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Autore: BigMistake    26/10/2010    1 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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Note extra dell'autrice: Buon salve!!! Allora questo capitolo è nato ispirandomi ad una composizione di Chopin di cui consiglio l'ascolto. Non so perché ma mi ricorda molto Erik, mi piacerebbe sapere se anche a voi da questa sensazione. Sarà per la grande varietà di ritmi serrati e le melodie dolci assieme, questo mescolato armonico insomma mi piace sentirlo pensando al nostro Master. Eppure a Chopin questo pezzo non convinceva perchè troppo simile alla Sonata al chiaro di Luna di Ludovico Van. Va buon se volete leggete ascoltando. Vi metto il link:

Fantaisie impromptu

Ci vediamo in fondo pagina!!!

 

CHAPITRE SIX: L’art de la cour.

 

Molto gli era concesso per i suoi servigi da Fantasma.

In casa veniva considerato al pari di Colas o Malice, i domestici si prestavano diligentemente ad sua ogni commissione o richiesta per quanto astrusa fosse, rivolgendosi a lui con tutto il rispetto che gli imponeva la sua figura.

Nella commedia che avevano improntato Erik rappresentava uno strano amico di Colas, o meglio Baptiste, che dopo esser stato sfigurato da un incendio aveva preferito ritirarsi dagli ambienti mondani evitando ogni contatto che non fosse con la Villa ed i suoi abitanti. Inoltre, con la crescente attenzione verso i volti deturpati data dal Fantasma dell’Opera ed il riserbo scaturito dalla delicata situazione, imponeva il silenzio sulla sua presenza dai Saint – Simon.

Nulla veniva lasciato al caso.

La differenza fra organizzazione ed improvvisazione.

La solitudine era sempre stata la sua unica compagnia, il silenzio l’unico suono interrotto dalle note che lui steso creava in armonie complesse ed elevate. La musica l’unica sua amica, autentica e leale sempre anche nei momenti più bui. Occupava ogni spazio del suo tempo, presenziava assieme al pensiero costante dell’amore che ne faceva sempre da sfondo. Giorni interni dispersi nel delirio creativo del suo genio perennemente ispirato da qualsiasi sciocchezza lo cogliesse: il picchiettare delle punte in gesso delle ballerine durante le prove, il languido frusciare del sipario durante la notte preda di un spiffero impertinente, la preghiera di una bimba sussurrata per paura di disturbare gli angeli.

Ogni cosa era suono, musica, melodia.

Tutto quello che lo circondava si riproduceva nella sua mente con le note, ricordandogli cosa scorresse nelle sue vene oltre al sangue.

Arte.

Uno sfregiato orribile creatura maledetta, poteva sublimare la bellezza con la propria arte.

Uno spirito corrotto dalle più cupe nefandezze capace di creare dal nulla opere di una magnificenza illustre.

La tua musica, piacevole condanna di un animo nero.

Concedersi ora alla sua vocazione divina, perché di quello si trattava per chiunque ascoltasse anche la composizione più leggera, era diventato arduo cercando di ritagliare del tempo anche solo per dilettarsi al piano o con il violino per lo più di notte.

Erik covava in segreto un piccolo desiderio fanciullesco. Il poter suonare con la luce del giorno ad inondare la stanza.

Era sciocco, vero, la musica ha sempre il suo grande potere di affinarne l’eccelsa sostanza con cui riempiva l’animo delle persone, ma dopo un’esistenza passata in un’eterna tenebra avere anche solo l’occasione di vedere la vita intorno a sé ammutolirsi per ascoltarlo di sfuggita era diventata una ghiotta fantasia. Un sogno che poteva realizzare ora: con Malice costretta in casa a causa della ferita fasulla alla caviglia che attendeva una mossa del conte, lui non era vincolato a qualche escursione esplorativa dei dintorni o divenire la sua guardia personale.

