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Autore: Teanni    29/10/2010    2 recensioni
Piton è sopravvissuto all'attacco di Lord Voldemort, grazie ad uno sfacciato colpo di fortuna e ad un certo Signor Paciock.
Ma il fato è crudele: costretto a letto, deve sopportare la presenza di una giovane donna irritante che lo odia profondamente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Chasing Pavements - Andare Avanti
Traduzione a cura dibesemperadreamer

A/N: Grazie alla fantastica anti_social_ite.

C’erano pochissime cose che odiava tanto quanto stare ad aspettare. In effetti, pensandoci, non riusciva a trovare niente che potesse eguagliare il suo odio per l’attesa. Era una di quelle persone che non riuscivano a stare ferme nemmeno per mezz’ora, sempre indaffarate, sempre pronte a vivere al massimo ciascuno dei propri giorni. Adesso invece, l’unica cosa che le rimaneva da fare era aspettare che lui si svegliasse. I guaritori le avevano fatto capire che non si aspettava miglioramenti di lì a breve, ma lei si rifiutava di demordere.

Era stata dimessa un paio di giorni prima e c’era voluta una colossale opera di persuasione per convincerla a passare come minimo da casa per recuperare alcune cose prima di riprendere la veglia al suo capezzale. Abigail aveva infilato frettolosamente i suoi effetti personali in uno zaino, senza preoccuparsi se i vestiti che aveva strappato dalle grucce si abbinassero tra loro. Dopo si era affrettata giù per le scale, fermandosi appena sull’ultimo gradino. Si chiese se, tra i volumi nuovi della consegna della settimana prima, non c’era stato un libro sui sogni e sull'uso della magia da parte del subconscio.
Ora era seduta di nuovo accanto al suo letto, sfogliando il suddetto il libro, accigliata. La maggior parte era solo spazzatura.

Esistevano molte teorie sull’uso della magia subcosciente, molte delle quali pseudo-scientifiche e messe insieme da qualche casalinga annoiata che aveva voluto aggiungere un significato più profondo alla sua, altrimenti piatta, vita dando un’interpretazione fantasiosa  agli elementi dei sogni. Quelle stupidaggini romantiche sul principe azzurro, su destini intrecciati che alla fine si compiono - forse era cinica, forse troppa acqua era passata sotto i ponti per lei poter credere a quella favoletta.

“Se fossi sveglio, ci faremmo una bella risata su questa roba,” disse tranquillamente, mentre chiudeva il libro e lo poggiava sul’attiguo comodino. “Sono solo delle cazzate, come quella perdita di tempo di Divinazione.”
Come di consueto, lui non mostrò alcun tipo di reazione. Rimaneva disteso lì, completamente immobile. Soltanto il regolare movimento del suo petto la riassicurava che lui fosse ancora vivo. Il suo volto aveva ancora un pallore malsano, ma almeno non come quello di alcuni giorni prima.

“Non so quanto ancora posso reggere questa situazione,” bisbigliò lei con gli occhi bassi. Poi venne colpita da un pensiero divertente e gli angoli della sua bocca si curvarono leggermente verso l’alto. “Molti  pensano che sono proprio fastidiosa. Tutti quelli a cui voglio bene cercano sempre di farmi stare zitta, per evitare il mio costante ciarlare. Ma, ehi, che culo. Sto ancora parlando con te, vedi?” Dopo che le parole ebbero lasciato la sua bocca, arricciò il naso stranita, scosse la testa, e si sfregò le mani sulla faccia, molto provata.

“Merlino, che cosa sto facendo? Sto cominciando a sembrare pazza.”  Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare. In quei giorni i pantaloni le venivano leggermente più larghi in vita, i suoi lineamenti erano più affilati, perché spesso saltava i pasti. Le ombre scure al di sotto dei suoi occhi erano segni rivelatori di troppe notti trascorse a vegliarlo. I suoi abiti erano stropicciati dal troppo stare seduta, ma anche perché non si preoccupava di stirarli. I suoi pensieri giravano sempre intorno a lui e quando non era lì, faceva tutto di fretta per ritornare al suo fianco. Truccarsi le sottraeva tempo prezioso, così come cucinare o riposarsi un po’, così li evitava e basta.

