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Autore: Oneechan    25/10/2010    0 recensioni
La chiamavano Wonderland da quando un bel giorno la città si era svegliata e aveva scoperto che sull’insegna di benvenuto qualche spiritoso aveva cancellato il suo vero nome e l’aveva sostituito con una scritta a pennarello: “Hey, Alice, welcome in Wonderland!” Qualcuno aveva riso, qualcuno se n’era fregato, un altro ancora si era arrabbiato e l’aveva cancellata. Il giorno dopo la scritta era di nuovo lì, grande e indelebile. Non si era mai scoperto chi fosse l’autore né a che Alice si riferisse, ma con il tempo il nome era rimasto e la città era diventata per tutti il Paese delle Meraviglie.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando muore il Bianconiglio

- Nooo!

L’urlo disperato di Emma non aveva mai raggiunto le orecchie di Erik, né gli occhi del ragazzo si erano mai posati sulla sua espressione terrorizzata, non avevano fatto in tempo. Un millesimo di secondo era bastato perché quegli occhi restassero aperti, spalancati, rivolti per sempre a un cielo scuro che non potevano più vedere.

Gli Hell’s Rabbits erano tutti lì in piedi, immobili, incapaci di reagire. I loro sguardi oscillavano senza sosta dal corpo di Erik immobile sull’asfalto a quello di Emma, inginocchiata in una pozza di sangue che piangeva a dirotto e gridava senza sosta il nome di quello che fino a pochi istanti prima era stato il suo fidanzato. Fu su di lei che infine scelsero di soffermare l’attenzione, sulla parte più penosa di quella già tragica scena. Anche lui la guardava. Lui, quel tipo che nessuno aveva mai visto, lui, il giovane avvolto in una felpa scura che gli nascondeva il viso, lui, con una mano tremante che ancora stringeva una pistola, lui, l’assassino di Erik. In quel preciso istante capirono di volerlo morto, ognuno di loro l’avrebbe ucciso in un modo differente ma per la stessa ragione. Ma non potevano: lui aveva una pistola e loro erano paralizzati. Quando videro Fran muovere un passo incerto sperarono che avrebbe infranto quel silenzio pesante che aveva avvolto persino i singhiozzi di Emma, invece la ragazza si accasciò contro un muro vomitando anche l’anima sul pavimento già lurido del vicolo. Le espressioni di alcuni degli altri lasciavano intendere che ben presto avrebbero seguito il suo esempio.

Trenta interminabili secondi dopo fu Van a farsi avanti.

- Sai cosa hai fatto? – chiese, ed era la domanda più inutile che gli Hell’s Rabbits gli avessero mai sentito fare a qualcuno.

- Lo sai cos’hai fatto? – ripeté, più forte. Gli tremava la voce, e a Van non tremava mai la voce.

- Sì. – rispose dopo un po’ il giovane con la felpa scura, con uno strano tono quasi rammaricato – Ho appena distrutto la crew.

In quel momento il solo sguardo sarebbe bastato a far capire che pistola o no, Van stava per saltargli addosso. Aveva già fatto un passo avanti con il pugno chiuso a mezz’aria, quando fu bloccato dal suono di una sirena in lontananza.

- La polizia! – sputò Donna, e per una volta nella vita avrebbe preferito non avere ragione. Quando una decina di agenti irruppero nel vicolo ad armi spianate, il ragazzo con la felpa scura si era già eclissato in uno degli edifici circostanti.

Gli Hell’s Rabbits non ebbero il tempo di interpellare la propria coscienza, poterono solo girarsi e cominciare a correre più veloce che potevano, veloci quanto avevano dovuto imparare ad essere. Van, prima di afferrare Emma per le spalle e trascinarla via scappando con gli altri, ebbe appena il tempo di chinarsi sul cadavere del fratello e chiudergli gli occhi negandogli anche quell’ultimo panorama, i cieli plumbei del Paese delle Meraviglie.