L’odore delicato della carta si mescolava in armonia con quello agre dell’inchiostro e della polvere, lo stesso che durante la notte percepiva corrodergli la pelle fino a giungere alle ossa, registrato e catalogato come un posto in cui essere in pace. Il sole filtrato attraverso il vetro inondava brillante gli alti scaffali ornati di festoni floreali dipinti d’oro possedendo finalmente una fine. Nel buio gli oggetti si perdevano in un nero illimitato, sollevati da terra fino al soffitto alto in un punto appena percepibile nella densa oscurità di quella stanza impossibile da sconfiggere con il tremolante brillio della fiammella di una candela. Ad Erik, in realtà non serviva nemmeno quella fioca sorgente luminosa. Guardava alla musica con gli occhi della mente, i tasti erano incisi nel suo pensiero incandescenti come un marchio.

L’aria si riempiva di infinite note argentine in un avvicendarsi di ritmi gravi ed acuti, una melodia tormentata che aumentava e rallentava, saliva e scendeva in virtuosismi che lasciavano il fiato bloccarsi in gola.

Prima che arrivasse al pianoforte era un oggetto esanime, oziava svogliato in quella stanza come un semplice arredo al pari di una poltrona o di un tavolino.

Nel momento in cui iniziava a volare sfiorando i tasti d’avorio e d’ebano, quel corpo vuoto, privo di vita aveva acquisito una voce, una musica divina che si sprigionava attraverso il grido del suo musicista. Era una scarica di adrenalina diretta alle proprie sinapsi, un brivido caldo che percorreva il corpo, distaccava la mente dello spettatore fortuito giocando con i suoi pensieri. Trasmetteva passione, dolore, supplizio, amore, allegria tutto racchiuso in suono accostato all’altro e quello che poteva sembrare un semplice motivetto si trasformava in un capolavoro. Appesantiva le palpebre, ipnotico e piacevole, sconvolgente mentre si rievocava il vissuto di chiunque ne usufruisse.

 

Madame Bonnet smise di prestare attenzione alla cameriera che svolgeva i suoi compiti riordinando la casa e si trovò pensare alle navi che giungevano al porto di Marsiglia. Le osservava attraccare alla banchina portando un nuovo carico di avventure e magici incontri. Chissà quali esotici mari avevano stagliato con le loro chiglie, di quali meraviglie erano stati testimoni, posti che lei non avrebbe mai avuto occasione di visitare.

 

Malinconia.

 

Pilar, la giovanissima ragazza al suo servizio, si era trovata nel suo paesino in Spagna: amava danzare nei campi durante la torrida estate, i piedi nudi a calcare la terra suo palcoscenico, Joaquin e la sua chitarra come orchestra. Ma il flamenco non dava il pane e presto il lavoro l’aveva costretta ad allontanarsi fino alla fredda Francia, dove sua cugina le aveva trovato un buon impiego presso madame Bonnet.

 

Nostalgia.

 

Una falena davanti ad una luce non ne sarebbe stata così attratta.

Ricordava il Don Juan come una delle migliori opere che avesse mai ascoltato. La potenza, la forte tensione, la carica opprimente dei colori, i costumi, il trucco, la scenografia, il delirio da cui era stata generata possedeva il sapore speziato della genialità di Erik, curata in ogni particolari da colui che ora stava traducendo poesia in musica.

Quando si sedeva su quello sgabello o impugnava l’archetto, lui stesso diventava musica.

Era lui stesso fatto di musica.

Sgusciò silenziosa all’interno della biblioteca nonostante fosse costretta a poggiarsi  ad un fine bastone e a zoppicare per l’inutile fasciatura al piede che le bloccava l’articolazione.

Doveva solo trovare un punto dove sorreggersi al meglio.

Dalla posizione appena conquistata poteva ammirare le ampie spalle scuotersi in movimenti quasi impercettibili, la testa ciondolare inebriata, le braccia fasciate dalla seta lucida che si spostavano leggiadre come gambe di ballerine e le mani accarezzare i tasti con la delicatezza di un focoso amante.

Le sue affascinanti mani.

Era diventata una piacevole abitudine quella di perdersi ad ammirarne le fattezze, quando non vi erano quei tristi guanti neri di pelle a nasconderle. Odiosi e maledetti guanti. Detestarli era il minimo per la grave privazione che davano alla sua vista. Lunghe ed affusolate dita proporzionate, le nocche appena accennate, palmi esili, fragili ed indistruttibili coperti da un’epidermide dalla soffice consistenza che lei aveva potuto avvertire su di sé solo come minaccia.

