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Autore: _Mary    26/10/2010    14 recensioni
Regulus si irrigidì. Uccidere. Sembrava facile uccidere Babbani e traditori, dai racconti esaltati di Bellatrix. Sembrava facile torturarli fino a farli urlare o implorare pietà, mentre si contorcevano su pavimenti sporchi di sangue oppure, stremati, non urlavano neanche più. Chiamavano dei nomi, di solito, nomi di persone che vedevano già morte accanto a sé, nomi di parenti, e Regulus li ricordava tutti. All’inizio maledivano, anche. Poi, alla fine, quando pensavi che sarebbero impazziti per il dolore, l’angoscia o entrambi, pregavano per essere uccisi.
Seconda classificata al contest 'Proud or Ashamed of Being a Black' indetto da Vogue sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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-NdA: la fic è ambientata appena prima che Regulus cominci a capire qualcosa degli Horcrux, quando da una parte è ancora ‘attaccato’ ai Mangiamorte, e dall’altra qualcosa è già cominciato a cambiare, dentro di lui.

L’asterisco segnala una citazione dalla poesia ‘X Agosto’, di Pascoli.

Il titolo non è tutta farina del mio sacco: mentre ne cercavo – disperatamente – uno è intervenuta Lilyblack, che mi ha citato la frase ‘Più onore al traditore, che al fedele senza convinzione’, che era il rifacimento di non-so-bene-cosa. Insomma, da lì è partita l’idea e sono arrivata a questa versione finale.

Buona lettura!


Memories of a Betrayer

 

 

 

 

 

In un turbine di neve, il cielo spariva nel rettangolo scuro e senza stelle tra i tetti degli edifici alti e grigi, nella bufera infernale che afferrava il cuore ed i polmoni, stritolandoli in quelle strade gelate.

Il cielo, il buio, la neve.

Ed il respiro rapido e nervoso del ragazzo, che spariva in una sottile nuvola di fumo biancastro spazzata via, dopo qualche istante, dal vento. Il soffio feroce dell’inverno tra i suoi capelli neri, il vento che gli si opponeva, i fiocchi di neve che gli scivolavano addosso, violenti, insieme a pezzi di ghiaccio, e poi il passo lento e sicuro del suo compagno, accanto a lui, nella strada deserta.

Non poteva socchiudere tanto gli occhi da impedire al vento gelato di ferirli, né esisteva un mantello tanto stretto da evitare a quell’aria di trapassargli i polmoni. Le dita erano insensibili da un po’ di tempo, ormai, anche se il ragazzo sapeva che erano strette a pugno contro il petto, fasciate dal mantello e dalla stoffa dei suoi abiti.

L’altro si fermò bruscamente, infilandosi poi in un vicolo. Il ragazzo lo seguì di malavoglia, chiedendosi per quanto tempo avrebbe potuto continuare a camminare a quel modo, a testa bassa, e perché Evan lo avesse portato fin lì, in quell’angolo sperduto di Scozia. Senza spiegargli nulla, dicendogli solamente di ‘coprirsi bene’.

“E porta la bacchetta, naturalmente. Ci divertiremo”.

Regulus non era riuscito ad evitare di rabbrividire all’espressione dell’altro, per un freddo più feroce e sinistro della tormenta. Per il freddo dell’anima di suo cugino, probabilmente, e per la paura che non ci fossero vestiti abbastanza pesanti per resistergli, né incantesimi per difendersi.

Per quell’inverno eterno che aveva afferrato la sua mente, anni prima, e che aveva minacciato di prendere anche lui.

Evan aveva aperto una pesante porta in legno, e gli stava facendo bruscamente cenno di seguirlo. Regulus poteva intuire la sua impazienza pur non vedendone gli occhi, e si affrettò a sparire con lui nel piccolo ambiente. Quando la porta si chiuse con un tonfo, calò l’oscurità, più avvolgente del silenzio rotto solamente dal sibilo del vento.

Evan doveva aver estratto la bacchetta in un attimo, perché Regulus aveva appena cominciato ad abituarsi all’oscurità, quando vide l’ombra delle scale che portavano al piano successivo, investite dalla luce azzurrina di un ‘Lumus’ detto tra i denti.

