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Autore: lyrapotter    25/10/2010    12 recensioni
Nona classificata a parimerito al contest Proud or Ashamed of Being a Black indetto da Vogue sul forum di EFP
“Forse è proprio questo il punto…”.
“Cosa intendi dire?”.
“Forse il destino è proprio quello che ci capita quando non ce l'aspettiamo” spiegò il ragazzo con aria meditabonda. Poi ridacchiando, riprese: “Da questo punto di vista, che senso ha continuare a opporsi? Noi due siamo destinati a stare insieme, Meda”.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Ted Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

N.B. le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi.

Fanfiction partecipante al Proud or Ashamed of Being a Black indetto da Vogue91 sul forum di EFP

WITHOUT YOU

Andromeda gironzolava per gli scaffali della Sezione di Incantesimi della Biblioteca, in cerca di qualcosa di utile per terminare l’ultimo tema assegnato da Vitious. Ci si stava rompendo la testa da tre giorni, ma ancora non era riuscita a raggiungere la lunghezza minima richiesta: se andava avanti di quel passo, sarebbe stata costretta a lavorarci tutto il weekend.

Aveva appena adocchiato un libro dal titolo promettente e si stava allungando per prenderlo quando un paio di mani le si posarono sugli occhi e una voce ben nota le sussurrò all’orecchio: "Indovina chi è?".

Andromeda si ritrovò a sorridere come una sciocca prima di rendersi conto che erano decisamente troppo in vista per permettersi simili gesti.

"Ted" sussurrò, metà felice e metà guardinga.

"Indovinato".

Ted la fece piroettare su sé stessa, provando poi a darle un bacio, ma Andromeda lo bloccò mettendogli una mano sul petto. "Ma sei impazzito? E se ci vedesse qualcuno?".

"Ci siamo soltanto noi due in tutta la biblioteca, Meda" la tranquillizzò lui. "Ho fatto il giro tre volte: c’è solo la Pince".

"Che è pure troppo…" borbottò Andromeda in tono scontento, per essere subito messa a tacere da un bacio. Una parte del suo cervello la avvisò che avrebbe dovuto fermarlo prima che succedesse l’irreparabile, ma il resto era fin troppo felice di assaporare quel momento, così lo lasciò fare. In fondo, chi voleva prendere in giro? Lei adorava quei piccoli momenti rubati solo per loro due.

Quando si separarono, rivolse a Ted un sorrisetto vacuo. "Sei un vero incosciente, lo sai?".

"Perché bacio la mia ragazza?".

"Perché baci me" specificò lei.

"E tu non sei forse la mia ragazza?" domandò Ted.

Andromeda abbassò lo sguardo, prima di voltarsi e tornare a guardare i volumi sugli scaffali: gli effetti dell’innamoramento, per quanto marcati, non erano certo sufficiente a farle dimenticare tutto quello che rischiavano ogni giorno continuando quella relazione clandestina.

"Non lo so, Ted".

"Non sai cosa?".

"Se posso definirmi la tua ragazza".

Anche senza girarsi, poteva tranquillamente immaginare l’espressione ferita con cui Ted la stava fissando in quel momento, perciò si sforzò di concentrarsi sui libri che aveva di fronte.

Fu perciò piuttosto sorpresa quando l’afferrò per le spalle costringendola a voltarsi per poi fissarla dritta negli occhi. "Tu sei la mia ragazza" dichiarò in un tono che non ammetteva repliche.

"Ted, non è così semplice…".

"Sì che lo è: basta che siamo noi a volerlo".

"No, non lo è" lo contraddisse Andromeda, irritata: almeno uno di loro doveva mantenere i piedi per terra in quella storia, e non sarebbe stato di certo Ted.

"Sei troppo disfattista, Meda".

"E tu troppo sognatore".

Ted ridacchiò con aria complice. "E perché non ti metti a sognare insieme a me?".