Un attimo, il cambio della melodia e tutto si fece buio.

Era di nuovo nella sua camera. Le stanze che condivideva con sua sorella fin dalla nascita.

 

Non togliere la benda Lucia, altrimenti gli Angeli non potranno venire a portarti i sogni.

 

Io volevo vedere gli Angeli, Beatrice. Ho sentito i rumori ed ho pensato che fossero loro.

Ma era solo dal tuo incubo che mi volevi risparmiare, vero sorella mia?

Da allora ho finto di non sapere, di non sentire i tuoi gemiti di dolore soffocati da quelle orribili mani ossute.

Erano le visite notturne del Demonio che mi volevi risparmiare.

Un Demonio sempre pronto a battersi il petto in Chiesa chiedendo perdono a Dio per i suoi peccati.

Un Demonio mascherato da uomo dabbene, che aveva il coraggio di farsi chiamare padre.

Non ti ho protetta Beatrice, ma ho giurato di fronte a Dio che avremo la nostra vendetta.

Lo deve a me, lo deve a te.

 

Amarezza.

 

Le immagini scorrevano veloci, in una sequenza distruttiva degli sguardi vacui di una madre con il suo ostinato silenzio.

La ricordava intenta nel ricamo, senza mai porre un rimprovero qualsiasi cosa facessero le sue figlie. Si sentiva colpevole forse? E poi la quiete si spezzava, il paggio che annunciava l’arrivo del maestro e Beatrice che sorrideva soddisfatta di quella piccola gioia che animava le sue giornate.

Le sue lezioni di piano.

I pochi sorrisi che elargiva erano dedicati alla musica ed alla piccola Lucia. Un angolo di Paradiso nello sfarzoso palazzo infernale di uno dei contabili più fidati degli uomini di Chiesa.

Le mancavano le loro giornate estive lontane da Roma e dal loro padre despota.

Le mancavano i loro infantili giochi.

Le mancava lei ed apparve come in un sogno davanti ai suoi occhi grazie alla musica che fluttuava attorno a sé.

Era così bella la sua Beatrice, con i lunghi capelli dai riflessi ramati e gli occhi scuri, due perle d’ebano sulla pelle d’avorio del suo viso. Sorrideva come faceva durante le sue lezioni di piano.

Un Angelo con le ali spezzate è pur sempre un Angelo.

«Incredibile …» mormorò in un sottile filo di voce.

Il tamburo percosse con violenza il suo petto, il ritmo accelerò ed ogni vaso sanguigno prese a sussultare sotto il martellio affrettato del suo cuore.

 

Gioia.

 

Un impulso irrefrenabile guidò il suo braccio in avanti, pericolando sul pomello d’argento che aveva perso di presa. Voleva solo accarezzare le sue labbra increspate come le ricordava, voleva solo poter sentire il suo respiro di quando restavano abbracciate in una tacita promessa d’affetto eterno, voleva solo che il mare e la terra che le separava si azzerasse così come la condanna che pendeva sulla sua testa.

Il sorriso si spense, Beatrice voltò la testa e scomparve in una nuvola di fumo.

Il rumore di un vaso che s’infrange mentre tentava di non caracollare a terra aggrappata al ligneo profilo del mobile, la cacofonia dei tasti premuti senza una logica che la spaventò oltremodo costringendo una delle sue mani ad afferrare il Cristo che pendeva dal collo.

Sua sorella non era mai stata lì, era solo una chimera della sua mente e, per afferrarla, aveva praticamente investito il tavolino che barcollò facendo cadere il pregiato oggetto di cristallo ormai ridotto in frantumi.

Erik la trovò alle sue spalle affannata, con gli occhi bassi che ammiravano il disastro appena compiuto.

Ben poca cosa in confronto alla brusca interruzione che la sua esecuzione aveva subito.

«Cosa volete?» lo aveva chiesto quasi latrando, il tono irritato.

Le era costata un’immensa fatica sollevare lo sguardo ed incrociarlo con il suo così severo ed arrabbiato che quasi le fece del male. Lo stava apprezzando e lodando nella sua testa e lui le rivolgeva solo l’odio di cui era capace.

