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Autore: BigMistake    30/10/2010    2 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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CHAPITRE SEPT: Sous échec.  

 

La vita riserva sempre delle sorprese, che siano gradite o meno. Molte volte ci si convince che una condizione in cui si versa sia irreversibile e quindi si cerca di abituarsi a quel tipo di vita che si è disegnato sulla nostra pelle.

Scivoliamo lenti sulle acque degli avvenimenti cercando di non annegare oppure di non trovarsi a sbattere contro qualche accidentato scoglio non sapendo se esso possa rappresentare salvezza o condanna. Potrebbe rivelarsi un appiglio sicuro, un ancora dove la corrente non possa trascinarci più, oppure divenire la causa della nostra rovina con aguzzi spuntoni poco visibili che dilanierebbero le carni dei palmi. Come un albero durante un temporale che potrebbe offrire un buon riparo con rami frondosi se non colpito da un fulmine.

Philippe per questo era sempre stato molto oculato nelle sue scelte e nelle sue decisioni, non desiderava trovarsi sostenuto da qualche roccia puntuta su cui ferirsi soltanto, non quando uno dei suoi servi lo aveva avvisato di aver trovato il cavallo di Madamoiselle Saint – Simon, non aveva resistito e si era precipitato al vigneto. Non aveva delegato ad un biglietto i suoi migliori auguri.

Desiderava farlo lui stesso e si era lasciato avvincere da quella estranea pulsione a rivedere Constance. Non gli era mai capitato che una donna gli tornasse alla mente tanto facilmente, i suoi incontri fortuiti giacevano nell’angolo più remoto dei suoi ricordi giusto quel tanto per riportare a galla date ed eventi in cui aveva conosciuto una fanciulla interessante.

Invece la giovane aveva stuzzicato la sua curiosità ed si era sorpreso a pensarla nei momenti più disparati: la trovava estremamente piacevole sia nell’aspetto che nella sagacia, almeno da quel poco che era riuscito a conversare con lei durante il rientro. Così diversa dal fratello che invece sembrava più un finto sciocco. 

Ed ora che si trovava ad osservare l’ambiente in cui viveva notava anche un certo buon gusto, sobrio ma raffinato. Colori tenui e luminosi, tende leggere, un camino che emergeva dalla parete dove si affacciavano due poltrone tappezzate da sottili ricami di velluto.

«Compte de Chagny è un vero piacere avervi qui …»

Abbandonare una veste per acquisirne un’altra ed ora la fanciulla che si poggiava malamente sul suo provvisorio sostegno era Constance. Malice aveva accentuato la sua camminata claudicante molto prima di entrare in quella stanza, con quei passi pesanti di chi fatica immensamente a camminare voleva annunciare la sua venuta.

Si era permessa qualche istante davanti ad uno specchio mentre percorreva i corridoi della sua nuova abitazione per raggiungere il suo ospite, giusto qualche istante che gli concesse per studiarla nelle sue scelte di casa. Sistemò un ciuffo ribelle nella sua acconciatura semplice, lisciò il suo bustino sistemando infine le pieghe della gonna e finì il tutto con un sospiro profondo.

Per la prima volta durante la sua carriera ebbe come l’impressione che c’era un qualcosa fuori posto, un pensiero di base completamente sbagliato e privo di fondamento che non sapeva identificare. 

È solo una sensazione, sono solo stanca dopo l’ultima volta.

«Madamoiselle Saint – Simon …» gli occhi cristallini di Philippe non riuscivano a sciogliersi dal sottile abbraccio di quelli di Malice, nemmeno quando elegantemente le aveva afferrato il dorso della mano per portarla alle labbra sfiorandone appena la pelle. Eppure ne percepì il sapore dolciastro con il profumo delicato che aveva avvertito fra il più pungenti odori del bosco, una essenza aleatoria ma persistente come una costante indicazione della sua presenza.

«Vi prego monsieur, chiamatemi pure Constance.» persino la sua voce istigava ad un nuovo calore, una capacità di cambiarla assumendo un tono discreto come sussurro, ma chiaro e limpido anche ad una certa distanza.