“E’ che… se non parlo c’è troppo silenzio… questo maledetto silenzio che mi fa diventare matta, capisci.” Smise di camminare e lo guardò per un istante. Aveva un groppo alla gola, che provò inutilmente ad inghiottire. La sua voce si incrinò leggermente quando riprese a parlare. “Vorrei sapere che fare. Vorrei poter fare qualcosa, invece sono solo inutile. Posso solo stare seduta qui ad aspettare, e Dio sa, che non è molto. Oh, e naturalmente piangere. Ho dato abbondantemente, tesoro. Che poi è, oh, così patetico e inutile. Ma cos’altro c’è da fare? Che altro…” I suoi occhi vagarono dalla sua forma dormiente alla finestra. I rami di una quercia vi stavano lentamente oscillando davanti. Per un istante li guardò con infantile meraviglia, ma poi uscì dal suo momentaneo torpore per riprendere il posto al suo capezzale.

“Non potresti farmi questo un piccolissimo favore e sbrigarti a ritornare tra noi? So che non sei abituato a fare favori, ma non potresti fare una piccola eccezione?” Non si aspettava veramente una risposta. In realtà non si aspettava niente.

Le sue mani giacevano sopra le coperte, le sue lunga dita affusolate bianche erano immobili in maniera quasi inquietante. Si avvicinò e prese la sua mano sinistra. Le sue dita accarezzarono dolcemente il dorso, le sue nocche, le punte di ogni dito.

***

Lui si risvegliò lentamente. Come strisciando lentamente fuori da una buia caverna verso la luce, la sua coscienza emerse gradualmente dal sonno profondo. Persino prima di aprire gli occhi, il dolore sordo e distante delle ferite che si stavano rimarginando, si fece sentire e lo rassicurò che in effetti quella fosse la realtà. Schiuse le palpebre. Tutto appariva confuso, bianco sgargiante e impregnato dell'odore dei disinfettanti. Era evidente, dunque, che non era nell’aldilà ma piuttosto in qualche ospedale o una parte piuttosto misera ma pulita di Paradiso. Per provare sé stesso mosse le sue dita e vide che obbedivano ancora ai suoi ordini. Ne fu piuttosto contento.

C’era un peso sulla sua mano sinistra. Voltò con prudenza il capo per vedere Abigail che ancora teneva la sua mano mentre dormiva in una posizione che appariva proprio scomoda. Era seduta su una sedia ed aveva il busto curvato sul suo letto in modo che potesse almeno poggiare la testa. Le sue dita stringevano  possessivamente la sua mano anche mentre dormiva.

Di rimando anche lui ricambiò leggermente la stretta con tenerezza, ignaro del fatto che anche questo piccolo gesto sarebbe stato sufficiente a svegliarla. Rialzò insonnolita la testa dal letto, con le pieghe del lenzuolo impresse nella sua guancia. I suoi occhi incontrarono quelli di lui interrogativi, poi si spalancarono al massimo.

“Ti sei svegliato,”bisbigliò. “Ti sei svegliato!”. Suonò come un sospirò di sollievo quando lo disse la seconda volta. Era agitata, e i suoi occhi erano luminosi e appannati dalle lacrime, ma nonostante questo sorrideva, era raggiante persino. Non era stata mai più felice nella sua vita. Voleva abbracciarlo, baciarlo, ma venne fermata dal tubicino della flebo che decorreva fino all’ago infilato nel suo braccio. Cercò i suoi occhi, chiedendo il permesso.

