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Autore: fri rapace    29/10/2010    19 recensioni
“Ma bravo! Non ti permetto di prenderti il merito per la mia vacanza no-limits dal lavoro! Ho fatto tutto da me. Gliel’ho mostrato il medio al leone con l’ernia, ah, se gliel’ho mostrato!” esplose Tonks.
“Leone con l’ernia?” le chiese Remus.
“Sì, Scrimgeour. Con quei capelli fa tanto il leone di quelle storie per bambini che mi leggeva la mia nonna Babbana.”
“Ah. Il leone delle Cronache di Narnia?” tradusse prontamente lui.
“Ecco, ma meno fico. E con un odore strano.”

Remus e Tonks, una famiglia e la sua battaglia quotidiana per continuare a vivere in un Mondo Magico che non li vuole.
Storia classificatasi quarta al "Classici Disney Contest" indetto da Lyrapotter, vincendo il premio Giuria.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Una famiglia come tante


Una storia comune di una famiglia particolare
o una storia particolare di una famiglia comune
Lilo&Stitch



Tonks raggiunse il suo ufficio al Ministero, concludendo la corsa in cui si era lanciata per evitare un disastroso ritardo con una lunga scivolata.
Divisa ormai da anni tra il suo lavoro ufficiale e i compiti dell’Ordine della Fenice, tener testa agli impegni diventava ogni giorno che passava sempre più difficoltoso.
Ma lei non era certo tipo da arrendersi, e tornare a casa da lui a ogni fine turno la ripagava di tutte le fatiche.
“Mio marito!” gongolò, parlando alla porta chiusa davanti al suo naso.
“Signorina Tonks.”
Una voce dura fece evaporare il sogno ad occhi aperti in cui si era persa.
Si voltò lentamente con un senso di nausea in gola, un malessere che l’aggrediva sempre più spesso.
Rufus Scrimgeour in persona stava zoppicando verso di lei, la criniera fulva striata di grigio che si muoveva come una fiamma sulla sua testa.
Tonks non era affatto stupita per la sua comparsa al Quartier Generale Auror. Da quando era stato nominato Ministro della Magia il suo posto di capo Auror veniva coperto da Robards, ma non aveva mai smesso di frequentare i vecchi uffici, come per ribadire il suo essere un cacciatore di Maghi Oscuri, non un burocrate.
Il suo sguardo giallastro la percorse da capo a piedi con sospetto, alla ricerca di tracce, indizi. Pericoli.
Delle parole salirono automaticamente alle labbra di Tonks: “Non mi squadrare così, Malocchio! Non ho intenzione di farmi esplodere le chiappe!”
L’atteggiamento e l’andatura di Scrimgeour le avevano ricordato il suo mentore.
Morto, una ferita ancora aperta.
Si asciugò il naso nella manica del mantello, senza cercare di dissimulare la commozione. Soffrire per la perdita di un amico non era cosa di cui vergognarsi.
“Tonks,” riprese il Ministro, senza mostrare alcuna emozione. “È libera.”
Non afferrò il senso delle sue parole. “Come?” chiese, confusa.
“Deve andarsene. Siamo costretti a congedarla dal servizio.”
“E perché mai?” si accigliò, prendendo a rigirare inconsapevolmente con il pollice l’anellino d’oro che portava al dito. Le pesava sulla mano come un drago, bollente come fosse stato sputato dalla bocca incandescente della Creatura Magica.
Scrimgeour spostò impercettibilmente lo sguardo di lato.
Forse stava rimpiangendo di aver scelto di darle il benservito di persona, sarebbe stato molto più facile affidare il compito a Robards.
Tonks ricordò il loro primo colloquio, quanto Scrimgeour fosse stato colpito dal suo dono, e dalla facilità con cui aveva conquistato il rispetto e la fiducia del suo migliore agente: Alastor Moody.