«Pretendo quindi che voi mi chiamate Philippe, Constance …»

Il gesto di rafforzare la presa sulle sue dita unendo la seconda mano sorprese Malice. Non era la prima volta che un uomo le rivolgesse attenzioni cortesi e educate, ma il dubbio che era sorto improvvisamente tornò a bussare. Abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate teneramente, su quell’abbraccio che stava durando troppo a lungo per non risultare eccessivo per quel poco che si conoscevano.

Aveva quindi ragione il marchio che le era stato impresso sul ventre?

Mi terrete ancora così Philippe, quando vi pugnalerò dopo aver conquistato la vostra fiducia?

«Vogliamo accomodarci, Constance?» non convenzionale, senza dubbio, doversi invitare da solo a sedersi. Ma in fondo la giustificò visto che ancora la ragazza doveva sorreggersi ad un bastone. Non doveva essere facile per lei stare in piedi con la caviglia dolorante. Malice annuì mentre il conte l’allacciava al suo braccio per accompagnarla ed offrire un ulteriore sostegno, intimidita dal primo piede in fallo che aveva messo davvero.

Errore che stava commettendo irreparabilmente. Il volto di Constance stava scemando in un turbinio di quesiti inutili da porsi sul momento e doveva tornare nell’immediato. Aveva però ancora una carta da giocarsi con disinvoltura. Strinse il braccio a cui era disperatamente aggrapata, ondeggiando fino a contrarre il viso in una smorfia, forse anche un po' troppo, quando si era ritrovata sostenuta per un fianco dalla mano contraria. La fatica esposta in un modo trasparente in cui l'aiuto di un cavaliere cortese le stava divenendo necessario, Philippe in un imbarazzo controllato per la sensazione che gli dava l'afferrare la dolce curva del suo corpo.

Patetico.

«Perdonatemi monsieur, ma sembra che il fastidio provocato dalla caviglia mi faccia dimenticare le buone maniere …»

Riprendere in mano la situazione che lentamente aveva rischiato di scivolare. Abilmente aveva ritrovato l’equilibrio della signora che stava interpretando, giocando una delle carte che la rendevano vulnerabile.

«Non dovete preoccuparvi, comprendo benissimo il vostro disagio.» Sistemati lei sul divanetto rococò e lui sulla poltroncina al suo lato poteva ammirare il volto candido della donna. Vederla destreggiarsi nell’ambiente meno selvaggio del salotto era, per il conte de Chagny, un’autentica riprova della sua prima impressione. Ne stava ammirando i gesti, il modo in cui sedeva composta con la schiena perfettamente perpendicolare, il mento alto, le spalle tese e le gambe raccolte il più possibile. Sembrava una regina d’altri tempi, la dama dipinta dal maestro Leonardo che aveva potuto ammirare nell’allora Musée Napoléon , ancora più bella di quel sorriso enigmatico che tanto affascinava.

Lei stessa racchiudeva un sibillino gioco di luci ed ombre.

Rientrava in maniera spaventosa nei suoi canoni e sembrava non sforzarsi di questo.

Se un vestito si adatta perfettamente al proprio corpo è confezionato per te.

Se una donna è il tuo perfetto complementare, potrebbe essere finta.

Forse era anche per questo che Philippe non si era lasciato prontamente avvicinare da nessuna, vedeva così tanta ipocrisia in quegl’incontri casuali e le oppressive attenzioni più al suo titolo che alla sua persona.

Con Constance tutto era diverso e non sapeva assolutamente spiegarselo. Una bellissima donna, forte, decisa, con un ottima istruzione da quello che le sue informazioni rivelavano, che da quando i genitori erano morti si era trasferita da Tours terminando i suoi studi con largo anticipo per aiutare il povero fratello almeno nelle mansione che le competevano attardando invece il costruire un proprio focolare con una propria famiglia.

Una storia già ascoltata alle orecchie di Philippe, che nonostante non potesse rimproverare nulla alle sue sorelle si trovò ad essere invidioso di Jean.

Constance. Si era ripetuto il suo nome in quei giorni molte volte, cercando di scacciarlo i primi tempi temendo che lo stesse troppo distraendo e poi riportandolo ferocemente solo per imprimerselo. Era stata una scintilla scoccata al suo primo sguardo spaesato, l’effetto captante ed accerchiante della sua dolcezza quando accarezzava il cane. Eppure Philippe sentiva qualcosa oltre l’acerba emozione che gli provoca il suo nome, un qualcosa di nascosto, forse terribile, un piccolo campanello d’allarme che si era trovato ad ignorare deliberatamente.

