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Autore: _Mary    23/10/2010    8 recensioni
I fiori stavano chiudendo i propri petali agli ultimi raggi di sole; in casa si cominciavano ad accendere le prime luci. Quando Andromeda alzò gli occhi, si accorse che almeno un altro degli abitanti della villa era andato lì: i capelli neri sciolti sulle spalle avevano i riflessi rossi del cielo, mentre carezzava una rosa, camminando languidamente.
Seconda classificata parimerito al 'Contest Amore fraterno' indetto da Rota23 sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note al testo: la canzone citata, come riportato, è ‘Wild Irish Rose’ degli U2; il titolo fa riferimento al film ‘The other Boleyn girl’. Buona lettura!



The other Black girl


Now red is the rose
That she laid on my grave
A life is what she wanted
And a life I surely gave
Like a hundred men before me
They lay lying here in rows
Young men, bloody
As a wild Irish rose.

Wild Irish Rose, U2



La luce rosata del sole al tramonto gocciolava pigramente dalle alte vetrate delle finestre a sesto acuto, sfiorando i mobili antichi della stanza in penombra. Il silenzio della sera estiva, quello di quando gli elfi domestici erano intenti a preparare la cena ed i padroni di casa cercavano riparo dall’afa in giardino, era talmente perfetto che Andromeda riusciva a sentire voci delle persone riunite in altre parti della casa, mentre sfiorava il vetro freddo con la punta delle dita. Il roseto, che la ragazza vedeva a pochi passi al di là delle finestre, era in contrasto contro il cielo incredibilmente, ed assurdamente, colorato. I tramonti di quella campagna riuscivano ancora a stupirla, nonostante fossero lo sfondo delle sue vacanze estive da anni.

I contorni del giardino si fecero più sfocati e sbiaditi, mentre il respiro di Andromeda andava ad appannare quel vetro. Quando si decise ad uscire, non trovò nessuno neanche in veranda. La calma irreale di quella sera aveva qualcosa di inquietante e strano, come lo era il silenzio che era calato, pesante, in seguito all’annuncio del fidanzamento di Bellatrix. Un annuncio che nessuno avrebbe potuto definire inaspettato, ma che ad Andromeda era sembrato un improvviso uragano in una serata come quella.

Ogni singola pietra della villa sembrava emanare il calore della giornata appena passata, riflettendolo insieme alla luce rosata; qualche grillo aveva cominciato la sua cantilena notturna, mentre il rumore dei passi sul terreno bruno rompeva la quiete rimasta invariata quasi per tutto il giorno. Andromeda inspirò il profumo penetrante dei fiori notturni, stringendosi le braccia al petto e cominciando a camminare.

I fiori stavano chiudendo i propri petali agli ultimi raggi di sole; in casa si cominciavano ad accendere le prime luci. Quando Andromeda alzò gli occhi, si accorse che almeno un altro degli abitanti della villa era andato lì: i capelli neri sciolti sulle spalle avevano i riflessi rossi del cielo, mentre carezzava una rosa, camminando languidamente.

Andromeda si irrigidì, fermandosi. Non sapeva se avesse voglia di parlarle: in fondo, si era ripromessa di non rivolgerle la parola fino a quando non avesse sbollito quella rabbia che le aveva attanagliato il cuore per tutto il giorno. Ma ritrovarla lì davanti dopo non averla vista dall’ora di pranzo, dopo essere addirittura arrivata a pensare che potesse essere fuggita, l’aveva colpita.

Riprese a camminare più in fretta, e quando le fu vicina, il rumore dei suoi passi dovette distogliere l’altra dai pensieri in cui era evidentemente immersa, perché si voltò e le sorrise, con un lampo di divertimento negli gli occhi scuri.

“Sorellina, anche tu qui?” le chiese, una nota di scherno nella voce che l’altra non poté spiegarsi.

