
bocca per replicare, ma riuscì a precederla.
-é pronta, in
realtà. Posso mandargliela via email questa sera stessa.-
replicò
con voce roca ma carica di soddisfazione. Greta borbottò
qualcosa ma
poi si zittì, preferendo tenere per se i propri pensieri per
quella
volta.
-Sarebbe perfetto.-
acconsentì l'uomo. - Dobbiamo proprio andare ora...-
-Era ora...-
borbottò Greta con voce troppo alta, interrompendolo.
Probabilmente
sia Jace che George sospettarono fosse stato del tutto volontario.
Andò ad aprir loro la porta, mentre Jace, posando il piatto
sul
divano accanto a se e liberandosi dalle coperte li raggiungeva
all'ingresso. Hannah lo guardava con aria afflitta. Era tornata ad
essere la riservata, ermetica, triste ragazza che era sempre stata.
-Signor Stein,
Greta... Grazie di tutto. Buona serata.- Varcò la soglia,
dando loro
le spalle, per poi voltarsi non appena si accorse che Hannah era
rimasta indietro. Fissava entrambi gli Stein, come indecisa sul modo
migliore con cui accomiatarsi. Fu Greta a rompere gli indugi,
abbracciandola forte e stampandole un bacio su una guancia.
-Pretendo che tu
torni anche domani! É un invito ufficiale, sia chiaro!
Perché
sabato non porti anche Rose? Jace potrebbe chiamare i ragazzi e...-
Sembrava non voler che se ne andasse. Continuava a tenerle le mani
sulle spalle e solo il lieve tossicchiare di Barnes sembrò
riscuoterla. - Beh, ne riparleremo domani di certo. Ciao, dolcezza.-
disse infine lasciandola andare tutta sorridente.
Anche Jace avrebbe
voluto abbracciarla, e dirle di tornare, dirle che l'avrebbe
aspettata con ansia e che senza di lei si sarebbe annoiato a morte.
Ma sentiva lo sguardo del padre di lei su di se, e comprese che
nessuna di quelle cose avrebbe giovato a nessuno di loro.
Così le
posò una mano sul capo come sua abitudine e le sorrise
dicendole - Se domani non verrai mi riterrò offeso
mortalmente!- con tutta
l'ironia e la leggerezza di cui era capace. - E dì a Rose
che mi
mancano i suoi pasticcini!-
La ragazza annuì. -
Va bene.- mormorò solamente, prima di sollevare una mano,
già
guantata, in segno di saluto e seguire suo padre fuori dalla porta.
Non appena questa fu chiusa Jace agguantò il telefono e
andò a
chiudersi nella propria camera dicendo – é meglio
che mandi
immediatamente la relazione a Barnes... - In realtà non
aveva
intenzione di fare nulla del genere. L'avrebbe fatto dopo
un'importantissima telefonata. Digitò in fretta il numero e
poi
attese. - Hei, ciao Seth! Cercavo proprio te!-
Lei.
-é stato davvero
bizzarro.- Concluse Hannah, dopo aver riferito a Rose della sera
precedente.
-é stato bizzarro
che Greta sia stata intrattabile mentre tuo padre sembrava volerle
piacere a tutti i costi, o è stato bizzarro quello che
è successo
tra te e Jace?-Chiese l'altra, conscia d'aver centrato il nocciolo
della questione.
-Tra me e Jace? Ma
non è successo nulla.- si affrettò a replicare.
Il suo arrossire
però vanificava qualsiasi tentativo di nascondere all'amica
che in
effetti si era interrogata parecchio su cosa sarebbe potuto accadere
quando, soli nella sua camera, lui l'aveva guardata in maniera
completamente diversa dal solito. Aveva creduto sarebbe successo
qualcosa di importante, addirittura fondamentale. Invece non era
accaduto nulla. Quella sensazione però non era riuscita a
scrollarsela di dosso.
-Secondo me è
successo molto più di quel che credi. Ma se sei convinta che
mi
sbagli...- Concluse con tono vago, accostandosi ad una porta su cui
targa stava scritto “Sala Musica”. - Io sono
arrivata. Per poco
non mancavo la porta.- aggiunse sorridendo della propria
sbadataggine. Rose faceva parte della banda della scuola, suonava il
flauto traverso. La dolcezza del suono di questo strumento si
accostava perfettamente a quella della ragazza. - Ci vediamo
lunedì,
Hannie. Fa la brava, divertiti e salutami Jace.- le fece un
occhiolino e fece per aprire la porta.
-Sì, io... Aspetta!
Ho dimenticato di dirti che Greta ti invita ad andare da loro
domani.- disse Hannah battendosi una mano in fronte. - Sono davvero
desolata.- mormorò arrossendo a causa della terribile
dimenticanza.
- Jace dice che gli mancano i tuoi pasticcini.- aggiunse, come
volesse impietosire la ragazza. Come se ce ne fosse poi bisogno. -
Però devo dirti, in tutta sincerità, che credo ti
stiano tendendo
un'imboscata.- ammise annuendo seriamente.