La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma Ted le scoccò un lungo bacio che le fece tremare le ginocchia. "Sei scorretto, Ted" sussurrò quando si separarono. "Come posso farti un discorso serio se ti comporti in questo modo?".

"Dovresti rilassarti un pochino qualche volta, Meda, o ti verranno i capelli bianchi prima dei vent’anni!".

"A volte penso che tu non ti renda conto di quanto sia pericoloso, per te, stare con una come me".

Il ragazzo inclinò la testa di lato, ridacchiando. "Perché, per caso voi Purosangue mangiate il vostro partner come le mantidi religiose?".

"Idiota" sbuffò Andromeda, dandogli uno scappellotto. "Io forse non ti mangerò, ma i miei genitori…".

Ted le fece segno con la mano di non andare oltre. "Sai, sono davvero stanco di sentire nominare la tua famiglia ogni volta che abbiamo una conversazione!".

"Ma loro ci sono, Ted, e se mai scoprissero, non oso nemmeno pensare… Ted, non vogliono che ti facciano del male".

"Che ci provino: farò a polpette chiunque provi a tenermi lontano da te!".

E l’avrebbe fatto sul serio, Andromeda non dubitava certo della verità di quelle parole, ma allo stesso tempo sapeva che Ted, per quanto armato di buone intenzioni, non sarebbe mai stato all’altezza di Bellatrix: se si fosse mai giunti allo scontro, Andromeda era quasi certa di sapere quale sarebbe stato l’esito e non sarebbe stato a favore del suo amato.

"Tu sei un dannato incosciente" sospirò con aria rassegnata. "Non avresti mai dovuto innamorarti di me e io no avrei mai dovuto ricambiarti: non c’è futuro per noi due".

"Stupidaggini" ribatté Ted in tono deciso. "Io dico che è stato il destino a farci innamorare".

Andromeda non riuscì a trattenere una risatina amara. "Allora il destino ha davvero un perverso senso dell’umorismo: chi poteva pensare che mi sarei mai innamorata di un Nato Babbano?".

"Forse è proprio questo il punto…".

"Cosa intendi dire?".

"Forse il destino è proprio quello che ci capita quando non ce l'aspettiamo" spiegò il ragazzo con aria meditabonda. Poi ridacchiando, riprese: "Da questo punto di vista, che senso ha continuare a opporsi? Noi due siamo destinati a stare insieme, Meda".

Andromeda sorrise, sentendosi il cuore stranamente leggero, e gli cinse il collo, avvicinando il viso al suo. "Il mio dolce filosofo della vita e del destino".

"La mia piccola e adorabile pessimista" le fece eco Ted, dandole un bacio leggero.

La sveglia cominciò a trillare, strappandola bruscamente dal mondo dei sogni.

Andromeda si rigirò nel letto, zittendo il malefico aggeggio con uno sbuffo: avrebbe voluto tornare a dormire, ma sapeva bene che non si sarebbe più riaddormentata. E forse era davvero meglio alzarsi: non poteva continuare a vivere di sogni per sempre, ne andava della sua sanità mentale.

Si passò la mano sugli occhi, cercando di scacciare la stanchezza, e in modo quasi automatico il suo sguardo si posò sull’altra metà del letto, quella metà che era vuota esattamente da sei mesi, tre settimane e quattro giorni… Quella metà che non sarebbe stata occupata mai più.

Quel pensiero passò di sfuggita nella mente di Andromeda, ma non riuscì a mettere radici: era passata più di una settimana da quando Remus era tornato con la notizia che Ted era morto ed ancora si rifiutava di accettare quell’idea.

Era già talmente tanto tempo che Ted mancava da casa che era fin troppo facile fingere che non fosse vero, che stesse ancora fuggendo, che il suo corpo non fosse stato ritrovato in qualche fosso, neanche fosse stato niente più di un animale…

Era sbagliato e poco salutare quasi quanto i sogni che faceva praticamente ogni notte, ma Andromeda non poteva farne a meno: accettare che non avrebbe mai più rivisto il sorriso del suo uomo, il sorriso con cui l’aveva salutata ogni mattina per quasi trent’anni, era troppo per lei. Meglio vivere nelle illusioni, anche solo per dover soffrire di più quando fosse stato tempo di affrontare di nuovo la realtà.

