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Autore: samek    29/10/2010    4 recensioni
Albus strinse nella mano buona lo Spegnino – come lo aveva affettuosamente soprannominato – […] a differenza di ciò che molti credevano, non serviva soltanto a spegnere le luci. Era una guida, un mediatore per i cuori che desideravano ricongiungersi.
(Per il compleanno di Fanny_80)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La piuma grattò sulla pergamena, tracciando in vivido inchiostro nero la firma e sigillando il documento

Fandom: Harry Potter;
Pairing: Albus/Gellert;
Rating: Pg13;
Genere: Introspettivo, Romantico;
Warning: Missing Momento 7° libro, Slash;
Beta: Narcissa63;
Summary: Albus strinse nella mano buona lo Spegnino – come lo aveva affettuosamente soprannominato – […] a differenza di ciò che molti credevano,  non serviva soltanto a spegnere le luci. Era una guida, un mediatore per i cuori che desideravano ricongiungersi.

Note: Scritta per la Ragenbogen Challenge di grindedore_ita, su prompt: Verde – Nurmengard. La mia tabella: QUI.

Dedica: Alla dolcissima Fanny_80, per il suo compleanno! Tesoro, non avrai pensato che me ne sarei dimenticata, spero? ;) Anche se non ci sentiamo più tanto spesso, il mio affetto per te non è assolutamente diminuito. Ti voglio bene, cara. Buon Compleanno e 100 di questi giorni!

 

DISCLAIMER: Sapete di chi sono, ormai lo sanno anche i muri, e non ho ancora trovato nessuno disposto a pagarmi per ciò che scrivo, quindi…

 

 

L’Uomo di Silente

 

Ma anzitutto canto un comune pensiero

che ci unisce nelle ore oscure e dorate.

Non è l’Arte che ci acceca gli occhi.

Prima è l’amore, l’amicizia o la scherma.*

 

La piuma grattò sulla pergamena, tracciando in vivido inchiostro nero la firma e sigillando il documento. Albus Silente mise il punto e posò il pennino nel calamaio, sotto lo sguardo apprensivo dei ritratti dei vecchi presidi. Osservò il foglio che aveva davanti, in apparenza tanto innocuo: il suo testamento. Una delle tante mosse sulla scacchiera.

Ed eccoli lì i tre oggetti che avrebbe affidato al proprio pupillo ed ai suoi migliori amici: la Pietra della Resurrezione per Harry Potter, incastonata nell’anello che portava al dito, una volta appartenuta ad Orvoloso Gaunt ed in seguito divenuta Horcrux di Lord Voldemort; il volume in runico di Le Fiabe di Beda il Bardo che aveva comprato da ragazzo e che conosceva a memoria, per Hermione Granger; ed il Deluminatore, oggetto inventato da lui stesso, per Ronald Weasley, il ragazzo più fragile del trio, quello che rischiava di perdere la strada.

Albus strinse nella mano buona lo Spegnino – come l’aveva affettuosamente soprannominato – ed osservò le fiamme delle candele riverberare sulla superficie metallica.

Quel piccolo aggeggio avrebbe ricondotto il giovane Ron sui propri passi, nel caso si fosse smarrito, perché – a differenza di ciò che molti credevano – non serviva soltanto a spegnere le luci. Era una guida, un mediatore per i cuori che desideravano ricongiungersi.

Silente l’aveva creato molti anni prima, sperando in un sogno mai realizzatosi, perché l’unico cuore a bramarlo era il proprio ed ormai era quasi troppo tardi. Gli rimaneva qualche settimana, forse un mese, non di più.

Era tutto pronto, le pedine erano già schierate sulla scacchiera ed il gioco sarebbe continuato anche quando non ci sarebbe stato più lui a condurlo. Solo che non era un gioco, era un guerra, e sperò che tutte le sue supposizioni fossero esatte.

Voleva bene a Harry, gli si era sinceramente affezionato e desiderava per lui una vita serena e spensierata, come quella di qualunque adolescente. Ma cos’era la vita di un ragazzo in confronto a quelle centinaia – forse migliaia – di altre esistenze, magiche e babbane?

Sorrise amaramente, era per il bene superiore, e mai come in quel momento desiderò avere qualcuno accanto che gli confermasse di stare agendo nel modo migliore – non corretto, solo migliore.