Evan non si preoccupò di non fare rumore, né di sbrigarsi. Quando Regulus si rese conto che il piano superiore era nient’altro che una specie di salotto male arredato, con un divano troppo grande ed un tavolino basso di fronte ad un camino senza legna, Evan si accomodò sul divano, sbuffando.

“Beh, tutto sommato, una cosetta tranquilla. Fin qui”.

Regulus lo osservò togliersi con distacco i guanti, lanciandoli sul tavolino, e passarsi una mano tra i capelli neri per ravvivarli. Era sempre stato un tipo vanitoso, Evan.

Regulus si accorse di essere rimasto immobile sulla porta solo quando lo vide fissarlo, l’ombra di un ghigno sulle labbra sottili.

“Puoi accomodarti, sai? O sei ancora spaventato?”

Regulus avanzò con riluttanza, sentendo cigolare le assi di legno sotto i suoi passi. Non sapeva cosa stesse facendo lì, non sapeva cosa volesse fare lì Evan e non sapeva cosa sarebbe successo lì. Sapeva solo che era qualcosa che divertiva molto il suo compagno.

Ma lui non voleva divertirsi. Voleva andare a casa, per togliersi dalla testa almeno uno dei dubbi che avevano cominciato ad assillarlo, nell’ultimo periodo.

La bufera sbatteva rumorosamente contro i muri e le finestre dell’ambiente, causando tonfi sordi che scandivano il tempo e quel silenzio pesante, carico di domande e di risposte che, pensava Regulus, Evan non gli avrebbe dato. A suo cugino quelle situazioni piacevano in modo particolare: tenere qualcuno sulle spine – lasciandolo a macerarsi nel dubbio finché le domande e le possibili risposte diventavano così assurde da poter quasi essere vere – era la sua specialità. Una specie di sottile tortura alla quale, con il tempo, Regulus aveva quasi imparato a resistere.

“Sei silenzioso. A cosa pensi?”

Regulus alzò lo sguardo.

“A niente che potrebbe interessarti” rispose evasivamente, massaggiandosi un braccio.

Evan inarcò un sopracciglio, schioccando la lingua.

“Mi conosci ancora così poco? A me interessa tutto. A parte,” continuò, dopo una breve pausa, “a parte i tuoi piagnucolii, ovviamente. Vuoi piagnucolare?”

Scoppiò a ridere, una risata alta, rumorosa. Sembrava ridere più che per ostentazione che per vera ilarità. Eppure, Regulus sapeva che non era così. Era esagerato ridere per una cosa del genere.

Una risata eccessiva per una persona eccessiva.

“Sta’ zitto” sbottò il ragazzo alla fine, togliendosi a sua volta i guanti. Non riuscì ad impedire al suo sguardo di soffermarsi sul polso, dove, contro la pelle, si stagliava la parte superiore del Marchio. Una cicatrice nera che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, insieme a quel pulsare aritmico e sinistro che gli ricordava continuamente di essere ai Suoi ordini.

“Salazar, Black, sei un uomo. Cerca di contenerti”.

Regulus distolse lo sguardo, sfilandosi anche l’altro guanto. Un uomo.

Balle.

Era un ragazzo. Un adolescente. E quando sei un adolescente, ti rendi conto che sei meno in gamba di quanto gli altri ti abbiano fatto credere.

Ed hai paura.

Evan non sembrava aver notato nulla di strano. Si era acceso la pipa, appoggiando anche i piedi al tavolino, e cominciando a fumare.

“Contieniti almeno fino al divertimento. Poi avrai altro a cui pensare, fidati”.

Lo trattava sempre così, come una specie di nuovo giocattolo. Da quando Regulus era diventato un Mangiamorte, Evan l’aveva preso sotto la sua ala protettiva, in nome di una parentela alla quale nessuno dei due, prima, aveva mai dato importanza.

Regulus sapeva perfettamente che lui godeva nel vederlo in quell’ambiente. Nel vedere lui, il suo ‘cuginetto’ a confronto con quei ‘grandi’. Era per questo che non lo perdeva mai di vista, perché era il suo divertimento.

Lo stava dimostrando in quello stesso istante, mentre lo sfidava a chiedergli qualcosa. Regulus serrò la mascella.

Era stanco di giocare a quel gioco.

“Che vuoi dire?”

Evan soffiò una nuvola di fumo azzurrino.