Per una volta dare ragione all’istinto piuttosto che alla ragione.

«Spero che stiate meglio con la vostra caviglia.»

«Molto meglio, ma il medico mi ha detto di tenerla a riposo ancora un po’. Niente più cavalcate selvagge per almeno altre due settimane. Avanti.»

Vennero interrotti dal cigolio della porta che annunciava l’arrivo di madame Bonnet: teneva tra le mani un vassoio con due tazze di porcellana, una teiera ricolma ed un piattino dove vi erano sistemati dei piccoli preziosi incartati con della velina bianca. Una novità assai curiosa che sapeva Malice avrebbe attirato il conte.

Madame Bonnet congedò educatamente prima di sparire al di là della porta.

«Ditemi, monsieur, la vostra è una semplice visita di cortesia?»

Voleva portarlo lentamente a gravitare attorno a lei, Philippe aveva bisogno di esser lasciato bollire assieme ai suoi pensieri e le mosse azzardate non le avrebbero permesso di conquistare la sua fiducia.

Ed i suoi occhi ghiaccio la scrutavano con insistenza, guardavano il moto dei suoi atteggiamenti, ascoltava la cantilena pluricromatica della conversazione vezzeggiandola con piccoli sorrisi soddisfatti.

Malice sapeva benissimo ciò che esercitava, come riusciva ad ingannare facilmente, lo portava inciso su di sé in una perenne rimembranza di ciò che fosse.

 

Volpe.

Il segno nero di una terra lontana, orientaleggiante incisione sulla mia pelle bianca.

Un segno come il tuo Erik, indelebile nonostante si sbiadisca con il tempo.

So che ci osservi, spii il nostro copione improvvisato. Sei oltre la porta che collega alla stanza accanto nascosta dagli stucchi e dalla pittura della parete.

 

«La vostra puledra è stata ritrovata ed ho pensato, con l’occasione, di assicurarmi della vostra salute. Spero non vi dispiaccia …»

«Provo solo un immenso piacere a godere della vostra compagnia, anzi vi dirò di più: se fossi sicura che mi portasse a si piacevoli incontri, mi farei sparere più spesso!» un piacevole senso dell'umorismo aveva sempre attirato l'essere umano.

Perchè essere sempre seri quando la vita è fatta solo di amarezze? Meglio saper sorridere anche delle proprie disgrazie Lucia.

Le ripeteva il suo precettore lo stesso che le aveva insegnato a pensare con la propria testa piuttosto che con quella della famiglia o della società.

Cacciato dopo anni dalla sua casa perchè etichettato come pazzo illuminista e sognatore. Stava inculcando nella precoce mente della virgulta troppe idee moderne, rivoluzionarie non adatte ai progetti che il padre padrone aveva in mente per lei.

Mi volevi silente e remissiva come Beatrice, come la mia signora madre. Ma era troppo tardi, il seme di un senno indipendente era già stato piantato e nè la tempesta nè il generale inverno potevano scalfire le sue radici ormai inculcate nel terreno. E nella primavera di un'Era nuova e rivoluzionaria, io ero sbocciata. 

«Madamoiselle vi sentite bene?»

Perduta in un istante nel vuoto, di nuovo stava scivolando via dalla sua parte. Constance non era poi così forte, o forse era Lucia a richiedere finalmente la sua parte con la giusta prepotenza. Scosse la testa liberandosi di lei almeno quel tanto per riconquistare un debole riso e distogliere lo sguardo dal piccolo scalino invisibile che segnava il pannello mobile.

Sollevò così il piattino invitando il conte a servirsi, osservandolo da sotto le lunghe ciglia.

«Certo monsieur, assaggiate queste gustose praline. Sono confezionate secondo una ricetta torinese, la chiamano Gianduja, come la famosa maschera …»

L’ira, l’accidia, l’avarizia, la superbia, l’invidia.

Peccati che un uomo di virtù riusciva ad opporsi.

Ma il tentar di gola era il primo passo per condurre alla perdizione.

La gola, intima sorella della lussuria, aveva invece delle doti ammalianti per questo ne prediligeva l’uso.

Stimolare l’una poteva solo stuzzicare l’altra.

E questo l’aveva imparato a sue spese, quando quegli stessi giochi venivano usati per comprare il suo silenzio.