Dopotutto avevano imparato a sopportarsi, sembrava quasi che i suoi modi burberi da misantropo si fossero ammorbiditi. Evidentemente era caduta in errore.

Sapeva come ripagarlo a quel punto. Sollevò il sopracciglio, ripiegando di lato l’angolo della bocca verso l’alto mentre con la sua camminata claudicante si avvicinò a lui.

Detestava il suo lato sarcastico e quello avrebbe ottenuto.

«Temete il grande pubblico, Erik? Posso?» chiese indicando il lato della seduta che poteva accogliere tranquillamente un’altra persona.

Replicò con un grugnito incomprensibile, scavando con i gomiti sui tasti bianchi che emisero un rintocco sgraziato, i pugni congiunti contro la fronte solo per trovare la calma che gli era appena stata strappata dall’insolenza incarnata in donna.

«Non credo che cambiereste idea se io fossi contrario, giusto madamoiselle?»

In tutti gli anni condivisi da Colas, lui non era riuscito a capirla lambiccandosi il cervello su che verso girassero le ruote della sua testa. Ad Erik invece era bastato poco per inquadrarla come una bambina dispettosa e capricciosa, sapeva già che quando lui rispondeva alle sue provocazioni lei ne godeva e ogni volta cercava di ignorarla, spesso fallendo miseramente.

Troppo orgoglioso.

La loro era una guerra perpetua a chi dei due perdeva la pazienza per primo.

Ma in quel caso non vi era scherno.

Quello che la musica di Erik aveva provocato in lei l’aveva come intorpidita e, anche se avrebbe voluto rispondere a tono, non vi riuscì. Si limitò a sedersi accanto con il busto contrario e le spalle parallele alle sue, quasi curva mentre si abbracciava cercando di proteggersi da quell’irreale silenzio che si era creato.

«Non so come ci riuscite, ma la vostra musica è sublime …»

Erik ne era a conoscenza.

Erik sapeva quello di cui era capace.

Erik non l’aveva mai sentito dire da nessuno che non fosse sé stesso. Nemmeno Madame Giry, di cui conosceva il pensiero, glielo aveva confidato così apertamente come stava facendo quella donna.

Ma cosa aspettarsi da una come lei? Che leggendo la sua soddisfazione gli rivelasse uno scherzo di cattivo gusto?

«So che non mi credete, ma davvero non avrei voluto interrompervi, colpa della fasciatura troppo stretta che m’impedisce i movimenti. Colas oggi ha decisamente esagerato, credo che non mi passi più il sangue …» s’interruppe così come se stesse parlando più a sé stessa che con qualcuno, la figura di Erik praticamente inesistente, evanescente come un Fantasma l’osservava di sottecchi cercando di capire quale tiro gli stesse giocando, quando sarebbe arrivata a portarlo all’esasperazione.

Non ne era in vena Malice, soprattutto dopo quello che aveva appena vissuto.

«Mi - mia sorella … » un’esitazione, un lieve tremolio della voce per riprendersi immediatamente ma non osava voltarsi per guardarlo. Non sapeva nemmeno perché glielo stesse confidando, forse era una sorta di gratitudine per averle donato quel piccolo barlume di felicità che c’era nel suo passato.

Ad Erik sembrò che gli avessero appena inferto un colpo alla bocca dello stomaco.

Quella donna non era colei che gli teneva testa con fierezza e non si lasciava intimidire nemmeno quando le aveva puntato un coltello alla gola, non poteva essere colei che si avvicinava sfrontata con quello sguardo profondamente languido ricordandogli i suoi istinti animali.

Le braccia che si stringevano sempre più forte sul seno, la mano che cercava il ciondolo d’argento ed il dondolio nervoso che la scuoteva non potevano appartenere alla Malice che conosceva.

Fingeva forse?

Non lasciarle un modo di penetrare nello scudo che sei riuscito ad erigere fra te e lei.

Non lasciarti abbindolare dalla sua falsità.

«Mia sorella amava la musica … » faticava a parlare. «Lei suonava il piano, mi piaceva ascoltarla.»