Rose posò una mano
sulla maniglia della porta e la schiuse appena. Dava le spalle
all'amica, che non avrebbe saputo dire, non vedendo la sua
espressione, se fosse felice o infastidita. - Ci potrebbe essere
anche Seth, quindi.- mormorò voltandosi, rossa in viso ma
con un
sorriso che esprimeva tutta la sua felicità al solo pensiero
di una
simile eventualità. - Dì a Jace che ci
sarò. Ciao, Hannie! Oh,
stasera ti chiamo, quindi fatti trovare!- Esclamò prima di
entrare
frettolosamente nell'aula, senza darle il tempo di rispondere al suo
saluto. Quando la porta si richiuse, sentì un allegro brusio
provenire dall'altra parte. Come le sarebbe piaciuto, ricevere
un'accoglienza come quella! Ma comprendeva bene che probabilmente non
le sarebbe capitato mai. Non aveva lo stesso carattere dell'amica, e
soprattutto non ispirava istintivamente benevolenza o simpatia come
lei faceva.
Si guardò intorno,
sospirando. Il corridoio era vuoto e, fatta eccezione per il vociare
che proveniva dalla sala musica che seppur andava scemando era ancora
udibile, immerso nel silenzio. Si incamminò verso le scale
che
l'avrebbero portata al secondo piano dell'edificio. Aveva tutta
l'intenzione di recarsi nell'ufficio di Bert per denunciare
l'ignobile furto del suo album da disegno. Ma prima voleva lasciare
alcuni libri nell'armadietto.
Il corridoio del
secondo piano era deserto quanto quello che aveva appena percorso, ma
stranamente molto meno silenzioso. Passando davanti alla porta della
presidenza fu sollevata nel sentire la voce grave di Bert e quella
della sua segretaria, i due chiacchieravano amabilmente
chissà di
quale argomento. Bene, se si fosse sbrigata avrebbe fatto in tempo a
parlargli. Accelerò il passo, passando velocemente davanti
ad un
altra porta, dalla quale proveniva chiaramente della musica. Le note
di un pianoforte attirarono la sua attenzione e quasi la costrinsero,
ammalianti com'erano, a fermarsi ad ascoltare, se non fosse che il
pensiero del suo prezioso album nelle grinfie di chissà
quale
intenzionato premeva e reclamava tutta la sua attenzione. Anche se
attratta da quel suono, continuò a camminare fino al suo
armadietto,
voltandosi però di tanto in tanto in direzione dell'anonima
porta.
Jace le aveva detto che li c'era stata una volta una seconda sala
musica, ma che era stata declassata a sgabuzzino dato che era stata
scarsamente utilizzata. Trovava strano quindi, che potesse contenere
un pianoforte e che nessuno si preoccupasse di chiudere la porta a
chiave.
Ah, come le sarebbe
piaciuto saper suonare in modo tanto sublime! Purtroppo non aveva mai
dimostrato una spiccata attitudine alla musica, e le sue lezioni di
pianoforte erano finite presto e presto erano state dimenticate.
Però
ancora ammirava chi possedeva un eccezionale talento musicale, non
poteva farne a meno. Tanto era presa da questi pensieri, e tanto era
concentrata nel cercare di percepire ancora la musica nonostante la
distanza, che quando fu davanti al suo armadietto non si accorse dei
vari frammenti di carta che spuntavano da sotto lo sportello. Quando
lo aprì venne sommersa da una quantità infinita
di pezzi di carta,
che svolazzarono sul pavimento spargendosi tutto intorno nelle
immediate vicinanze. Hannah sbatté le palpebre, allibita. Si
guardò
intorno e poi abbassò lo sguardo: i suoi piedi erano
completamente
nascosti sotto un mucchio di carta di vario tipo. Li scosse appena,
liberandosene e spargendoli ancor di più sul pavimento.
Qualcuno
doveva essersi divertito a svuotare il cestino della carta nel suo
armadietto. Lei non lo trovava affatto divertente, ma non aveva
intenzione di farsi rovinare la giornata da una simile inezia,
soprattutto se questa non poteva nuocere a nessuno.
-Che cretinata...-
borbottò tra sé e sé, mentre cercava
di scrollarseli dai vestiti e
dai capelli, per poi passare a ripulire l'armadietto, assicurandosi
che quei grossi coriandoli non fossero pagine strappate dai suoi
libri.
A nessuno di questi
mancava neppure mezza pagina, notò con sollievo. Chiuse lo
sportello
e tornò a posare lo sguardo sulla montagnetta di carta ai
suoi
piedi. Cosa doveva fare? Andarsene e lasciare che se ne occupasse il
bidello? Questo sarebbe successo solo lunedì,
però. Non le andava
di lasciare l'andito in quelle condizioni per l'intero week end, e si
disse che sarebbe stato gentile da parte sua raccoglierli, se non
tutti almeno la maggior parte. Si inginocchiò sul pavimento,
cominciando a raccogliere manciate di carta che si posò in
grembo.