 

*

I Conigli Infernali del Paese delle Meraviglie

Sebbene fosse ancora segnata con un minuscolo puntino nero sulle cartine geografiche, la città era già morta da tempo. Morta e sepolta, stretta nella morsa della povertà, della corruzione, della droga. I cadaveri nelle strade non erano più uno spettacolo, la polizia non era più una protezione, le lotte tra bande non erano più una novità. Tutto questo a discapito dello strano nome che si ritrovava.

La chiamavano Wonderland da quando un bel giorno la città si era svegliata e aveva scoperto che sull’insegna di benvenuto qualche spiritoso aveva cancellato il suo vero nome e l’aveva sostituito con una scritta a pennarello: “Hey, Alice, welcome in Wonderland!” Qualcuno aveva riso, qualcuno se n’era fregato, un altro ancora si era arrabbiato e l’aveva cancellata. Il giorno dopo la scritta era di nuovo lì, grande e indelebile. Non si era mai scoperto chi fosse l’autore né a che Alice si riferisse, ma con il tempo il nome era rimasto e la città era diventata per tutti il Paese delle Meraviglie.

Nella sua periferia, nascosto dietro lo scheletro di una fabbrica abbandonata, c’era un parcheggio. Era sempre deserto, pesino il sabato sera quando l’edificio cadente si spacciava per discoteca e si riempiva di adolescenti urlanti, alcolizzati e tossici: sul lato opposto ce n’era uno molto più comodo sia per spacciare sia per consumare, quindi nessuno andava mai a infilarsi là dietro.

Nessuno tranne gli Hell’s Rabbits, una delle tante crew che bazzicavano in quella zona. Da dove avessero tirato fuori quel nome non lo sapeva nessuno, probabilmente neppure loro stessi. Quell’amicizia era incominciata nel parcheggio, e lì la portavano avanti da quasi due anni.

Quel pomeriggio come in tanti altri, se ne stavano seduti sull’asfalto a godersi il sole estivo e l’onnipresente odore di catrame.

- Che ore sono? – chiese Fran a nessuno in particolare, interrompendo un silenzio che durava da oltre venti minuti.

- Pomeriggio. – fu la risposta secca di Zac, mentre con ultimo sorso vuotava definitivamente la lattina di birra.

- Fino lì ci arrivo.

- Sono le quattro.

- Sei sicuro?

- No. E poi, cosa te ne frega? Hai qualcosa da fare?

- No.

- Appunto.

- Volevo solo saperlo. – borbottò la ragazzina imbronciata cominciando a giocherellare con un sassolino solitario trovato accanto al ginocchio. – Emma, dov’è Erik?

- Non lo so, Fran! Quante volte te lo devo dire?

- Si può sapere perché siete tutti cosi schizzati oggi? Non avete aperto bocca tutto il pomeriggio, poi appena vi si rivolge la parola scattate come delle belve! Ma cos’è che avete?

Donna rovistò nel giubbotto alla ricerca di un accendino. Non trovandolo, passò alle tasche di Van. – Perché siamo troppo impegnati a riflettere su tutti i cazzo di problemi che abbiamo, e se per te non è così facci il favore di limitarti a chiudere la bocca.

Fran, che con i suoi tredici anni e mezzo era la più piccola del gruppo, assumeva a seconda delle situazioni il ruolo di sorellina o di valvola di sfogo. E quello per gli Hell’s Rabbits non era il periodo adatto da passare a coccolare le sorelline.

- Dai, non trattarla così. – intervenne Emma. Donna per tutta risposta si accese la quinta sigaretta dell’ultima mezz’ora.

- Non lo so dov’è Erik, tesoro. – Emma allontanò il fumo dal volto agitando una mano. – Non lo so davvero. Arriverà.

- L’hai detto anche ieri.