«Albus…»

L’anziano Preside sussultò quando udì una voce – quella voce – provenire dal Deluminatore. La riconobbe subito, anche se non la sentiva da più di mezzo secolo. Era arrochita dalla vecchiaia e più fievole, ma era sempre la stessa.

Il suo cuore anziano e sciocco prese a correre come fosse ancora quello di un ragazzino e lui tese le orecchie, sperando giungessero altre parole, ma non fu così. Qualunque cosa Gellert Grindelwald stesse pensando, non se la lasciò sfuggire, ma per Silente bastò.

Fece scattare lo Spegnino ed ammirò la piccola luce blu uscire dal suo interno e fluttuare in aria. Lo aspettava e Albus gli andò incontro.

Non appena sentì il suo calore entrargli nel petto, si Smaterializzò.

 

Nurmengard era una torre altissima e bianca, arroccata fra i ghiacci perenni di una delle più alte montagne d’Europa, dove non cresceva un filo d’erba e tutto attorno non vi era che neve gelida.

«Gellert, perché vesti sempre di bianco?»

Lì attorno non c’erano suoni, eccettuato il vento sferzante e lamentoso, non c’erano nemmeno colori. La poca luce che filtrava tra le nubi, troppo tenue per scaldare, si rifrangeva sui ghiacci esplodendo in un biancore infinito, fino a perdita d’occhio.

Ogni cosa in quella prigione era bianca – i muri, i pavimenti, le inferriate, la mobilia spartana… - perché così Grindelwald aveva voluto.

Come ogni carcere aveva le sue regole e perfino Albus Silente avrebbe trovato le porte sbarrate a quell’ora della notte, ma grazie al Deluminatore comparve direttamente all’interno della cella.

«Perché mi terrorizza… Ti sei mai trovato solo in una distesa innevata, senza alcun punto di riferimento? Il bianco inghiotte tutto, in esso si perde ogni cosa».

Anche Gellert era diventato bianco. I capelli una volta dorati come il grano erano bianchi, così come i vestiti cenciosi che indossava, la sua pelle chiarissima era addirittura cerea e sembrava sottile come carta velina, perfino i suoi occhi – quelle iridi grigie e cangianti capaci di catturare i colori che lo attorniavano – in mezzo a tutto quel chiarore parevano bianchi.

«Sapevo che saresti venuto» il suo sorriso, però, era sempre lo stesso.

Guardando il suo corpo emaciato, le ossa sporgenti, le vene bluastre che emergevano sottopelle, le unghie lunghe e livide per il freddo, Albus sentì di colpo tutto il peso dei decenni che aveva sulle spalle.

«Ce ne hai messo di tempo» aggiunse il suo amico, come se avessero avuto appuntamento sotto il loro albero e lui fosse arrivato in ritardo.

«Se ci stai troppo a lungo, ti porta via anche la ragione».*

«Non credevo che tu volessi vedermi» replicò guardingo e rimase lì, in piedi, al centro della cella.

Gellert gli rivolse un’occhiata storta, che in tutto e per tutto gli parve un rimprovero, poi deviò lo sguardo sulla feritoia che fungeva da finestra. «Immagino tu fossi troppo occupato, meiner Rubin» ribatté tagliente.

Silente sospirò, lasciando che quell’antico vezzeggiativo gli si conficcasse nel petto come una spina. La verità era che sarebbe andato comunque a trovarlo, anche se Grindelwald non avesse voluto vederlo, perché aveva un avvertimento da dargli.

«Cosa hai fatto alla mano?» l’altro lo strappò nuovamente dai propri pensieri.

«Ho agito senza pensare» rispose, sollevando l’arto annerito ed ormai insensibile. A volte non riusciva quasi a guardarlo.

Il Mago Oscuro inarcò un sopracciglio in una muta domanda. «Tu non agisci mai senza pensare» asserì duramente.

«Stavolta l’ho fatto. Ho toccato un Horcrux senza badare alle protezioni che lo vegliavano» rivelò.

«Un Horcrux?» Gellert quasi si sollevò dalla branda in cui era rincantucciato, «Perché mai avresti fatto una simile sciocchezza?»