“Che ti ho portato a divertirti” rispose. Poi, quasi dolcemente, aggiunse: “Rilassati, non faremo niente che l’Oscuro Signore non approverebbe. Anzi”.

Regulus si irrigidì. L’odore del tabacco pregiato aveva invaso la stanza, dando a quel posto che una parvenza di eleganza che sicuramente non aveva mai visto. E che, lì, sembrava terribilmente fuori luogo, come l’impronta di una mano insanguinata su un muro imbiancato a calce.

Aveva una vaga idea dei divertimenti di Evan, e non era per niente buona.

Lui non sa che siamo qui?” chiese, esitante. L’altro alzò le spalle.

“Certo che lo sa. È impossibile fare qualcosa senza che Lui sappia” si interruppe, storcendo la bocca. “Quando te lo metterai in quella testa, Black? Quante altre Cruciatus ti ci vorranno?”

Regulus si voltò di scatto, la mano alla bacchetta. Evan si limitò a sorridere, distogliendo lo sguardo. “Non dovresti certo arrabbiarti con me. Piuttosto, dovresti deciderti a fare davvero il Mangiamorte, vedresti che le cose andrebbero decisamente meglio. E smetteresti anche di mettere in imbarazzo Bellatrix”.

Evan rise di nuovo. Regulus non riuscì a trattenersi, scagliandogli contro una maledizione che l’altro respinse con un rapido colpo di bacchetta.

“Vorrei davvero sapere cosa ti passa per la testa” lo sentì mormorare, una nota di divertimento nella voce.

“Non è affar tuo” scandì Regulus. Dubitava seriamente che Evan avrebbe potuto capire quanto le cose fossero cambiate, da quando era entrato a far parte dei Mangiamorte fino a quel momento. Avrebbe forse potuto dirgli quello che pensava da tempo, che quella vita non fosse poi così formidabile come aveva immaginato? Che essere un Mangiamorte non lo rendeva forte come aveva creduto? No, quelli erano discorsi da traditore, ed Evan non avrebbe dovuto sentirli mai.

Regulus sperava che presto smettessero di tormentare anche lui, affogati nella brama di potere e nella follia che vedeva riflessa negli occhi dei suoi compagni.

“Comunque” continuò Evan, “il Signore Oscuro sa e approva. E tu,” aggiunse, indicandolo e rimettendo in bocca la pipa, “tu mi aiuterai”.

Regulus aggrottò le sopracciglia, colto alla sprovvista. “Io?”

“Perché pensi che ti abbia trascinato in questo posto sperduto, ragazzino?” ribatté Evan, seccato. “Mi aiuterai. Ed è ora che tu impari a fare qualcosa di utile, oltre a piagnucolare e ricevere Cruciatus”.

“Sta’ zitto” replicò l’altro, serrando la mascella. Evan roteò gli occhi.

“Se me lo dici con questo tono...”.

Regulus decise di lasciar perdere. Gli voltò le spalle, passandosi una mano tra i capelli ed andandosi a fermare di fronte ad una finestra, per spiare la strada attraverso le fessure delle imposte. “E in che modo dovrei… aiutarti?”

Esitò un istante sull’ultima parola. Non era sicuro di voler conoscere la risposta, non da uno come Evan.

Quello sorrise. Un sorriso sereno, quasi cordiale. Eccessivo.

“Tutto a tempo debito, Black”.

Regulus distolse lo sguardo dalla finestra. Tutto quel bianco e quel buio non gli permettevano la minima distrazione. Cominciò ad esaminare la stanza. Non c’era fretta, almeno a giudicare dai modi di Evan. Lo vedeva con la coda dell’occhio, mentre fumava, pensieroso, e si accomodava meglio sul divano. Lo vedeva mentre, forse, pregustava il suo divertimento.

Una sottile pennellata di polvere ricopriva ogni parte di quella stanza che, evidentemente, non veniva mai usata. La mensola sopra il camino sembrava velata da un soffio di velluto, così come le sedie negli angoli. Il proprietario di quella casa non era un tipo pulito. Regulus poteva quasi immaginarlo, mentre si rannicchiava sul divano in una coperta vecchia e logora, senza badare a niente fuorché al riposo.

Evan sbuffò.

“Mi sarei aspettato che insistessi di più” disse, seccato, facendo sparire la pipa. “Mi sarei scaldato” continuò, strofinandosi le mani. “Immagino che sarà per la prossima volta”.