Ripiombò il silenzio. Van era seduto a gambe incrociate con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il suo vecchio cellulare per terra proprio di fronte a sé. Fissava lo schermo con aria concentrata, come se volesse attirare una chiamata con la forza del pensiero. Naturalmente, come tutti gli altri, aspettava notizie del fratello. Erik era stato nominato all’unanimità leader della crew fin dai primi incontri del gruppo. Non perché fosse il più vecchio, in questo non batteva gli ultraventenni Sid e Donna, ma perché era l’unico che sapeva sempre calmare gli animi di tutti. Quando c’era Erik nei dintorni, una litigata non andava mai oltre qualche occhiata in cagnesco.

Recentemente però il ragazzo si era fatto vedere poco, e negli ultimi due giorni era sparito del tutto senza dare notizie.

Quando la sigaretta di Donna fu consumata fino al filtro e lei fu costretta a spegnerla premendola sull’asfalto, finalmente il telefono di Van squillò.

- Che suoneria idiota. – commentò Donna, ma lui la zittì con un cenno e si portò il cellulare all’orecchio.

- Pronto, Erik? No? Ma chi… Ah, sei tu! Come stai?

Gli altri non persero tempo ad ascoltare la telefonata, e solo quando chiuse la comunicazione decisero che forse potevano prestargli un po’ di attenzione.

- Notizie di Erik? – chiese Sid.

- No. Era Shally.

- È successo qualcosa?

- Ha di nuovo febbre e conati di vomito, dice che non riesce neanche ad alzarsi. Mi chiedo se sia il caso di andare da lei.

- Come, Shally sta male? – Fran si sporse in avanti per mettersi tra loro. – Cos’ha?

- Cosa vuoi che abbia? – Sid la spinse di nuovo indietro - È incinta.

- Che cosa? – Fran spalancò la bocca, gli altri finsero solo di essere stupiti.

- Shally incinta, ma che ti salta in mente?

- Ragazzina, non fare la finta tonta. Saranno tre settimane che sta da cani e vomita, che altro vuoi che sia?

Zac scosse la testa. – Merda.

Emma allungò la mano verso il cellulare di Van, l’unico vagamente funzionante tra quelli dei presenti. – Hai soldi?

- Pochi.

- Abbastanza per una telefonata?

- Credo di sì.

Lei lo prese e si alzò, cercando nella rubrica sotto la lettera S.

- Pronto, signora, sono Emma. Emma, l’amica di Shally. Può passarmela per favore? Sì, lo so, signora, mi dispiace…la prego, devo parlare con Shally, è urgente… Shally! Tesoro, come stai? Dai, non piangere… - si allontanò e cominciò a girare in tondo pochi metri più in la cercando di consolare l’amica. Quando la videro tornare, si accasciò di nuovo accanto agli altri, sospirando con espressione abbattuta.

- Avevo azzeccato, eh? – disse Sid. Emma annuì.

- Dice che è di Greg il bambino.

- E di chi altro? Comunque, con tutte quelle che si scopa quel coglione, un figlio è il minimo che le possa capitare.

- Merda. – ripeté Zac – Quella ragazza è già abbastanza stressata così, le manca solo un marmocchio a cui badare.

Donna recuperò un’altra sigaretta. – Può sempre abortire.

- Non tutti hanno il tuo senso pratico, Donna. – ribatté Van – Ogni tanto succede che nel mondo a qualcuno capiti di avere una coscienza.

- Senti, sapientone, sai meglio di me che non c’è altra soluzione. Cos’altro dovrebbe fare, tenersi il bambino?

- Sì. – sussurrò Emma – Ha detto che è troppo tardi per l’aborto.

- Stai scherzando, spero. – Donna fece schioccare la lingua – Ma se sgobba dalla mattina alla sera e quei pochi soldi che porta a casa li usa la madre per comprarsi superalcolici! Con cosa dovrebbe tirarlo su quel bambino? O credi che quel figlio di puttana abbia intenzione di sposarla e assumersi qualche responsabilità?

