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Autore: Miki_TR    31/10/2010    1 recensioni
Un uomo normale può morire una sola volta, ma Gellert non è mai stato solo un uomo normale.
"La mia prima morte era appena finita e contro ogni logica le ero sopravvissuto."
Scritta per la tabella Arcobaleno del Regenbogen Challenge di grindeldore_ita.
Albus/Gellert
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Le tre morti di Gellert Grindelwald
Prompt: Expelliarmus, Avada Kedavra, Gennaio 1945, Giugno 1997, PG

Per tutta la vita ho creduto davvero che le cose sarebbero andate come volevo. Chi poteva contrastare la mia volontà, quando era così ferrea, o la mia visione del mondo, così precisa e perfetta?
Se tutto fosse andato come io pensavo e volevo, oggi sarei morto per la terza volta.
Ma come tutti gli uomini, ho una morte sola. E sta arrivando.

Credevo sarei morto quando sono stato sconfitto. Avevo calcolato la possibilità di perdere, per quanto fosse minuscola, fin da prima di avviarmi nella cava dove avremmo dovuto sfidarci, io e Albus. Avevo giocato per anni con tutti gli scenari, nella mia mente: la sua morte, la mia morte, l'illusione di una riconciliazione. Avevo scelto le mie ultime parole, e a dire il vero anche le sue. Quando mai, nella mia vita, le cose non erano andate come io volevo? C'erano stati imprevisti e qualche errore, ma non avevo mai sbagliato. E in quell'alba non credevo davvero che saremmo usciti da quel luogo entrambi vivi e ancora divisi.
Consideravo la sconfitta, sì. E sarei morto, gloriosamente, in una vampa di fuoco, perché era in tutti i miei piani che accadesse. Quando ho visto Albus non ci stavo pensando. Quando ho cercato di ucciderlo immaginavo un altro finale. L'avrei ucciso, sì, ne avrei avuto il coraggio, anche se lo amavo, proprio perché lo amavo. Avrei ucciso quella debolezza, semplicemente come si spegne la luce quando è il momento di lasciare i propri piani sulla scrivania ed andare a dormire. Non volentieri, con la mente ancora legata alle possibilità, ma come una cosa necessaria per poter andare avanti. Questo sarebbe stata la vittoria, per me.
Quando sono caduto a terra, sconfitto e ferito, incapace di muovermi, la mia mente ha continuato a progettare, anche allora. A scrivere alacremente parole di addio come se componessi il mio epitaffio. Mi andava bene anche così. Ero terrorizzato all'idea di morire, lo ero sempre stato; ma non credevo ci fosse altro oltre la vita, onestamente, e m'importava più di finirla come io volevo, che di dare spazio alla mia paura.
E Albus si è avvicinato, incorniciato di rosso e di sole, come una visione. Ho sorriso, lo so, perché ho sempre sorriso quando si avvicinava; l'ho visto alzare la bacchetta e ho cercato un filo di fiato per la mia uscita di scena.
E invece ha parlato lui.

Expelliarmus.

E io ero vivo. La mia prima morte era appena finita e contro ogni logica le ero sopravvissuto. Era l'inverno all'inizio del Millenovecentoquarantacinque, e cominciava la mia seconda vita, giusto a metà della prima.

Poi c'è stata Nurmengard. Ah, una morte lenta, ho pensato entrandovi in catene.
Non la preferivo, anzi, ero abbastanza arrabbiato che le cose fossero andate in quel modo. Non era nel mio stile, deperire in prigione e degradarmi come di sicuro avrei dovuto fare, quando avrei potuto andarmene in un istante, senza dolore. Mi faceva soffrire aver perso i miei sogni, perché avevo sempre creduto sarebbero vissuti oltre me. Il mio mondo perfetto era morto e Nurmengard mi avrebbe portato da lui, lentamente e con dolore.
Ma il dolore non mi ha mai spaventato.
C'era una cosa che mi piaceva immaginare, tra le mura della mia cella. Albus, naturalmente, di fianco alla mia tomba. Il come variava da fantasia a fantasia. Albus in lacrime, Albus pentito, Albus col viso triste e rilassato dal sollievo. Albus che sfiora il marmo bianco con le dita, Fawkes appoggiata alla sua spalla. Albus che legge l'iscrizione e piange.
Quante volte in quegli anni ho scritto e riscritto le mie ultime volontà? Quante volte è cambiata l'iscrizione che doveva coronare il luogo del mio riposo? Alla fine mi ero deciso. Ho vissuto per un sogno. Poetico, vero? L'ho sempre pensato. Un modo molto raffinato di descrivere Campi di Sterminio ed epurazioni, se posso essere io a dirlo.
Ricordo anche di aver mandato un messaggio ad Albus, su cosa fare delle mie spoglie, quando mi fossi finalmente deciso a morire per davvero.
Un sarcofago di marmo bianco, vicino alle acque del lago, nessuna iscrizione, perché con gli anni avevo preso a considerarle di cattivo gusto. Una cosa semplice, sepolto con la mia bacchetta, che poi, ironicamente, era la bacchetta di Albus. Lui aveva la mia, che restava tra i vivi. La sua, quella che mi avevano trovato addosso quando mi avevano arrestato, era conservata dalle guardie invisibili di Nurmengard. Ero felice di avere la possibilità di riposare per sempre con quella parte di Albus.
Albus non aveva mai risposto a quel biglietto, l'aveva ignorato, sì, ma goffamente, come si ignora un cimitero fischiettando quando gli si passa davanti.
La cosa mi aveva quasi commosso, allora.
E sia, ho pensato, non parliamo della mia morte. Aspettiamola. Ci penserà lui a me, quando io non ci sarò più.
Insomma, è chiaro dove voglio arrivare, no? Non mi sarei mai sognato di sopravvivergli.
Non nel luogo di tutte le mie paure più intime, non col peso sempre più grave, anno dopo anno, delle mie colpe accumulate.
E invece ho fatto in tempo a diventare un vecchio, tra queste mura. Ogni giorno poteva essere l'ultimo, e invece ogni mattina mi svegliavo e vivevo un giorno in più.

