Goodbye my lover
Did I disappoint you or let you down?
Should I be
feeling guilty or let the judges frown?
- Sbattilo dentro, Andrea -
Socchiusi gli occhi, infastidito da quella voce che mi
trapanava le orecchie.
Glielo avevo detto che non doveva urlare!
Sentii che mi spingeva, così come confusamente mi sentii
afferrare da altre due mani che, prepotenti, mi incitavano a camminare. La
vista appannata, non riuscivo a delineare con certezza quasi niente di quello
che mi circondava. Fu con incertezza che lasciai la presa che avevo sul muro:
sarei rimasto in piedi?
Con soddisfazione mi accorsi di sì. Mossi qualche passo,
percorrendo quello che sembrava un corridoio.
Le mani che mi sospingevano non si fecero scrupoli di
penetrarmi la carne quando fu il momento di farmi fermare. Quasi lo preferii,
tuttavia, all’approccio tutto chiacchiere che aveva l’altro sbirro.
Non mi piaceva sentir parlare gli altri in quel momento.
Le voci sembravano tutte troppo alte.
Ubbidii, fermandomi. Furono sempre le stesse mani a
spingermi con brutalità: persi l’equilibrio, cadendo rovinosamente sulle
ginocchia. Il pavimento gelato non era però così terribile. Con il rumore di
sbarre che si chiudevano alle mie spalle, mi sdraiai, sperando che le
mattonelle fredde attutissero il calore offuscante che mi comprimeva
atrocemente la fronte.
Goodbye my lover
Goodbye my
friend
You have been the one
You have been
the one for me
- Sei
vivo, amico? -
Le palpebre erano pesanti, troppo per i miei gusti, troppo
anche solo per provare a sollevarle. Le lasciai chiuse, cercando di ignorare la
mano che mi scuoteva. Le avrei volentieri lasciate chiuse per sempre, ma tu non
me lo permettesti: nel buio cui mi ero ormai affezionato apparve la tua immagine.
Nel momento stesso in cui appariva, i miei occhi si spalancavano. Questione di
un attimo.
- Sei vivo, allora! – esclamò la
voce, mentre la mano smetteva finalmente di tormentarmi.
Sollevai lo sguardo, incontrando gli occhi di un omone in
tuta da ginnastica. Due metri per oltre cento chili. Rabbrividii,
improvvisamente terrorizzato all’idea di essere rinchiuso in una cella con lui.
Il terrore è però un’emozione. Io non provavo più emozioni. Anche quella durò
poco, sostituita dall’indifferenza.
- Che hai fatto, mingherlino? – mi chiese, squadrandomi
dall’alto in basso.
Ci pensai, cercando inutilmente di riordinare
coerentemente i pensieri.
- Non ricordo – risposi, sincero.
Il bestione sorrise, mostrando una mezzaluna di denti
storti e sporchi. Mi porse una mano, sollevandomi in piedi neanche fossi una
piuma. Mi trascinò verso la panca in fondo alla parete e mi ci lasciò cadere
sopra. In pochi passi attraversò la cella, afferrando una brandina sfondata e
trasportandola fino a me. La sistemò di fronte alla panca, accomodandocisi con
eleganza. Sorrideva ancora.
- Una bella sbronza, eh? – commentò, mentre io reclinavo
la testa contro il muro. Annuii, piano.
Almeno il mondo aveva smesso di girare.
- Non hai una faccia conosciuta – continuò il gigante,
pensoso. Strinse le labbra, concentrandosi. – No, sono sicuro. Che hai fatto
allora? Roba da niente, immagino. Follia temporanea, no? -
- Credo di sì – risposi, la voce
impastata – Colpa della sbronza, credo –
Il gigante annuì, l’aria grave. - Colpa di una bionda? –
mi chiese, lo sguardo ammiccante.
Io inarcai le sopracciglia, sperando solo che mi lasciasse
in pace.