Sid si passò una mano tra i capelli ispidi. – Se vi consola, appena lo becco gli spacco il culo, ma questo non risolve il problema.

Donna sbuffò. – Ci mancava anche questa.

Van aprì la bocca per ribattere, ma cambiò idea e la richiuse senza dire nulla.

- Sentite… - intervenne Fran a bassa voce – Quando nascerà il bambino di Shally, la porterete in ospedale, vero?

I membri adulti degli Hell’s Rabbits si morsero contemporaneamente il labbro, senza rispondere.

- Vero, ragazzi? – insistette Fran.

Come succedeva piuttosto spesso, fu Donna a fare da interprete ai pensieri comuni. – E con che soldi? La clinica costa, carina.

- Ma Shally…

- Forse mettendo insieme i soldi… - ipotizzò Emma, ma gli sguardi degli altri furono una risposta più che sufficiente. In quel preciso momento, dei passi li informarono dell’arrivo di qualcun altro nel parcheggio.

- Di qualunque cosa stiate parlando, non ci sarà nessun bisogno di fare una colletta. – disse una voce cordiale alle loro spalle.

- Erik! - esclamò Zac scattando in piedi.

- Ciao ragazzi! – salutò Erik agitando un braccio. Aveva la barba di due giorni e i vestiti sporchi, ma sorrideva.

Emma gli corse incontro e lo abbracciò. Lui fece appena in tempo a darle un bacio che Van l’aveva afferrato per la collottola e sbattuto contro il muro più vicino.

- Si può sapere dov’eri finito?

- È così che si tratta il proprio fratello maggiore?

- Non fare lo spiritoso! Eravamo preoccupati da morire, si può sapere dove cazzo eri?

- Stavo risolvendo tutti i nostri problemi.

- Cosa?

Erik si liberò dalla sua presa e fece un passo di lato. Poi infilò una mano in tasca e ne tirò fuori una bustina di plastica trasparente contenente poco più di un cucchiaio di polvere bianca.

- Cocaina! – esclamò Sid strappandogliela di mano prima che lo facesse Donna. – Grazie del pensiero, amico, ma cosa mi viene a significare?

- Significa che d’ora in poi abbiamo finito di fare la fame. Questa roba ci farà andare avanti alla grande senza più bisogno di rubare il pranzo nei supermercati.

- Cos’è, vuoi risolvere i nostri problemi diventando un tossico? – ridacchiò Sid mettendo la punta di un dito nel sacchetto, poi se lo passò sotto il naso con espressione radiosa. – Sarei anche disposto a darti corda.

Erik rise. – Certo che no!

- E allora cosa ci fai con questa roba? – chiese Donna cercando di rubare il bottino dalle mani di Sid.

- Ve l’ho detto, risolvo i nostri problemi! Lo conoscete un uomo che si fa chiamare il Cappellaio Matto?

- No, chi è? – Fran tentò di vedere il motivo dell’ilarità degli amici, ma Sid e Donna la allontanarono.

Erik la aiutò a rialzarsi e si preparò a rispondere, ma Van lo precedette.

- Un signore della droga, ecco chi è. È da un bel pezzo che cerca di mettere le mani sul Paese delle Meraviglie, ma non c’è ancora riuscito perché pare che le sue partite facciano schifo.

Sid si fermò con ancora un dito sulla narice. – Ah sì?

- Sì! – Van gli strappò il sacchetto di mano e lo gettò per terra, pestandolo ripetutamente e con violenza.

- No! – esclamò Donna cercando di fermarlo – Cazzo, Van! Per una volta che ci capita un po’ di quel ben di Dio davanti, tu lo sprechi così?

- Lo sapete cosa ci fanno se ci trovano con questa roba? – urlò Van – L’unico motivo per cui siamo ancora tutti uniti è che nessuno di noi si è mai immischiato in faccende sporche. E adesso proprio tu – puntò il dito contro il fratello – fai di tutto per peggiorare le cose?