«Suppongo che fosse molto dotata per destare la vostra attenzione …»

Nemmeno il suo essere così mordace l’aveva ridestata da quell’espressione vacua che aveva assunto. Non gli aveva rivolto risolini sghembi e maligni, non gli aveva risposto in maniera velenosa con quel vezzo di fissarlo con il capo piegato leggermente di lato solo per distrarlo.

No, sorrise in maniera semplice.

Sorrise realmente divertita.   

«No, era completamente negata.»

Mi sbagliavo, anche io ho amato.

Una nuova sensazione era nata in Erik, sempre padrone assoluto di ogni suo sentimento.

Disperazione.

Rancore.

Amore.

Ispirazione.

Ma il disagio risultava difficile da gestire, soprattutto il non mostrarlo apertamente.

Malice sapeva rivelarti il suo pensiero anche attraverso quella maschera fittizia creata, con subdole insinuazioni dette come frasi a caso ma con la casualità di essere sempre nella giusta parte del discorso quel tanto da frustrare il proprio interlocutore, questo sì, sempre pronta in atti di recitazione da gran maestra mai era stata realmente sincera come in quel momento.

Un piccolo spiraglio socchiuso, una lama di luce in una stanza avvolta nell’oscurità , una piccola finestra su quello che era prima di diventare un sicario mercenario dello Stato francese. Prima di questo era stata una ragazza con una sorella che amava il piano. Aveva un passato, come l’aveva lui, coperto dalla foschia più densa che avesse mai visto.

Aveva un passato.

Ti stavi abituando all’idea che al mondo esistesse una persona come te, Erik?

Avresti voluto che ci fosse qualcuno a condividere la tua condanna?

Ammetti a te stesso che la volevi circondata dalla gente e preda della solitudine, sapere che in un angolo sperduto ci fosse una qualsiasi persona capace anche solo di sfiorare la comprensione per quello che hai passato.

Rassegnati Erik. Ha una famiglia, è stata amata da qualcuno.

Tu sei stato rifiutato. È la tua pena Erik e devi scontarla.

L’unico che ti può capire è te stesso.

Umana. Diversa. Una nuova facciata con cui confrontarsi.

Debole.

Forse hai trovato il ferro incandescente su cui battere Erik?

Era, non una, ma L’occasione di mettere in difficoltà quella donna: si presentava come una delle più succulente pietanze servita su di un piatto d’argento. Malice non si era mai esposta in alcun modo, mai aveva solo accennato a qualcosa che le facesse sussultare il petto tradendo i singhiozzi nascenti, mai si sarebbe arrampicata su di un pendio accidentato come il dimostrare affetto per qualcuno.

Un mutare troppo veloce per essere colto immediatamente.

Il coltello veniva puntato su lei.

Il Fantasma stava tornando, più forte per aver individuato il fianco scoperto del suo avversario.

Una donna. Una sorella. Una patria lontana.

«Vostra sorella dov’è ora? È rimasta in Italia?»

Come è riuscito a sapere della mia terra natia?

La prima domanda che si pose, la domanda che veniva ripetuta quasi ossessivamente nella sua mente.

Nessuno aveva mai neanche percepito il suo accento, parlava le lingue da quando era ancora una bambina. Il suo precettore le ripeteva che tutte le brave signorine dovevano conoscere il latino ed il francese correntemente.

Un ottimo insegnate e una predisposizione innata le avevano conferito una completa assimilazione della fonetica, cancellando quasi del tutto l’origine del proprio nome.

Lui vive di suoni, sa cogliere anche le minime variazioni della mia voce, anche quando non mi ascolta.

Erik stava vincendo. Il pallore sul viso era aumentato, la rabbia trasformata in sgomento, gli occhi che all’improvviso avevano perso di vita diventando dolorosamente inconsistenti mentre cercavano di focalizzare quelli dell’uomo sedutole accanto. Almeno così credeva perché quello che riusciva a vedere era solo un’ombra alla vista appannata.

Da quanto non sentiva il nome di una patria neonata come nazione senza avere quel disastroso moto di rimpianto.

Non sapeva il perché si fosse aperta così con lui, non avrebbe voluto, ma la sua lingua non riusciva a tacere quando c’era di mezzo ciò che più la pungeva. Un ago infilato nella gola che ogni qual volta penetrava sempre più a fondo, pizzicandole gli occhi con il sale delle sue lacrime di fiele.