Regulus sorrise tra sé. Conosceva Evan troppo bene, ormai.

Era troppo grande per continuare a giocare a quel gioco.

“Ed il nostro uomo arriverà a momenti. Volevi sapere cosa siamo venuti a fare, e adesso te lo dirò” concluse l’altro, alzandosi.

Adesso. Aveva calcato su quella parola, per fargli capire che non lo stava facendo perché lui glielo aveva chiesto. Una piccola rivincita che si era preso per non avergli permesso di ‘scaldarsi’.

“Il tipo che abita qui è un traditore. Noi lo puniremo. Anzi, tu lo punirai. Sai” disse, alzando gli occhi azzurri e trafiggendolo con quello sguardo inquietantemente limpido “non ti ho ancora visto uccidere nessuno. Non era uno dei motivi per cui sei stato Cruciato?”

Regulus si irrigidì. Uccidere. Sembrava facile uccidere Babbani e traditori, dai racconti esaltati di Bellatrix. Sembrava facile torturarli fino a farli urlare o implorare pietà, mentre si contorcevano su pavimenti sporchi di sangue oppure, stremati, non urlavano neanche più. Chiamavano dei nomi, di solito, nomi di persone che vedevano già morte accanto a sé, nomi di parenti, e Regulus li ricordava tutti. All’inizio maledivano, anche. Poi, alla fine, quando pensavi che sarebbero impazziti per il dolore, l’angoscia o entrambi, pregavano per essere uccisi.

Forse erano già morti. Forse la loro anima li aveva già abbandonati, e pregavano solo perché il corpo non fosse costretto a subire di più.

Ma nessuno sembrava volergli fare questo favore, nessuno era disposto a concedergli sollievo. Non prima di aver giocato un altro po’ con loro.

Erano feccia, non meritavano di esistere. Teoricamente. Ma, praticamente, Regulus si era trovato a chiedersi cosa non li rendesse persone, esattamente. Aveva visto il loro sangue, ed era esattamente come il suo. Sapeva che avevano una vita, come l’aveva lui, e che alcuni erano maghi eccezionalmente dotati.

Si era sentito preso in giro, e si era accorto che essere Mangiamorte non era poi la cosa formidabile che gli avevano fatto credere.

Regulus si accorse che Evan lo studiava, ma non mostrò di essere particolarmente colpito dalla sua affermazione.

Aveva ucciso, invece. Una volta. Lo ricordava perfettamente, era stato durante la sua prima caccia al Babbano. Si era trovato davanti un uomo che lo guardava, spalle al muro, senza via di scampo. Aveva i vestiti ancora stropicciati per il sonno e l’espressione di chi sa di aver perso, mentre lo implorava di risparmiare sua moglie. L’aveva ucciso, e nei suoi occhi era rimasto un grido* che a Regulus era sembrato anche più alto di quello di Bellatrix, una stanza più in là.

Era tornato a casa e si era chiuso in bagno. Non era uscito da lì per tutta la notte. Si era sciacquato la faccia, le mani, aveva provato a togliersi di dosso l’odore dell’incendio che avevano appiccato, e poi era rimasto a tremare, rannicchiato in un angolo buio, in silenzio. Allora era un ragazzo con la testa piena di parole sul sangue puro, di ideali di liberazione, e si sentiva forte.

Di quegli ideali non ne stava rimanendo più nessuno... Si affievolivano come la fiamma di una candela sotto una campana di vetro, come la luce delle stelle quando sta per albeggiare. E al loro posto rimanevano solo domande, domande, ed ancora domande.

Non aveva più ucciso, poi. L’immagine di quel Babbano l’avrebbe perseguitato per sempre, non aveva nessuna intenzione di crearsi una corte di morti che lo seguisse nei sogni e nelle ombre della notte. L’aveva capito troppo tardi.

“Ci sono modi più sottili per far soffrire le persone. Io li ho sperimentati quasi tutti” rispose lentamente. Evan inarcò un sopracciglio e fece per rispondere, l’ombra di un ghigno sul volto dai tratti affascinanti.

