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Autore: Mapi D Flourite    30/10/2010    3 recensioni
[Hughes/Roy]
«D'accordo,» sussurra, ed è abbastanza perché la sua voce riempia tutta la stanza. «Allora lo faremo sul divano. E con la coperta di ciniglia che punge,» aggiunge, quasi provocatorio, prima di tornare nuovamente a cercare le sue labbra.
E questa volta, Roy non glielo impedisce. Perché quello che gli altri non sanno è che sotto la facciata, dietro le porte chiuse, e le finestre e al riparo da tutti coloro che non possono – e non vogliono – vedere, lui ama quest'uomo più di chiunque altro al mondo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Maes Hughes, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SCHEMAEFP2

Q u e l l o  c h e  g l i  a l t r i  n o n  s a n n o




Quello che tutti sanno è che lui è il suo migliore amico.
Roy abbassa lo sguardo sul bicchiere che tiene in mano e fa oscillare il liquido ambrato contro le pareti di vetro mentre Hughes, accanto a lui, è proteso verso il barman che pochi minuti prima ha commesso l'imprudenza di chiedergli quanti anni avesse sua figlia, e adesso si ritrova nell'impossibilità di fare altro se non guardare l'infinita carrellata di fotografie che gli venivano messe sotto il naso, accompagnate da fiumi di parole ed elogi che si sprecavano, nel descrivere quanto sua figlia fosse meravigliosa e quanto Gracia fosse la donna migliore a cui un uomo potesse essere sposato – insomma, la solita vecchia storia.
Le parole gli arrivano come da lontano e lui non può fare a meno di sospirare, nel catturare l'espressione afflitta dell'uomo che ha davanti e tutto ad un tratto sorride e si alza, scuotendo il capo, e lascia un fascio di banconote sul bancone mormorando un sommesso: «Il resto è per il disturbo.» Afferra il cappotto, e fa appena in tempo a voltarsi che il chiacchiericcio termina e Hughes è accanto a lui, le mani in tasca, con dipinta in faccia un'espressione che oscilla in precario equilibrio tra la sorpresa e un accenno seppur velato di fastidio. «Ce ne andiamo di già? Non è neanche mezzanotte!»
Roy non si volta a guardarlo e in pochi passi è già alla porta. Solo allora si ferma, con la maniglia in mano, e solleva gli occhi sul suo viso e, insieme a questi, anche un sopracciglio. «È stata una giornata pesante,» dice, ma sanno benissimo tutti e due che quella frase non vuol dire niente. Hughes sospira e rilassa le spalle, abbozzando un mezzo sorriso che è quasi di compatimento. «Okay, okay. Ti riaccompagno a casa.»
Roy fa spallucce, ma apre lo stesso la porta senza commentare ed in un attimo è già in strada, con il vento freddo che gli schiaffeggia il viso e l'aria gelida della notte che sembra colpirlo come tanti spilloni. Hughes, due passi indietro, si stringe le braccia attorno al corpo. «Si gela! Ma dove siamo qui, a East City o a Briggs?»
Roy si ferma sotto un lampione per un breve secondo, dando tempo a Hughes di affiancarlo e di superarlo sotto la luce opaca e giallognola. «L'inverno arriva da tutte le parti, sai?» Poi scuote la testa e le spalle e quasi ride davanti alla sua espressione imbronciata: «Andiamo, è qui dietro l'angolo. Così la prossima volta impari a portarti un cappotto più pesante.»
Hughes sbuffa e il suo fiato si condensa in una nuvoletta gonfia davanti alle sue labbra. «Come no. E ora concluderai la frase con "e comunque nessuno ti ha costretto ad accompagnarmi".»
«No.» Si infila le mani in tasca e gli porge un paio di guanti bianchi che lui guarda con una cert'aria sospettosa, prima di accettarli. «E comunque nessuno ti ha costretto…»
«Lo stai facendo.»
Roy sbuffa. «Dicevo, che nessuno ti ha costretto a venire fin qui a piedi.»
«Non era quello che volevi dire.»
Quando Roy ride la condensa è più grande, più scura. «Non lo saprai mai.» E poi cade il silenzio, un silenzio quasi caldo che sembra opporsi all'aria gelida che li circonda e Hughes si fa un pelo più vicino, forse per scansare una pozzanghera, abbastanza vicino perché Roy possa sentire i gemiti frustrati del suo respiro e i suoi denti battere per il freddo. Lo guarda con la coda dell'occhio e tutto quello che vede sono le lenti quasi opache dei suoi occhiali e la linea della mascella addolcita appena dal filo di barba, e poi guarda avanti, dove la strada si piega con una curva a gomito dietro la quale, poco più in là, c'è il portone piccolo, scuro e sgangherato del suo condominio. Grazie al cielo non manca molto. «Quando hai il treno, domani mattina?»
Hughes si sbuffa aria calda sulle mani strette in guanti troppo piccoli e poi scuote il capo, come fa sempre quando non ha buone notizie. «Non prima di mezzogiorno,» confessa, come se la colpa fosse sua.