 

Cos’è Erik? Non puoi provare pietà per nessuno e lei non si è mai posta lo scrupolo di ferirti con le sue parole taglienti come lame.

 

Nascondere la propria debolezza, non dargli un’arma con cui può distruggerti.

Non rivelare chi eri prima di incontrarlo, non svelare le tue colpe Lucia.

 

Non lasciarti sopraffare da quegl’occhi in grado di stordirti, non devono diventare necessari come la voce della tua Christine. Non cedere al baratro di nuovo. Gioisci della tua piccola vittoria.

 

Non piangere Lucia, farò piano ed il dolore passa in fretta. Sarai mia, per sempre. Distogli la sua attenzione, non permettergli di entrare in te un’altra volta.

 

Vorresti chiederle perdono, Erik?

 

«Questa fasciatura è troppo stretta! Non riesco più a tollerarla, mi sta letteralmente facendo impazzire!» 

Un diversivo, volgere la conversazioni su altri lidi per poter respirare. Massaggiare la caviglia da sopra la gonna per abbassare lo sguardo e smettere di venire intrappolata dal suo così attento e profondo che catalizzava ogni oggetto attorno a sé divenendone il centro.

Oggi sono sfumati di grigio.

Nonostante i loro scambi, il loro modo di battagliare in ogni situazione, si era soffermata sul particolare che più l’attraeva del viso distorto di Erik. Era diventata una maestra nell’individuare le tonalità che prendevano i limpidi occhi mutevoli del Fantasma dell’Opera, quel verde che cambiava a seconda di cosa nella sua testa sfiorava.

Plumbei quando lei lo irritava o se i suoi tormenti tornavano ad infestargli il pensiero.

Giada le rare volte in cui riusciva a rilassarsi.

Acquamarina, brillanti come la pietra che ispirava il colore, quando pensava alla sua musica o a lei.

«Non capisco perché vi ostinate a portarla, sono passati tre giorni da quando avete avuto il vostro incontro.»

Un nuovo cambio repentino, svelto come un dardo che fende l’aria.

Mostrargli come può essere semplice capire gli altri.

«Il conte verrà qui, credo ormai a momenti. Gli ho solo concesso del tempo per trovare il giusto pretesto.» se avesse avuto i mezzi, una di quelle diavolerie che andavano di moda da qualche decennio, avrebbe volentieri immortalato la sua espressione in quel momento. Il totale scetticismo che si leggeva nei suoi occhi era la riprova di come gli uomini non si rendano conto di agire per schemi, tutto stava a capire quale veniva seguito per poterlo assecondare. Per questo persone come lei, o Erik, che agivano al di fuori di ogni concezione semplicistica di vita, erano considerate mostri. Si trovavano esattamente fuori da ogni immaginabile, imprevedibili come una tempesta bianca, non si muovevano secondo regole, scaturendo nell'altrui pensiero un forte senso d’inquietudine.

«Sembrate un po’ troppo sicura, madamoiselle.»

«Vedete Erik …» la piccola Lucia era tornata al suo cantuccio, pallida e stanca per essere riaffiorata sgomitando per quei pochi istanti. Malice aveva ripreso a troneggiare sulle altre e dietro di lei, Constance aspettava il suo turno, pronta ad entrare in scena. Il suo palcoscenico e il pubblico non attendeva altro. Ma era Malice che si stava accostando sempre più all’uomo fino ad avere tutto il suo torace a contatto con lui, era Malice ad aggrapparsi alla sua spalla posandovi il mento per poter bisbigliare un piccolo segreto, era Malice ad accarezzargli la schiena con la punta delle dita sopra il raso del panciotto, procurando un’impercettibile brivido. «Io so diventare ciò che un uomo desidera, secondo voi perché ho deciso di rivelarmi durante la caccia rischiando una pallottola? Potevo benissimo organizzare un incontro casuale in un café o in quel piccolo bistrot a cui fa visita così spesso. Vi rivelo un piccolo particolare: Philippe non vuole una donna, vuole un cucciolo da proteggere, vuole un bel trofeo con cui fregiarsi alle feste e su cui sfogare una giornata frustrante durante la notte. Non gli serve una compagna, non gli serve una persona. Vuole una bambola inanimata che sa stare in società e sa mantenere una casa pulita per poter far bella figura con i suoi falsi amici. E sapete non è molto diverso da quello che volete voi, da quello che vuole Colas, o Raoul de Chagny. L’essere umano è incredibilmente facile da capire, Erik! Le esigenze di un uomo possono variare veramente di poco, sta alla donna riuscire a comprendere quali tasti toccare lasciando pensare che siete voi a tenere in mano il gioco, quando in realtà siete plasmabili. È questa l’arte del corteggiamento e se volete possiamo scommettere …»

