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Autore: rolly too    01/11/2010    3 recensioni
Davanti al piccolo Ay, Amum non riesce a mettere in pratica la legge che gli impone di eliminare tutti gli errori. Perché durante la trasformazione del bambino qualcosa è andato storto e lui è diventato qualcosa di sbagliato, qualcosa che va eliminato... Ma il coraggio per compiere una simile atrocità non è facile da affrontare e Amum preferisce addossarsi la responsabilità delle conseguenze della sua decisione, perché tutti gli errori prima o poi si pagano.
Sesta classificata al contest "Once upon a bloody December" indetto da storyteller lover sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suono di quella notte calma era indescrivibile. Sentiva lo scorrere lento, pacato, delle acque del Nilo. Dalle case non proveniva nessuna voce, nessun rumore. Solo il lievissimo sibilo dei respiri.
Scricchiolio di piedi che camminavano sul legno, poco distante. L'ultima casa, in fondo alla strada, sulla destra. Forse al secondo piano. Difficile da dire. Durò qualche secondo, poi passò. Un sospiro leggero, di donna; un respiro regolare e tranquillo.
Il viottolo che cercava era poco distante dal palazzo. Non c'era nessuno. Né un cane alla ricerca di cibo, né un mendico. Forse nemmeno un insetto. Poco importava. Era buio, nessuno l'avrebbe visto.
Non fu difficile intrufolarsi in casa, come si aspettava. Quello che lo turbò fu la vista del vecchio scriba, che, incauto, era seduto immobile al centro della sua stuoia, concentrato su una pergamena pregiata, una candela accesa vicino a sé. Era talmente immerso nella lettura, osservò Amum, che nemmeno se gli avesse parlato si sarebbe accorto della sua presenza lì. Meglio. Non avrebbe avuto problemi a portare via quello per cui era venuto. Per precauzione, comunque, decise di nascondersi. Si avvicinò a un vecchio baule posto vicino alla parete, in silenzio, guardando appena le complicate scritte sulla carta che lo scriba esaminava. Non le riconosceva. Non sapeva leggere, nessuno gliel'aveva mai insegnato. Non aveva mai avuto desiderio di imparare. Non c'era nulla che meritasse di essere letto, in quell'insignificante distesa di sabbia. A che cosa gli sarebbe servito assimilare parole che qualcuno aveva trascritto? Gli importava davvero qualcosa della quantità di scorte di grano presenti in città? O forse sarebbe stato utile conoscere il numero di funzionari che vivevano a palazzo, i nomi loro e delle loro mogli, dei figli, dei parenti? No, non lo sarebbe stato. Era stupido anche solo pensarci.
Ma il bambino... Quello era importante! Il piccolo indovino. Il Bambino degli Spiriti, così lo chiamavano. Se fosse stato vero... Avrebbe usato quella sciocca creaturina ossuta per mettersi in contatto con quelle potenti creature, per farsi insegnare quale fosse il segreto del potere. Era quello che gli mancava. L'immortalità l'aveva, come aveva avuto modo di constatare. L'inumanità anche. Era fuori discussione che non fosse così. Ma il potere... Avrebbe avuto bisogno di qualcosa in più, qualcosa che lo aiutasse. E quel bambino era la chiave. Solo lui avrebbe potuto aiutarlo. Ma avrebbe dovuto essere cauto. Non sapeva quali fossero, esattamente, le sue capacità. Forse era persino in grado di mettere fine alla sua innaturale vita, e quindi era fondamentale fare in modo che il piccolo si trovasse bene con lui.
Si tese, in ascolto. Il suo cuore batteva dietro alla tenda che separava le due stanze. Gli sarebbe bastato arrivare dall'altra parte, e tutto sarebbe stato concluso. Si mosse in fretta, al punto che, se anche lo scriba avesse alzato gli occhi, non avrebbe potuto scorgere nient'altro che la sua ombra. Gli sarebbe sembrata un'illusione, non si sarebbe nemmeno allarmato più di tanto. Ma forse avrebbe svegliato il bambino, e questo poteva essere pericoloso.