Come un automa, si costrinse a scivolare fuori dalle coperte, infilarsi pantofole e vestaglia e scendere al piano di sotto, con la vaga e indistinta idea di avere la colazione da preparare prima che Dora si svegliasse.

Giunta in cucina, scoprì comunque di non avere di che preoccuparsi: della colazione di stava già occupando Remus, come del resto faceva ogni giorno da una settimana a quella parte, ricordò nel vederlo Andromeda.

Ricordava pure di essere stata vagamente colpita del fatto che ai fornelli non se la cavava affatto male, per essere un uomo, e che per questo aveva deciso di lasciargli mettere mano nella sua cucina. Oltretutto, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno con sé stessa, gli era grata di quello che faceva: non aveva avuto occasione di sperimentarlo di prima mano, ma era incosciamente certa di non essere nella disposizione d’animo adatta nemmeno per scaldare l’acqua per il tè.

Nel vederla arrivare, Remus l’accolse con un sorriso gentile. "Buongiorno. Spero che ti vadano bene le uova…".

"Qualunque cosa sarà perfetta, grazie. Non dovevi disturbarti". Si scambiavano le stesse identiche frasi ogni mattina, tanto che ormai Andromeda avrebbe potuto recitarle a memoria.

"Nessun disturbo, è il minimo che possa fare. Ho fatto il caffé, se vuoi favorire".

Le mise davanti una tazza fumante piena fino all’orlo prima ancora che lei potesse aprir bocca, anticipando la sua risposta affermativa.

"Il frigo è quasi vuoto" proseguì Remus tornando ad occuparsi delle uova. "Bisognerà andare in paese a fare un po’ di spesa".

Andromeda bevve un sorso di caffé, annuendo distrattamente. "Sì, poi guarderò cosa manca e farò una lista".

Era davvero una fortuna averlo in casa, pensò, rimestando con il cucchiaino nella sua tazza: qualche mese prima non l’avrebbe nemmeno pensato e ancora adesso era piuttosto restia a dirlo ad alta voce, ma era davvero una fortuna.

Dopo il pasticcio che aveva combinato, Remus aveva fatto i quadrupli salti mortali per riscattarsi, soprattutto agli occhi della suocera (Dora, alla fin fine, era stata fin troppo lesta a riaccoglierlo sotto il suo tetto, come Andromeda aveva ripetuto a voce più o meno alta per circa due mesi) e piano, piano era riuscito a conquistarsi se non proprio la fiducia, almeno il rispetto della donna, che aveva lentamente cominciato a vedere dei lati positivi nella sua presenza: tanto per dirne una, era un lieto cambiamento avere qualcuno che per una volta l’aiutava a tenere pulita la casa invece che seminare disordine e caos come facevano Ted e Ninfadora.

Inoltre, dormiva sonni più tranquilli avendo un uomo in casa: lei nei duelli era sempre stata abbastanza scarsa, quanto a Dora, certo era un Auror, ma era pure incinta, ovvero qualcosa di sempre più simile a un bersaglio con le gambe man mano che i mesi passavano e la pancia cresceva. Perciò, avere Remus in giro da questo punto di vista era un indubbio vantaggio.

E poi, anche se non l’avrebbe probabilmente ammesso nemmeno sotto tortura, da quando era arrivata la notizia di Ted era stato un vero angelo caduto dal cielo: pasti, faccende domestiche, spalla su cui piangere, rapporti diplomatici con i vicini rompiscatole, si era sobbarcato praticamente qualunque cosa, lasciandola di fatto libera di vegetare in un semistato di shock da una stanza all’altra della casa senza preoccuparsi che le crollasse il pavimento sotto i piedi.