Ed è questo che tu hai cercato di fare con Christine, Erik. Volevi tenerla come una bambola, la tua personale rivincita sul mondo. Non sei così diverso da chi disprezzi …

Durante tutto il discorso non aveva smesso di disegnare ogni piccolo avvallamento della sua carne sotto la stoffa. Per quanto cercasse di mantenersi freddo e scostante, con il fiato che si stringeva in nodi sempre più ferrei, calò le palpebre, forse con l’intento di riprendersi dallo stordimento che stava provando, acuendo invece gli altri sensi come il tatto. Stava subendo quelle provocazioni, completamente annebbiato da quello che aveva avvertito come un desiderio non guidato dal nobile sentimento dell’amore, bramava qualcosa di diverso, più terreno e meno sublimato.  Era da giorni ormai che quella donna non tentava un approccio anche solo simile. Ma troppo a lungo gli era stato negato il contatto umano, una carezza, anche se falsa, a cui non riusciva a restarne totalmente indifferente. E Malice sapeva quanto gradiva anche quando la cacciava in malo modo, magari immaginando che al suo posto ci fosse una ragazza dai lunghi ricci castani e occhi grandi.

«Smettetela …» doveva essere un imposizione, un ordine indissolubile, ma l’inclinazione che aveva assunto somigliava più ad una supplica. Quella che solitamente era un voce forte e prepotente era mutata quel tanto che bastava ad abbozzare un sorriso vittorioso sul viso di Malice che intanto aveva avvicinato le labbra a quelle di Erik accorciando sempre più le distanze.

«Oh, Erik nessuno vi costringe a rimanere qui, potreste scansarvi vi basta pochissimo per sottrarvi alle mie carezze. In fondo sono solo una fanciulla in confronto a voi … » Le parole della donna ribalzavano come un eco, si sentiva stremato, stanvo, sciolto: quella strega sapeva realmente come fare impazzire un uomo.

Un uomo che stai combattendo da quando hai incontrato questa donna. Stai reprimendo i tuoi istinti per cosa Erik? Per Cristine, per la devozione che lei ha calpestato con non curanza scegliendo il visconte? Immagini il suo viso e le sue di labbra a sfiorare con le parole ormai prive di significato, ti neghi che vorresti possederla solo perché temi di tradire il tuo amore.

Ti sei chiesto, Erik, se lei stesse pensando al tradimento compiuto quando, sul tetto dell’Opera, si è dichiarata al damerino?

La sua mente avrebbe voluto prenderla senza esitazioni, sfogare su di lei tutto il diniego che aveva vissuto da parte del mondo.

Il suo cuore sanguinava al solo vedere gli occhi di Christine pieni di paura ed angoscia.

Involontariamente si trovò la bocca dischiusa, soffocando alla ricerca di aria per lo sforzo di rimanere lucido sotto le dolci attenzioni di una mano gentile.

Di nuovo troppo vicina. Serpe infida e maledetta.

Uno spostamento rapido, percepito dal mutamento dell’aria e della temperatura che avvolgeva il suo viso, era ora accanto al lobo a ridere sommessamente prendendosi gioco di lui.

«Siete tutti uguali. Ed io mi annoio facilmente, mon cher ami!»

Non avrebbe ottenuto l’ultima parola, non questa volta. Malice aveva intrapreso un sentiero eccessivamente accidentato ed Erik iniziava davvero ad essere stanco.

Voleva spingerla via, toglierla da posto che si era arrogata con il suo modo di fare. Le mani gli tremarono per sollevarsi ad afferrare le sue spalle.

