Anime & Manga > Suzumiya Haruhi no yūutsu
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Autore: Kuri    29/10/2010    0 recensioni
“«Tuttavia, se neghiamo una negazione, facendola così diventare un’affermazione, se noi affermiamo una negazione negata, tu risulti ancora maleducata, mia cara lepre?»
«La questione principale credo stia tutta nel fatto che non si può mangiare né bere durante il thé, per non risultare maleducati…»
No.
No, vi prego. Non era possibile concludere la puntata prima del previsto? Uno sbalzo improvviso di corrente, un’edizione speciale del telegiornale?”
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Un té di matti ]





Strinsi le palpebre con un moto di stizza. La luce le colpiva con una discreta forza e, dietro quello schermo cremisi, i miei occhi non ne volevano sapere di aprirsi.
Avvertivo ancora, tra le pieghe del sonno che svaniva con riluttanza, la sensazione del sogno appena fatto.
Eppure c’era qualcosa che mi infastidiva. I miei muscoli bruciavano, come se avessi passato tutta la notte in una posizione assurda, e la mia guancia premeva contro qualcosa di duro e freddo che non sembrava affatto il mio cuscino. Allungai le dita con circospezione, stringendo con più forza le palpebre.
Non sentii sotto i polpastrelli la consistenza soffice della moquette di camera mia, quindi potevo escludere di aver fatto uno di quei sogni dove alla fine si cade davvero.
Invece, continuavo ad urtare oggetti che producevano un delicato tintinnio e di cui non riuscivo ad intuire le molteplici forme.
Quella situazione iniziava a non piacermi, e sapevo che, se avessi aperto gli occhi, avrei dovuto constatare con mia immensa costernazione che era successo di nuovo qualcosa in relazione alle bizzarrie di quella persona.
Improvvisamente, mentre continuavo a perlustrare alla cieca quello che mi circondava, le mie dita incontrarono qualcosa di soffice, dalla consistenza elastica.
«Ahi.»
L’esclamazione irruppe nel silenzio frusciante del sogno.
«Ahi, ahi, ahi! Mi stai tirando i capelli!»
Mi sollevai a sedere di scatto spalancando gli occhi.
Non potevo sbagliarmi, quella era la voce di Tsuruya-san. Cosa ci faceva in camera mia?
Poi girai la testa a destra, con lentezza. E poi a sinistra, con altrettanta concentrazione.
Ovviamente, non mi trovavo nella mia camera immersa nella luce dell’alba. Sembrava piuttosto una radura erbosa, circondata da un bosco di strane piante dai colori iridescenti e vibranti di vita, come se gli alberi stessi si stessero muovendo sussurrando qualcosa con un filo di voce.
«Ehi, Kyon-kun… adesso potresti lasciarmi andare?»
Gettai un’occhiata verso la mia mano guantata. Tra le dita stringevo una lunga ciocca di capelli scuri. La seguii con gli occhi, finché non incrociai il viso allegro di Tsuruya-san a poca distanza dal mio. Sussultai, sbilanciandomi pericolosamente indietro sulla sedia traballante su cui ero accomodato.
«Tsuruya-san…»
La lasciai andare e mi alzai in piedi, distanziandomi da lei di qualche metro. Tra di noi si trovava uno strano tavolo imbandito, pieno di tazze, tazzine, piattini ricolmi di dolci e teiere, probabilmente gli oggetti che avevano prodotto prima quel lieve tintinnare.
«Che c’è, Kyon-kun?» mi fissò con la sua consueta espressione straripante di energia, e infine scoppiò a ridere, lasciandosi cadere indietro sulla sedia e stringendosi le mani sulla pancia «Quanto sei buffo, sembri proprio un damerino, Kyon-kun! Non avrei mai immaginato che un sogno potesse essere così divertente!»
Chissà perché, avevo la sensazione che non si trattasse di un semplice sogno.
Abbassai lo sguardo su di me. Indossavo uno strano completo a pezze di vari colori, sui toni del marrone e del verde scuro, completo di panciotto e di una giacca con le code. Sollevai le mani guantate verso la mia testa e mi tolsi il capello, un ridicolo cilindro dalla cui falda uscivano foglietti e piccoli ramoscelli ricolmi di fiorellini viola.