Anche in quel momento, era matematicamente sicura di essere stata informata dello stato del suo frigo per pura cortesia: anche se aveva detto che avrebbe fatto una lista, sapeva che se ne sarebbe presto dimenticata. In fondo morire di fame non era poi un problema così grave…

"Aaaah".

Remus alzò lo sguardo dalla padella, corrucciato. "Dora? Sei tutta intera?".

"Io sì, il corrimano un po’ meno… Chi ha lasciato quello stupido tappetino in fondo alle scale?".

"Tu, tesoro. Due mesi fa. Cito testualmente: ‘Vabbè, per il momento lascialo lì, poi gli troveremo un posto più intelligente’. E con questa, sono sei volte in totale che ci inciampi".

"Certo che a te non sfugge mai nulla, eh, professore?" commentò Tonks con un sorriso sghembo, entrando in cucina. "Buongiorno a tutti, la balenottera azzurra è arrivata sana e salva anche stamattina".

"Buongiorno, tesoro" la salutò Andromeda.

La figlia si chinò a darle un bacio sulla guancia. "Come stai, mamma?".

"Sto bene, Ninfadora, grazie". Spudorata menzogna, che non incantò Tonks nemmeno per un istante, tant’è che non si curò di rimbeccarla per il nome… Ma non l’aveva fatto per tutta la settimana, d’altronde.

La ragazza si lasciò sgraziatamente cadere su una sedia libera, allungando il collo verso i fornelli. "Che cosa cucini di buono stamattina, marito caro?".

"Uova bruciate e bacon insipido, moglie adorata" rispose Remus, spegnendo il fuoco e Appellando tre piatti.

"Mmmm, le mie preferite… Uh, caffé!".

Allungò la mano verso la tazza di Andromeda nel mentre che Remus metteva la colazione in tavola e riuscì giusto a berne un sorso prima che lui gliela togliesse di mano.

"Questa la prendo io, eh…".

Tonks gonfiò lo guance in una smorfia contrariata, in un’altra scenetta che si ripeteva con assidua regolarità quasi ogni giorno. "Dittatore! Un paio di sorsi non uccideranno nessuno: vuoi forse che tuo figlio nasca con una voglia di caffé che gli copre mezza faccia?".

Remus fece un sorriso amabile, restituendo la tazza ad Andromeda e dando un bicchiere di succo di zucca alla moglie. "Certo che no, Dora. Nondimeno, non voglio nemmeno un figlio sottopeso, grazie mille".

"Una tazza non farà mica tutta questa differenza…".

"Una no, ma, sommandola alle due che ti sei scolata negli ultimi tre giorni quando credevi che non guardassi, iniziamo ad avere una percentuale non indifferente: rinunciare alla caffeina per un altro mesetto non ti ucciderà".

"Questo lo dici tu…" commentò contrariata Tonks, accarezzandosi la pancia. "Ridicolo, siamo due donne contro uno e riesci a spuntarla sempre e comunque. Mammina, non è che potresti darmi un po’ di supporto? Quest’uomo comincia a illudersi di essere il padrone della casa".

Sentendosi chiamata in causa, Andromeda alzò lo sguardo verso la figlia: aveva seguito a grandi linee l’intera conversazione, ma non aveva davvero prestato attenzione a quello che dicevano, persa nei suoi pensieri.

"Remus ha ragione, tesoro: la caffeina può far male al bambino" disse, calandosi per qualche secondo nei panni della madre severa. "Bevi il succo, è meglio".

"Ok, ho capito, questa è una congiura contro di me" sbuffò Tonks, attaccando la sua colazione. "Queste uova sanno di scarpone".

"Sì, lo so" annuì Remus, senza nemmeno guardarla né tantomeno cogliere la provocazione. "Se preferisci qualcos’altro, i fornelli sono proprio lì, tesoro".

Borbottando come un calderone in ebollizione, Tonks continuò a mangiare, senza accennare un solo istante ad alzarsi, ovviamente.

