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Autore: KatNbdwife    24/10/2010    2 recensioni
Una carriera quasi distrutta ed un sogno da realizzare. Un compromesso che potrebbe cambiare molte vite.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi è venuta voglia di postare questa FF che sto scrivendo da parecchi mesi.
Attualmente sono in stallo ma ho diverse idee in mente.
Non volevo postarla fino a quando non l'avevo finita, a dire il vero, per essere certa di non farvi aspettare troppo, però mi spiaceva lasciarla lì.
Ogni capitolo sarà introdotto da un titolo preso in prestito da una canzone. Come noterete, il titolo avrà a che fare con l'argomento trattato nel capitolo. Ci saranno titoletti in italiano o in inglese e, per ognuno di loro, alla fine crediterò artista e canzone.

Ecco a voi

Use somebody

1. Tienimi, sto perdendo contro me…


La donna correva trafelata per la corsia dell’ospedale, le lunghe falde del cappotto aperto che sbattevano contro le sue gambe. Nei suoi occhi non c’era dolore o paura, solo disperazione.
Raggiunse la stanza 88 nell’esatto momento in cui il medico di turno ne uscì.

“Klaus! Ti prego, dimmi che è vivo!”
“Simone” rispose l’uomo, posando le mani sulle spalle della donna “E’ vivo. Anche questa volta Tom è arrivato in tempo”
“Posso vederlo?” chiese Simone, piangendo
“Sì, ma solo per pochi minuti. Ha bisogno di riposare”

Simone varcò la soglia della stanza e, come tutte le volte, il cuore le balzò dritto in gola per poi rituffarsi nel petto e provocarle un dolore indescrivibile.
Per l’ennesima volta, la sesta per l’esattezza, il suo bambino aveva tentato di porre fine alla sua vita e per la sesta volta lei era stata costretta a correre in ospedale, nel cuore della notte, terrorizzata al solo pensiero che Bill fosse morto.

Accanto al letto del figlio minore c’era, come sempre, Tom. Gli teneva goffamente una mano e scuoteva la testa. Quando vide la madre gli occhi gli si riempirono di lacrime troppo a lungo trattenute e, alzandosi, andò ad abbracciarla.

“L’ha fatto ancora. Roipnol, questa volta”
“Dove?”
“In bagno. Mi sono accorto che ci metteva troppo tempo, l’ho chiamato ma non rispondeva così ho sfondato la porta. Era nella vasca, respirava ancora ma il battito era debolissimo. Ti ho chiamata appena siamo arrivati in ospedale”
“Non ce la faccio più, Tom” disse la donna, soffocando i singhiozzi “Dobbiamo assolutamente aiutarlo”
“Abbiamo fatto di tutto, mamma. Bill è stanco e penso che l’unico modo per aiutarlo sia quello di sciogliere la band”
“Io credo sarebbe peggio, invece. Bill si sfoga con le sue canzoni, se gli levassimo anche quello si lascerebbe morire”
“Sta già morendo, giorno dopo giorno. Questa è la sesta volta che tenta di ammazzarsi nel giro di un anno e domani mattina tutti i giornali ne parleranno. David era riuscito a ridare un briciolo di dignità alla sua immagine dopo il penultimo tentativo di suicidio, due mesi fa, ma ora non so se sarà in grado di rifarlo… potrebbe essere la fine”
“Lo aiuteremo Tom. Tu fratello tornerà a sorridere, te lo prometto”

**

La notte appena trascorsa era stata una delle più merdose della sua vita. I suoi sogni erano stati popolati da strane ombre che gli urlavano in faccia e tentavano di assalirlo. Si era svegliato in un letto che non era il suo, in una stanza che non era decisamente la sua e solo dopo qualche minuto aveva capito di trovarsi in ospedale. Quindi significava che l’aveva fatto di nuovo.
Cercò con gli occhi il gemello e, come tutte le volte, lo vide assopito sulla sedia, la testa poggiata sulle braccia conserte sul suo letto. Con una mano gli sfiorò la guancia e Tom aprì gli occhi.