Fu in quel momento che Regulus sentì dei passi. Evan spense la bacchetta e si avvicinò alla porta, lasciando Regulus nell’oscurità, cercando di mettere a fuoco qualcosa. Non appena la porta si aprì, sentì un tonfo sordo, seguito dalle urla spaventate di un uomo. Si sentì stringere il cuore al pensiero che, prima della mattina seguente, quella stanza avrebbe ospitato un cadavere.

Evan rise e accese di nuovo la bacchetta, mentre l’uomo strillava. Fu messo a tacere con un incantesimo.

“Lo vedi questo, Regulus?” chiese Evan, ridendo, dando un calcio all’uomo legato a terra, che si contorceva in mute grida d’aiuto.

“Questo è un traditore. Non ti serve conoscere il suo nome, non è degno di essere ricordato”.

Regulus vide con orrore Evan cominciare a prendere a calci in faccia l’uomo. Vide il sangue uscire dal suo naso e dalla sua bocca, e non poté fare niente, sapendo che quello sarebbe stato solo l’inizio della sua sofferenza.

Si trovò ad augurarsi che quello fosse il massimo che avrebbe dovuto sopportare.

“Sai perché ti ho portato qui? Per farti rendere conto di come”, un calcio, “non”, un altro, “bisogna-mai-diventare”, ed ancora tre. “Perché tradire dopo essere stati al servizio del nostro Signore, Regulus, significa la morte, e significa l’infamia”.

Evan ora parlava da esaltato. Regulus distolse lo sguardo dalla macchia di sangue che si allargava sul pavimento, mentre una fitta di angoscia lo colpiva allo stomaco.

Allora, era per questo che l’aveva portato lì, per fargli vedere la punizione di un traditore. Sarebbe stato lo spettatore di una morte infamante, una morte che sarebbe stata un monito per lui. Per lui, che veniva Cruciato quando diceva di non essere riuscito ad uccidere nessuno durante una missione, ma solo a ferirlo. Per lui, che forse avrebbe potuto cominciare ad accarezzare dei progetti da traditore. Per lui, che non aveva neanche diciassette anni ed aveva già capito che la vita non era poi così formidabile come aveva immaginato.

“Ovviamente, Regulus, mi aiuterai a punirlo”.

Regulus alzò lo sguardo di scatto. Gli occhi dell’uomo saettavano da lui ad Evan, quasi fuori dalle orbite per la paura.

“Avvicinati. Prendi la bacchetta, e Crucialo”.

Regulus guardò Evan. Camminava intorno all’uomo come un avvoltoio, nei suoi abiti neri. Non gli dava neanche più calci, si limitava a guardarlo contorcersi per la paura. Regulus si avvicinò lentamente, sentendosi la fronte imperlata di sudore freddo.

Se non l’avesse tradito il tremolio della mano, sarebbe stato quel sudore a farlo, si disse.

Estrasse la bacchetta con calma, continuando ad avvicinarsi, e la puntò contro l’uomo. Sentiva il cuore battergli all’impazzata, quando non riuscì a trovare un solo motivo per odiarlo. Sapeva che Evan lo stava studiando, e che, se avesse accampato una scusa qualsiasi, in quella stanza ci sarebbero presto stati due cadaveri. La parola ‘traditore’ gli rimbombava nella testa, prepotente, anteponendosi a qualsiasi altro pensiero, persino allo sguardo terrorizzato dell’uomo a terra.

“Crucio” disse, pregando perché la sua voce fosse decisa. L’uomo cominciò a contorcersi di nuovo, scuotendo la testa, e Regulus tornò a respirare, continuando a concentrarsi sulla maledizione.

Torturare per non essere ucciso. Ecco cosa era la grande vita che aveva immaginato. Osservare uomini e donne ridotte quasi a larve dal dolore, e cercare di provare soddisfazione nella visione di quello spettacolo macabro ed umiliante.

A volte si sorprendeva a pensare che quelle vittime avessero più dignità di loro, servi di un potere che non avrebbero mai compreso completamente.

All’improvviso si sentì spintonare, e riuscì a mantenere l’equilibrio per pura fortuna.

“Cosa diavolo fai, Black?!” ringhiò Evan, dandogli un’altra spinta e facendolo cadere a terra. Regulus si ritrasse d’istinto, cercando con una mano la bacchetta che gli era sfuggita.

“Quella ti sembrava una maledizione?” continuò Evan, fuori di sé. “Perché diavolo hai il Marchio, se sei così tremendamente codardo?!”