Andromeda sbocconcellò senza appetito, più che altro giocherellando con il cibo nel piatto, finché non ritenne di aver aspettato abbastanza. Allora si alzò, annunciando che sarebbe andata in salotto a fare un po’ d’ordine.

Tonks, che alla faccia delle uova che sapevano di scarpone aveva ripulito il piatto, le rivolse un’occhiata preoccupata. "Non hai mangiato praticamente nulla, mamma".

"Non ho particolare appetito adesso: mi rifarò a pranzo".

Nemmeno questo era vero e lo sapevano entrambe, ma ancora la giovane non la smentì. "Sei sicura?".

"Sì. Non ti preoccupare per me, Ninfadora, sto bene".

Andromeda rivolse un sorriso fugace alla figlia in un pallido tentativo di tranquillizzarla, prima di lasciare la cucina e dirigersi al piano superiore, già bel che dimentica di aver detto di voler andare in salotto.

Non colse lo sguardo preoccupato che Remus e Dora si scambiarono, né il tacito segno di assenso che fece Remus. Sarebbe stato difficile, invece, non udire Dora che si alzava con uno sbuffo e le trottava dietro.

"Ehi, mamma!" la chiamò, fermandosi sul fondo delle scale quando lei era già a metà.

"Cosa c’è, tesoro?".

"Mi stavo chiedendo…". Esitò un attimo, mordendosi il labbro, evidentemente in cerca di qualche scusa per allungare la conversazione. "Ti andrebbe di venire a fare una passeggiata con me?".

"Vuoi andare a fare una passeggiata?" ripeté Andromeda, incredula. "Sei incinta di otto mesi: due isolati e schiena, caviglie e altre parti del corpo che nemmeno sapevi di avere imploreranno pietà!".

"Oh, ho voglia di camminare un po’" la tranquillizzò Tonks con aria vivace. "Dai, mamma, sai anche tu che quell’apprensivo di Remus non mi lascerà mai andare da sola, per paura che mi metta a partorire in mezzo alla strada! Per favore, una passeggiata corta, corta…".

Spalancò gli occhi nella sua migliore espressione da cucciolo implorante, quella con cui aveva sempre ottenuto qualunque cosa fin da bambina, soprattutto quando la sfoderava con Ted: quell’uomo aveva il cuore troppo tenero, si faceva incantare da qualunque cosa…

Andromeda sospirò: non aveva assolutamente voglia di uscire, ma avrebbe comunque accontentato la figlia. Anche Ted lo farebbe…

"E va bene. Vado a vestirmi".

"Grande! Io intanto prendo i soprabiti: fa ancora piuttosto freddino, non credi?".

Tornò cinque minuti dopo e trovò Dora già bella e pronta che l’aspettava nell’ingresso, masticando un biscotto.

"Mmmm, questa è una delle cose più squisite che abbia mai mangiato… Sei pronta, mamma?".

"Sei sicura di voler andare?" insistette Andromeda, quasi sperando che figlia cambiasse idea. "Non puoi andare con Remus a fare la passeggiata?".

"Nah, la nostra domestica ha da fare qui… Vero, amore?".

"Bada ai termini che usi" l’ammonì il diretto interessato, facendo capolino dalla cucina. "Potrei anche decidere di scioperare".

"E allora io potrei decidere di fare un altro tipo di sciopero: sai, quello del…".

"Sì, ho capito, Dora, non c’è bisogno che continui" la interruppe Remus, imbarazzato.

"Noi comunque stiamo uscendo: non staremo via molto".

"Fate attenzione".

"Ah, ah, ci vediamo dopo. Andiamo, mamma".

La prese a braccetto e praticamente la trascinò fuori dalla porta fino al marciapiede, prima di incamminarsi verso il centro del paese.

"Ah, ho scelto la mattina giusta per una bella camminata, vero?" commentò Tonks con ostentata allegria, alludendo al sole che faceva capolino tra le nuvole.