- Ti ha lasciato, questo è il
problema? – sogghignò, gli occhi divertiti – Non bisogna prendersela tanto -
Mi strinsi nelle spalle, lo
sguardo che si faceva vitreo.
- Non bionda – mormorai alla fine, senza neanche sapere il
perché.
- Bionde, brune, rosse… non cambia. Alla fine ti portano
tutte a sbronzarti. Sbaglio, forse? – domandò, retorico. – Tu perché l’hai
fatto? La colpa non è della pupa? –
Annuii, assottigliando lo sguardo. Proprio un filosofo mi
doveva capitare come compagno di cella.
- Speravo di dimenticare – dissi, gli occhi sul pavimento
sporco – Aspiravo all’oblio -
- Non ha funzionato? –
Scossi la testa, sentendo la rabbia salire. Frustrato mi
presi il volto fra le mani.
- Non dovrebbe essere così? – gli chiesi, guardandolo di
colpo – Ho più alcol che sangue in circolo, perché allora sono così lucido?! Perché invece dell’incoscienza, sembra che la coscienza
sia più forte di prima?! – avevo alzato la voce, le
mani strette a pugno.
Il gigante sorrideva comprensivo, l’espressione di chi la
sa lunga.
- L’alcol è infido – cominciò – Non sei tu a decidere
quando dimenticare e quando ricordare -
- Non voglio ricordare – sibilai, i denti serrati.
- Perché? –
Non risposi subito, ponendomi quella domanda per la prima
volta. Perché? Lo sapevo, solo che in quel momento la risposta mi sfuggiva.
Chiusi gli occhi, di nuovo stanco. E fu in quel momento che riapparisti. Più
bella che mai. Con il tuo sorriso arrivò anche la risposta.
Aprii gli occhi, trovando subito quelli del gigante
puntati su di me.
- Perché
è doloroso –
I'm so hollow, baby, I'm so hollow
I'm so, I'm so,
I'm so hollow
- Dolore – mormorò l’omone, guardandomi di sottecchi –
L’alternativa qual è? -
- Il nulla –
- Fra il dolore e il nulla, io scelgo il dolore – disse
lui, serio. Io scossi la testa, un senso di oppressione nel petto. Non ce la
facevo più. Semplicemente ero stanco, stanco di tutto.
- Non mi sono neanche presentato! – esclamò il mio
compagno improvvisamente – Francesco –
Cercai di sorridere, porgendogli una mano leggermente
tremante. – Danilo –
Francesco non mi strinse la mano, la guardò, silenzioso.
Alla fine, più confuso di prima, la ritirai.
- Chi descrive il proprio dolore, anche se piange, è sul
punto di consolarsi – disse, sollevando i piccoli occhi neri verso di me. Il
sorriso mal riuscito mi sparì dalle labbra, spodestato da un broncio
amareggiato.
- Non è una frase tua – scherzai, cercando di nascondere
il mio disagio.
Francesco però non sorrise, continuando a fissarmi
corrucciato. Scossi la testa, mordendo con rabbia l’interno
guancia. Sostenni lo sguardo, il respiro che mi si faceva pesante.
- Non ho la minima intenzione di descrivere il mio dolore
– sibilai, sconvolto anche solo dalla possibilità.
- Continua a soffrire, allora – ribattè
lui, il tono sfacciato. Si sdraiò, le mani dietro la
testa e lo sguardo al soffitto. Fischiettava, ignorandomi completamente.
Continua a soffrire. Forse era quello che volevo: soffrire
fino alla fine. Attendere una conclusione. Potevo mai attenderla con un cuore
in agonia? Sorrisi, un sorriso di circostanza ed inadeguatezza.
- Non ce la faccio – sussurrai, la voce così fievole che
temetti non fosse riuscito a sentirmi. Lui invece accennò un minuscolo
movimento con la testa, un segno di assenso, di intesa.