Andromeda annuì, guardandola negli occhi. Aveva sempre invidiato la naturale eleganza della sorella: non riusciva mai a fare a meno di apparire perfetta, in ogni occasione. Quando c’erano le feste, era lei che attraeva gli sguardi di tutti, con la bellezza sensuale di una gatta ed il fascino di un serpente uniti ad una certa spregiudicatezza che, di certo, faceva la sua parte nel complicato ritratto di quella giovane donna decisa e potente. Riusciva a sembrare il personaggio di un quadro persino in quella occasione, con una rosa in mano.

L’oscura eroina di un qualche romanzo, forse, di certo non l’ingenua donzella che deve essere salvata da un drago.

“Non ci avevi detto niente” le disse, secca, affiancandosi a lei e continuando a camminare. Bellatrix non sembrò averla sentita, mentre continuava a sfiorare la rosa che aveva colto. Una rosa di un rosso intenso, pieno.

“Non vedo perché avrei dovuto dire qualcosa: mamma e papà lo sospettavano già” rispose, non degnandola neanche di uno sguardo.

Andromeda si sentì fremere di irritazione. Le sopracciglia brune della sorella erano inarcate in un’educata dimostrazione di perplessità rivolta alla rosa che teneva in mano, come se, in effetti, la sua interlocutrice non fosse molto più interessante di un fiore ormai morto.

“Parlo di me e di Cissy” sibilò Andromeda, cercando di mantenersi calma.

Bellatrix alzò lo sguardo verso l’orizzonte, senza espressione. Si passò una mano tra i capelli mentre Andromeda continuava.

“Così, all’improvviso ti sei innamorata di Rodolphus Lestrange, e addirittura lo sposerai. Ma che cosa strana, e pensare che mi sembrava lo ritenessi un buono a nulla!” esclamò, ironica, alzando teatralmente le braccia al cielo ed imitando una risata.

Bellatrix percorse lentamente i contorni di un petalo con le dita, prima di staccarlo con un gesto secco.

“Grazie per la considerazione che hai avuto per noi, Bella. Magari, quando avrete un bambino, cerca di farcelo sapere prima che cominci Hogwarts” continuò la prima, preparandosi a voltarle le spalle. Bellatrix la trattenne per un braccio. La sua presa ferrea sorprese la ragazza, che dovette fermarsi.

“La piccola Andromeda” mormorò Bellatrix. “La piccola Andromeda che si preoccupa della sorte della sua sorella cattiva. Sono quasi commossa” concluse con un ghigno, facendola di nuovo voltare.

Andromeda si sentì arrossire.

“Sì, è vero” ammise. “Sono preoccupata. Non capisco cosa ti abbia portata ad accettare la proposta di quello stupido, sinceramente. Ah, e dovresti parlare anche con Narcissa – nel caso in cui non te lo ricordassi, è quella ragazzina bionda che si è chiusa in camera sua dopo pranzo”.

Andromeda si aspettava che Bellatrix reagisse: che sbuffasse, che la guardasse in maniera sprezzante, che le sputasse contro una di quelle frasi con cui era solita ricordarle la sua infinita inferiorità. Rimase sconcertata vedendola scoppiare a ridere.

“Sei sempre così idealista, Dromeda!” disse, non appena si fu calmata, trascinandola con sé e costringendola a camminare.

“Alla ricerca del vero amore in questo mondo triste e grigio, preoccupata della sorte delle due sorelle. Se non ti disilludo e non ti apro gli occhi sulla realtà della vita, è solo per rispetto nei confronti dei tuoi sogni di fanciulla”.

Andromeda la guardò: la luce del tramonto si rifletteva negli occhi scuri di Bellatrix, creando scintille di fiamma vagamente inquietanti. Le rivolse un’occhiata seccata, sottraendo il braccio alla sua presa.

“Lascia che ti faccia un paio di appunti, però” disse Bellatrix, cominciando a strappare i petali della rosa in modo quasi meccanico, lo sguardo altrove.