Dormiva, in effetti. Sdraiato scompostamente su una stuoia di canna. Sembrava sereno. Mentre gli si avvicinava, Amum mise il piede su qualcosa di tondo e duro. Abbassò lo sguardo, irritato, fino a che non riuscì a scorgere una trottola abbandonata sul pavimento. Un giocattolo del bambino. La raccolse, la poggiò sull'orlo del vestito, ne afferrò due lembi e li legò insieme, in modo che la trottola fosse ben assicurata all'interno della stoffa. Guardò per un attimo l'antiestetico rigonfiamento che si era creato e le pieghe che aveva assunto il cotone chiaro, poi tornò a concentrarsi sul Bambino degli Spiriti. Con un gesto fulmineo gli tappò la bocca con la mano e lo sollevò da terra, mentre il piccolo apriva gli occhi, spaventato, e si dibatteva.
Doveva allontanarsi, subito, portarlo via prima che il padre fosse attirato dai gemiti disperati del bimbo. Nonostante si dimenasse, rimaneva comunque troppo debole per ferirlo o per contrastarlo. Gli sarebbe bastato poco per metterlo a tacere, solo un piccolo colpo, magari per fargli perdere i sensi. Ma non doveva fargli male. Se l'avesse fatto, gli spiriti sarebbero intervenuti e l'avrebbero annientato.
Saltò dalla finestra reggendolo con forza, impedendogli di fare un rumore eccessivo, che avrebbe allarmato gli abitanti. Ma gli ci volle poco più che qualche secondo per allontanarsi dalla città. Il deserto era ormai a qualche metro di distanza, lontano da tutti. Era così vicino ad ottenere quello che desiderava...
Poggiò il bambino a terra, tenendolo fermo con una mano. Lo guardò negli occhi pieni di lacrime e di terrore. Tremava, il piccolo infelice, e aveva paura di lui. Con cautela, consapevole della mostruosità del proprio riso, Amum gli rivolse il sorriso più tranquillizzante che riuscì a produrre, poi gli carezzò il cranio rasato, lasciando scivolare la mano sulla treccia nera che partiva dalla tempia e arrivava alla spalla sinistra. Gli poggiò una mano sul petto e gli soffiò piano sul volto tondo.
«Non aver paura, mio piccolo amico.» gli sussurrò. Il bambino singhiozzava. «Non voglio farti del male.»
Quelle parole sembrarono avere un effetto destabilizzante sul ragazzino, che cercava invano di sfuggire alla sua presa e di allontanarsi.
«Padre, padre...» gemette crollando a terra. Agitò i piedi sulla sabbia, nel tentativo di allontanarsi da Amum, ma quello lo teneva stretto. Ottenne solo di sollevare una nuvola di polvere che lo fece tossire.
«Stai calmo, mio piccolo amico.» continuò Amum carezzandogli di nuovo i capelli. Si inginocchiò accanto a lui, gli sfiorò il collo con il dito. «Sei un bravo bambino, vero? Un piccolo ometto. Tuo padre dev'essere molto orgoglioso di un figlio così educato e coscienzioso.»
«Padre, padre!» esclamò ancora il piccolo, come se quella parola potesse salvarlo. Il suo urlo era il lamento straziante degli agnelli al macello.
«Mio piccolo amico,» proseguì Amum con tono più deciso. «smetti di gridare. Tuo padre è lontano, e non può sentire. Chiama pure in aiuto i tuoi spiriti, non servirà. Ti porterò in un bel posto e ti regalerò la vita eterna. La vita eterna, mio piccolo amico! Dimmi, non ti piacerebbe?»
Il bimbo non rispose. Le lacrime scivolavano sulle guance rubiconde e finivano sul petto ossuto.
Amum rivolse uno sguardo al cielo. Si andava schiarendo, come temeva, e ben presto sarebbe stato giorno. Doveva concludere quello che aveva iniziato, e doveva farlo prima dell'alba. Non avrebbe potuto sopravvivere al sole del deserto, e sicuramente nemmeno il bimbo ci sarebbe riuscito, una volta che il suo sangue di mostro avesse scorso nel suo corpicino tremante.
Gli si avvicinò in un lampo, talmente veloce che, forse, il ragazzino non se ne accorse nemmeno. Affondò i denti nella pelle morbida del collo che profumava di sabbia. L'urlo che il bimbo fece seguire era uno strillo acuto e gorgogliante. Il suo sangue era il più dolce, il più fresco che Amum avesse mai assaggiato. Il sangue giovane di chi aveva ancora tanta vita davanti. A fatica si costrinse a smettere. Allontanò di poco la sua piccola preda, la guardò. Infine, con movimenti febbrili, affondò i denti nel proprio polso fino a che non ne stillarono gocce scarlatte. Avvicinò il braccio ferito alla bocca socchiusa del bambino, che sembrava non essere nemmeno più in grado di piangere e di lamentarsi.