- Ci servono soldi…

- E pensi di procurarteli spacciando cocaina?

- Tu negli ultimi mesi hai forse avuto qualche idea migliore, fratellino?

- Qualunque idea è migliore di questa!

Erik lo prese per un braccio e lo trascinò in disparte.

- Van, stammi a sentire…

- Tu sei pazzo, Erik. Tu sei completamente pazzo!

- Van, ascolta…

- Ascoltare cosa? Lo sai in che cazzo di città viviamo, lo sai in che situazione di merda siamo! Ti ricordi che fine hanno fatto gli altri? Gli Sharks, e anche quei cretini che si riunivano vicino al porto, te lo ricordi che fine hanno fatto? Quelli che non si sono sparati in testa li hanno ritrovati in overdose in mezzo ai vicoli, affogati nel loro vomito! È così che vuoi far finire anche noi?

- Non succederà. Non ho nessuna intenzione di coinvolgere gli altri, ci andrò di mezzo solo io.

Van scosse la testa. – Non siamo messi così male.

- No, siamo messi anche peggio. Solo perché non stiamo morendo per strada, non significa che questa sia vita! Io voglio di più, Van. Voglio di più sia per me che per gli altri, perché non debbano passare la vita in quel parcheggio! – indicò il gruppo – Fran a quest’ora sarebbe a scuola. Shally potrebbe smettere di lavorare dalla mattina alla sera. Sid, e Donna, e Zac rischierebbero di avere un futuro. E Emma…io e Emma stiamo insieme da due anni ormai. Voglio chiederle di sposarmi, Van, ma non posso farlo in questo stato, non sapremmo di che vivere. E se venisse fuori qualcos’altro allora non so proprio…

- Shally è incinta.

- Che cosa?

- Mi hai sentito.

- Di Greg?

- Sì.

Erik sospirò. – Appunto. Lo vedi, fratellino? Proprio perché non voglio vedere gli Hell’s Rabbits fare la fine degli Sharks e di tutti gli altri che ho accettato la proposta del Cappellaio Matto. Ti prometto che farò tutto da solo, a meno che tu non voglia darmi una mano, naturalmente…

- No, Erik. Non voglio.

- Certo. – il ragazzo sospirò – Lo immaginavo. – gli diede una pacca sulla spalla, poi ritornò verso il gruppo.

- Hey, ragazzi! – urlò tirando fuori dalla tasca un paio di banconote – Che ne dite di andare a festeggiare?

Gli Hell’s Rabbit si lanciarono verso di lui, parlando tutti contemporaneamente. Solo Van rimase dov’era, a fissare quella macchia bianca sull’asfalto.

- Che cazzo hai fatto, Erik? – sospirò guardando il fratello prendere a spalle Fran e allontanarsi ridendo con il resto del gruppo – Che cazzo hai fatto?

 

Sette mesi più tardi, in una clinica privata pagata con i soldi guadagnati con lo spaccio di cocaina, era nato il bambino di Shally. Gli Hell’s Rabbits avevano discusso a lungo, e dopo tre giorni le erano arrivati davanti con una lista di possibili nomi. Shally aveva scelto il quinto, Joey. Il bambino era stato battezzato qualche settimana più tardi nell’unica vecchia chiesa del Paese delle Meraviglie. Quand’era tornata a casa, Shally aveva trovato sua madre sulla porta. Sobria. Aveva accennato un sorriso e dato un bacio sulla fronte del nipote. E Shally aveva pianto, per la prima volta da anni, di felicità.

Van aveva cambiato cellulare, Fran ne aveva avuto uno per la prima volta.

Sid trovò lavoro in un’officina, e nel giro di qualche mese riuscì a mettere insieme i soldi sufficienti a comprarsi una chitarra. Quando gli facevano notare che non sapeva suonarla, si limitava ad alzare le spalle e a dire che prima o poi avrebbe imparato.