“Rodolphus è un buono a nulla non meno del resto dei maghi Purosangue che potremmo sposare, prima di tutto. Anzi, diciamo che per me ha alcune attrattive… apprezzabili. Quindi è un buon partito, sicuramente migliore di altri che potrebbero presentarsi alla porta”.

Andromeda sgranò gli occhi. Come faceva Bellatrix a mostrarsi così incurante nei confronti del suo futuro? Come poteva parlare del matrimonio come fosse una questione d’affari?

Bellatrix non sembrò aver notato la sua sorpresa, perché continuò.

“E, molto semplicemente, non avremo figli. Io non ne ho nessuna intenzione, visto quello che mi riserva il futuro”.

A sentirle dire una cosa del genere, Andromeda si sentì gelare. Non sapeva cosa le riservasse il futuro e, cosa che la preoccupava di più, temeva che neanche lei potesse esserne certa. Ma il fatto che ne parlasse con quella sicurezza poteva significare soltanto che non si sarebbe fermata di fronte a niente per ottenerlo.

Andromeda la conosceva bene: fin da quando erano bambine, Bellatrix si era sempre presa tutto ciò che voleva, forte della convinzione di essere migliore e nel giusto. Non importava che ci fossero ostacoli, impedimenti, che stesse semplicemente sbagliando. Bellatrix tendeva la mano e prendeva.

“E cosa… cosa ti riserva il futuro?” chiese Andromeda.

“Niente di cui una come te possa impicciarsi” replicò l’altra, seccata, gettando via quel che restava della rosa.

Andromeda si fermò, osservando la sorella. C’era qualcosa di inquietante nel modo in cui si muoveva, con quell’eleganza noncurante e pericolosa con cui era solita affascinare. I suoi pensieri stessi erano pericolosi, lo si poteva avvertire dalla luce nei suoi occhi, dai gesti eleganti delle sue mani, dalla sua risata. La regina di un regno d’ombra, al di sopra di ogni biasimo e di ogni condanna.

“Non sei cambiata per niente”.

Bellatrix si fermò a guardarla. L’espressione dei suoi occhi rivelava che Andromeda era riuscita ad incuriosirla – almeno vagamente.

“Sei sempre stata così. Una prepotente” spiegò.

L’altra sorrise.

“E tu rimarrai sempre la ragazzina lagnosa che si rifugia dalla mamma quando qualcosa non va” sibilò con un sorriso.

“Dovresti crescere” proseguì Andromeda. “Io l’ho fatto”.

Bellatrix alzò gli occhi al cielo, ricominciando a camminare.

“Non sarà una come te a farmi la predica sul crescere, Andromeda. Prima dovresti deciderti a rinunciare a tutte quelle frottole da bambini che ti sono entrate in testa fin da quando hai imparato a camminare. Ah, e dovresti smetterla anche di comportarti da persona matura e responsabile quando è evidente che non lo sei”.

“Se ti riferisci alla mia amicizia con…”.

“… persone indegne? Mezzosangue? Sporchi Babbani? Sì, mi riferisco esattamente a questo”.

Fu il turno di Andromeda di alzare gli occhi al cielo.

“Smettila. Non sei più matura di me se cerchi di difenderti nascondendoti dietro i miei presunti difetti”.

“Mettila come ti pare”.

Sembrava che Bellatrix non avesse altro da dire. Andromeda la detestava quando si comportava in quel modo, da bambina viziata ed irragionevole. In realtà, ultimamente le era capitato spesso di cercare di giustificare i suoi comportamenti, anche con se stessa. Era sempre stata il modello da seguire per essere vincenti: Bella era elegante, Bella aveva un bel viso, Bella sapeva come comportarsi. Eppure, sembrava che Bellatrix avesse deciso di intraprendere una strada troppo buia persino per lei, che era sempre stata diversa.