Severus si sorprese nel vederla così titubante, dopo tutto quello che era accaduto fra loro, realizzando allo stesso tempo che la maggior parte aveva avuto luogo solo nella loro immaginazione. Ecco spiegato il motivo. Le fece un lento cenno d’assenso col capo, rischiandosi persino a sorridere un poco. Lei gli sorrise dolcemente in risposta e facendo attenzione pressò le labbra sulla sua tempia in un lungo bacio. Lui chiuse gli occhi, assaporando almeno per un momento la sensazione delle sue labbra contro la propria pelle, una sensazione confortante e familiare.

Lei si tirò indietro fin troppo presto per i suoi gusti e gli annunciò, con voce tremante, che stava andando a chiamare un guaritore. Severus poteva praticamente già vedere tutti gli ingranaggi all’interno della sua testa lavorare a gran velocità. Si stava cominciando a  sentire insicura ed impacciata, ed era piuttosto evidente nel suo comportamento, tutto agitato e nervoso.

Non era tipo da dolci rassicurazioni d’amore, ma avvertì lo stesso l'esigenza di calmarla. “Se, per favore, la smettessi di preoccuparti di cose inutili, cara, capiresti subito che andrà tutto bene.”  La sua voce era sorprendente chiara anche se aveva dormito così a lungo.

Lei venne presa momentaneamente in contropiede dalla sua durezza, ma poi comprese il significato delle sue parole e gli sorrise.

***

Severus Piton stava per chiedere un appuntamento ad una donna per la prima volta nella sua vita. Non una donna qualsiasi, però, la donna la cui la presenza rendeva ogni suo giorno più tollerabile e che, altrettanto facilmente, aveva il potere di trasformare la sua esistenza  in un vero inferno se solo l’avesse voluto. Sorprendente era anche questo che lo attraeva di lei.

Aveva lo strano talento di far sembrare ridicole le preoccupazioni che occupavano la sua mente e di riuscire a rabbonirlo come nessun’altra, ed  aveva il forte sospetto che questa impressione non sarebbe cambiata presto.

Sapere tutto di lei, gli rendeva anche più difficile chiederle sul serio di uscire. Lo rendeva nervoso e soprattutto lo deprimeva, perché ogni volta che il momento opportuno si era presentato, aveva lasciato scivolare via l’occasione.

Aveva la netta sensazione, comunque, di doverle chiedere un appuntamento o almeno darle qualche segnale del suo interesse nei suoi confronti, perché da quando si era svegliato lei aveva mantenuto tra loro una certa distanza. Anche se aveva trascorso molto tempo seduta vicino al suo letto, chiacchierando allegramente, non gli aveva più tenuto la mano. Rifuggiva il contatto fisico, benché lui sapesse che anche lei lo desiderava, perché le sue dita si tendevano sospettosamente quando le loro mani erano vicine. Cosa c’era di diverso ora? Che cosa stava aspettando? Si era posto spesso quelle domande ed era arrivato ad un'unica conclusione plausibile. Voleva essere rassicurata. Aveva bisogno di un segno che il suo interesse per lei non si era affievolito, che la loro specie di relazione non era stata solo un'illusione.

Adesso che era stato dimesso da quel buco infernale che le persone normali chiamavano ospedale, era libero finalmente di farlo. Che fosse completamente guarito dalle sue ferite giocava solo a suo vantaggio, perché almeno poteva camminare senza avere capogiri. O forse no. La presenza di Abigail, a volte, gli faceva girare la testa, ma nei modi più piacevoli che si potessero immaginare.

Oh, Merlino, che scemenze! Da quando era diventato così sentimentale da definire le vertigini piacevoli? Stava ancora maledicendo sottovoce la sua stessa stupidità quando arrivò a Diagon Alley, e si ritrovò davanti alla sua libreria. Per un strano motivo esitava ad entrare. Oltre quella porta lo attendeva un svolta cruciale. O questa esperienza si sarebbe rivelata la più grande delusione della sua vita adulta o gli avrebbe concesso uno squarcio su un futuro che non avrebbe mai osato sperare. Merlino, tutto questo doveva finire! Si stava trasformando in un stupido, pietoso romantico senza speranza.