"Se lo dici tu, Ninfadora" fu tutto quello che Andromeda riuscì a dire: poteva anche averla convinta ad uscire, ma non poteva obbligarla a fare conversazione come se nulla fosse.

Dora intuì che non era aria e se ne stette zitta, così le due passeggiarono per un po’ in completo silenzio.

Circa cinque minuti, arrivando in prossimità del parco, la giovane individuò una panchina non troppo lontana e si illuminò in viso. "Uh, bene, possiamo riposarci un po’".

Andromeda le scoccò un’occhiata di rimprovero, lasciandosi pilotare. "Io te l’avevo detto che ti saresti stancata subito: portarsi dietro quell’affarino non è roba da poco!".

"Chiamalo affarino" sbuffò Tonks, sedendosi con molta poca grazia. Si accarezzò la pancia con un sorriso. "Mi sembra di trascinarmi dietro un baule!".

"È normale" la rassicurò Andromeda. "E andrà sempre peggio man mano che si avvicina il termine: arriverai alla fine che non vedrai l’ora di partorire, credimi".

"Bella consolazione".

Tacquero per qualche istante, osservando il paesaggio intorno a loro, facendo qualche vago cenno di saluto quando passava qualche conoscente. Infine, Tonks, tormentandosi una ciocca di capelli come sempre quando era nervosa o stava per confessare qualche marachella ai genitori, disse: "Ti ho detto una bugia, mamma".

Andromeda si voltò verso di lei, sorpresa e confusa. "Una bugia? A che proposito?".

"Non volevo sul serio fare una passeggiata: in realtà, mi è venuto il mal di schiena già solo a scendere quelle maledettissime scale!".

"E, buon Merlino, perché allora mi hai trascinato fin qui?".

"Volevo parlarti a quattr’occhi senza nessuno in giro" spiegò Tonks. "Sono preoccupata per te, mamma"

"Non che bisogno che ti preoccupi" dichiarò in tono secco Andromeda, senza guardarla. "Sto bene".

"No, tu non stai bene!" la contraddisse Dora in tono duro. "Non sto bene nemmeno io, se è per questo, ma almeno sto cercando di reagire. Tu, invece… Da quando è arrivata la notizia di papà, non mi sembri nemmeno più la stessa persona!".

Andromeda non disse nulla, limitandosi a fissarsi i piedi: avrebbe dovuto aspettarselo. In effetti, era sorprendente che Dora non avesse deciso di parlarle già da tempo.

"Mamma? Mamma, guardami, per favore. Quello che è successo è orribile, ma lasciarti morire poco a poco come stai facendo in questo momento non servirà a nessuno, lo sai".

"No, non lo so. Io non so più niente ormai: tutte le mie certezze sono state spazzate via insieme a tuo padre".

"Non dire così, non è vero".

Andromeda si girò verso di lei, gli occhi pieni di lacrime che per vecchio orgoglio si sforzò di ricacciare indietro. "Ah, no? Tu non puoi capire: ho diviso con Ted praticamente ogni cosa che fosse importante, ho cambiato la mia vita, il mio modo di essere per poter stare con lui… Senza di lui, nulla ha più senso, non ho più niente".

"Hai ME! E Remus, anche se pensi che non sia degno di essere mio marito. E c’è anche lui o lei che sia" disse Tonks, prendendole la mano e poggiandosela sulla pancia. "So a cosa hai rinunciato per sposare papà, so che ti manca tantissimo, che senza di lui ti senti incompleta, lo capisco meglio di quanto tu creda, ma c’è ancora qualcuno qui che ha bisogno di te: io ho bisogno di te, mamma, non mi puoi mollare proprio adesso!".

Andromeda le rivolse un debole sorriso, accarezzandole una guancia. "Mi sono persa il momento in cui sei diventata così saggia, Ninfadora: sei diventata una donna quasi senza che me ne accorgessi".