“Mi sono giunti sott’occhio certi documenti, con i tempi che corrono equivalgono a una condanna,” le spiegò, vago. “Questo è quanto.”
E Tonks capì qual era la motivazione del suo licenziamento: quella che stava rifiutando anche solo di ipotizzare.
“Basta giri di parole! Chiami le cose con il loro nome!” pretese furente da quell’uomo che stava sporcando con le sue insinuazioni la cosa più bella che le fosse mai capitata.
“Signorina Tonks…”
“No! Non Tonks! Esigo di essere chiamata signora Lupin!” urlò, gonfiandosi d’orgoglio.
Alcune delle persone che li aggiravano indifferenti nello stretto corridoio si voltarono, per poi accelerare il passo, gli occhi piantati a terra.
“Quindi mi licenziate perché ho sposato Remus?”
“Un lupo mannaro,” precisò schietto lui.
“Questo non fa di lui un mostro!”
Scrimgeour non si scompose. “I manuali riportano…”
Tonks gli fece un gestaccio, sibilando. “Sa dove può ficcarseli, i manuali?”
Lui sobbalzò, lo sguardo feroce. “Ora sta esagerando!” tuonò. “Sta parlando con il Ministro della Magia!”
“Credevo di stare parlando con un Auror!” gli urlò allargando le braccia sopra la testa e abbattendo con un sol colpo tre Promemoria Interufficio in forma di aeroplanini di carta. “E poi… chi ci vuole più stare, qui? Il Ministero è marcio e lei mi fa schifo!”
Lo osservò mettere mano alla bacchetta.
“Intende arrestarmi?” lo sfidò, impugnando la propria. “Ingabbiare degli innocenti per dare il contentino alla folla, che così s’illude che state facendo qualcosa, vi fa un sacco comodo, vero?”
Scrimgeour serrò i denti. “Viste le sue frequentazioni, è quello che dovrei fare,” disse rigidamente.
Ma non fece nulla. Rimase immobile, mentre lei si allontanava lentamente lungo il corridoio deserto: gli impiegati si erano dispersi velocemente quando avevano iniziato ad annusare il pericolo.
Gli voltò la schiena senza paura, fotografando con gli occhi a mollo nelle lacrime le pareti del luogo dove aveva lavorato per anni, dando tutta se stessa per quell’impiego in cui credeva profondamente, che si era guadagnata con impegno e fatica.
La preoccupazione più grande, il modo in cui Remus avrebbe reagito alla notizia del suo licenziamento.
Prese tempo, scegliendo di tornare a casa con la metropolitana per escogitare una maniera per raccontargli quell’ingiustizia evitando che finisse – come sempre succedeva – con il tirarsi addosso ogni responsabilità.
“Perderai tutto, a causa mia,” le aveva spiegato milioni di volte nel corso di quel lungo anno in cui erano stati separati.
“Impossibile!” disse ad alta voce, sedendosi di peso sul rigido sedile di plastica della vettura in cui si era infilata.
Le due Babbane accomodate vicino a lei le dedicarono una veloce occhiata, stringendo delle cartelline di cartone tra le dita sbiancate per la pressione.
Tonks trovò lo spirito di fare loro un sorriso, staccandosi dagli occhi con uno sbuffo una ciocca di capelli di un rosa smorto.
“… e insomma,” riprese a parlare quella che le sedeva accanto, con un tono di voce forzato. “Il signor Hill mi ha detto: la scelta doveva ricadere su di lei, l’azienda deve essere ridimensionata e la coscienza ci impone di non mettere in difficoltà dei padri di famiglia. Lei è una donna, baderà suo marito alle sue necessità, dove sta il problema?”
Aveva parlato in falsetto, facendo il verso al suo superiore. “Anche mio marito è disoccupato, deficiente!” esplose dopo una pausa ad effetto, schiaffandosi la cartellina su una coscia.