“Ciao” mormorò Bill. La gola gli bruciava e sentiva uno spiacevole dolore al centro dello stomaco, come tutte le volte che si sottoponeva alla lavanda gastrica
“Pezzo di merda” grugnì Tom
“Mi dispiace Tom…” balbettò il moro
“Mi dispiace un cazzo! Hai la minima idea di quanto tu ci abbia fatto preoccupare?”
“Tom…”
“No Bill, no! Tu sei un egoista! Pensi solo a te stesso, non ti accorgi di quanto soffriamo a vederti conciato così! A te non importa, se stai male tu gli altri non contano!”
“Mi dispiace… ero… ero triste, volevo solo dormire…”
“Cazzo. Vaffanculo Bill, vaffanculo”
“Ti prego Tom, non essere arrabbiato. Te lo giuro, non succederà più” Bill tentò di mettersi a sedere ma una fitta allo stomaco glielo impedì. Facendo una smorfia si stese nuovamente.
“Lo dici sempre. Tutte le volte dici che sarà l’ultima…”
“Voglio curarmi. Sono deciso Tom, te lo giuro. Andrò da uno psicologo, uno psichiatra, qualsiasi cosa… questa volta seguirò la terapia fino in fondo, te lo prometto. E voglio scrivere delle canzoni nuove, voglio un album nuovo, nuovi concerti”
“Bill… è da un anno che non facciamo concerti. L’ultima volta sei svenuto sul palco, pensavamo ti fossi spaccato la testa dal volo che hai fatto. Non sei in forma, non stai in piedi. Non riusciresti a reggere una tournee”
“Mi rimetterò in forma, dammi fiducia. Seguirò tutte le terapie del caso, lo prometto Tom. Questa volta sono serio”
“Potrebbe essere tardi, Bill. La nostra immagine è stata danneggiata irrimediabilmente, temo. I tuoi continui tentativi di suicidio ci hanno resi, agli occhi del pubblico, un pessimo esempio di vita. La tua dipendenza dai farmaci non ha giovato alla nostra reputazione”
“Stavo male, cazzo! Non ho iniziato a prendere farmaci per gioco!”
“Lo so. Ma in seguito ne hai abusato” sentenziò Tom, perentorio

Bill chiuse gli occhi. Non voleva più ascoltare il fratello, quelle parole gli facevano male. Voleva solo ricominciare daccapo, riprendere in mano la sua vita e tornare a fare l’unica cosa che avesse mai amato fare: la musica.

**

Il dramma personale di Bill e, in seguito, di tutta la band era cominciato qualche anno prima. Il raggiungimento del successo a livello planetario aveva portato con sé anche un sacco di scocciature. C’erano le fan da accontentare e, in alcuni casi, dalle quali scappare. C’era la casa discografica che spingeva affinché fossero ovunque e a disposizione di tutti. C’erano i giornalisti, i paparazzi, gli stalker, i fanatici.
Bill viveva la situazione nella maniera peggiore.
Mentre Tom, Georg e Gustav riuscivano a ritagliarsi dei piccoli spazi privati, Bill avvertiva un peso maggiore sulle spalle. L’opinione pubblica lo riteneva il leader, il ragazzo cool, quello sempre bello, sempre carismatico, sempre disponibile, sempre sorridente. Se sgarrava, se commetteva anche solo un piccolo errore, era finito. I mass media si avventavano su di lui e lo davano in pasto al pubblico senza pietà.

Bill aveva, di conseguenza, imparato a stipare tutte le sue paure e le sue angosce in un angolino del suo cuore, uno spazio che solo lui conosceva e nel quale sperava di farci stare tutti i suoi timori. E, in effetti, rimasero lì per parecchio tempo, fino a quando Bill non cadde dalle scale e si fratturò una gamba in diversi punti.
Durante il ricovero e la convalescenza gli vennero prescritti dei farmaci antidolorifici, da assumere in quantità limitate a seconda del grado di dolore. Ma, man mano che il corpo di Bill si abituava ai medicinali, il ragazzo si accorse che non facevano sparire solo il dolore fisico. Quelle piccole pastiglie bianche lenivano anche il dolore della sua anima, lo facevano sentire forte, liberavano il suo cuore dalle ansie e dai timori e, la notte, lo facevano dormire sereno.
Anche quando gli venne tolto il gesso e la gamba tornò come nuova, il ragazzo continuò ad assumere i farmaci di nascosto, fino a al giorno in cui svenne sul palco durante un concerto e, a seguito delle analisi ospedaliere, la sua tossicodipendenza venne alla luce.
I medici proposero al cantante un periodo di riposo e il ricovero in un centro riabilitativo. Bill passò un mese in clinica e ne uscì pulito. Nessuno però, nemmeno Tom, si accorse del malessere interiore che aveva ripreso a divorarlo e che, ben presto, sfociò nel primo tentativo di suicidio.

I giornali cominciarono, quindi, a sparare articoli a raffica nei quali mettevano a nudo il cantante, raccontando per filo e per segno la sua dipendenza dagli antidolorifici e parlando del suo tentativo di suicidio come fosse il capriccio di una star viziata.
E così fecero per tutte le volte successive, fino alla sesta.
Anche in quel caso i giornalisti dipinsero Bill come una rockstar sciocca e superflua, che amava prendersi gioco della vita e degli altri.
Nessuno, nemmeno per un istante, mise in luce un fatto: i suoi occhi non ridevano più. Gli occhi di Bill, solitamente espressivi e solari, avevano perso la loro luce.

Ora Bill voleva ricominciare davvero.
Voleva tornare a sorridere, voleva tornare a scrivere canzoni, ad andare in studio, ad esibirsi, a firmare autografi e stringere mani.
Lo doveva a Tom, a Georg e a Gustav. Lo doveva alle sue fan. E lo doveva a sé stesso.
Per farlo, però, doveva prima rimettersi in piedi e riabilitare la sua immagine agli occhi del mondo intero. Volente o nolente.

* Viola - Shandon
   
 
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