"Grazie, mamma".

"Vorrei poterti dire che d’ora in poi sarà tutto più facile, ma puoi ben immaginare che sarebbe un’altra menzogna: non posso cancellare il mio dolore con un colpo di spugna, né continuare a fingere che le cose si risolveranno, non funziona così…".

"Lo so, mamma, non pretendo questo: ognuno vive il dolore nel modo che ritiene opportuno. Ma non voglio vederti consumare in questo lutto: c’è un drago dagli artigli affilati dentro di te, devi solo ricordarti dove si è andato a nascondere e ne verrai fuori, piano, piano". Si bloccò, con un groppo in gola, scacciando alcune lacrime dagli occhi. "Ne verremo fuori entrambe".

Era vero, naturalmente: dovevano solo permettere al tempo di fare il suo corso. "Torna a casa, tesoro, voglio stare un po’ da sola".

"Sei sicura, mamma?".

"Sì, ho solo bisogno di riflettere un po’: arrivo tra poco".

Tonks annuì lentamente, prima di alzarsi con una faticosa spinta. "Scommettiamo che arriverai prima tu di me anche se io parto adesso?".

"Fai attenzione" le raccomandò Andromeda, guardandola allontanarsi. "Ah, Ninfadora…".

"Che c’è, mamma?".

"Io non penso che Remus sia indegno di essere tuo marito o il padre di tuo figlio, capito?".

La ragazza le lanciò un largo sorriso. "Grazie, mammina".

Andromeda attese che sparisse oltre l’angolo, prima di alzarsi dalla panchina e avviarsi lentamente nella direzione opposta, immersa nei suoi pensieri.

Ovviamente sua figlia aveva ragione: si era crogiolata nel dolore e nei ricordi troppo a lungo. I sogni non avrebbero riportato indietro il suo Ted, né fingere che fosse ancora in fuga avrebbe reso la cosa reale.

Anche se era difficile, doveva costringersi a reagire, a riprendere una parvenza di normalità in quella vita che ora le sembrava così vuota: Ted avrebbe voluto così, in fondo. Se l’avesse vista nell’ultima settimana, probabilmente si sarebbe arrabbiato come mai aveva fatto. Ma che ti prende, Meda? Che fine ha fatto la mia leonessa? Forza, ne hai passato di ben peggiori di questa!

Sì, ma c’eri sempre tu al mio fianco, a sorreggermi quando ero sul punto di cadere…

Giocherellò con la fede che portava al dito. Seppur sbiadita dal tempo, sapeva che al suo interno si poteva ancora leggere un’incisione: Il destino è quello che ci capita quando non ce l'aspettiamo.

Ricordava la prima volta che Ted gliel’aveva detto: era un grigio pomeriggio di febbraio e lei era piena di dubbi per la loro storia, per quello che poteva portare, per quello che rischiavano se fossero stati scoperti. Ma lui, come molte volte avrebbe fatto in futuro, aveva saputo trovare la parole giuste per tranquillizzarla e scacciare le sue paure.

Il destino è quello che ci capita quando non ce l'aspettiamo.

Qualche strano gioco del fato, le aveva fatto incontrare un Nato Babbano di nome Ted Tonks, di cui aveva avuto la malsana idea di innamorarsi, per cui aveva sfidato e abbandonato la sua famiglia, di cui aveva con fierezza portato il nome per tanti anni di felice matrimonio.

Il destino aveva proprio uno strano senso dell’umorismo: dopo aver sistemato per bene lei, si era dedicato con solerzia a sua figlia, l’aveva fatta innamorare di un Lupo Mannaro, per di più parecchio più grande di lei, con cui stava già per avere un figlio.

Sì, alla sorte piace prendere di mira le donne di questa famiglia… Ma, sai una cosa, Ted? Se quei due avranno anche un solo quarto della felicità che abbiamo avuto noi due, saranno la coppia più felice del mondo.