“Grande!” esclamò Tonks, applaudendo il suo sfogo fino a farsi diventare i palmi delle mani rossi, come se li avesse immersi in un secchio di acqua gelata. “Questa è discriminazione bella e buona,” stabilì indignata alla fine dell’ovazione, soffiando sulle mani congestionate.
Nel Mondo Magico non si facevano distinzioni tra uomini e donne, nessuno sarebbe stato mai tanto balordo da mettere alla porta una dipendente solo perché del sesso sbagliato. Ma dello stato di sangue sbagliato, quello sì.
Il suo tifo sfrenato per la collega di sventure si spense in un lungo sospiro.
“Anche lei…” iniziò la sconosciuta, con uno sguardo comprensivo.
Tonks annuì. “Anche io… E mio marito.”
“È un brutto periodo, stiamo raschiando tutti il fondo.”
Fuori dai finestrini, incollati alle pareti sporche delle stazioni della metropolitana, manifesti con politici Babbani dai gran sorrisi pretendevano di far loro bere quanto tutto andasse bene.
Nei volti depressi che stipavano la vettura, Tonks lesse tutt’altra verità: la sua stessa storia, con personaggi diversi.

***

Tonks stappò con il pollice una bottiglia di Succo di Zucca già avviata, e se la portò al naso.
“Ehi!” protestò. “Questa bottiglia ha un odore strano.”
Remus, che l’aveva osservata senza batter ciglio radere al suolo quanto incrociato nel percorso tra la porta d’entrata e il cucinino, raddrizzò con un pigro colpo di bacchetta l’attaccapanni, il tavolino e un paio di sedie.
Quando fu il turno del portaombrelli, Tonks si sentì in dovere di commentare l’inutilità di quell’oggetto, incapace di nascondere il broncio: “Noi neanche ce li abbiamo, gli ombrelli!”
Remus la studiò, assorto, come per interpretare il motivo del suo malumore.
Lei reagì chiudendo automaticamente la mente, anche se sapeva che la sua capacità di comprensione del prossimo non aveva nulla a che fare con la Legilimanzia.
“Beh, non è un buon motivo per lasciarlo lì svenuto sul pavimento,” osservò pacato, per poi incupirsi, assumendo un’aria spaventosa, come se stesse creando l’atmosfera giusta per raccontarle una storia dell’orrore con i fiocchi. “E poi…” soffiò, lugubre.
“E poi cosa?” fece lei, piegandosi verso di lui, già rapita da quel racconto che ancora non era neppure iniziato, quasi dimentica del motivo che l’aveva spinta a nascondersi nel frigorifero appena passata la soglia di casa.
“Poi, così… roootola!” ululò in maniera tanto convincente che per un attimo Tonks guardò con sospetto l’odiato oggetto, pensando se fosse il caso di preoccuparsi sul serio.
Remus animò il portaombrelli, che la rincorse fino a conquistare le sue caviglie, contro cui prese a strusciarsi facendo le fusa come un gatto.
Tonks scoppiò a ridere, mentre quell’affare la provocava minaccioso parlando con la voce roca del marito: “Avaaantiii! Scaaavalcamiii!”
Fu tentata di fargli vedere i sorci verdi, a quell’inghiotti paracqua declassato a canestro per qualche sporadica cartaccia. Ma ad un tratto i piedi le parvero troppo pesanti per essere sollevati, la possibilità di inciamparci – tutt’altro che remota – un deterrente sufficiente a frenarla.
“Mmm, tutto sommato non credo che lo farò, no,” mormorò, nascondendo dietro a un debole sorriso quanto si sentisse demoralizzata.
Remus la osservò con uno sguardo docile. “La mia piccola Auror che si tira indietro davanti a una sfida… come mai?”
Tonks non era mai stata brava a contenere le proprie emozioni, così si rituffò nel frigorifero. Alla fine il tempo trascorso in metropolitana non era bastato a permetterle di architettare il modo giusto di affrontare Remus, anche se aveva ripercorso la stessa linea avanti e indietro per tre volte consecutive.