Quando Andromeda cercava nel passato ricordi della sua infanzia, le sue sorelle c’erano sempre. Bellatrix, però, era collegata ad una nebbia di rabbia e prepotenza di cui il ricordo di Narcissa era completamente privo. Andromeda l’aveva sempre ritenuta la più forte, e l’altra ne aveva approfittato. Almeno fino a quando non si era accorta che la piccola Dromeda non aveva alcuna intenzione di farsi sottomettere da lei.

Il silenzio era calato con naturalezza tra loro due, con la semplicità che lega due persone che si conoscono da sempre. Andromeda rifletté su ciò che la sorella aveva detto. Diciamo che per me ha alcune attrattive… apprezzabili. Corrugò la fronte, sforzandosi di capire cosa intendessero quelle parole. Rodolphus non brillava certo per simpatia, anzi, le era sempre parso piuttosto rozzo e maleducato. Sapeva che anche Bellatrix la pensava così – o almeno lo aveva fatto fino a poco tempo prima. Più tornava col pensiero alle feste e ai ricevimenti ai quali era stata con lei e meno riusciva a spiegarsi il perché di quella scelta.

La colpì un pensiero, chiaro e sconvolgente come un lampo improvviso. Bellatrix in quel momento colse un altro fiore, questa volta bianco.

“Bella” la chiamò Andromeda, stringendo un lembo della veste per il collegamento che aveva fatto.

Bellatrix si voltò verso di lei, seccata.

“Tu non vuoi diventare una seguace di quel mago che il padre di Rodolphus si vanta tanto di conoscere, vero?”

Bellatrix inarcò un sopracciglio, carezzando la rosa che teneva in mano.

“E se anche fosse?” ribatté.

Andromeda sgranò gli occhi, terrorizzata.

“Bella, non puoi farlo!” esclamò, cercando di mantenere la calma. “Si parla di uccidere! Lo so! Non lo dicono mai apertamente, ma quello che si sente sulle aggressioni di questi tempi non lascia spazio all’immaginazione!”

Bella non sembrò impressionata dalla sua reazione, perché riprese soltanto a camminare, più lentamente.

“Si parla di liberare il mondo magico da chi non è degno di esistere” ribatté. “La feccia non può continuare a mescolarsi con maghi come noi, Dromeda, qualcuno deve fare qualcosa prima che sia troppo tardi”.

“Cosa stai dicendo?!” chiese Andromeda, senza fiato. “Cosa ti hanno fatto quelle persone perché tu possa arrivare a pensare cose così?”

Bellatrix la guardò negli occhi.

“Lo vedi? Sei sempre così tremendamente idealista. Immatura. Stupida”.

Le mise in mano la rosa. Andromeda non riusciva a distogliere lo sguardo da lei: quello era ben più di un capriccio. Si trattava del suo futuro, della vita che Bellatrix avrebbe condotto una volta uscita da quella villa, e Andromeda sapeva che, se la sorella era uscita allo scoperto, era stato solo perché aveva pensato a lungo a cosa fare, cosa dire, come agire. La colpì un pensiero improvviso: Bellatrix era come la rosa che aveva in mano. Era semplicemente perfetta, una strega potente, di grande abilità ed intelligenza, ma pungeva. Sebbene il paragone fosse uno dei più scontati e banali del mondo, Andromeda pensò che, chiunque l’avesse utilizzato per la prima volta, l’avesse tratteggiato proprio per lei.

“In futuro non ci saranno vie di mezzo, Andromeda. O starai con Lui, o contro di Lui” proseguì Bellatrix.

Andromeda sostenne il suo sguardo, mentre sentiva le spine della rosa ferirle la mano. Negli occhi della sorella c’era ancora quel lieve divertimento che qualcuno avrebbe potuto facilmente identificare con una sola parola: follia. Bellatrix era folle, se pensava davvero ciò che aveva detto, e lo erano tutti quelli come lei.