Pasticcini deliziosi al miele, soffici torte, panna e canditi, dolci leccornie ed una bocca di bambina golosa. Danari sonanti nelle tasche di chi mi aveva venduta.

Cosa gli aveva procurato la musica di quel maledetto reietto! Ora vacillava ad ogni particolare, si perdeva in ricordi troppo vividi per la sua pazienza, offrivano il suo fianco già aperto da ferite sanguinanti e riversate nelle tazze in cui mesceva quel caldo liquido giallo.

Ricorda che sei una professionista. Una donna padrona del suo corpo, della sua mente.

La tua mente con un acronimo maschile su di un editoriale, una denuncia in campo aperto di cosa eri stata testimone. In fondo non sei sempre stata corrotta. LADL.

«Stavate dicendo che avete ritrovato la mia puledra. Era ancora imbizzarrita?»

«No, si è dimostrata docile e mansueta come un agnellino.»

Quella velata ironia nel modo in cui lo disse lasciava intendere molto altro, una sfumatura sarcastica di come poteva vedere tanto simile una cavalla ad una donna come Constance. Aveva scartato uno dei cioccolatini per poterne assaggiare il delicato e cremoso sapore, lasciando scappare uno sguardo freddo e colmo di malizia che non era riuscito a mantenere. In fondo doveva essere questo per lui, ma ciò non trattene l’insolito moto di disgusto che la costrinse ad affogare nel  calda bevanda ancora fumante. «Piuttosto il più turbato è Baron … non avevo mai assaggiato questi cioccolatini, molto buoni Constance …»

«Baron?» chiese perplessa animata da una nuova sincerità.

«Baron è il mio bracco. Credo si sia ammalato …» Philippe non si aspettava di scuotere quella donna così tanto, con gli occhi resi immensi dallo stupore e la bocca socchiusa incredula. Un’espressione buffa, che gli provocò un lieve risolino impossibile da trattenere cercando di nascondersi anche lui dietro la porcellana della tazza. Si sentiva un po’ bambino nel giocare così, e Dio solo sa quanto potesse piacergli.

«Am - ammalato dite?» lui annuì con un cenno del capo senza andare avanti, vedendo l’adorabile impazienza correre nello sguardo di Constance. «Ebbene?»

«Da quando vi ha incontrata sembra sempre triste, non fa altro che guardare fuori mangiando appena. È rimasto incantato da voi e credo che il suo sia proprio mal di amore … »

Un mutismo perplesso si era stagliato, con un sogghigno divertito di Philippe.

Il tempo esatto di un veloce ragionamento.

Sorrise ed il sorriso si allargò in una risata argentina assieme a quella del conte.

Si scatenarono all’unisono, come un baritono ed una soprano che duettano in motivi diversi ed astrusi, con sapori divergenti, in contrasto.

Il tempo era passato e con esso Philippe aveva dimenticato i doveri da de Chagny che aveva abbandonato, ricordandosene solo al rintocco impietoso del pendolo sulla mensola del camino.

«Devo proprio andare, madamoiselle …» sembrava un condannato a morte al quale aspettavano le ore di solitudine che lo separavano dal boia. In fondo era da tempo che non si sentiva così fuori dai suoi doveri e quasi ne aveva dimenticato le sensazioni: si concedeva alla bella vita, dalle feste in società, agli spettacoli con piccole interruzioni in qualche café o bistrot di Parigi. Ma chiunque frequentasse, dalla più sbarazzina giovinetta al più vecchio amico, gli ricordava sempre il suo ruolo: lui era il conte de Chagny tutore legale dei suoi fratelli e detentore di un titolo di cui ne doveva portare il peso persino nel letto. Quella brevissima ora nel pomeriggio, quell’ora che si doveva concedere per confermare alcuni suoi dubbi, era stata di una semplicità disarmante tanto da fargli dimenticare quanto prossimo fosse il momento della separazione.

I suoi doveri una persecuzione e lei Constance era stata il più piacevole diversivo.

«Non vi alzate, ve ne prego …» disse al primo accenno della donna ad accompagnarlo. Si azzardò perfino a prenderle la mano accarezzandone il dorso. Un gesto ardito, ma che non vedendo rifiutato perpetuò. « … dovete promettermi che l’unico sforzo che  farete è quello di guarire, sempre che abbiate a cuore la salute del mio bracco …»

«Mi sbaglio o questo è un invito?»