“È per via delle bottiglie… mi frenano…” borbottò sulla difensiva. “Fanno schifo!”
“Come mai sei già a casa dal lavoro?” buttò lì Remus dopo un po’, con noncuranza.
Lei riemerse infreddolita dall’elettrodomestico, facendosi sfuggire di mano le due bottiglie di Succo di Zucca che stringeva nei palmi. Le osservò impotente rimbalzare sul dorso del portaombrelli che aveva ancora alle calcagna, per poi atterrare sul pavimento, scoppiando in decine di frantumi appiccicosi.
“Anche il Ministero fa schifo!” esclamò con convinzione, ritrovando in quello sfogo la propria vena battagliera.
Remus chinò il capo facendosi scivolare i capelli sugli occhi.
“Capisco”, disse debolmente, mentre il portaombrelli si ritirava rotolando mestamente fino a rimettersi sull’attenti al suo posto, accanto all’ingresso.
Tonks si infervorò nel tentativo di spiegargli che non era successo nulla di così grave, che quella malinconia che aveva cercato senza successo di tacergli le era già passata. “Guarda che non c’è da mettere il muso!” esclamò allegra. “Io sono contenta! Non avrei retto quello schifo di posto un minuto di più! E poi, ultimamente, puzzava pure da morire!”
Remus si alzò e la raggiunse con il suo abbraccio rassicurante, che le fece spuntare le lacrime agli occhi. Era sempre stata emotiva, ma da qualche tempo stava decisamente esagerando.
“Scusa, Dora, scusami,” le bisbigliò all’orecchio, tenendola stretta contro le ossa del suo corpo, insospettabilmente accogliente e tenero malgrado la magrezza.
“Dai, Remus, non è niente! E poi a me basta che ammetti le tue colpe!” mormorò contro il suo collo, cogliendo al volo un’illuminazione su come sviare il discorso.
“Tutte, Dora…”
Si staccò da lui, esclamando trionfante: “Ah! Allora ammetti di aver bevuto a canna da tutte le bottiglie che abbiamo in casa!”
Remus aggrottò la fronte, preso in contropiede. “Veramente mi stavo prendendo la colpa per il tuo licenziamento.”
“Ma bravo! Non ti permetto di prenderti il merito per la mia vacanza no-limits dal lavoro! Ho fatto tutto da me. Gliel’ho mostrato il medio al leone con l’ernia, ah, se gliel’ho mostrato!”
“Leone con l’ernia?”
“Sì, Scrimgeour. Con quei capelli fa tanto il leone di quelle storie per bambini che mi leggeva la mia nonna Babbana.”
“Ah. Il leone delle Cronache di Narnia?” tradusse prontamente lui.
“Ecco, ma meno fico. E con un odore strano.”
Remus sorrise, un baffo di allegria sul viso pallido, come il segno lasciato dal latte sotto il naso di un bimbo.
“Tornando alle cose davvero importanti,” tirò le somme Tonks, indicando le bottiglie distrutte. “Annusale un po’ e vedi di trovare una spiegazione plausibile del perché sanno tutte di Mosca Caramellata.”
“Non ho bisogno di annusarle, lo avevo notato anche io.”
“Cioè lo ammetti”, fece lei, tutta soddisfatta.
“Dora, io lo sostengo da anni!”
“Ah, è vero…” ricordò all’improvviso. “E io ti davo del suonato, giusto?”
Lui annuì contrito: era il ritratto del povero incompreso. “Esatto.”
“Quindi non hai bevuto a canna da tutte le bottiglie che abbiamo in casa dopo esserti ingozzato di disgustose Mosche al Caramello?”
Remus finse di pensarci su seriamente. “Non direi, no. È il vetro che ha quest’odore… dà fastidio anche a me. Però mi sembrava che a te l’aroma dolciastro di quelle caramelle di Mielandia piacesse.”
