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Autore: _kelly4tato_    27/10/2010    2 recensioni
A lei non piace l'oro dei suoi occhi.
Lui sogna di tramutare l'oro in rubino.
Loro, insieme, semplicemente.
Un'altra Alec/Rachele per le estimatrici dei Nuovi Personaggi.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
- Questa storia fa parte della serie 'Ma Petite Ligurienne'
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_-Angolo di Kelly-_

Ok gente, questa volta (come spiegherò, se riesco a farlo, creando una serie di storie sulla coppia Alec/Rachele) Rachele ha un background diverso da quello di Creuza de Ma. Lì era una nomade allegra, qui è una vampira salvata e creata dagli Armoniae, una famiglia italiana di vampiri vegetariani di mia spudorata invenzione. Di base, però, la faccenda resta sempre la stessa: c'è lei e c'è Alec. Punto. Il resto sono sottigliezze.

P.S. Metto rating Verde perchè se uno apre una storia di vampiri deve aspettarsi per forza qualche dissanguamento.
In ogni caso, se qualcuno trovasse necessario un rating più alto, basta avvertirmi e sistemerò tutto immediatamente.

 

Red&Gold
-her bright eyes-

Sospirò, guardando nel piccolo specchio da borsetta il suo riflesso immutabile e perfetto.

Inutile fingere falsa modestia: Rachele Armoniae si piaceva.

Le piacevano i lunghi capelli castano scuro, quasi bordeaux con i loro riflessi rossi, le piacevano i lineamenti delicati, il naso piccolo e  sbarazzino, lievemente all’insù, e le labbra morbide e carnose.

Fu quando si guardò gli occhi che la sua espressione beata s’indurì.

Era il colore dei suoi occhi, quello che odiava.

Era quel colore dorato, scintillante, luminoso come il sole del giorno più caldo dell’estate.

Era il colore della sua compassione.

E Rachele, quella compassione, non la sopportava.

 

 

Sospirò, guardandola da lontano, nascosto a suo agio tra gli alberi del bosco.

Seduta sulle rive del ruscello, sempre con quel quello specchietto in mano, a guardarsi con aria scontenta.

Era sempre così che Alec Volturi la trovava, quando raggiungeva il luogo dei loro fugaci, proibiti e fin troppo rari appuntamenti, il teatro di quegli incontri in cui lui diventava un po’ più dolce e lei un po’ più cattiva.

Lui adorava quegli incontri.

Adorava lei, il suo visino che si illuminava quando lo vedeva spuntare dal suo nascondiglio.

Adorava la sua pelle bianca, dura e sfaccettata, che come la sua scintillava al sole.

Adorava le sue labbra morbide, dolci e tremendamente arrendevoli al tocco delle sue.

Adorava la sua voce, soprattutto quando parlava solo e soltanto per lui.

C’era solo una cosa che non gli piaceva di lei.

Il colore dei suoi occhi.

Ed era quello il motivo per cui ogni volta la induceva in tentazione, per tramutare quel colore in un più bell’oro rosso.

 

 

Sentì i suoi passi avvicinarsi e il suo profumo avvolgerla ancora prima che il ragazzino atterrasse sull’erba accanto a lei.

Stavolta l’aveva scelto esile e minuto, con lucenti capelli neri come la notte e grandi occhi azzurri spalancati sul vuoto.

Non era morto, non ancora perlomeno.

Lei lo sapeva, perché ne sentiva il respiro accelerato, il battito spezzato del cuore, ma soprattutto perché vedeva la lieve nebbiolina inerpicarsi lungo quel corpo di bambino, ricoprendolo, come un sudario di tulle, mantenendolo annegato nel nulla.

E perché sentiva il suo profumo di sangue, di sangue vivo e inebriante, arrivarle alle narici e farle bruciare la gola nonostante avesse appena cacciato due lupi e un cerbiatto.

Mentre ancora guardava quella preda proibita, eppure così tentatrice, le braccia dell’altra sua tentazione le avvolsero il petto, incrociandosi sui suoi seni e facendola aderire al torace di lui. Ne vedeva la pelle luccicare sotto al sole tiepido e primaverile.

Il suo profumo come una nuvola e la sua voce come un sinfonia.

-Eccomi qua. Con la tua preda, come sempre-.

 

-Eccomi qua. Con la tua preda, come sempre-.

-Con la mia dannazione, come sempre-, replicò lei. Appoggiò la testa nell’incavo della sua spalla e lui ne approfittò per posare un bacio su quel collo dalla curva delicata e sinuosa.

-Non è una dannazione. È un diritto-, ribattè a bassa voce preparandosi alla solita litigata che precedeva la resa di lei.

Avrebbero litigato abbracciati, con le voci basse e pacate, poco più di lievi sussurri.

Poi lei avrebbe ceduto, come al solito, assecondando la sua natura di essere superiore e cibandosi dell’ambrosia che lui le aveva riservato.

La più bella delle prede che Heidi aveva portato a Volterra, che lui come al solito aveva sottratto dal gruppo per sacrificarla all’altare della sua piccola e innocente dea personale.

-E’ obbligatorio ripetere ogni volta questa scenetta?-, le chiese sbuffando lievemente. Il suo respiro le scostò una ciocca di capelli dalla spalla.

La vide annuire. –Sì, è obbligatorio. Perché quello che come al solito finirò per fare è sbagliato. E lo sai anche tu-.