Stare al gioco sempre.

Tu lo hai attirato ma è lui a guidare.

Ti viene a trovare e ti invita con una scusa.

Ma io conduco.

«Non vi sbagliate, è un invito!»

«E sia, ma solo per il bene del piccolo Baron!»

Un galante cenno di saluto, labbra sottili che indugiarono qualche istante in più sul dorso della mano e Malice sapeva che ormai non era più la sua caviglia ad essere costretta in una fascia ma quella del conte ferita dalla tagliola che l’aveva catturato.

Ormai era in trappola.

Ritirando le dita avvertì anche una leggerissima resistenza, più salda di quella iniziale.

Intensi scambi di sguardi, malizia di un gioco sull’orlo della seduzione più sottile.

Madame Bonnet richiamata dal campanello dopo aver fatto preparare la carrozza del conte per accompagnarlo alla porta.

I loro passi sempre più lontani, piccoli sordi rintocchi di tacchetti su di un pavimento in legno.

Il cigolio successivo del pannello che si dischiudeva e lasciava apparire un Erik disgustato, con il volto contratto e la mascella serrata.

Sembrava avere un potere Malice, era come se sapesse ogni qual volta dove fosse il suo Fantasma.

Semplice esperienza di una vita vissuta nell’ombra si ripeteva lei, ma per Erik, che sapeva camminare davanti ad una persona senza farsi vedere nonostante la sua stazza degna di ogni rispetto, aveva più la parvenza di un mistico sortilegio.

In un certo qual modo lo spaventava.

«È fatta mon ami!» dal pizzo della poltrona si lasciò cadere all’indietro, le palpebre chiuse, la testa rilassata oltre lo schienale, le gambe si distesero da quel groviglio intorpidito di muscoli. Era stata così impettita, rigida che si sentiva la spina dorsale protestare. Nemmeno le rigide stecche del bustino e i nastri che strozzavano il punto vita riuscirono a sorreggerla dall’improvvisa spossatezza delle sue membra. «Non ho mai faticato così tanto a mantenere un’identità, imparato qualcosa di nuovo, Erik?»

Non aprì gli occhi, sollevando pigramente le braccia sopra la testa per afferrare le forcine tra i capelli. Le prime ciocche capitolarono mollemente oltre le spalle, altre si ripiegarono sul bordo dello schienale ostacolo al loro percorso verticale in caduta. Ma una delle ultime s’insinuò sul virgineo letto del suo petto, solleticando il pizzo della scollatura dove ora fili d’oro s’intrecciavano contro il ricamo lavorato.

Solo quando una cascata di miele cadde pesantemente scossa dalle mani della sua padrona si accasciò sul resto Erik si accorse del viso di Malice. Stremata, come se avesse fatto uno sforzo fisico immane, stava abbassando ogni difesa e, anche se non doveva portarsi una mano sul volto, procedeva nel liberarsi della maschera di Constance, la perfetta Constance. E chissà perché lui la trovava molto più perfetta così, con i lunghi capelli sciolti che cedevano perpendicolari alla gravità del terreno, serici e lisci che si ribellavano in tenere volute verso la fine.

Un’altra cosa che ti ricorda lo specchio, vero Erik ?

Quante volte hai sentito pesare la tua maschera sul viso?

Quante volte avresti solo voluto che ti accettassero per quello che sei?

Mi ami e mi odi solo perché sono il tuo alter ego, solo perché posso nascondere ciò che sei stato.

Ed ora guardi lei con quella stessa espressione che vedevi in uno degli innumerevoli specchi della tua dimora quando ti staccavi da me, con la stanchezza di chi deve sostenere due persone in un corpo solo.

L’uomo ed il Fantasma.

Ma in lei quante ce ne sono, Erik?

Quante ne hai percepite?

E questa donna con i capelli sciolti, rilasciata sul divano come se fosse nella solitudine delle confessioni notturne, quale delle tante è?

«Non sembravate così a disagio, Constance …» un cenno di scherno ripagato con una smorfia di repulsione.

Era quello che ora sentiva, come ogni volta in cui si allontanava dalla finzione. Un lavoratore quando termina la sua giornata, si toglie il grembiule o la divisa per indossare abiti civili, un nobile magari si libera delle proprie chincaglierie per sentire la veste da camera su di sé.