- Non ti sto obbligando a raccontarmi qualcosa, Danilo –
disse, sempre senza guardarmi.
Ebbi un moto di esasperazione: aveva appena finito di dire
che per far passare il dolore bisognava patirlo fino in fondo e proprio ora
faceva marcia indietro?! Lo fissai, truce,
affrettandomi a citare le sue parole:
- “Chi descrive il proprio dolore è sul punto di
consolarsi” – ripetei, il tono caustico.
Lui non reagì, lo sguardo ancora fisso sul soffitto.
Perché odiavo così tanto quel silenzio?
- Non ce la faccio – ribadii, la voce spezzata – Non
riesco a raccontare… -
Un groppo amaro in gola mi bloccava le parole, fermandole
e rispedendola brutalmente verso il basso.
Un pizzicore diffuso mi fece prudere gli occhi che,
prontamente, tenni fissi al pavimento.
- Descrivere – cominciò Francesco, giocando con la
catenina che aveva attorno al collo – Descrivere non significa per forza farlo
a voce. Si può descrivere anche a se stessi, parlando interiormente, ascoltando
i propri pensieri. Sai di cosa parlo, vero? -
Non dissi niente, non mi mossi nemmeno. Lui continuò, come
se non si fosse fermato.
- Ricordi. Ecco di cosa parlo. Quelli di cui tu volevi
liberarti stasera. Non ci sei riuscito, giusto? Si vede allora che non puoi
farlo, semplicemente. Non puoi e non devi ignorarli. Descrivi il tuo dolore,
Danilo. Descrivilo a te stesso. Chiudi gli occhi e lascia che prenda il
sopravvento -
Presi un bel respiro, rilasciandolo poi lentamente. La
faceva facile, lui. Descrivi il tuo dolore. Parafrasato era come dire che
dovevo descrivere te. Proprio te, capisci? Non potevo farcela,
assolutamente no.
- Poi finirà? – chiesi, come se da quella risposta
dipendesse il resto della mia vita.
- Se il dolore fosse eterno non sarebbe più tale –
Continuai a guardarlo, mentre chiudeva gli occhi e il suo
respiro lentamente rallentava. Lo invidiai e, cercando inutilmente di calmare
la corsa furiosa che stava intraprendendo il mio cuore, mi sdraiai.
Respiravo a fatica, sul punto di scegliere per il sì o per
il no.
Come ne sarei uscito? Peggio di prima, temevo. Mi ci volle
qualche minuto per considerare che, a dirla tutta, non
riuscivo a credere ci potesse ancora essere un peggio. E se non c’era un
peggio…
Chiusi gli occhi, con la premura di chi sta procedendo
verso il patibolo.
Chiusi gli occhi, sapendo che non potevo più tornare
indietro.
'Cause I saw the end before we'd begun
Yes I saw you
were blinded and I knew I had won
So I took what's mine by
eternal right
Era il punto di non
ritorno.
Lo sapevo, anche prima
di rivedere il tuo viso davanti a me.
Erano giorni, lo sai,
che non chiudevo occhio? Non lo facevo, terrorizzato all’idea di dover guardare
i tuoi occhi. Credevo di non essere abbastanza forte per
farlo, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Perché ora li sto
fissando e vorrei non smettere più di farlo.
Ricordare. Cedere e
sottomettersi al dolore. Proprio io, che non l’ho mai data vinta a nessuno.
Nessuno tranne te.
Quando ci pensavo,
continuavo a ripetermi che non contava, perché tu eri un caso a parte.
Ed era vero, con te è sempre stato tutto nuovo, speciale. Unico. Come
potevo spiegarlo a Francesco?
Come si può spiegarlo
a parole?! Non ne sarei mai in grado, lo sai?
Ci sono emozioni che
solo con il silenzio è possibile esprimere. Ciò che provavo per te è fra
quelle.