Roy sbatte le palpebre un paio di volte e, quando sono a pochi metri sul portone quasi invisibile, si stringe nelle spalle, mormorando: «Allora immagino che potrò farti la carità di una tazza di caffè, prima che tu torni in albergo.»
Hughes si ferma, come colpito, e Roy si volta a guardarlo con un sopracciglio inarcato: «Cosa?»
«Un caffè?» Ha l'aria così abbattuta e tradita che lui a malapena riesce a trattenere una risata. «Andiamo, Roy, non puoi farmi ritornare in albergo con questo freddo! Non puoi farmi la carità anche di un posticino sul tuo divano? Lo apprezzerei tantissimo.»
Roy aggrotta le sopracciglia e quasi mette il broncio. «Tu lo sai che è lo Stato che paga la tua camera d'albergo, Hughes?»
«E io lo apprezzo tantissimo,» commenta, avvicinandosi al portone senza degnare Roy di uno sguardo. «Ma se pensi che tornerò in questa bufera soltanto perché lo stato ha cacciato indietro le tasse che gli pago per riservarmi una stanza in hotel, be', ti sbagli di grosso.» E spinge il portone con una manata, tenendolo poi fermo sui cardini a poca distanza dal proprio viso. «Entriamo?»
Roy esita per un momento, ancora con le sopracciglia aggrottate, ma alla fine cede con un sospiro quasi di rassegnazione e fa i due passi che lo separano dalla porta sgangherata fino a trovarsi nell'angusta hall, finalmente al riparo dal gelo. «D'accordo,» bofonchia, scoccandogli un'occhiataccia. «Ma a te toccano il divano e la coperta di ciniglia che punge.»
E continuerebbe davvero a fare il sostenuto, se il sorriso di gratitudine di Hughes non fosse così aperto e onesto e maledettamente disarmante. «Grazie, mi sdebiterò,» gli urla quasi dietro quando lui è già per le scale, ma Roy non si volta, perché può sentire distintamente i passi pesanti che, da un momento all'altro, l'avrebbero raggiunto sul pianerottolo. Ed infatti, giusto il tempo per recuperare una vecchia chiave quasi arrugginita ed infilarla nella toppa, Hughes è di nuovo accanto a lui. Roy apre la porta con uno scatto e, quando se la richiude alle spalle entrambi sono dentro.
Hughes fa qualche passo nell'appartamento, fino a sbucare nel cucinino in disordine e recupera un paio di tazze dalla credenza mentre Roy, liberatosi del cappotto, sta già mettendo su il caffè. Lo guarda con la coda dell'occhio avvicinarsi e sistemare le due tazze accanto ai fornelli e, quando si volta, lui è talmente vicino che, se sporgesse un poco il mento, potrebbe sentire la sua barba ispida sul viso. «Levati,» gli fa, con un moto di stizza. «Devo andare a prendere la tua stupida coperta.»
«Fa freddino qui,» commenta lui, come se neanche lo avesse sentito, e Roy vorrebbe tanto non essersi appena sbarazzato dei suoi guanti. «Allora, invece di perdere tempo a dar fastidio a me, vai ad accendere la stufa.»
Ma Hughes non lo sta ascoltando. Gli afferra le spalle con entrambe le mani e si china, quel poco che basta per raggiungere le sue labbra. «Roy,» soffia, accarezzando il suo nome e la sua bocca con la propria, e lui gli afferra il bavero della giacca, spintonandolo in malo modo fino a che Hughes si allontana di un passo, senza tuttavia smettere di stringergli le braccia.
«Che stai facendo?»
«Lo sai che sto facendo.»
«Non pensare neanche per un secondo che ti porterò in camera da letto. Ho detto che dormirai sul divano, e tu dormirai sul divano.»
Hughes sorride, e sulle sue labbra compare perfino un ghigno divertito. Si toglie gli occhiali, infilandoli poi con un gesto fluido nella tasca della giacca prima di tornare esattamente nella stessa posizione in cui era prima e gli si avvicina di nuovo, tanto che le punte dei loro nasi quasi si toccano. «D'accordo,» sussurra, ed è abbastanza perché la sua voce riempia tutta la stanza. «Allora lo faremo sul divano. E con la coperta di ciniglia che punge,» aggiunge, quasi provocatorio, prima di tornare nuovamente a cercare le sue labbra.
E questa volta, Roy non glielo impedisce. Perché quello che gli altri non sanno è che sotto la facciata, dietro le porte chiuse, e le finestre e al riparo da tutti coloro che non possono – e non vogliono – vedere, lui ama quest'uomo più di chiunque altro al mondo.






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N/A
Scritta per la Notte Bianca ai Mari di Challenge (in cui ha pure vinto il banner come fill più lungo, escusateseèpoco) con prompt Quello che gli altri non sanno, gentilmente offerto da CaskaLangley. *o*
Che devo dire. Niente. Sono troppo belli per le parole. Punto. Ed è triste quanto poco amore si dia a questi due esserini nel fandom. ù_ù
Dedica? Mah, non riesco a pensare a nessuno dei miei amici che apprezzerebbe. XD Diciamo, quindi, mantenendoci sul vago, che è dedicata a tutti i pochi, sperduti, spaventati e pigri fan della HyuRoy? (Daaai, ditemi che almeno voi apprezzate, ditemi che esistete! ç_ç) [/random]
Btw, grazie per essere arrivati a leggere fin qui. ~♥


  
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