Ma lei, come poteva disfarsi di un’identità?

«Anzi oserei affermare che gradivate anche troppo le attenzioni del conte.» era il suo tono così saccente e infastidito che le fece sollevare il capo in sincronia perfetta con il sopracciglio. Cos’era quel modo di rivolgerle la parola?

«Cos’è, Erik? Siete geloso?» velenosa, aspra come il succo di limone sulla carne viva che brucia. Colas una volta aveva provato a dirle una cosa simile. L’aveva accompagnata in quel viaggio, uno dei suoi amanti che doveva contrattare con un importante mercante del sol levante che la riempiva di complimenti e regali tutti restituiti alla Sûreté con tanto d’interessi. E lui che ancora non aveva capito quanto poteva spingersi oltre con la giovane Lucia, non voleva che si concedesse in modo così solerte al suo lavoro.

Si era ritrovato agonizzante a stringersi l’inguine per il colpo ricevuto.

Voi uomini non sopportate il dolore!

«Non dite sciocchezze, madamoiselle.»

Ti vuoi convincere che è una sciocchezza?

«Bene.» lapidaria con una sola ed unica parola. Non doveva servire ad altro.

Non provarci Erik, non con me. IO non sono mai appartenuta a nessuno.

Non vantate diritti di possesso solo per qualche smanceria che vi concedo. Non sarò mai la tua Christine …

«Comunque siete stato bravo, avete agito perfettamente ed in autonomia. Per quasi due volte ho rischiato di compromettermi. Sarà stata l’emozione: il conte sembra molto intelligente ed è anche un bell’uomo, cosa molto rara nel mio lavoro.  » ancora quel gorgoglio a rimestargli l’animo.

 

Oh Erik, perché ti prendi in giro: stavi spiando la loro conversazione come facevi all’Opera con lei, e temi di porti la giusta domanda. Perchè?

 Lei non ti aveva detto che le serviva la tua presenza, non occorreva che tu assistessi ai primi passi di un vero corteggiamento. Sapevi che quel damerino era lì per Malice, per chiederle qualcosa, un invito, anche solo per vederla.

Non ha bisogno d’ingannare con machiavellici piani articolati su bugie e menzogne, non deva travestirsi da Angelo ed insegnarle ogni cosa a lui più cara.

Gli era bastata una scusa sciocca.

Il cavallo poteva essere riportato da un servo ed ammetti a te stesso che la storia del cane ti ha fatto sbiancare le nocche delle mani a forza di serrarne il pugno. Dio! Come ti ha dato fastidio il modo sfuggente che aveva di prenderle le mani, le carezze di un uomo che esponendo il suo bell’aspetto può permettersi la libertà di toccarla impunemente.

Peccato che fosse così freddo anche nella breve unione delle loro mani e quanto urtava i tuoi nervi ogni istante di più.

Così sbagliato. Malice non è nemmeno lontamente Constance: hai capito che ama il contatto, la passione, le fiamme.

Fuoco e ghiaccio non possono incontrarsi. Ed è questo il conte de Chagny, solo gelo.

Sentivi il logorio delle tue viscere, lo stridere dei tuoi denti chiusi nella morsa di ferro della mandibola. Perché quella donna ti rappresenta, ti ha accettato indipendentemente dal tuo aspetto e ti lusinga con le sue labbra turgide.

 

La ripudio, ma la desidero. Odio che si tocchino le mie cose.

 

Ma lei non è tua, non lo sarà mai come non lo è mai stata Christine che hai amato e continui ad amare incondizionatamente. Non dimenticare la delusione, non dimenticare del vero motivo perché accetti che ti confonda le idee. Domina i tuoi istinti, lei è solo il lasciapassare per la tua vendetta.  

 

«Credo che dobbiate aiutarmi a liberare il mio piede da questa tortura! Non ce la faccio più …»

Riuscirai a dirle di no?

No, anche se era quello che voleva. Il primo pensiero, un arrangiatevi immediato che gli si era stampato in gola pronto a fuoriuscire con impeto per voltarle le spalle e ritornare alla sua musica, invece ricacciato dai suoi passi incerti verso quel divano e seguito dai suoi occhi scuri penetranti.

Era forse un nascosto senso di generosità a guidarlo, oppure un puro istinto?