Di certo chiunque le avesse fatto questo doveva essersi impegnato. I
pezzi appartenevano, era evidente, a diversi tipi di carta, anche se
per la maggior parte era semplice carta per fotocopie, il cui bianco
brillante spiccava tra altri frammenti color avorio. Proprio uno di
questi attirò la sua attenzione.
Curioso! Pensò
Questa carta somiglia a quella del mio album...
Non appena ebbe
formulato quel pensiero il dubbio la colse: e se fosse...? In preda
ad un panico crescente cominciò a rovistare nel mucchietto
alla
ricerca di quei pezzi che per colore, spessore e trama potessero
somigliare ai fogli del suo album. Gli occhi le si riempirono di
lacrime, si diede mentalmente della stupida per questo,
perché non
era affatto dignitoso piangere per qualcosa di poco conto come dei
fogli da disegno, ma non riusciva a impedirselo. La sola idea che
qualcuno avesse potuto farle una cosa simile la riempiva di rabbia e
la faceva soffrire. Non solo le aveva sottratto qualcosa di suo,
qualcosa di importante, ma l'aveva anche distrutto senza alcun
riguardo per i suoi sentimenti. Se le avessero strappato l'anima in
tanti piccoli pezzetti si disse che non avrebbe sofferto tanto quanto
soffriva in quel momento. Non poteva fingere di credere che fosse
solo un caso, o che il colpevole non intendesse nuocere a lei e
soltanto a lei.
Fu così che lui la
trovò. Inginocchiata sul pavimento, singhiozzante mentre con
le mani
tremanti cercava di rimettere insieme brandelli di carta come fossero
tessere di un puzzle.
L'angolo
dell'autrice:
Ebbene si, dopo
tre mesi sono finalmente
riuscita a pubblicare, anche se si tratta di un capitoletto poco
interessante e piuttosto stiracchiato. Prometto che mi
rimetterò in
carreggiata, d'ora in poi. :-)
Basta! Melikes,
devi assolutamente
smettere di dare nutrimento al mio ego (che in poche settimane ha
raggiunto dimensioni spropositate) o diventerò la persona
più
immodesta al mondo. Cominciò già ad assumere
comportamenti strani,
tipo: portare penna e blocchetto sempre in borsa (io che dimentico di
prenderli anche quando vado a lezione) e scribacchiare sempre e
dovunque. Il mio ragazzo mi prende in giro perché io mi
sento molto
scrittrice professionista, di quelle che traggono ispirazione pure da
una gomma da masticare spiaccicata sul marciapiede, invece sospetto
di sembrare un invasata e la cosa non è buona! XD Mi sa che
le
Lil'Noony (sì i miei neuroni hanno anche un nome!) stanno
cercando
di seguire l'esempio dei tuoi neuroni e progettano un colpo di stato.
Capisco perfettamente il tuo discorso.
Una delle cose che più amo fare è leggere, ma non
riesco ad
analizzare ciò che ho davanti alla prima lettura,
perché se la
trama mi cattura, vengo presa da una curiosità morbosa: devo
sapere
come va a finire, subito, immediatamente, a costo di non dormire
(cosa che prima, quando avevo la possibilità di dormire fino
a
tardi, facevo spesso e volentieri). Dopo che la curiosità
è stata
appagata, allora mi prendo un po' di tempo per rielaborare quel che
il libro mi ha lasciato, e poi lo rileggo. Se leggo un libro solo una
volta, vuol dire che non mi ha lasciato niente, e quello per me non
è
un buon libro. Va beh qui si sconfina nel soggettivo, pensa che io
sono una delle poche persone a cui Il Signore Degli Anelli non solo
non ha lasciato nulla, ma che si è annoiata terribilmente
nel
leggerlo (eresia diranno in tanti). Così è stato
anche per Il
ritratto di Dorian Gray (altra eresia?). Io e Wilde non ci piacciamo,
proprio no.
Mi conforta sapere che il fatto che
fosse un capitolo lungo è un punto a favore. In effetti
inizialmente
doveva comprendere anche il capitolo 12, ma non mi piace scrivere
capitoli troppo lunghi perché penso che qualche lettore
potrebbe
essere ciecato come la sottoscritta e avere problemi a leggere al pc
qualcosa di lungo. Mi rendo conto però che non posso neppure
scrivere quattro righe per volta. Devo trovare la giusta via.
Grazie anche a Dayan18,
che ancora ha
la pazienza di recensire! <3 Oddio, sti errori di
distrazione/battitura mi perseguitano! Grazie per avermelo fatto
notare! :-) Mi fa piacere l'averti strappato un sorriso. Si in
effetti la scena non voleva essere comica ma rileggendola da poco ho
avuto la stessa reazione! XD