La scrutò preoccupato, come se gli avesse appena confessato di avere chissà quale malattia pericolosa.
“E soprattutto, com’è che ora lo senti anche tu?” le accarezzò i capelli, scostandoglieli dal collo, come per controllare la pelle. “Non è che ti ho morsa un po’ troppo sul serio mentre facevamo l’amore, vero?”
Tonks spalancò la bocca, pizzicandolo forte. “Perché quando mostro giusto un briciolo di sensibilità tutti vanno sempre a ricercare motivazioni sovrannaturali per spiegarselo?” esclamò piccata.
Remus scrollò le spalle. “Sei sicura di stare bene?” e la mano sul suo collo divenne una coccola.
“Alla grande. Io lo odiavo quel posto!” affermò credendoci davvero, perché era la cosa giusta da dire per far star meglio Remus.
“Non mentire, hai dato l’anima per diventare un Auror,” lo sguardo di lui la esortava a essere sincera.
Tonks gli fermò la mano con la propria, stringendola tra le dita. “L’anima l’ho data a te. La mia anima, il mio cuore… il mio corpo… Spero che non ti sia sfuggito, il mio corpo.”
Remus sorrise, furbo. “Ce l’ho sempre negli occhi, il tuo corpo bellissimo,” la rassicurò.
“Perché ora non me lo mostri per definire meglio la proiezione della mia fantasia, che così controllo anche che tu non abbia i segni dei miei denti da qualche parte…”
“Remus!”

***

Tonks arraffò una delle riviste disposte a ventaglio sul tavolino della sala d’aspetto della sua ginecologa Babbana.
Il San Mungo aveva sbattuto le porte in faccia alle famiglie come la sua, ormai ufficialmente fuorilegge e ricercate dal Ministero.
Remus, seduto attaccato a lei, era bianco e rigido come una candela. Poteva sentire l’eco dei suoi pensieri tormentati, quella supplica che sfogava anche nel sonno come una preghiera.
“Sarà sano, normale…”
“Te lo avevo detto che non mi avevi morsa,” lo pungolò, facendogli girare appena la testa. Evitava di muoversi troppo, probabilmente aveva i capogiri, per una volta non dovuti solo alla luna piena imminente.
“Ok,” le disse a denti stretti.
Tonks cercò nel giornale Babbano qualche argomento che potesse distrarlo un po’ dalla visita medica che l’aspettava.
“Senti un po’ qui, Remie!” trillò con entusiasmo.
“Mmm?”
“Secondo un’azienda britannica servono in media centoquattro rapporti per rimanere gravide,” espose assumendo un’aria professionale, come se quella ricerca l’avesse condotta lei in prima persona.
Remus abbassò lo sguardo sulle pagine patinate. “Davvero?” domandò inespressivo.
Non si fece demoralizzare dalla sua fiacca. “Sì,” si schiacciò l’indice sulle labbra, pensierosa. “Ma tu te ne eri reso conto?”
“Di cosa?”
“Che l’abbiamo fatto così tante volte in quei dieci giorni scarsi che ci hai messo a sistemarmi!”
La donna bionda seduta davanti a loro non riuscì a soffocare un risolino, mentre il marito, malconcio quasi quanto Remus, indirizzava loro uno sguardo di scuse.
“Dora!” le sibilò Remus, le orecchie cotte dal rossore. “Possiamo parlarne in privato delle mie prestazioni?”
“Oh, non ti devi mica imbarazzare,” lo tranquillizzò lei, felice di essere riuscita in qualche modo a strapparlo dal suo tormento solitario. Si rivolse alla sconosciuta, strizzandole l’occhio. “È che abbiamo fatto molto alla svelta a far danni,” le spiegò. “Insomma… neanche pensavamo di poterne avere…”
Si accarezzò il pancino appena accennato, come faceva sempre più spesso, per accertarsi che fosse ancora lì al suo posto.