In tutte le storie
però, si inizia a raccontare dal primo incontro. Devo dire che il primo periodo
non è certo fra i miei preferiti, lo sai anche tu. La prima volta che te
ne spiegai il motivo, lo feci con lo sguardo basso, invaso dal terrore che te
ne andassi. E tu, ancora una volta, mi sorprendesti scoppiando a ridere.
Dicesti che lo sapevi,
che lo avevi sempre sospettato. Che non te ne importava nulla.
A me invece importava.
Era un argomento terribilmente serio ai miei occhi.
Non riuscivo a credere
di essermi innamorato, proprio io e proprio di te. Mi pareva assurdo.
Avevo buoni motivi per dubitare: a cominciare dal fatto che ti avevo chiesto di
uscire solo per approfittare di te.
Non mi piacevi, non ti
avevo mai guardata con vero interesse. Era il college dopo tutto
ed io ero un perfetto idiota. Sapevo che non mi eri indifferente: avevi una
cotta per me da diverso tempo e, non appena la cosa mi venne a far comodo, ne
approfittai.
Ti chiesi di uscire,
ridendo dell’emozione che ti colorò il viso.
Volevo solo portarti a
letto, niente di più. Il buonsenso avrebbe dovuto fartelo capire, ma tu
accettasti, sicura probabilmente del fatto che mi avresti manipolato a tuo
piacimento.
Ora riesco a crederci,
ora ti do ragione.
Ci sei riuscita, no? A
manipolarmi, a stregarmi, ad abbarbagliarmi… a farmi innamorare di te.
Quanto ci hai messo, due, tre settimane al massimo? Non lo avrei ammesso
neanche sotto tortura, ma era così. Quel tuo visino prima invisibile per
me, qualunque fra i tanti, era diventato l’unico.
You touched my heart you touched my soul
You changed my life and
all my goals
Non ci credevano i
miei amici.
Non ci credevo io.
Solo tu l’avevi sempre saputo.
E ora che ti guardo
che posso dire? Avevi ragione, come sempre. Sono stato uno stupido, come sempre.
Ti amo, come sempre.
Ci sono stati momenti,
tanti, anche troppi, in cui avrei giurato di poter vivere solo di te.
Lo avrei giurato, non una sola volta ma in continuazione. Perché era
vero. Per anni non desideravo altro che te, il tuo piccolo viso,
quegli occhi neri in cui mi perdevo così volentieri e quei capelli che
odoravano di pesca. Semplicemente te. Non mi serviva altro.
Ora finalmente so che
era vero.
Ne ho avuto la
conferma: sono senza di te e posso assicurarti che non sto vivendo. E’ un esistenza, quella che sto vivendo, in cui manca
esattamente questo: la vita. Te la sei portata via, vero?
Andando via l’hai
portata con te.
Non hai idea di quanto
mi manchi, immagino che ancora una volta non si possa esprimere a parole. Se
ripenso a noi, cercando semmai il periodo che più preferisco, non ne uscirei
più. Perché non ce n’è uno.
Il mio preferito non è
l’inizio né il dopo né la fine.
E’ il tutto in cui sei
compresa tu.
Da quella prima sera
la passione non è mai diminuita, non ha fatto altro che crescere. Come
biasimarla? Non si può fare diversamente quando trovi la persona giusta. Quella
che sai essere l’unica.
Inutile dire che eri tu.
Mi hai preso il cuore,
ma non ti è bastato. Sei riuscita a prendere anche la
mia anima. Non me ne pento.
Se non l’avessi presa,
te l’avrei data.
Credevo che ormai
fossimo una cosa sola, solo io e te. Solo tu ed io. Lo dicevi sempre, ricordi?
Non eravamo perfetti,
non lo siamo mai stati. Eppure eravamo insieme e non c’era niente di meglio.
Niente di più che
desiderassi.
Volevo te,
vivere con te. Ricordi quando decidemmo di farlo?