Forse era stata colta alla sprovvista dal suo destino, ma non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza per averle regalato la cosa più bella della sua vita, nonostante i tanti sacrifici a cui era dovuta andare incontro.

Ti amo, Ted Tonks: grazie per esserti messo sul mio cammino.

 

Lyrapotter’s corner

Bon Soir, bella gente!

Torno nuovamente a tormentarvi con una one shot dedicata a un personaggio che personalmente adoro, ossia Andromeda.

Non ho molto da dire, questa storia ha partecipato al contest indetto da Vogue sul forum, che prevedeva di scrivere una storia incentrata su un membro della famiglia Black ispirandosi a una frase (la mia era Il destino è quello che ci capita quando non ce l'aspettiamo). Ringrazio la cara giudiciA per aver indetto il contest e dato la spinta per scrivere questa storia e rinnovo i complimenti a chi ha partecipato.

Grazie in anticipo a chi è riuscito ad arrivare fin qui e a chi commenterà.

See you soon!

Lyrapotter-Without you

-Grammatica: 10/10

-Stile e Lessico: 9.5/10

-Originalità: 14/15

-IC: 14/15

-Attinenza alla citazione: 10/10

-Giudizio personale: 10/10

Totale: 67.5/70

Perfetta dal punto di vista grammaticale, dato che non ho riscontrato il minimo errore. Buono anche il lessico, colloquiale e lineare, e devo dire anche abbastanza piacevole ai fini della lettura. Unica pecca sta nello stile, solo per un uso davvero eccessivo di virgole (per lo più nella parte iniziale) che rende a tratti la lettura frammentaria. Ma, salvo questo piccolo problema, il testo risulta abbastanza scorrevole.

Indubbiamente originale la parte ‘presente’, nello specifico il dialogo fra Andromeda e Dora, in quanto raramente mi è capitato di leggere di un confronto fra le due successivo alla morte di Ted. Meno originale la prima parte, che racconta bene o male quello che può essere stato un qualsiasi scorcio sul rapporto fra Dromeda e Ted quando ancora erano ad Hogwarts. Ma ciò non toglie il fatto che vi siano alcuni dettagli, alcuni frangenti che rendono la storia particolare ed innovativa.

Tolto mezzo punto all’IC non perché i personaggi non siano effettivamente ben caratterizzati, ma perché Dora mi è parsa... strana, ecco. O meglio, sarebbe assolutamente perfetto il suo IC se non fosse che il padre è morto da poco, e che quindi mi sarei aspettata di veder smorzati quei tratti gioviali del suo carattere.

Andromeda e Remus sono pressoché perfetti (e qui ti faccio i miei complimenti, per aver delineato bene anche un personaggio che, a conti fatti, è del tutto marginale). Hai reso il dolore della donna in modo assolutamente plausibile e coerente con il suo personaggio: un dolore che finge di non provare, che tenta di nascondere alla figlia, ma che è onnipresente nei suoi pensieri. Apprezzabile anche l’intromissione di Ted nei pensieri di Andromeda, ed il suo ammonirla per il fatto che non stia reagendo alla sua morte, che continui a crogiolarsi nel senso di solitudine.

Perfetto l’inserimento della citazione, in quanto riesce perfettamente ad esprimere, con un brusco stacco fra il passato ed il presente, come Andromeda abbia incrociato il dolore della perdita proprio sulla strada che aveva intrapreso per evitare l’infelicità. Una citazione che di per sé era abbastanza adatta al personaggio, ma che tu hai reso magnificamente.

Una bella storia, dai toni a tratti delicati e a tratti malinconici, in grado persino di far sorridere per lo scorcio familiare fra Andromeda, Tonks e Remus, nonostante la morte di Ted faccia ancora ombra su di loro, e sicuramente dolce la parte finale, in cui Andromeda augura alla figlia tutta la felicità che lei ha effettivamente avuto, e che le è appena stata strappata via.

Ti faccio i miei complimenti.

   
 
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