La sua pelle ed il suo profumo. Le tue mani che sentono il contatto con esse senza che sia lei a comandare. È questo Erik che non riesci a negarti.

La generosità non fa parte di te.

Ciò che ti sta guidando è l’egoismo.

«So che non volete la gratitudine di nessuno, ma avrete la mia dopo questo …» non osava guardarla in viso, odiava vederla esultare per averlo condotto inginocchiato ai suoi piedi mentre, come se stesse effettuando un rituale, le slacciava lo stivaletto scivolando con le sue dita sui lacci dolcemente. Non voleva che lei incontrasse il suo volto perché quello che vi avrebbe letto era il desiderio inconsulto di continuare ben oltre dall’accarezzarle involontariamente il polpaccio sfilandole la scarpa. Salire da sotto la stoffa della gonna solo per sentire le sue gambe tremare ed il suo respiro accelerare ad un tocco audace.

Puoi quindi provare attrazione senza amare, Erik?

Frenarsi, questo si era imposto, perché la sua arma era la seduzione e lui era un gioco.

Non avrebbe retto ad una delusione ulteriore, non avrebbe retto all’indifferenza dopo una notte mercenaria soggiornando nel suo letto, non  avrebbe retto alla sensazione di aver insudiciato ancor di più il suo animo tradendo lo spirito alimentato dall’amore.

Doveva solo rigirare la caviglia alla ricerca del primo capo da dove sciogliere l’intricata fasciatura.

Le dita esangui erano talmente gelide che le sentiva persino attraverso la stoffa.

«Avevate ragione è esageratamente stretta. Rischiavate di perdere una delle dita del piede alla fine della giornata.»

«Parlate così solo perché non avete mai indossato un corsetto!» una battuta. Stava scherzando con lui e non di lui. Di nuovo quel senso di barcollamento, un afflusso troppo veloce del sangue, lo scatto improvviso della sua testa a cercare il segno della menzogna tra le sue labbra. Ma nulla. Era realmente una semplice battuta affine a sé stessa.

Vi state liberando entrambi da altri veli Erik?

Non adesso che il suo orgoglio stava rifiorendo.

Lui era il Fantasma e non si sarebbe lasciato ingannare dalle sue innumerevoli moine, questa consapevolezza lo spinse alla sua alacre ricerca del principio, incastrato ed annodato troppo bene perfino per far passare le sue esili dita nell’avvallamento dell’osso.

Sembra quasi una punizione.

«Utilizzate questo …»

Tra le mani teneva una specie di punteruolo acuminato, il profilo una linea continua che si allargava su ricami incisi e scolpiti, un tralcio di fiori in oro su foglie che sfondavano il legno nero che predominava.

Ricordi quel motivo Erik? Ti minacciava nel buio del Teatro distrutto dalla tua follia.

Il suo pugnale.

Ho sempre avuto un debole per le armi esotiche …

«Kogai …» l’ombra di un significato che non apparteneva nemmeno alle sue vaste conoscenze, la pronuncia dura di una cultura che albeggiava ad est del mondo dove il sole nasceva. Raccontava di una terra lontana, di rispetto nel modo solenne con cui l’aveva articolata.

«Come prego?»

«Questo è un kogai giapponese …» lo afferrò tra due dita cercando di esporlo al meglio sotto il suo sguardo acceso, le sue iridi acquamarina quasi potessero prendere fuoco. Era come se sapesse che quel piccolo e letale oggetto potesse attirare la sua attenzione con tanto ardore.

… anche tu hai un debole per le armi esotiche.

«Le sue dimensioni ridotte e la sua forma lo rendono praticamente un arma di fortuna perfetta: la si può incastrare tra i capelli o portare nascosta nella fascia di un abito o dentro una manica. Apparteneva ad un maestro costruttore di spade, insieme a quel Tanto che avete già avuto l’onore di conoscere Erik.»

«Come ne siete venuta in possesso?»

«Questo non vi riguarda!» dura ed irascibile, una parentesi sbagliata. «Vi spiacerebbe ora finire quello che stavate facendo? Vorrei rinchiudermi nella mia camera prima che ritorni Colas. Quando saprà della visita del conte inizierà a tediarmi con i suoi piani idioti e privi di fondamenta e sinceramente me ne manca la voglia. Lascerò a voi il compito di dirgli che è tutto andato alla perfezione e che sono ad un passo dall’averlo in pugno, contento?»

