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Autore: budinss    31/10/2010    5 recensioni
Credo che questa storia faccia parte della categoria " What if? "
Bella vive da sempre a Forks assieme al padre, dopo l'incidente causatorio della morte di Renèe. La sua vita procede monotona come quella di un normale essere umano, frai poeriggi nel garage di Jacob e la scuola, finchè non arrivano a stravolgere il suo equilibrio 6 nuovi ragazzi, tutti caratterizzati dalla pelle diafana e dalla bellezza disumana.
Perchè 6? Alice, Jasper, Rosalie, Emmett, Edward e.. Tanya.
Quali cambiamenti avverranno dopo il suo incontro con Edward? In che modo riuscirnno a cambiare radicalmente la vita di quella questi nuovi vampiri?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Capitolo1: Ricordi

Ero rinchiusa in questa cittadina da ormai dieci anni, dieci lunghissimi anni.
Avevo sette anni, ero a metà della prima elementare quando accadde. Quel giorno ero a scuola, nel bel mezzo dell'ora di arte. Stavamo facendo uno stupidissimo disegno a puntini.
Mi ci stavo impegnando, davvero. Era qualche giorno che la mamma non si sentiva bene, aveva dei giramenti di testa e un po' di febbre, e speravo che regalandoglielo si sarebbe sentita meglio, speravo di farla sorridere.
Non ero brava a disegnare, anzi, i miei erano tutti scarabocchi, ma a lei piacevano comunque.
Avevo quasi finito quello che avrebbe dovuto essere il suo ritratto quando entrò la bidella in classe e chiamò la maestra. Queste uscirono e, dopo circa 15 minuti, tornarono.
Avevano i lineamenti segnati dalla preoccupazione e mi guardavano. Non capii il perchè. Mi fecero uscire per non darmi la norizia davanti a tutti, e mi dissero che mia mamma era all'ospedale, in uno stato critico. Mi raccontarono che a causa del mal di testa non era stata attenda alla strada e aveva fatto un incidente che l'aveva portata al coma. Mi ci volle qualche minuto per realizzare tutto, per capire quello che era successo. Spofondai.
La mia mamma, che si era sempre presa cura di me, che mi aveva costretta a passare due ore alla settimana in una scuola di danza, che ogni settimana mi portava alla spiaggia, che mi aveva voluta bene, adesso era in uno stato di coma, non era in grado di parlare, di vedere, la sua vita era attaccata a delle macchine.
Le possibilità che si risvegliasse erano poche o, in altre parole, sarebbe rimasta per sempre attaccata a quei macchinari, incapace di muoversi e di vivere.
Dopo che mi fui ripresa, rientrai in classe, presi il disegno e andai all'ospedale. Restò in quello stato per circa un mese, dopo di chè morì. Ogni giorno andavo a trovarla, ogni giorno passavo almeno dieci ore davanti al suo letto, tenendole la mano e sperando che si risvegliasse. Per la prima volta mi illusi che ci fosse un Dio, qualcuno che si sarebbe accorto che la sua vita non poteva finire in quel momento, e che la facesse risvegliare. Dopo 27 giorni passati nella stanza di un ospedale, un dottore mi svegliò e mi disse che era andata in paradiso. < Tua madre ci ha lasciati. Adesso ti guarda la lassù >, disse indicando verso l'alto. Capii immediatamente dallo sguardo che era morta. Le lacrime cominciaono a sgorgare dai miei occhi, non ero in gradi di controllarmi. Quando Charlie, mio padre, tornò con una tazza di the in mano mi trovò in quello stato, con lo sguardo vuoto, gli occhi rossi e in preda ai singhiozzi.
Da quel giorno andai a vivere con lui a Forks. Nella penisola Olimpica, stato di Washington, nella città più poivosa d'America.
Odiavi questa città, se così si poteva chiamare. Io adoravo il sole, il caldo; avevo bisogno che i suoi ragghi riscaldassero la mia pelle fredda e fragile, che illuminassero il mio viso. Tutto qui, invece, suggeriva pioggia, bagnato, umido.