No, non sono ancora del tutto idiota. Avevo capito abbastanza velocemente dove ci trovavamo. Erano stati più che sufficienti il tavolo da té e le lunghe orecchie pelose che sbucavano dai lati della testa di Tsuruya-san per capire che qualcuno aveva deciso di precipitarci nella lezione d’inglese del giorno prima. Ormai la conoscevo troppo bene per illudermi che quello fosse solo un semplice, innocuo sogno. Riconoscevo l’impronta lasciata dal suo discutibilissimo senso dell’umorismo.
«A te invece le orecchie stanno molto bene, Tsuruya-san.» le dissi mentre mi guardavo attorno, nella speranza di intravedere qualcuno che potesse illuminarmi su quanto stava accadendo. Nei momenti più opportuni, quell’odioso Koizumi non si faceva mai vivo.
Lei sollevò le mani e si tastò le lunghe orecchie grigie che le spuntavano tra i capelli. Sembrò interdetta per qualche istante, poi scoppiò a ridere.
«È troppo divertente! Non vedo l’ora di vedere da cosa è travestita Mikuru-chan…»
Un lungo sospiro si alzò dalla tavola. Girammo entrambi lo sguardo nella direzione da cui era arrivato quel suono ovattato, e oltre una grossa torta alla crema e una teiera da cui usciva un sottile filo di vapore, vedemmo due piccole orecchie tonde e bianche.
Mi avvicinai con circospezione.
Giunto ormai alla conclusione che mi trovavo all’interno di uno dei closed circles di Haruhi, sapevo che non potevo sottovalutare nulla. Giganteschi ominidi blu, preistorici grilli alti come palazzi di sei piani… non potevo intuire con certezza sotto quale forma si sarebbe presentato il pericolo, la prossima volta.
Scostai con lentezza la teiera. Le orecchie sussultarono con un ronzio infastidito, seguito nuovamente da quel lungo placido sospiro. Tsuruya-san allungò le mani verso il vassoio che reggeva l’enorme torta e lo spostò con un gesto pieno di effetto drammatico.
Appoggiata con la guancia contro le braccia conserte, si trovava mia sorella, tranquillamente addormentata. Sospirai di sollievo. Aveva solo un buffo paio di orecchie in testa e una codina bianca che le spuntava dal pigiama, ma per il resto sembrava che stesse bene, e che non ci fosse alcun pericolo di svegliarla.
«Una lepre, un ghiro e un cappellaio… direi che questo è il sogno più divertente che io abbia mai fatto!» esclamò Tsuruya facendo una piroetta su sé stessa.
Chissà perché, io non mi sentivo altrettanto allegro.
Tsuruya si rimise a sedere su una delle sedie attorno al tavolo. Allungò una mano verso un vassoio di pasticcini e ne prese uno ricoperto di soffice glassa azzurra e zuccherini gialli.
«Perché non prendi una fetta di torta anche tu, Kyon-kun?» mi chiese alzando allegramente lo sguardo su di me.
Mi avvicinai di un passo.
«Dov’è Alice?!»
Il grido risuonò nella radura così forte, che persino gli alberi smisero di sussurrare tra di loro. Mia sorella si rigirò appena, strofinando il viso contro l’avambraccio, ma continuò a dormire.
Io e Tsuruya guardammo verso il bordo della radura dall’erba azzurrina. Un omettino che indossava abiti come i miei ci osservava con un’espressione buffa, un misto di determinazione e follia che lo rendeva lievemente strabico. Accanto a lui una lepre si reggeva sulle zampe posteriori e ci squadrava con un’occhiata ancora più inquietante di quella del piccolo cappellaio. Sulla sua testa, al centro di una corona fatta di spighe di grano, era appollaiata una teiera, da cui spuntava la il muso addormentato di un ghiro.
«Dove avete nascosto la nostra Alice?»
Tsuruya-san mi lanciò un’occhiata interrogativa. Teneva ancora il pasticcino a mezz’aria, e la bocca socchiusa.
«Non ve ne andrete di qui finché non avrete parlato, e visto che durante il té non si parla con la bocca piena, dovrete rimanere qui fino alla fine.» esclamò la lepre con una vocetta stridula. Si mise a fare dei velocissimi piegamenti sulle ginocchia, e la teiera sulla sua testa traballò pericolosamente.
«No, ma noi non…»
«Non si parla con la bocca piena di negazioni!» strillò il cappellaio, mentre il suo grosso naso fremeva sotto la falda del cappello. Alzò la mano che aveva tenuto fino a quel momento dietro la schiena e puntò un uzi verso di noi.
Richiusi la bocca con uno scatto secco.
Quello che stringeva tra le mani era veramente uno di quei grossi mitragliatori che si vedevano nei film di guerra o di spionaggio. Era un gigantesco, nero uzi spianato nella nostra direzione.