Remus aveva notato quel gesto ricorrente e ogni volta che gli capitava di scorgerlo pareva rilassarsi, preso da un sentimento tanto intenso da riempirgli gli occhi di lacrime. Non se ne lasciava sfuggire neanche una, neppure per sbaglio; rimanevano incollate lì, sulle iridi chiare, a riempire il suo sguardo senza fondo di una tenerezza infinita.
“E mica ce ne siamo accorti subito. Remus,” gli assestò una leggera spallata, guidando anche la sua mano sul proprio ventre. “Era convinto che la mia nausea dipendesse da un suo morso.”
Lui non se la prese per quella sua teoria idiota data in pasto a degli sconosciuti. Era bravissimo a prendersi in giro. “Una parte del mio corpo c’entrava, comunque,” si giustificò divertito, cogliendo l’occasione offerta dalla piccola risata che lo colse per asciugarsi gli occhi con i pollici.
“Sì, c’entrava per centoquattro volte in dieci giorni!”
Tonks scoppiò apertamente a ridere, trascinando con sé anche l’altra donna con una complicità nata spontanea.
“Mia moglie è una strega perfida,” confidò serissimo Remus al marito, proponendogli di allontanarsi dall’impertinenza delle rispettive mogli, con il pretesto di una pausa caffè alle macchinette in fondo alla stanza.
Il Babbano barcollò dietro a Remus, che rallentò il passo serenamente. Nulla nel suo cambiamento d’andatura lasciò ad intendere che avesse notato la difficoltà dell’uomo.
Tonks prese la mano della donna e gliela strinse sbatacchiandogliela allegramente.
“Io sono Tonks”, si presentò.
“Tonks?”
“Sì. Preferisco non approfondire la questione,” asserì con aria addolorata, per poi pararsi la bocca con la mano e confidarle con una smorfia. “Il mio nome di battesimo deve rimanere segreto. È atroce.”
“Capisco,” le sorrise lei, controllando con la coda dell’occhio il marito. “Io sono Nina e mio marito non è ubriaco,” disse d’un fiato, come se si sentisse colpevole per aver tenuto la precisazione sulla punta della lingua per troppo tempo, permettendole di pensare brutte cose di lui.
Tonks non si era resa conto che il suo sguardo interessato puntato sui due uomini potesse essere frainteso in maniera tanto colossale. Non era certo tipo da giudicare le persone dalle apparenze.
“In realtà stavo pensando che Remus mi piace un casino con la camicia un po’ fuori e un po’ dentro quei pantaloni che continua a tirarsi su, perché sono troppo larghi e gli cascano. Mi fa venire voglia di…” mimò con le mani i gesti che avrebbe usato per sistemargli i vestiti, recitando senza rendersene conto la parte di mamma che l’aspettava in un futuro ormai prossimo.
Nina arrossì, senza nascondere lo stupore. “Oh… io… mi scuso. Di solito tutti pensano quello di George. Per strada lo scansano come fosse un alcolizzato, lo giudicano male, traendo le conclusioni più sbagliate del mondo,” si indicò la suola di gomma delle scarpe da ginnastica. “Cammina così perché è malato, ha perso la sensibilità alla pianta dei piedi, alle mani…” lo osservò preoccupata maneggiare quel bicchierino di plastica che non poteva sentire. Forse temeva che si sarebbe scottato senza rendersene conto.
Tonks provò un violento slancio d’affetto nei suoi confronti, e non si trattenne dallo stringerla in un caloroso abbraccio al di sopra del tavolino, che lei ricambiò con un po’ di titubanza.
Ad un tratto fu come se si conoscessero da una vita. Come sorelle.
“Anche mio marito è molto malato,” confidò Tonks. “E la gente pensa tutto il male possibile di lui,” si segnò il viso con un’unghia, disegnando sulla pelle liscia le ferite di Remus. Avvertì lo stomaco farsi duro e piccolo come una noce. “Ha una paura maledetta che anche il nostro bimbo…”
Nina le appoggiò il palmo della mano sul dorso della sua. “La dottoressa vi rassicurerà, come ha fatto con noi,” la confortò.