Deve stare lontana da te!

Ma qualcuno bussò ancor prima che potesse fare qualsiasi cosa.

«Señorita Costance …» la tiepida vocina della giovane cameriera si era incrinata vedendo quella scena di fronte ai suoi occhi. Madame Bonnet le aveva intimato che qualsiasi cosa le fosse capitata di vedere lei avrebbe dovuto fingere che non succedesse, continuando a preoccuparsi esclusivamente dei suoi compiti se voleva mantenere il suo stipendio integro. Per questo si era sforzata di abbassare lo sguardo quando aveva visto la sua padrona avvinghiata al proprio ospite, eppure non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse sconveniente tutta quella situazione imporporando così le gote olivastre. Quando poi l’aveva sentita entrare non si era nemmeno degnata di prendere nuovamente le giuste distanze, voltando semplicemente il viso a suo favore. Cosa avrebbe fatto se al suo posto ci fosse stato suo fratello e tutore?

«Oui, Pilar?»

«Il conte de Chagny è nell'atrio e chiede di voi.»

«Bene, fatelo accomodare nel salottino, lo raggiungerò al più presto.» la cameriera fece solo un leggero inchino prima di voltarsi con la fretta del disagio che le stava intrappolando le membra. «Pilar?»

«Sì señorita.»

«Dite a Madame Bonnet di servirci il tè con quelle praline arrivate ieri da Torino. Sono sicura che il conte gradirà questo nostro goloso omaggio …»

Aveva vinto. Non c’era altro d’aggiungere

Il conte stava facendo decisamente il suo gioco e lei aveva appena dimostrato ad Erik che i meccanismi umani erano tutti simili.

Basta offrire ad una persona ciò che desidera per renderla malleabile.

E lui cosa desiderava realmente? Quella domanda tornava sempre più spesso finendo quasi di divenire il suo nuovo assillo.  Era sempre stato convinto di sapere cosa volesse e quando, eppure ora si ritrovava a sentire uno strano freddo quando Malice si era alzata per uscire felice della nuova battaglia giunta a conclusione.

«È un vero peccato che non abbiamo scommesso Erik, ma non sarebbe stato corretto da parte mia sapendo già che avrei avuto la meglio!»

 

 

Note normali dell'autrice: Arieccomi!!! In questo capitolo di passaggio vediamo come il rapporto tra Malice ed Erik si sta facendo sempre più carnale. Questa decisione nasce dal fatto che noi abbiamo visto un Erik pazzo per Amore. Sapete devo confessarvi che io non è che c'è l'ho con Christine poi così tanto(ok abbiamo capito che la sopporti poco), però io davvero non ce la vedevo con Erik almeno nell'Gerald-Erik passione allo stato puro del musical di Webber/ Schumacher. La trovo un po' troppo algida ed impreparata, magari eccessivamente puerile ed anche un pochino noiosa. Invece a me piace che ci sia qualcuno pronto a punzecchiarlo, a stimolarlo, che fosse lei a cercarlo per dargli fastidio come una mosca. Malice di suo canto ne è assolutamente attratta -e chi non lo sarebbe? XD-  lo vede come una sfida, spero che vi piaccia questo incontro scontro continuo fra i due ed anche il fatto che quando lei si trovi in difficoltà usi la seduzione come arma. E' una maschera al pari di quella di Erik. Non dico altro perchè ci sarà modo di conoscerla sempre più a fondo.

Al prossimo vedremo come si svolgeranno le cose con Philippe, piccino scusa ti ho trascurato in questo capitolo *.*!

In questo ho lasciato un po' di spazio anche all'Erik musicista, mi sembrava un doveroso tributo al suo genio. 

Ah volevo dire che ci sarà anche un minuscolo riferimento a Love Never Dies verso la fine (sinceramente a me la trama non convince un granché, non lo so mi sembra veramente poco attinente con il capolavoro precedente - ovviamente è solo la mia opinione ^^ ), molto alla fine e davvero minuscolo però mi sembrava doveroso dirvelo.

Detto ciò Ringrazio tutti coloro che passano di qui anche di sfuggita!

Serva vostra!!!

Mally

   
 
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