La porta davanti a lui si aprì improvvisamente. Sorpreso, guardò in  su per trovarsi Abigail di fronte con un sorrisetto stampato in faccia.

“Ciao!” ghignò. “Sembri sorpreso di vedermi. Ti ricordi che questo è il mio negozio, vero? A ragion d’essere, non dovresti  essere tanto sorpreso di trovarmi qui.”

“Stavo riflettendo sull’entrare o meno,” sottolineò, guardandola con disapprovazione. Lo stava prendendo in giro e non gli piaceva particolarmente la sensazione di essere oggetto di scherno, in particolare quando era nervoso.

“Oh, va bene allora. Devo lasciarti ancora riflettere? Però ti suggerirei di continuare a farlo lì,” gli indicò la finestra del negozio alla loro destra. “Mi ostruisci l'entrata. E in più,quest’ombra nera che incombe sulla mia porta è un po’snervante .”

Che faccia tosta! Aveva il sottile sospetto che lei stesse provando a farlo arrabbiare di proposito. Forse non aveva pensato che due persone possono fare lo stesso giochetto, però. Un barlume diabolico gli illuminò gli occhi quando disse le parole seguenti.

“Incantevole! È così che tratti la maggior parte dei tuoi clienti? Non mi meraviglio allora che sempre più persone si allontanino dalla lettura.”

Lei uscì completamente dalla porta con un sorriso divertito che aleggiava sul viso.
Anche se stava invadendo palesemente il suo spazio personale, Severus non si curò di allontanarsi. Da questa prossimità poteva chiaramente vedere le linee delicate di una risata formarsi intorno ad un paio di occhi carichi di malizia. Quando lei si portò i capelli indietro, poté sentire l'odore del suo shampoo, e vedere la pelle candida esposta del suo collo. Si leccò le labbra, aveva la bocca improvvisamente secca.

“Ti rendo nervoso?” chiese lei, flirtando.

“Non essere così vanesia. Il tuo aspetto è ben lontano dall’essere impressionante.”

“Forse non dovrei mostrarmi più a te, allora.” Abby disse con indifferenza.

“Sarebbe molto gentile da parte tua,” si sentì dire, mentre la sua voce interna lanciò un grido di frustrazione. La situazione stava prendendo una piega completamente diversa da quella che avrebbe voluto. Stava rovinando tutto. Cosa lo sorprese, però, era che lei non si fosse spostata di un centimetro nel frattempo.

“Bene. Benissimo. Lasciami riassumere velocemente la situazione. Sei venuto fin qui per vedermi, perché diciamocelo, se avessi voluto un libro avresti potuto tranquillamente rimanere a Hogwarts che, ho sentito, ha una biblioteca molto ben fornita. Poi  ti sei innervosito ed hai scelto di insultarmi, invece di fare qualsiasi cosa eri venuto a fare. Ho detto tutto?” Lo guardava interrogativa, con la testa inclinata a sinistra.

Lui avrebbe negato istintivamente tutto, perché la sua valutazione della situazione era spaventosamente vicina alla verità, ma per fortuna ci pensò due volte prima di rispondere. Così, invece di darsi la zappa sui piedi di nuovo, riuscì a dire qualcosa carina per metà, almeno per i suoi standard. “Per quanto non proprio una valutazione sufficiente…”

Lei buttò gli occhi al cielo, impedendogli di finire la frase. Ma era un gesto che mimava il fastidio piuttosto che esserlo realmente.

“Per favore, Severus, non ricominciamo. Apprezzo lo sforzo, ma onestamente, di questo passo diventeremo due vecchi bacucchi prima di arrivare ad una qualche sorta di conclusione; perciò te la renderò più facile, perché ci siamo già passati da questo straziante periodo di corteggiamento. Ed una volta mi sembra già più che sufficiente, grazie.”