Mi piaceva il marrone; a Forks tutto ciò che deve essere marrone, la corteccia degli alberi o il terreno, erano ricoperti di verde.
A scuola non mi ero mai ambientata davvero.
Alla mattina mi svegliavo di malavoglia. Dopo aver fatto la doccia, non c'erano i biscotti che la mamma mi preparava a colazione, non c'era lei ad aspettarmi in cucina con il sorriso sulle labbra.
Non mi ci abituai mai.
Al suo posto c'era Charlie. Tentava in tutti i modi di farmi uscire, di farmi divertire, ma non ci riusciva. Dopo la sua morte, mi chiusi in me stessa.
Adesso ne avevo 17 di anni.
Era la fine delle vacanze estive. Il giorno dopo sarebbe ricominciata la scuola.
La scuola.
Ero piuttosto brava, poco più sopra della soglia della mediocrità. Questo dipendeva dal fatto che  durante le lezioni non avevo a chi mandare messaggini, nessuno con cui chiacchierare. C'era solo Jessica, che per la maggior parte del tempo parlava da sola.
L'unica persona con la quale avevo davvero fatto amicizia era Jake, il mio Jacob. Con lui mi sentivo di nuovo viva. Mi faceva dimenticare che lei non c'era più.
Passavo gran parte dei pomeriggi da lui, a divertirci nei modi più stupidi. Erano un po' di mesi che cercava di insegnarmi qualcosa sui motori, la sua grande passione, e il mio scarso interesse lo mandava in bestie. Stavamo, o meglio dire stava, ricostruendo quella che dopo sarebbe divenatata una vecchia Golf, la suo “nuova” auto.
Mi addormentai, dopo la solita dose di lacrime, riguardando quel vecchio album di fotografie che tenevo nel primo cassetto del camerino. Sfogliavo quell'album centinaia e centinaia di volte, sempre sperando che, al risveglio della mattina, mi sarei accorta che era tutto stato un sogno, un brutto incubo. Ogni mattina, però, consapevolizzavo che quella invece era la mia realtà, quella in cui ero destinata a vivere. Ormai quel dolore non mi veceva più male, era come una veste che mi accompagnava sempre. Anzi, era l'unica cosa che mi ricordava che lei c'era davvero, che non mi ero inventata tutto. E questo mi faceva sia star bene e sia star male.
Dopo tutto quel tempo non mi ero ancora abituata al rumore della pioggia sulla grondaia che sentivo  quasi tutte le notti piovose di Forks. Mi girai e rigirai nel letto non ricordo quante volte prima di addormantarmi.
La mattina dopo mi svegliai ancora stanca, dopo un sonno senza incubi o sogni, vuoto, come il mio cuore. Mi alzai di malavoglia, presi il beauty case a andai a fare la doccia. Rimasi sotto il getto più del necessario, nella speranza che l'acqua riuscisse a rilassare i miei muscoli.
Funzionò. Dopo essermi infilata un paio di jeans e una maglietta scesi in cucina a fare colazione. Charlie non c'era, doveva essere già andato in centrale. Riempii la tazza di latte e ci pucciai una brioche alla marmellata, quella che mi piacevano tanto. Finito questo, scacquai la tazza e mi avviai veso la scuola, nel mio vecchio pick up.
Una cosa però mi colpì: in 10 anni non era mai cambiato niente in quel cortile, tutto era rimasto odiosamente uguale. Quel girno, invece, malgrado l'ora, era già pieno di ragazzi tutti..elettrizzati che fissavano un punto vicino alle scale. Non ne capivo il motivo, possibile che fossero così felici di riiniziare le lezioni?? Seguii i loro sguardi, posati su un'auto che prima di allora non avevo ancora visto: una lunga Volvo metallizzata parcheggiata alla perfezione. Poi, come un flash back, mi ricordai quello che mi aveva detto Jessica il giorno prima al telefono. Quel giorno ci sarebbero stati nuovi arrivi.

Cosa ne pensate?? devo continuare o è meglio che mi dia all'ippica?

  
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