Si diresse verso l’uomo, infranse il suo stesso incantesimo di silenzio ed urlò: “Crucio!”

Nello stesso istante, le grida strazianti del traditore a terra riempirono la stanza, perforando le orecchie di Regulus. Con il respiro affannato, cercò di coprirsele, chiudendo gli occhi, mentre il cuore gli tamburellava fin nelle orecchie. Mentre Evan era distratto, e gridava frasi sconnesse più forte della sua vittima, riuscì a rimettersi in piedi, costringendosi a guardare l’uomo e ad ascoltare le sue suppliche.

Era terrorizzato. Evan avrebbe potuto ucciderlo lì e subito, e si aspettava quasi che lo facesse in quello stesso istante. Forse sarebbe stato meglio, tutto sommato. Un Anatema che Uccide, e sarebbe finito tutto.

Invece, quello si interruppe, facendo riprendere fiato all’uomo e tornando lentamente verso di lui.

“Ora, di nuovo” disse a bassa voce. Regulus dovette fare uno sforzo per mantenere regolare il respiro, mentre, per la seconda volta, puntava la bacchetta. Stavolta l’uomo non si contorse neanche.

“Crucio, Crucio!” ripeté il ragazzo, temendo la maledizione mortale di Evan, sentendosi il cuore scoppiare e la mente annebbiata dal terrore. L’altro, però, non disse nulla, tornando a sedersi sul divano.

Regulus abbassò il braccio. Non si era accorto di stare ansimando.

Nel silenzio che seguì, riuscì a sentire solo il respiro rantolante dell’uomo. Anche la bufera sembrava tacere, mentre quello mormorava “Pietà”, e Regulus sentiva gocce di sudore scendergli lungo la nuca, fredde, mentre faceva troppo caldo in quel mantello nero e l’attesa gli logorava l’anima. L’attesa della Cruciatus di Evan, o di peggio, per non aver saputo torturare chi lo meritava così evidentemente.

Fu Evan, ancora una volta, a rompere il silenzio.

“Scommetto” disse, fingendosi pensieroso, “che alla tua prima caccia al Babbano hai vomitato. Probabilmente sei stato il primo Mangiamorte a sentirsi male di fronte ad un po’ di sangue sporco”.

Regulus scosse la testa, cercando le parole per negare. Gli riuscì soltanto un “No” balbettato, che parve dare più carica ad Evan.

“Se quello è il livello della tua convinzione, Black, mi viene il dubbio che qui dentro ci sia un traditore in più di quanto mi sarei aspettato...”

“Smettila” disse Regulus, chiudendo gli occhi. Gli sembrò quasi di avvertire l’irritazione di Evan, dietro di sé.

“... e se così fosse, ammetterai che questa situazione è piuttosto spiacevole, non credi? E fammi dire, Black, che tutto questo mi sta davvero...”

“Sta’ zitto” disse Regulus, con più convinzione, mentre sentiva che, dentro di sé, stava cambiando qualcosa.

“Tu non uccidi, non Cruci, non... cosa fai tu, Black?”

“Ti ho già detto” sibilò, aprendo gli occhi e voltandosi, impugnando meglio la bacchetta, “di stare zitto”. Le parole di Evan lo stavano scuotendo. Sembravano formulate dalla sua coscienza, o da qualsiasi cosa l’avesse inizialmente spinto a diventare Mangiamorte. Ne aveva abbastanza del conflitto che doveva affrontare ormai ogni giorno per poter sopportare in silenzio di poterlo sentire con le sue orecchie, e non avrebbe permesso ad Evan di parlare ulteriormente.

“... Non fai niente. Cos’è, hai paura? Deve essere questo”.

“Ti ho detto di smetterla!” urlò Regulus, puntando la bacchetta contro di lui. Evan continuò, imperterrito.

“E questo perché sei debole. E vigliacco. E fai di tutto per sottrarti quando io e gli altri ci divertiamo. Questo come lo spiegherai a Lui? Senza parlare di quel tuo…”

Ma Regulus non lo sentiva più. Gli stava scagliando contro tutti gli incantesimi che gli venivano in mente, uno dopo l’altro, sperando di ferirlo. Di fargli male. Non aveva mai provato tanto odio in vita sua, mai, e gli sembrava che soltanto colpendo Evan avrebbe potuto sfogarlo.