Lui la guardò stranito, ma non poté far altro che annuire col capo confuso mentre lei continuava tranquillamente. “Se venissi qui per chiedermi di uscire, la risposta sarebbe di certo un “sì” , anche se devi tenere presente che per ora stiamo parlando ipoteticamente e che anche la mia risposta è naturalmente ipotetica.”

Quindi voleva realmente sentirselo chiedere ad alta voce. Deglutì sonoramente, poi raccolse abbastanza  coraggio per chiederle.

“Bene allora. Benissimo. Ti spiacerebbe se ti facessi visita di tanto in tanto?” le sue parole non erano state particolarmente gentili, in effetti era sembrato piuttosto annoiato. Ma la sua usuale facciata era più trasparente per lei di quanto lui pensasse. Il modo in cui la guardava, quasi con ansia, non le sfuggì.

Gli sorrise, sgretolando ogni sua paura. “Se mi dispiacerebbe? Sei scemo? Certo che voglio passare del tempo con te. Diamine, era ora che me lo chiedessi.”

Anche lui si concesse un sorriso di sollievo. “Non mi sembravi così propensa…”

“Volevo darti un po’ di tempo per schiarirti le idee.” Le sue parole era bisbigliate, ma per la sua vicinanza, le poteva sentire molto bene.

“Non ce n’era bisogno. Le mie idee erano già chiare sin dall'inizio,” rispose con voce ugualmente bassa e confidenziale.

“Bene,” la sua voce tremò appena per l’emozione, “allora ti farei sapere che ci sono un paio di altre cosette a cui risponderei di sicuro un “si.”

“Cioè?” C’era una leggera traccia di panico alla sua voce. Quando la donna diceva una cosa del genere, solitamente alludeva a qualcosa in particolare. Gli sovvenne il ricordo di uno di quei giorni accaduti nella loro immaginazione. Quando avevano trovato una scusa decente per travestirsi da assaggiatori di créme ed avevano ingollato quantità oscene di ogni tipo di torta. Rabbrividì visibilmente al pensiero.

Non le ci volle molto per capire che aveva detto qualcosa di fraintendibile. Arrossì. “Non farti prendere dal panico. Non mi riferivo a quella domanda in particolare.”

“No?”  Grande, ora sembrava offeso. Aveva interpretato lei male il suo sguardo d’orrore o era lui che tendeva a prendere tutto nella maniera sbagliata?

“Non che sarebbe una brutta cosa,” provò frettolosamente Abby a salvare la situazione. “E’ solo che… cioè, proprio adesso… con tutta questo casino che stiamo vivendo e tutto il casino che abbiamo passato…” Oh, sì!Veramente chiara! Un’eloquenza da togliere il fiato!

Lui ebbe la decenza di accennare appena un sorrisetto derisorio “Penso che tu faccia meglio a fermarti prima che diventi ancora più imbarazzante…per te.”

“Bastardo,” borbottò lei, ma non senza sopprimere un sorriso.

“Arpia,” mormorò lui.
“Allora, è carino che tu sia passato. Non riesco a ricordarmi quando scambiarsi insulti è mai stato così divertente.”

“Sì, finora è stato piuttosto proficuo.”

“Ok,  basta ora  - mi farai le domande quindi?...Beh, ovviamente non quella, voglio dire.”

“Non stai rendendo le cose più facili in questo modo.” Si accigliò lui.

“Non ora. No. Lo so bene. Ma mi sono rotta di questa situazione. Non stiamo andando da nessuna parte. Quindi, chiedi. Almeno sapremo che posizione abbiamo. È meno stancante così, non trovi?”

“Sembra che tu non voglia perdere tempo.” La guardò con occhi penetranti. Non era uno sguardo di disapprovazione, più come se stesse provando a capire cosa le passasse nel cervello.

“Sì, direi che abbiamo già sprecato troppo tempo. Non credi?”

“Sì,” ammise infine.