Il minuscolo
appartamento in cui ci rinchiudemmo? Era bellissimo, vero? Non uscimmo di lì
per quasi una settimana, timorosi di non riuscire a godere appieno del noi. Di
me e di te.
In quanti
scommettevano su quanto tempo avremmo ancora resistito? Non credevano potessimo
farcela, sembrava loro impossibile. Prima di conoscerti, sarebbe parso
incredibile anche a me.
Bastava un tuo sorriso
però, a farmi capire che non c’era niente a cui pensare.
I am a dreamer but when I wake
You can't break my spirit
- it's my dreams you take
And as you move
on, remember me
Sono tutte cose che sai.
Non c’è bisogno che le dica. Quello che allora
mi chiedo è come tu abbia potuto andartene.
Io non solo non lo avrei mai fatto, ma non ne
sarei mai neanche stato in grado. Era impossibile anche solo da pensare il passare
più di un giorno senza di te. Sembrerà sdolcinato, troppo romantico o
scontato.
La cosa che non viene mai contata però, è che
possa essere vero.
Quella sensazione di mancanza, di
incompletezza, di soffocamento. Quel disagio che provavo ogni qual volta non
eri con me da troppo tempo, mi assale ogni secondo da quando non sei più con me.
Giorno, notte, non c’è differenza. E’ sempre
dietro l’angolo, pronto ad aggredirmi. Ed è colpa tua.
Ho continuato a vivere nei sogni, dal giorno,
dal momento stesso in cui non eri più con me.
Dall’istante stesso in cui la tua mano
non era più nella mia, ho capito che la realtà non avrebbe avuto più alcuna
vera attrattiva per me. Non c’eri tu, era come dire che non era rimasto
niente.
Nei sogni però, in quelli c’eri ancora.
Per questo mi ci sono rifugiato, incapace di
uscirne, di tornare alla realtà…
Non ne ero in grado. Non senza di te.
Un sognatore, ecco cos’ero. Irrecuperabile.
Mi piace pensare che anche tu pensi a
me, che non mi dimenticherai. Per me sarebbe impossibile, ma per te? Non
credo. Cos’ero io, in fondo? Non mi sono mai sentito davvero all’altezza, sai?
Credevo di essere l’uomo più fortunato del
pianeta.
Fuggivo il giorno in cui ti saresti accorta di
poter avere di meglio. Il giorno in cui finalmente avresti capito quale nullità
io fossi. Perché hai perso tempo con me?
Con quello stupido spilungone, bravo solo a
giocare a basket?
Con quell’idiota che cambiava una ragazza a
settimana?
Sempre lo stesso buono a nulla che si era
innamorato di te?
Perché mai lo hai sposato, poi? Con che logica?
Cosa mai hai visto in me, ancora me lo chiedo.
Senza
trovare risposta.
I've seen you cry, I've seen you smile
I've watched you
sleeping for a while
I'd be the
father of your child
I'd spend a
lifetime with you
Il giorno del nostro matrimonio.
Uno dei sogni in cui mi rifugio più spesso, sai?
Quando sento tutte le forze abbandonarmi è a
quel momento che penso: a quando mi hai guardato, gli occhi fissi nei miei e lo
hai detto. Hai pronunciato il fatidico sì. Sì. Sì. E ancora mille volte sì.
Stavo per piangere, ci credi? Al pensiero che
davvero volevi stare con me.
Che non mi ero immaginato tutto, che non ero
solo io ad aver perso il senno.
Tu, bellissima nell’abito bianco. Sorridente,
commossa, leggiadra. Mia. Mia. Mia. Solo mia.
Non puoi sapere per quanto lo avevo
desiderato, per quanto lo avevo sperato. Ed era successo, tutto come era sempre
stato nei miei sogni.
Sembrava proprio il per sempre felici e
contenti delle favole, vero? Non mancava nulla.