Padre Michel, il parroco della chiesa, l’unico rimasto in città, aveva rimesso in sesto un edificio abbandonato per usarlo come scuola per i bambini di strada. Sarebbe stato difficile, e lo sapeva, ma ci avrebbe provato. Fran non era mai andata a scuola. Quel che sapeva glielo avevano insegnato suo padre e i membri della crew. Quando aveva saputo del progetto di Padre Michel, aveva urlato finché tutti gli Hell’s Rabbits non avevano acconsentito per sfinimento a dargli una mano, e aveva frequentato tutte le lezioni fin dal loro inizio non appena la classe era stata pronta. Da allora arrivava spesso nel parcheggio prima degli altri e si sedeva sull’asfalto con un quaderno in grembo. Donna prima la prendeva in giro, poi si accendeva una sigaretta e la stava a sentire.

Erik si faceva vedere poco, e per quel poco Van gli proibiva categoricamente di parlare di qualunque cosa riguardasse il suo nuovo impiego, era sufficiente che il fratello fosse abbastanza scaltro da non farsi arrestare. Il numero dei tossicodipendenti tra i giovani delle crew nei dintorni della fabbrica abbandonata era aumentato in maniera preoccupante, ma gli Hell’s Rabbit si limitarono a fingere di non sapere che era grazie all’intervento del loro amico, il Bianconiglio, come lo chiamavano i fornitori che sapevano per chi lavorava.

Un giorno di primavera chiese a tutti i membri della crew di riunirsi. Vennero Zac con la sua birra, Fran con il suo quaderno logoro, Donna con le sue sigarette, Sid con la sua chitarra che ancora non sapeva suonare, Van con quell’aria imbronciata che non l’aveva più abbandonato nell’ultimo anno. Le ultime furono Emma e Shally con in braccio il figlio. Dalla nascita di Joey, Emma si era praticamente trasferita a casa di Shally. L’aveva consolata, aveva fatto le pulizie una volta la settimana, aveva lavato i vestiti sporchi, aveva messo a dormire il bambino le volte che Shally si rinchiudeva in camera a piangere rifiutando persino di guardarlo. La madre di Shally con il tempo aveva smesso di metterla alla porta il prima possibile e le si era quasi affezionata, al punto da tentare di migliorare i rapporti con la figlia. Un giorno che Emma non c’era, quando Shally si era svegliata il mattino aveva trovato sua madre intenta a preparare una torta. Aveva sbagliato le dosi al punto da renderla immangiabile, ma questo Shally non gliel’aveva mai detto.

Erik aspettò che ci fossero tutti, poi con testa alta e passo lento e sicuro li raggiunse. S’inginocchiò davanti a Emma e lì davanti a tutti le chiese se voleva sposarlo. C’era una casa, era piccola ma per loro due sarebbe bastata. Aveva un po’ di soldi, e non appena avesse trovato un lavoro avrebbero potuto trasferirsi. Guardò negli occhi i compagni uno per uno e giurò che avrebbe smesso con lo spaccio. Emma gli saltò al collo, lo abbracciò e lo baciò. Van, per la prima volta da mesi, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Gli altri non poterono che sfoggiare un sorriso, rosi dal dubbio di non essere felici quanto avrebbero dovuto.

Quel mese, finite le dosi da distribuire, il Bianconiglio rifiutò le consegne dai suoi fornitori. L’unica a sapere quando il Cappellaio Matto sarebbe tornato nel Paese delle Meraviglie e dove si sarebbe fermato era una prostituta di nome Deb, che lo andava a trovare durante ogni sua visita in città. Grazie a lei Erik riuscì a mettersi in contatto con l’uomo e a comunicargli la sua decisione. Uscì da quel colloquio con i nervi a fior di pelle, e quando Van provò ad affrontare l’argomento ricevette un pugno che gli spezzò il setto nasale. Dopo, Erik gli chiese scusa per giorni, ma la risposta più gentile che ricevette fu un “vai a farti fottere”.