Così dopo un paio di secondi di silenzio teso, lui si decise  infine a porre la sua prima domanda. Era piuttosto inoffensiva e serviva solo per tastare le acque. “Ti sembro diverso, intendo a paragone…”

“Intendi a paragone della persona che ho conosciuto nel sogno? No,” fece una pausa, “e io?”

“No.”

Si scambiarono un sorriso timido. Quando lui avanzò la sua seconda domanda, lei si stava mangiando le unghie, e i palmi delle sue mani erano diventati freddi e sudati.

“Mi ami?” Wow, questa sì che era diretta, ma lei non esitò a rispondere.

“Sì.”

“Sì?” lui sembrò sorpreso. Qualunque altro uomo probabilmente l’avrebbe ricoperta di baci, ma lui era troppo razionale, ed in più, troppo riservato per farlo. Doveva essere paziente ed attendere che lui facesse il primo passo. La prontezza che lui aveva mostrato per quel gioco diretto di domande e risposte era già una grande concessione da parte sua. Non voleva tirare troppo la corda, ma non poteva stare seduta ad aspettare un altro mese, o giù di lì, che le cose facessero il loro corso naturale. Si era rotta di aspettare! Tuttavia, almeno per metterlo un po’ più a suo agio, si trattenne strenuamente dal porgli la medesima domanda.

“Altre domande? Da chiedere?”  il modo in cui lui la fissava la lasciò con una sensazione di nervosa vertigine. Era evidente che lui avesse bisogno di radunare una certa dose di coraggio per porre la domanda seguente.

“Sì, veramente c’è,” lui si schiarì la gola nervosamente. “Vuoi ancora stare con me?”

“Sì.”  Ancora nessun'esitazione da parte sua.

Non seppe mai cosa diavolo lo portò a farle la domanda successiva, come era arrivato improvvisamente dal chiederle qualcosa di semplice  come un appuntamento a portare il loro rapporto al livello successivo. “Non è troppo presto per chiederti di venire a vivere con me, vero?” Aspettò che il panico lo assalisse, ma non lo fece perché si rese conto che era proprio quello che desiderava. L’unica cosa che lo faceva diventare sempre più ansioso era l’attesa della sua risposta.

Abigail non si aspettava che lui le chiedesse qualcosa di simile. Cioè, era Severus Piton dopotutto. In effetti, non si aspettava che facesse quella domanda particolare prima di un decennio o forse anche più, quando entrambi sarebbero stati vecchi e raggrinziti. No, a pensarci, se doveva essere onesta con se stessa, era convinta che non glielo avrebbe chiesto affatto. Mai.

“Avrei dovuto saperlo. Era una cosa stupida da chiedere, in verità,…” stava per continuare, ma si zittì quando le sentì sussurrare “sì”. Per un istante la guardò in totale, completo shock e prima che potesse domandare se l’aveva sentita realmente accettare, lei lo stava baciando, aggrappandosi possessivamente alle sue vesti nere come se non lo volesse lasciar andare mai più. E sì, la sua façade scivolò via del tutto e si concesse di ricambiare il bacio con uguale fervore e con un'intensità emotiva che aveva a lungo soppresso.
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Era un pomeriggio piacevole e pieno di sole, ed Diagon Alley era praticamente strapiena di persone, alcune delle quali si fermarono per guardare la coppia che si stava baciando.

Entrambi erano un po' storditi quando si separarono. Per loro grande sorpresa si ritrovarono circondati da una piccola folla che applaudiva e fischiava.

Naturalmente, Severus era estremamente a disagio. Poiché lo conosceva così bene, Abigail sapeva che stava risparmiando quelle persone dal suo temperamento iroso, rivolgendo loro solo un cipiglio corrucciato.

“Maledizione,”  mormorò lui sottovoce.

“Oh, chiudi il becco!” gli bisbigliò piano. “Limitati a sorridere e fai un piccolo inchino.”
  
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