Alla fine, esausto, tornò a sedersi. Scorse Evan annuire, meditabondo, e poi lo sentì mormorare.

“Così va bene, Black. Ora, con lui”.

Pensava che non ci sarebbe riuscito, che la mano gli sarebbe tremata tanto per tutta quella rabbia – esplosa, alla fine, nonostante la paura – che non avrebbe potuto fare niente. Invece, si accorse che era stranamente facile Cruciare quell’uomo.

Perché rappresentava tutto ciò contro cui aveva cominciato a combattere ogni giorno.

Il desiderio di tornare indietro. Il desiderio di essere solo un adolescente, senza un marchio sul braccio. Il desiderio di fuggire.

Cruciava quel traditore per Cruciare una parte di se stesso, e ci riusciva bene.

Lo vedeva contorcersi, senza più fiato per urlare, e vedeva la carne insanguinata sui polsi, dove le corde di Evan lo tenevano stretto. Vedeva se stesso, forse non molto tempo dopo, nelle stesse identiche condizioni, con qualche dente rotto per i calci, il sangue sulla faccia, e lo stesso identico desiderio di morte sul volto. Lo Cruciava perché, nonostante tutto, vedeva in quell’uomo ciò che lui forse non avrebbe avuto mai il coraggio di diventare.Un traditore, un traditore libero. E forse, chissà, anche il ricordo dell’espressione del Babbano che aveva ucciso sarebbe sembrata meno spaventoso.

Fu Evan a finirlo. Gli voltò le spalle per riprendere il mantello, e gli ordinò bruscamente di seguirlo via di lì. Regulus non si era accorto di tremare, prima di passare davanti ad un vecchio specchio ossidato che non aveva notato. Lo sguardo del ragazzo che vide era quello di uno spettro, con le ombre sotto gli occhi e la mascella contratta.

Lo sguardo di chi ha visto troppe cose, per la sua età.

Quando Evan lo chiamò di nuovo, si affrettò a seguirlo. Osservò quasi con distacco il Marchio apparire sopra quella casa, in contrasto con il cielo grigio. Non riusciva ad afferrare neanche uno dei pensieri che gli vorticavano in testa, e riusciva a pensare soltanto ad una cosa: che quella notte avrebbe rivisto il traditore, e si sarebbe di nuovo chiuso in bagno, o nella sua stanza, dopo aver bevuto una pozione che lo stordisse abbastanza da fargli fare un lungo sonno senza sogni.

Non aveva senso continuare in quel modo. Sapeva già che, una volta a casa, smaltita la rabbia, quando quell’altro volto fosse andato ad accompagnarsi a quello dello sconosciuto Babbano, non avrebbe avuto la forza di guardarsi allo specchio.Guardarsi, per vedere cosa? Un omicida, un torturatore.

Non avrebbe potuto continuare così. Avrebbe dovuto fare attenzione, perché nessuno si accorgesse delle sue intenzioni, e se ne sarebbe andato.

Sentì una fitta d’angoscia al pensiero che non avrebbe mai potuto farlo davvero.

La strada era silenziosa, ed i lampioni, con i loro coni di luce, la illuminavano scarsamente. La neve avrebbe potuto far sembrare la cittadina un presepe dimenticato, se non fosse stato per il fatto che, in quell’angolo di Scozia, non c’era nessuna luce colorata, nessun festone. Sola, in mezzo a tutte le altre, una casa con un cadavere.

Ma, mentre Evan si Smaterializzava, Regulus prese una decisione: sarebbe morto sicuramente, non sapeva per quanto avrebbe potuto ingannare il suo Signore e fargli credere di essere lo stesso ragazzino esaltato che aveva preso il Marchio. Bastava molto poco per essere ucciso, tra i Suoi seguaci, e Regulus era sicuro di aver oltrepassato da tempo il confine che l’avrebbe portato alla morte.  Ma, prima di allora, avrebbe fatto qualcosa per danneggiarli tutti.

Mentre apriva la porta del numero dodici di Grimmauld Place, era più determinato di quanto fosse stato dalla decisione di diventare un Mangiamorte.