Andromeda la guardò mentre le voltava le spalle e tornava verso la villa.

“Io lo so già da che parte starò, Bella” le rispose, sforzandosi di non far tremare la propria voce.

Bellatrix si voltò. Andromeda ebbe l’impressione che la stesse guardando davvero per la prima volta da quando era entrata nel roseto. Non c’era scherno nei suoi occhi, solo una strana, quasi innaturale, serietà.

“Allora spero che almeno i tuoi amici babbani non siano così stupidi da ferirsi a sangue a causa di una rosa” le disse, sprezzante, accennando alle mani delle sorella.

Andromeda seguì il suo sguardo: la rosa bianca era macchiata di rosso, nella luce del crepuscolo.

Quando alzò gli occhi, vide che Bellatrix era già arrivata all’entrata del roseto. Il cielo si era fatto più scuro, ed era rimasta solo qualche sottile pennellata di viola e rosa all’orizzonte, contro il celeste e il blu della notte.

Strinse la rosa tra le dita, attenta alle spine: le parole di Bellatrix le rimbombavano in testa tutte insieme, in una confusione che la stordiva. Di una sola cosa era sicura: il tempo in cui Bellatrix le tirava i capelli e in cui lei le rispondeva era finito. La villa in cui avevano passato l’infanzia sarebbe stata testimone di altri eventi ben più gravi di litigi tra sorelle, e Andromeda non sapeva fino a che punto avrebbe potuto tollerare le ‘spine’ di Bellatrix, fino a che punto avrebbe potuto limitarsi a sentire il suo profumo, ad apprezzare la delicatezza dei suoi petali e a ripetersi che era sua sorella.

Fino a quanto avrebbe potuto continuare ad ignorare la strada che Bellatrix voleva intraprendere?

Una volta a casa, mise la rosa in un libro, a seccare. L’avrebbe ritrovata solamente molti anni dopo, quando un bambino dai capelli azzurri gliel’avrebbe mostrata incuriosito.

E quando Andromeda avrebbe avuto già da anni la risposta alla sua domanda.






Questa fanfiction ha partecipato al 'Contest Amore fraterno' indetto da Rota23 sul forum di EFP, classificandosi seconda parimerito e vincendo il premio caratterizzazione. Sto ancora galleggiando per la stanza per la giuoia – neanche a dirlo – e ri-ringrazio la giudiciA per il contest ed il giudizio, che riporto:


*Autore: _Mary

*Titolo: The other Black girl

*Grammatica/stile/lessico: 13,5/15 punti

*Originalità: 4,5/5 punti

*IC/Caratterizzazione personaggi: 9/10 punti

*Attinenza al tema dato e svolgimento della trama: 9/10 punti

*Gradimento personale: 4/5 punti

*Totale: 40/45 punti


Il primo punto non trova un punteggio pieno per una certa pesantezza di stile che ho riscontrato nelle primissime frasi della fan fiction. Per il resto, ho davvero molto apprezzato la capacità di descrizione e narrativa dell’autrice. Mi ha molto coinvolta.

L’originalità di questa opera sta nella descrizione accurata che l’autrice offre della scena proposta, nonché la simbologia legata al fiore e alle spine con cui esso si “difende”, ferendo la pelle di Andromeda in una chiarissima e forte metafora.

Mi è piaciuta la caratterizzazione dei personaggi, che ho trovato pressoché ottima, così come anche l’intensità del rapporto tra le due sorelle in special modo, che viene risaltato da tutto il testo, ma anche quello un poco meno esplicito che lega tutte e tre le sorelle Black. Questo, pur non essendo in primissimo piano, alla lettura risulta comunque.

Mi complimento con l’autrice, questo è davvero un buonissimo lavoro.


Complimenti a tutte le altre partecipanti, cercherò di leggere il prima possibile tutte le vostre storie *-*

Un abbraccio,

Ilaria

   
 
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