C’era l’amore, la casa, noi. Tutto quello che
serviva.
E io ci ho anche creduto, che idiota. Che
stupido, inutile, idiota. Come ho potuto? Sperare in tanto…
Io e quei miei dannatissimi sogni. Credevo
avremmo vissuto insieme, per sempre.
Avremmo avuto dei figli, un bimbo, una bimba.
Dei piccoli noi. Con dentro un po’ di me e tanto di te.
Dei cuccioli, con le loro risate, i loro guai.
Le corse per la casa, i natali e le feste, le partite a pallone e le gare di
ballo. I voti a scuola, i litigi di poco conto, gli abbracci e i baci. Il
camino, la befana, i dolci. Ho sognato tutto, fantasticato su tutto questo e
molto altro.
Ci credevo davvero. Che saremmo invecchiati
insieme, passando il resto della vita così, assieme.
Stolto, credulone, ingenuo. Dillo come vuoi,
il risultato non cambia.
Ci sono sempre e solo io alla fine.
Distrutto. Finito.
Senza te. Io
che ho paura persino di sognarti, perché fa troppo male. Io che mi ubriaco, che
rompo tutto, che strappo le tue foto, che urlo e strepito con tutti. Io che
finisco in prigione.
Sai perché? Sì, sì che lo sai. Lo hai sempre
saputo. Me lo ripetevi, ridendo…
Che senza di te sarei stato perduto.
Avevi ragione. Come sempre.
Avevi ragione.
I'm so hollow, baby, I'm so hollow
I'm so, I'm so,
I'm so hollow
- Come va con i ricordi? -
Sobbalzai, gli occhi che si spalancavano senza il mio permesso.
Mi ritrovai nella penombra della cella, rividi
i contorni della figura di Francesco, steso poco lontano da me. Una domanda,
una semplice domanda la sua. Non mi guardava, soltanto chiedeva.
- Come deve andare? – ribattei, la voce
roca.
Lui annuì, come se dal mio tono avesse capito ogni cosa. Girandosi
di poco incontrò il mio sguardo.
- Si può sapere perché ti ha lasciato? -
Ci misi un bel po’ a rispondere. Non saprei
dire quanto, quanto bastava probabilmente a prepararmi a dirlo. Ci crederesti
che prima di quel momento ancora non ero riuscito a dirlo
una sola volta?
- Non mi ha lasciato – cominciai, chiudendo di
nuovo gli occhi, cercando i tuoi.
Francesco non mi interruppe, non disse niente.
E io continuai, finalmente pronto.
- E’ morta –
I know your fears and you know mine
We've had our doubts but
now we're fine
And I love you,
I swear that's true
I cannot live
without you
Francesco non trasalì.
Non ebbe il minimo moto di sorpresa. Iniziai a
chiedermi da quanto lo avesse intuito, come avesse fatto a capirlo. Lui sembrò
smettere addirittura di respirare, guardava il soffitto, perso nel suo silenzio.
- Ti manca? -
Mi sembrava di essere in una specie di realtà
alternativa, in cui il tempo non scorreva normalmente. La sua domanda era stata
cortese, anonima di per sé, eppure mi colpì dritta al cuore.
- Sì – sussurrai, la
gola secca.
- Cos’è che ti manca di più? –
- Tutto – risposi – Lei, semplicemente. Ne ero
diventato dipendente. Era parte di me, è come se avessi perso me stesso. Io… io
credo di non poter più vivere senza di lei –
Sentii le lacrime che premevano per uscire, ma
non glielo permisi. Non potevo, non dovevo piangere.
Che senso avrebbe avuto? Certo non sarebbe
servito a farti tornare da me.
Lo sai che darei tutto per riaverti?
Per poterti vedere anche solo un’ultima volta,
per poter sentire di nuovo la tua risata, per poter stringere ancora la tua
mano… per poter avere un ultimo bacio? Un bacio infinito, ecco cosa vorrei.