Essere adolescenti significa rendersi conto che siamo meno in gamba di quanto non ci abbiano fatto credere, e ritenere quindi che la vita forse non è così formidabile come avevamo immaginato. Regulus decise che sarebbe stato uno di quegli adolescenti che avrebbe provato a cambiarla, quella vita.

O, aggiunse mentalmente, prima di bere dalla fiala di pozione soporifera, che sarebbe morto nel tentativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa fanfiction ha partecipato al contest ‘Proud or Ashamed of Being a Black’, classificandosi seconda in classifica generale e prima in quella relativa al personaggio, vincendo il ‘Premio Regulus’ ed il ‘Premio caratterizzazione’. Penso di non avere parole per ringraziare la giudiciA, sia per la posizione decisamente inaspettata, che per i premi, che per la rapidità e precisione nel giudizio. Quindi, per una volta, sto zitta – anche perché a volte una faccina (*____*) vale più di mille parole.

 

Di nuovo i complimenti a tutte le partecipanti, le storie che ho letto finora sono stupende *-* Spero di riuscire a leggerle tutte in tempi brevi <3

 

Riporto il giudizio (ho corretto l’erroraccio >.<) e poi concludo:

 

_Mary “Memories of a Betrayer”

 

-Grammatica: 9.9/10

-Stile e Lessico: 10/10

-Originalità: 15/15

-IC: 15/15

-Attinenza alla citazione: 10/10

-Giudizio personale: 10/10

 

Totale: 69.9/70

 

Un minuscolo insignificante errore (di distrazione, peraltro) ti ha impedito di ottenere il punteggio pieno. “Dovresti decidere a fare il Mangiamorte”, manca la particella pronominale “ti”, richiesta da questa forma.

Per il resto, la storia è assolutamente precisa, come sempre.

Perfetto il lessico, che ben trasmette le sensazioni di Regulus, la confusione che prova in quel determinato frangente, e perfetto lo stile, che alterna il dialogo all’introspezione, non lasciando nulla al caso e spiegando punto per punto ciò che Regulus prova in merito a ciò che sente e a ciò che vede.

Assolutamente originale, per un motivo ben preciso: spesso si parla del tradimento di Regulus nei confronti di Voldemort. Spesso si parla delle cause che l’hanno condotto a questo tradimento, e della sua disillusione. Tu invece hai reso tangibili queste cause, hai dimostrato con i fatti il perché del disagio del ragazzo, la sua voglia di evadere davanti a quella situazione, davanti a quel dolore e a quella morte, la sua più totale disillusione. Particolarmente azzeccata anche la scelta di tradurre tutto ciò con la morte di un traditore, come se gli fosse concesso di dare uno sguardo al suo futuro, a quello che lo aspetta per delle scelte che ancora non sa se prendere.

Ottima caratterizzazione, poiché hai davvero giustificato ogni suo singolo processo mentale, rendendolo non solo plausibile, ma anche perfetto rispetto ai canoni di Regulus: è un ragazzo a cui hanno strappato via un sogno di gloria, che si ritrova preso nel mezzo in qualcosa di molto più grande di lui, che tenta di reprimere la voglia di urlare la sua insoddisfazione e il suo dolore, ma che sa di non poterlo fare, pena la tortura e la morte. Ben caratterizzato anche Rosier, il perfetto Mangiamorte che trae soddisfazione dalla sua stessa crudeltà e che mostra un sarcasmo più che pungente nei confronti del novellino, del ragazzo a parer suo troppo debole per il suo ruolo.

La citazione è semplicemente perfetta per Regulus, sembra quasi scritta appositamente per lui, e tu di contro l’hai resa bene, senza cadere nella banalità dei soliti discorsi sul dolore della scoperta che le cose non vanno sempre come ci si aspetta. Hai puntato sulla paura, e il risultato è ottimo.

Una bellissima storia insomma, che non fa altro che rimarcare come tu sia capace di mettere del tuo in qualsiasi situazione, conferendo ai personaggi che descrivi uno spessore emotivo e caratteriale come se ne vedono pochi. Bravissima!

 

 

Un abbraccio,

Ilaria


Dimenticavo! La citazione su cui ho basato la storia è 'Essere adolescenti significa rendersi conto che siamo meno in gamba di quanto non ci abbiano fatto credere, e ritenere quindi che la vita forse non è così formidabile come avevamo immaginato" (M.Rufo)'
   
 
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