Un pomeriggio in cui il cielo prometteva pioggia, lo affrontò davanti a tutti gli altri. Erik disse che doveva parlargli. Van disse che avrebbero parlato in un altro momento. Erik gli chiese di nuovo scusa. Van disse che come discorso era ripetitivo. Erik disse che gli dispiaceva. Van disse che non gliene importava un accidente. Erik disse che al Cappellaio Matto non era andata giù la sua ritirata, che non gli sarebbe stato così facile uscire dal giro. Van disse che doveva aspettarselo, e che avrebbe potuto pensarci prima. Erik disse che l’aveva fatto per loro. Van urlò che a loro non era cambiato un bel niente, erano ancora in mezzo a uno schifo di strada in uno schifo di città, con davanti uno squallido futuro fatto di alcol scadente e mattoni scoperti. Erik respirava affannosamente e aveva le lacrime agli occhi. Mentre stava per rispondergli, era comparso nella strada un ragazzo con una felpa scura.

- Sei tu Erik? – aveva chiesto.

- Sì. Che cazzo vuoi? – aveva sbottato Erik allontanandosi i capelli sudati dalla fronte.

Il ragazzo aveva infilato una mano nella tasca della felpa e ne aveva tirato fuori una pistola. Gli aveva sparato al petto, senza avvicinarsi, senza una parola, senza un motivo. Quando era arrivata la polizia, era sparito così com’era arrivato, e gli Hell’s Rabbits erano fuggiti verso il monolocale dove viveva Sid, il rifugio più vicino. Shally si era seduta sul letto e aveva abbracciato Emma. Fran, rannicchiata sopra un mucchio di vecchi giornali, era stata l’unica ad avere il coraggio di scoppiare a piangere. Zac, Donna e Sid se ne stavano in un angolo a fissare il pavimento con una sigaretta in bocca senza neppure la forza di accenderla. Van era entrato nel minuscolo bagno, si era chiuso la porta alle spalle e con un urlo disumano aveva incominciato a prendere a pugni la parete finché il muro non diventò una distesa d’intonaco ammaccato e macchie rosse, e sulle sue nocche non rimase che qualche brandello di pelle sanguinante a coprire le ossa. Nessuno cercò di fermarlo.

Sebbene la polizia non avesse nessuna intenzione di cercare l’assassino di Erik, finì per trovarlo lo stesso, pochi giorni dopo, in un vicolo identico a quello. Indossava ancora quella felpa, ed era morto per un colpo alla testa sparato dalla stessa pistola con cui aveva ucciso il capo degli Hell’s Rabbits. Quando quelli della crew avevano scoperto la sua identità, Fran aveva pianto di nuovo: lo conosceva, era il cugino di uno dei bambini che frequentavano con lei la scuola di padre Michel, e non aveva mai avuto niente a che fare né con la droga né con le bande. Il caso era stato archiviato come suicidio, un marmocchio che uccide un altro marmocchio e poi si toglie la vita. Così era stata archiviata anche la morte di un diciannovenne che avrebbe dovuto sposarsi il mese successivo.

La prima dopo quel giorno a passare di nuovo in quel vicolo fu Shally. Era uscita di casa correndo con il figlio in braccio, inseguita dalle urla della madre di nuovo ubriaca che le lanciò dietro una bottiglia. Shally la sentì fracassarsi contro un muro, e continuò a correre. Si rese conto di dov’era solo quando sentì una stretta allo stomaco e vide la macchia scura ancora lì sull’asfalto. Il giorno successivo, mentre la madre dormiva, tornò con un secchio d’acqua. Lo gettò sul sangue di Erik e lo guardò scorrere via attraverso un tombino, goccia dopo goccia, cancellando per sempre anche il suo ultimo ricordo che rimaneva a quella città.

  
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