«Perché l’oggetto trasformato era questa» Albus gli si accostò con cautela, sedendosi accanto a lui e gli mostro l’anello che portava alla mano sana.

Il suo vecchio amico inspirò bruscamente, quando vide il disegno inciso sulla pietra. Il simbolo dei Doni. Si allungò come se volesse toccarlo, ma poi si fermò.

«È lei?» chiese solo conferma e lui annuì. «Li hai riuniti?» sussurrò allora.

«Quasi,» confermò Silente «l’erede del terzo fratello è un mio studente. Il mio preferito, a dire il vero, anche se un preside non dovrebbe avere simili predilezioni. Il più famoso di tutti».

«Quello che i giornali chiamano il Prescelto, Harry Potter?»

«Sì» ammise.

«Li hai riuniti» ripeté, ma stavolta non era una domanda e Albus vide qualcosa brillare nei suoi occhi – gratitudine, rispetto? – che lo mise a disagio.

Abbassò lo sguardo e notò le loro mani vecchie e rattrappite, l’una accanto all’altro, sulle lenzuola spiegazzate del letto. Quelle di Gellert erano bruciate dal gelo e le unghie erano irregolari e bluastre per il freddo. Sembravano così fragili… quante volte aveva intrecciato le dita alle sue, su lenzuola che profumavano di pulito, in un’estate torrida e lontana una vita?

Quelle stesse dita si alzarono e catturarono una ciocca dei suoi capelli. Fu una sensazione tanto familiare e nostalgica, che lo fece quasi tremare.

«Mi piacevano i tuoi capelli rossi, meiner Rubin» la voce di Gellert era ruvida dal disuso, ma sul fondo vi era sempre quella nota calda e quel suo modo, tutto tedesco, di calcare le consonanti.

«Sono sbiaditi, come tutto il resto, temo» replicò.

«Non tutto» lo contraddisse il suo vecchio amico, accarezzandogli con il pollice un sopracciglio. Gli occhi, quelli non erano mai cambiati, erano dello stesso penetrante blu di un tempo – forse erano addirittura più acuti.

«Cos’è questa?» aggiunse, tirando un filo della sua barba, che arrivava fino alla cintola – anzi, vi era proprio infilata dentro. «Sembri il ritratto di Merlino».

Suo malgrado, Albus ridacchiò. Era quello che pensavano anche molti dei suoi studenti ed era una faccenda che lo divertiva alquanto.

«A ben vedere, la tua figurina delle Cioccorane e quella di Merlino non sono poi così dissimili» continuò il prigioniero con finta aria meditabonda.

«Non hai smesso di amare il cioccolato, vedo» dedusse l’altro con un luccichio nello sguardo.

«Ho un ammiratore che mi rifornisce regolarmente» replicò Gellert con un’occhiata maliziosa, dando bene ad intendere che sapeva che era lui a concedergli certi piccoli privilegi «E, d’altronde, non credo che tu abbia smesso di mangiare caramelle»

«Certo che no» confermò, come se la sola idea di smettere di mangiare caramelle – ad oltre cent’anni suonati –  fosse ridicola.

«Albus, perché sei qui?» domandò poi, mettendo fine al momento ilare, e tutto il calore scomparve dagli occhi dell’interpellato, mentre il suo sorriso s’incrinava in uno più lieve, quasi rassegnato.

«Sto morendo» rivelò lui, e vide con chiarezza l’impatto che quelle parole ebbero sul vecchio amico ed amante – e nemico, sì certo, anche nemico, ma non in quel momento. «È la maledizione,» spiegò, mostrandogli nuovamente l’arto annerito «è molto potente e, nonostante tutti i migliori rimedi del più grande Pozionista in circolazione, io sono troppo vecchio».

«Sciocchezze» replicò aspramente il Mago Oscuro «Per quanto tu sia vecchio e per quanto sia potente la maledizione, impiegherebbe ancora mesi per ucciderti, mentre – da come parli – sembra ti rimanga appena qualche giorno».

«Hai ragione. Ho fatto in modo che la mia morte non sia inutile» confermò Silente e Grindelwald rise, di una risata fredda e tagliente.