Un bacio in grado di salvarti, in grado di
salvare me. Un bacio in grado di battere la morte.
Un bacio. Un tuo bacio.
Come quello del primo appuntamento, o del
matrimonio, o di uno degli innumerevoli momenti in cui sono stato fortunato al
punto da poter avere le tue labbra.
E’ chiedere troppo?
Ti sembra troppo?! E’
troppo che un marito rivoglia la moglie morta troppo presto?
Morta quando ancora non era il momento, quando
nessuno era pronto, quando nessuno lo avrebbe mai voluto o anche solo temuto,
immaginato. Troppo rivolere te? La mia vita…
Troppo chiedere una ragione per vivere ancora?
And I still hold your hand in mine
In mine when I'm
asleep
And I will bare
my soul in time
When I'm
kneeling at your feet
- Ti interessa? -
Faticai ad aprire gli occhi, a girarmi ancora.
Le membra intorpidite, come anestetizzate dal
dolore. Cercai di capire a cosa si riferisse Francesco e la vidi: la pistola
nella sua mano. Nera, piccola, fatale.
La guardavo, pietrificato. Francesco me la
mostrava, porgendomela quasi.
- Potrebbe essere una soluzione – diceva –
Meglio di qualsiasi antidolorifico. Risolve ogni problema -
Fissai la canna nera, immaginando di premerla
sulla tempia.
Oppure no, diritta al cuore.
Non sarebbe stata per davvero una soluzione?
Quello mi chiedevo. Non sarebbe stato
magnifico, porre fine al dolore, a quella vita che non era più tale, alle
sofferenze, ai ricordi… E se davvero avessi premuto quel grilletto? Non ti
avrei raggiunta?
Non avrei finalmente potuto riaverti tra le
mie braccia, di nuovo e per sempre?
Il tuo sorriso, i tuoi occhi, la tua risata…
Tu.
Le tue labbra, un tuo bacio. E solo premendo
un grilletto.
Fissai ancora la pistola, sul punto di
allungare davvero la mano e prenderla. Per venire da te.
Raggiungerti, finalmente.
Sentivo le lacrime rigarmi il volto, calde, finalmente libere di scendere.
Dio, quanto mi mancavi…
Se davvero, se per davvero ti avessi potuta
rivedere… in ginocchio, ai tuoi piedi, incapace di muovermi anche solo di un
millimetro. Non ti avrei più lasciata andare, lo sai?
Eppure la verità è che nemmeno tu mi hai mai
lasciato andare.
Sei sempre rimasta con me, vero?
Non mi hai abbandonato. L’ho capito, alla fine.
Nel momento in cui stavo per afferrare la
pistola. Nel momento in cui sentii il brivido lungo la schiena. La tua voce,
ecco cosa sentii. Un soffio, vicino all’orecchio. L’eco della tua risata.
E la mia mano si bloccò, scattando poi lontana
da quella pistola. Non l’avrei mai presa.
Non farlo, amore mio.
Chiusi di nuovo gli occhi, pronto
a vedere la tua immagine. Diversa, ecco com’era. Differente da come la
ricordavo, da com’era stata negli ultimi tempi della malattia.
Era di nuovo la tua, quella dei giorni felici,
di quando si rideva per tutto e per niente.
E sorrisi, al buio, senza alcun motivo,
sorrisi.
Perché sorridevi anche tu nella mia testa,
perché eri con me, perché non mi avevi dimenticato, non mi avevi lasciato.
Perché in qualche modo, eravamo ancora tu ed io.
Non farlo, amore mio.
No, non lo avrei fatto. Non in quel modo, non
in quel momento.
Avrei aspettato, avrei vissuto e prima o poi,
ti avrei avuta di nuovo mia.
Non
farlo, amore mio.
Goodbye my lover
Goodbye my
friend
You have been the one
You have been
the one for me
§§§