Tonks cercò di immaginarsi la reazione della ginecologa se avessero provato a spiegarle qual era la malattia che affliggeva Remus. Sarebbero stati presi di sicuro per pazzi.
“È che la nostra è una storia un po’ particolare,” ammise. Non poteva aggiungere altro e Nina accettò la sua risposta evitando ulteriori indagini.
Le persone che avevano provato la sofferenza sulla loro pelle imparavano a rispettare i silenzi altrui e non chiedevano mai più di quello che si era disposti a confessare spontaneamente.
La voce roca di Remus le raggiunse: parlava piano, tra un sorso e l’altro. Sicuramente anche lui aveva potuto esprimersi liberamente, senza dover inventare alcuna patologia. “Quando ti senti meglio, hai solo voglia di quella normalità che la malattia ti porta via. E gli impegni quotidiani più banali e scoccianti sono i migliori, quelli che ti mancano di più.”
L’altro concordò, elettrizzato. “Sì! È così anche per me! Io insisto nel voler portare fuori l’immondizia. L’adoro.”
“Io, appena riesco a reggermi in piedi, mi butto a pulire la voliera del… ehm… animale da compagnia di Dora, e senza bacch… cioè, senza guanti,” gli rivelò Remus, con quell’impaccio che tradiva da qualche settimana. Il sapere di stare per diventare padre l’aveva reso fragile, l’aveva spinto a scappare
Tonks pensò a quanto amava il suo uomo, che osava parlare dei propri problemi solo quando da un suo sfogo poteva trarne giovamento un’altra persona.
Si specchiò in quella coppia incontrata per caso, come le era già capitato di fare milioni di volte con altrettanti sconosciuti.
Maghi, Babbani: erano la metafora l’uno dell’altro, i confini tra i loro mondi cancellati quando le loro esperienze s’incontravano.
“Sì,” ripeté. “La nostra è una storia particolare.”
Una storia particolare di una famiglia come tante.




Piccole precisazioni:
-che Tonks fosse stata licenziata per via di Remus lo si capisce dal fatto che entrambi sono costretti a scappare all'arrivo del Ministro della Magia al compleanno di Harry (inizio settimo libro).
-la malattia del Babbano della mia ff, anche se non l'ho specificato, è la stessa da cui era affetta la madre della Rowling. Non l'ho scelta a caso. Ho conosciuto un Remus e una Tonks, e anche lui ha quella malattia. La loro storia è la stessa di Remus e Tonks: lui che scopre di essere malato e che, proprio perché la ama, cerca di lasciare lei per non rovinarle la vita, lei che non molla. Si sono sposati e sono a tutt'oggi assieme. Per quel che mi riguarda la storia tra Remus e Tonks è così commovente proprio perché così reale.
-i nomi dei due Babbani li ho presi da un telefilm inglese e sono simbolici, nel telefilm George è un licantropo (no, Ely79, non immaginarti il George della mia ff come quello di Being Human, non gli somiglia per niente ^^).
-la ricerca letta da Tonks sulla rivista Babbana è vera, non me la sono inventata ^^
-che Tonks sia rimasta incinta in tempi record è palese: lei e Remus si sono sposati nel luglio del 1997 (due giorni dopo aver smesso di litigare XD!), il 4 agosto non solo lei era già incinta, ma addirittura sapevano già della gravidanza!
Alla faccia XD!


Bene, credo di avervi stordito a sufficienza. Intanto ringrazio Lyrapotter, che ha indetto questo contest, e chi recensisce e legge le mie ff (grazie ^^) e poi… beh, spero che questa storia vi abbia fatto sorridere e anche un po’ riflettere.

Copio il giudizio di Lyrapotter: (gli errori di grammatica credo di averli corretti tutti!!)