Il modo in cui si trasformò improvvisamente la faceva tornare passi e passi indietro nel suo trovare una comunione con Erik. Brusca ed assolutamente inopportuna, un nuovo appiglio per l’esasperazione che si provocavano costantemente.

Ed il pendio su cui si stavano arrampicando era reso sempre più ripido e sconnesso.

Ad attenderli la gola di un baratro infinito, in cui l’eco del tonfo del sasso caduto accidentalmente non si sarebbe udito ancora per molto.

 

Note dell'autrice: Buonaseeeeera!!! Le giornate sono sempre più stressanti e per questo oggi mi sono messa a scrivere convulsamente, come una matta. Comunque volevo dirvi che questa storia nasce per mostrare un rapporto fra due persone ferite e vorrei che si affrontasse come il viaggio di Erik attraverso la mente di Malice. Non ci si accorge di quello che realmente viviamo finchè non lo vediamo scritto su di un altro volto. La situazione di Philippe, Colas, Christine, Roul è solo un contorno, per questo di loro ci sono accenni (si ora arriveranno anche il nostro caro Roul e Christine) e saranno solo gli artefici di un susseguirsi di eventi capaci di portare queste due anime a confrontarsi ed aprirsi. Questo perchè voglio dare ad Erik la capacità di superare i suoi "traumi" ed anche a Malice, mia creatura personale con una storia complessisima alle spalle. Ed in più volevo offrir loro una sorta di compagnia che riuscisse in qualche modo a comprendere e lenire quello che hanno passato. Questo era per dirvi della presenza assidua di circostanze in cui sono soli, il loro gioco doloroso alla scoperta del passato di Malice che tra l'altro è un personaggio difficilissimo da gestire, come Erik d'altronde.

Spero che tutta l'introspezione non vi annoi perchè ora si entrerà nel vero vivo.

Il riferimento al Giappone non è casuale: in quel periodo in Europa, soprattutto nell'arte francese,si sviluppa una sorta di ossessione per il Giappone, creando un fenomeno chiamato giapponismo. Ciò ha portato all'incontro fra Malice e questa cultura (che io adoro letteralmente ♥_♥), ma ne sapremo di più.

Anche il gianduiotto è un riferimento storicamente corretto, nato nel 1865 e distribuito da Gianduja in persona nelle piazze torinesi è stato il primo cioccolatino incartato singolarmente.

Detto questo passiamo alla mia perfetta recensionista:

Giuly O mon dieu!!!i tuoi complimenti mi lusingano ... troppo sono senza parole ed il che è tutto dire per me!!!^^ Non contando che l'impressionismo è il mio periodo artistico preferito quindi mi sono sciolta ... o mamma, ok step up!!! Strafelice che il rapporto molto fisico fra i due sia apprezzato: insomma io volevo proprio questa netta differenza con la candida Christine, uno bello scossone per uno come il nostro Erik. E poi finalmente fai il tifo per la mia cucciola!Me occhi a cuoricino!!! Volevo rassicurarti: niente gravidanza di Christine con probabile paternità Fantasmosa (Christine in love never dies è sicura che sia Erik il padre, ma non credo che la genetica fosse molto in voga nel 1880. Quindi, a meno che Raoul non fosse un marito impotente non credo, mi lascia un po' in dubbio questo appiopo di figlio. Questa è la più grande incoerenza che ho riscontrato, per non parlare dei personaggi troppo diversi dagli originali. Mah non lo so, è carino ma secondo me è una storia completamente diversa che non ha molto a che vedere con Il Fantasma dell'Opera) . Comunque il riferimento è veramente piccolo, solo un piccolo prestito con licenza poetica come al solito^^!!!

Per la seduzione definitiva bhè dovrai seguire, mi spiace ...

Lo sapevo che avresti apprezzato il caro Chopin, a lui invece non andava tanto giù sta composizione. Vero un pochino assomiglia ad una parte della Sonata al Chiaro di  Luna però ha una sua personalità spiccata. Va buon la smetto immediatamente se no non la finisco più. Ti mando un bacione fantasmoso tutto per te!!!

Ringrazio sempre tutti quelli che passano di qui per dare un occhiata, comunque per la qualsiasi non esitate e Commentate!

Serva vostra.Mally.

   
 
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