«Albus Silente, l’uomo capace di programmare perfino la propria morte, l’uomo che le va incontro con la mano tesa, come fossero vecchi amici» lo canzonò. «Ma non hai ancora risposto. Perché sei qui?»

«Sono venuto per avvertirti» confermò infatti i suoi sospetti «Lord Voldemort potrebbe farti una visita».

«Per quale motivo, cosa potrebbe volere da un vecchio come me?» domandò, ma una scintilla di comprensione illuminò il suo sguardo «La sta cercando. Sa che ero io ad averla?»

«Non credo, altrimenti sarebbe già stato qui, ma indagherà e ne verrà presto a conoscenza».

«Ed a quel punto non ci sarà nessuno a proteggerla» arguì Gellert.

Albus non si prese la briga di confermare, non era necessario. «Forse sono venuto anche perché questo mi mancava» ammise invece. Essere compreso senza fatica, avere accanto una persona che ti conosce tanto a fondo, da capire i tuoi pensieri con uno sguardo ed addirittura anticiparli.

«Vecchio nostalgico» lo rimproverò bonariamente l’altro. «L’Horcrux apparteneva a Voldemort, immagino» rifletté poi.

«Sì, è probabile che ne abbia creati sei».

«Sei» ripeté il Mago Oscuro in un tono che a Silente parve sinceramente schifato. «Questo è il Mago che blaterano mi abbia superato? Non è umano, è un folle

«Sono d’accordo con te, mio caro. Tuttavia ho seguito la crescita di Tom Riddle da che era un ragazzino e posso assicurarti che è un folle pericoloso».

«Non vedo l’ora d’incontrarlo» ghignò Gellert, strappando all’anziano Preside un’occhiata di rimprovero. «Pare che infine siamo uniti, nell’ultima battaglia. Non dovrai attendermi ancora per molto, meiner Rubin, almeno questo è consolante» aggiunse con più serietà, stringendogli gentilmente un braccio.

Silente sentì gli occhi appannarsi e sbatté rapidamente le ciglia, sorridendo amaramente. Stava sacrificando anche lui, anche Gellert insieme a Harry, a Severus ed a chissà quanti altri?

«È necessario» lo rassicurò Grindelwald, «Ci ho messo molti anni ad accettarlo, ma ho capito che non hai mai smesso di agire per il bene superiore. Io ero troppo egoista per farlo, tu non lo sei mai stato abbastanza. Alcuni penseranno che non li amavi a sufficienza, ma tu stai semplicemente cercando di salvare più vite possibile. Chi sopravvivrà, più avanti comprenderà. Stai facendo la cosa migliore» concluse.

Albus chiuse gli occhi ed una singola lacrima scivolò giù dalle sue ciglia bianche. Percepì qualcosa sfiorargli la fronte e solo dopo un attimo si rese conto che erano le labbra screpolate dell’amico.

«Va’ in pace, meiner Rubin, i tuoi uomini continueranno a vegliare sul mondo in tuo onore» sussurrò, e Silente seppe che tra quelli uomini vi era anche lui.

 

FINE.

 

Note finali: La frase d’introduzione è una strofa tratta da “Ode a Salvador Dalì” di Federico Garcia Lorca.

Le frasi in corsivo all’interno del testo, invece, sono tratte da un’altra mia fic su questo pairing: Bianco.

In realtà: Nurmengard è descritta come un “edificio torreggiante” ed una “fortezza sinistra, color nero lucente e di difficile accesso”, costruita su una roccia nera,  (e la fortezza stessa è) situata su di un'isola nel mezzo di un mare tempestoso. (Estratto da Wikipedia) Io, però, preferisco immaginarla com’è in questa storia, la trovo più originale.

“Meiner Rubin”, il vezzeggiativo con cui Gellert chiama Albus, significa “mio Rubino” in tedesco.

 

Note di Narcissa63: Ringrazio Hikaru Ryu per avermi lasciato questo spazio per fare i miei Auguri di Buon Compleanno a Fanny_80! Tesoro, non c'è nulla che io possa dirti che tu non sappia già e credo non serva ricordarti quanto io ti voglia bene e quanto tu sia importante per me (del resto, sei il mio migliore amico, Blay...XD). Perciò ti mando un bacio grandissimo e ti dico di nuovo AUGURISSIMI!!!

 

   
 
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