Grammatica e sintassi: 9.1/10 punti
Stile: 9/10 punti
Originalità: 10/10 punti
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10 punti
Attinenza alla traccia: 9.5/10 punti
Gradimento personale: 10/10 punti
Totale: 57.6/60 punti

Avevo previsto già leggendo personaggi e genere che avrei amato questa storia e così è stato: amo Remus e Dora, li amo insieme e amo leggere storie come le tue, che sanno rendere loro giustizia. Inutile dire perciò che ho letto e riletto la tua storia con infinito piacere.
Dal punto di vista della grammatica, ci sono un po’ di errorini, tutti sostanzialmente di disattenzione o battitura: Visto le sue frequentazioni, errore di concordanza, doveva essere viste le sue frequentazioni; Questa è discriminazione bella è buona, la seconda ‘e’ non va accentata; Remus la osservò con uno sguardo docile, su questa sono un po’ in dubbio, devo essere sincera, ma per il senso che do alla frase, mi suona più dolce che docile (se ho interpretato male, segnalamelo senza problemi che correggo il punteggio); Dài, Remus, non è niente!, dai va senza l’accento; Ce l’ho sempre negli occhi, il tuo corpo bellissimo, ero in dubbio anche qui, ma per il senso della frase suona meglio davanti agli occhi (non per altro, avere il corpo di qualcuno negli occhi mi evoca immagini strane xD); entrava per centoquattro volte in dieci giorni!, doveva essere c’entrava; scoppiò apertamente e ridere, al posto della ‘e’ ci andava una ‘a’.
C’è stato qualche problema di virgole, soprattutto per quel che riguarda i dialoghi: quando chiudi le virgolette e segue la descrizione del discorso diretto (ti faccio un esempio, perché l’ho spiegata malissimo: “Visto le sue frequentazioni, è quello che dovrei fare”, disse rigidamente), non ci vuole la virgola o al più va inclusa all’interno delle virgolette.
Conclusa la parte della maestria rompiscatole, hai sviluppato davvero bene la traccia assegnata: mi è piaciuto come hai contrapposto la famiglia in via di sviluppo di Remus e Dora prima con quella della Babbana in metro e poi con Nina e George, il mostrare come la loro storia complicata si rispecchi in quella di altre persone. Inoltre, hai trattato la coppia sotto una luce diversa dal solito: quando si parla di Remus e Tonks, i tre quarti delle volte si finisce sempre sugli stessi tre argomenti triti e ritriti (incertezze di lui, ostinazione di lei, “sono troppo vecchio, povero e pericoloso” eccetera), perciò leggere una bella commedia frizzante che nel contempo faccia pure riflettere è senza dubbio un piacevole cambiamento. Il tutto a quel vago sapore di missing moment che fa sembrare questa storia uscita direttamente dalla penna della Rowling: le cose potrebbero essere davvero andate così, per quel poco che ne sappiamo della loro storia.
Parlando dei personaggi, senza troppi giri parole, posso dire solo: perfetti. Dora è Dora, Remus è Remus: soprattutto, mi è piaciuto che non l’hai descritto come il solito vecchio lupo perennemente a un passo dall’appendersi da qualche parte, ma hai miscelato tutti i suoi dubbi e le sue incertezze con un po’ di sana ironia. Quanto ai personaggi secondari, molto belli anche loro, soprattutto Nina e George, che pur comparendo poco, hanno ottenuto il giusto occhio di riguardo per avere l’adeguato spessore caratteriale.
In parole povere, ho amato questa storia dalla prima all’ultima riga: il tuo stile ben si accorda a storie di questo genere, senza scordare una grande attenzione per i particolari e il potere di creare immagini vividissime (il portaombrelli rotolante mi ha fatto venire il mal di pancia dal ridere), tant’è che leggendo hai quasi l’impressione di vederti scorrere davanti un film.

   
 
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