-Non è sbagliato-, replicò sottovoce, pur sapendo che lei, anche se gli dava ragione, avrebbe voluto non farlo.

 

 

-Per me sì, e lo sai-.

-Non lo sarebbe se tu decidessi finalmente di venire con me. Lo sai e sai anche che ho ragione-, lo sentì rispondere a bassa voce. Sorrise amaramente.

-E tu sai bene che non posso farlo. Perché sono vigliacca. Perché ho paura di lasciare tutto. Perché…-

-Perché sei sadica-, la interruppe lui –e ci godi da morire a farmi rischiare il linciaggio a scappare da Volterra-. Aveva parlato accompagnando le parole con una risata musicale, in contrasto con la nuvola temporalesca che a sorpresa si era addensata sulla radura.

Le loro pelli cessarono di scintillare e lei si abbandonò contro il petto esile ma forte di lui.

-Ho una paura matta di quello che troverò, se me ne andrò-, disse debolmente. Era la prima volta che lo confessava e sentì il lieve fruscio delle labbra di lui che si stiravano in una riga sottile.

-Cosa vuoi trovare? Me, troveresti. Me tutto il giorno e solo tuo. Me per l’eternità. E se non ti basto io…-

-Idiota. Certo che mi basti. Ma oltre a te, cosa troverò? Jane, gelosa fino all’osso di te. E tutti gli altri che non mi vorranno, che mi disprezzeranno…-

-Ma se sei il desiderio di Aro dalla prima volta che ti ha visto!-, la contraddisse lui con tono ovvio. Era un po’ irritato, ma non accennava a lasciarla andare. Continuava a tenerla stretta, come se lei, motivo della sua irritazione, fosse anche l’unico rimedio per tranquillizzarlo.

 

 

Il loro solito battibecco stava prendendo una piega inaspettata.

Solitamente, alla frase “e ci godi da morire” eccetera, lei scoppiava a ridere e gli diceva che non era vero.

Quel giorno, finalmente, si era liberata di uno dei suoi sassolini sullo stomaco.

Sbuffò, ma non di noia. Semplicemente, era un rumore come un altro per rompere quello strano silenzio.

Visto che lei non parlava ancora, attirò la sua attenzione sul bambino steso accanto a loro allungando una mano e tirandolo per i capelli fino ad avvicinarlo alle gambe piegate di lei.

-E allora, non hai sete?-, le chiese con tono provocatorio.

Lei per la prima volta non fece resistenze: senza alzarsi da lui prese delicatamente tra le mani il capo del piccolo, avvicinandolo alle labbra.

Lui si leccò le sue; era sempre uno spettacolo terribilmente eccitante vedere quelle labbra dolci e morbide che si socchiudevano, mostrando i denti candidi come perle e affilate come rasoi, prima che lei abbassasse il viso affondando quelle armi letali nel collo bianco della sua preda.

Il sangue zampillò e gli occhi dorati di lei si scurirono immediatamente.

Ancora una volta, aveva ceduto alla sua natura divina.

 

Perse il controllo e accostò avida le labbra alla ferita sul collo della sua povera vittima, succhiando avidamente come un bambino assetato beve da una fontanella.

Il nettare caldo e dolce, proibito, scorreva come miele lungo la sua gola, placando il bruciore e tingendo i suoi occhi di un colore strano e meraviglioso.

Non era rosso, ma non era neanche oro.

Era uno strano color bronzo, forse più simile al rame, sicuramente oro rosso.

Era un colore che le piaceva, ma una volta di più si chiese come sarebbe stato avere occhi di rubino scintillanti al buio.

Come quelli di lui.

Lui che appena il corpo del piccolo ormai morto cadde a terra la voltò e la baciò, bevendo avido il suo respiro e quelle ultime gocce di sangue che le tingevano di scarlatto le labbra.

 

 

Era bello baciarla, gustare il suo sapore di rosa e di sangue, sentire il suo corpo morbido abbandonarsi ancora di più tra le sue braccia, con fiducia e amore.

In circostanze normali le avrebbe strappato di dosso quei noiosi vestiti e se la sarebbe presa lì, su quel tappeto d’erba, ma quella volta no.

Sarebbe stato diverso.

Il suo potere gli vibrava sulla punta della lingua, come il fuoco in bocca ad un drago.

Nel momento in cui la sentì abbassare la guardia, glielo scagliò addosso precipitandola nel nulla di cui lui, e solo lui, era principe.

Sorrise quando lei, con l’ultimo briciolo di cognizione della realtà che le rimaneva, sorrise consapevole e sussurrò un “sei uno stronzo”, e il suo sorriso si allargò ancora di più quando la prese tra le braccia senza sforzo, correndo attraverso il bosco e posandola sul sedile posteriore della sua Jaguar.

 

E quando fu in viaggio, sfrecciando lungo l’autostrada, non poté impedirsi di scoppiare a ridere.

La risata di un bambino soddisfatto, di un innamorato felice, di un capriccioso appagato.

Pregustava già il continuo di quel bacio, nella sua camera al castello di Volterra.

Ancora un’ora di viaggio, e poi quegli occhi d’oro rosso avrebbero scintillato tra le lenzuola scarlatte del suo letto.

A Volterra.

Solo suoi.

Per sempre.

  
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