«Ma due negazioni non fanno un’affermazione?» chiese la lepre, mentre si frugava nelle tasche del panciotto con concentrazione. La teiera sembrò sul punto di cadere. Poi la lepre si raddrizzò e dalle tasche sbucarono quelle che sembravano due pistole semiautomatiche.
«Vuoi dire quindi che se “non si può parlare con la bocca piena di negazioni”, si può parlare con la bocca piena durante il té? Sono felice che tu non sia più maleducata, mia cara lepre!»
Non potevo crederci. Mi portai le dita alla fronte e cercai di pensare, anche se la sensazione di avere di fronte due personaggi di un innocuo racconto per bambini con in mano armi da reduce di guerra in cerca di vendetta mi impediva di essere completamente razionale.
Tsuruya si alzò e si mise accanto a me. Tra le dita stringeva ancora il dolcetto che aveva ripescato dal tavolo.
«Certo che è un sogno molto strano, questo.»
Non riuscivo a staccare gli occhi dalle due figure in fondo alla radura che continuavano a scambiarsi inchini e frasi senza senso.
Questa volta Haruhi me l’avrebbe pagata. Mettermi in una situazione del genere e non presentarsi neppure era davvero imperdonabile, per quanto convenissi che era perfettamente coerente al suo personaggio.
«Però siamo venuti qui per cercare Alice, la nostra Alice!» disse il cappellaio tornando a rivolgere la propria attenzione verso di noi. Imbracciò il mitragliatore con più forza, portandoselo all’altezza del viso. Chiuse un occhio e lo appoggiò contro il mirino, rimanendo a fissarci con l’occhio aperto.
Per certo, questa situazione aveva superato di gran lunga tutte quelle in cui Haruhi aveva avuto la sfrontatezza di cacciarci. Con il problema che questa volta non sapevo dov’erano Nagato con i suoi speciali poteri extraterrestri e Koizumi con la sua sfacciata sfrontatezza. Per non parlare che non riuscivo ad immaginarmi in quale situazione poteva trovarsi Asahina-san, in un posto come questo.
«Credo che sia meglio andarsene, Tsuruya-san.» le dissi in un sussurro, osservando mia sorella che continuava a dormire.
«Perché? Tanto è solo un sogno.»
Il cappellaio e la lepre avanzarono di qualche passo.
«Tsuruya-san.» lei sollevò il viso verso di me «Quando te lo dico, corri. Non fare nessuna domanda, tu corri e basta.»
Lei mi fissò per qualche secondo, poi annuì impercettibilmente. Strinsi la mano a pugno.
Detestavo la parte dell’eroe.
«Dov’è Alice?»
Scattai verso il tavolo. Afferrai un vassoio pieno di pasticcini e li lanciai verso le creature che avanzavano nella nostra direzione. Vidi i dolcetti volteggiare nell'aria con inquietante lentezza, mentre i visi del cappellaio e della lepre si deformavano, al rallentatore, in espressioni di sgomento. Poi afferrai la vita di mia sorella e la sollevai dal tavolo, stringendola contro di me, cercando di ripararla con il vassoio d’argento. Non avrei permesso a quei due di farle male.
«Corri, Tsuruya-san!»
Non se lo fece ripetere. Scattò verso il lato opposto della radura, tuffandosi tra i cespugli violetti e lilla del sottobosco. La seguii, facendo attenzione a non far scivolare mia sorella, che continuava a dormire beatamente.
«Stanno scappando, stanno scappando! Come sono maleducati a scappare durante l’ora del té, e per aver sprecato tutte quelle madeline calde e imburrate!» sentii esclamare alle mie spalle, insieme allo scatto secco delle sicure delle armi.
Mi voltai appena in tempo per ripararmi con il vassoio, mentre stavo per immergermi nella vegetazione sussurrante del bosco. Avvertii l’urto di qualcosa contro il metallo, ma era un suono viscido, e il contraccolpo molto più debole di quanto avessi immaginato.
«Kyon-kun!» la voce di Tsuruya mi chiamò. Lasciai cadere il vassoio a terra e cominciai a correre nel sottobosco.
Dovevo trovare Haruhi. Doveva spiegarmi perché aveva creato tutto ciò, anche se non avevo difficoltà ad immaginarlo.
Sapevo che i cartoni animati erano folli, ma quella a cui stavo assistendo era una follia fin troppo gratuita, persino per Haruhi.













   
 
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