Fino a quella sera di Giugno, con il caldo che penetrava anche le mie spesse mura.
Contavo gli anni con un calendario, e sono certo che fosse il Millenovecentonovantasette. Non sono sicuro del giorno, perché è sempre stato più difficile non dimenticarlo.
Sognai, all'inizio della notte, Albus come sempre. Era in piedi, ritto su una torre di pietra. Entrava un uomo, capelli e vesti scure, e Albus lo abbracciava per un attimo come fosse un suo figlio molto amato. L'uomo ricambiava l'abbraccio e poi lo spingeva dalla torre. Albus volava giù con grazia, come si stesse tuffando da uno scoglio, e per un attimo sembrava diventare una fenice in volo, rossa di fuoco, immortale. Ma poi toccava il suolo, ancora umano, ancora mortale.
Albus. Morto.
Ricordo che quella notte non ci ho creduto. Mi sembrava meno reale della mia paura furiosa e del mio sudore, quando mi ero svegliato all'improvviso.
Quando ho scoperto la verità; quel momento è stato la mia seconda morte.
La descrizione che mi è stata fatta non era precisa, ma pare non si sia trattato di una spinta, come nel mio sogno. Tutt'altro.
Ma Albus è caduto e in un istante non c'è stato più, e io sono rimasto solo su questo mondo, senza nessuno che sappia e si ricordi di me.

Avada Kedavra.

E io ero vivo, contro ogni logica e giustizia umana, sopravvissuto all'uomo che era il senso della mia esistenza. Cominciava la mia terza vita, la meno voluta e desiderata di tutte.

Per l'anno seguente una sola cosa ha destato in me interesse e curiosità. Fra poco penso ne saprò qualcosa di più, nel luogo dove sto finalmente andando. Fra poco potrei persino ritrovare Albus.
Ma per un anno, dicevo, mi sono chiesto cosa significasse la sua sepoltura nel marmo bianco, sulle rive del lago, senza una scritta che la deturpasse, con la bacchetta in pugno.
Perché è chiaro che quello è lui nella mia tomba, come io l'ho progettata anni fa, aspettando la mia seconda morte. Io sono nella prigione costruita per lui; lui è nella tomba pensata per me. Albus è nella mia tomba, ed è un caso?
Naturalmente, magari lui ha solo lasciato in giro quel mio testamento, e qualcuno l'ha preso per il suo, trovandolo dopo che lui è caduto. E' una possibilità.
Ma se così non fosse? Ha forse lasciato disposizioni così simili alle mie? Volendolo, o per caso? O ancora, è semplicemente capitato, e può diventare il segno che la sua volontà ci ha uniti nella morte come la mia non è riuscita a fare nella vita?
Io non ho risposta a queste domande.

E l'ombra si avvicina alla mia finestra, uno sbuffo di fumo nel cielo che porta la mia terza morte, finalmente.
E non ho più paura, con Albus davanti a me a tendermi la mano.
Ho scritto di nuovo cosa accadrà domani alle mie spoglie; e quando ci sarà una tomba gemella alla sua nel prato davanti a Nurmengard, finalmente avrò le risposte che cercavo e finalmente avrò Albus, e finalmente avrò pace.
Finalmente avrò quello che voglio, questa volta.
Sta arrivando la mia terza morte.

 

 

  
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