«Bevi, mio piccolo amico, bevi. Sei malato, adesso, questo ti aiuterà a stare meglio.»
Ma il bimbo non sembrava intenzionato a seguire il suo consiglio. Aveva gli occhi vitrei, privi di espressione. Il suo corpo giaceva molle tra le braccia di Amum. Ma respirava ancora. Amum sapeva di non aver sbagliato, l'aveva già fatto, in passato. Quella volta, però, era un po' più grande. Una ragazza, quasi adulta. Non ne ricordava bene il nome, era una straniera, figlia di uno speziale, che conosceva bene le erbe e gli intrugli più strani. Una volta che era diventata ciò che Amum stesso era, però, se n'era andata. Senza dare alcuna spiegazione. Da quella volta, Amum non aveva più ricevuto sue notizie. Ma era passato così tanto tempo...
Bagnò la punta delle dita del sangue che colava dalla ferita, ne umettò le labbra del ragazzino. Sembrò risvegliarsi. Preso da una foga che Amum conosceva bene, strinse le piccole dita ossute sul polso dell'uomo e lo avvicinò alla bocca. Amum lo sentiva deglutire mentre beveva del suo sangue. Ricordava quella sensazione, quel dolore gorgogliante ed estatico. Era incredibile, impossibile da descrivere. Intenso fino alla follia. Ma bastava così poco perché quel piccolo, nuovo vampiro gli rubasse anche l'essenza di quella sua vita immortale...
«Basta così, mio piccolo amico.» lo redarguì con sfinita dolcezza, cercando di liberarsi dalla presa del bambino. Ma, in quella condizione di debolezza, faticava a prevalere. Il bambino era più forte ogni volta che un po' del suo sangue entrava nel suo corpo, e lui, di conseguenza, sempre più debole. Ma doveva liberarsi! Doveva farlo smettere, o sarebbe stato troppo tardi, troppo tardi.
«Basta così!» gridò allontanando il bimbo con una potente spinta. «Basta.» proseguì con tono mellifluo. «Basta, mio piccolo amico. È abbastanza.»
«Ne voglio ancora.» Amum sorrise. Aveva la voce biscottata dei bambini, ma quant'era più bello di quelle insulse creature mortali! La pelle devastata dai morsi dei pappataci aveva lasciato il posto a una carnagione così perfetta e vellutata che a stento Amum si trattenne dal toccarla. Gli occhi scuri erano talmente vivi, talmente brillanti che persino nella notte, forse, un essere umano sarebbe riuscito a scorgerli. Eppure, il corpo era rimasto gracile e ossuto come prima della trasformazione, con gran disappunto di Amum. Quando il bambino si mosse, notò che anche la sua lieve zoppia non era migliorata.
«Ne voglio ancora.» ripeté il bambino con voce più forte. Quale suono! Quale delizioso, armonico suono. La voce più chiara e cristallina che avesse mai udito. Quant'era pura! Ed era sua. Il Bambino degli Spettri era suo! Gli apparteneva, era chiaro, anche se non era necessario dirlo. Era stato lui a crearlo, dopotutto, ed era giusto che gli obbedisse e lo venerasse nello stesso modo in cui i figli ascoltano e amano i genitori.
«Certo che ne vuoi ancora.» annuì allora guardando il suo nuovo discepolo. «Ma non ora.»
Gli cinse le spalle esili con il braccio e con la mano libera gli indicò il cielo, ormai sempre più chiaro.
«Vedi? Sta diventando giorno, e tu devi dormire.»
«Ma non si dorme quando è giorno.» protestò il bambino, guardandolo con scetticismo. Sembrava che non capisse come potesse, un adulto, non essere a conoscenza di una regola così semplice. Amum mise su uno sguardo serio e annuì di nuovo, ma questa volta più lentamente.
«Sì, mio piccolo amico, è così, ma vedi, tu adesso sei molto malato.» Quando vide lo sguardo allarmato del bambino, si affrettò a specificare: «Non è una malattia grave! No, davvero... Ma il sole ti farà male. Ti brucerà la pelle e gli occhi, e soffrirai. Per questo dovrai nasconderti. Cercheremo insieme un luogo sicuro, dove nessuno potrà trovarti.»
«Ma mio padre?» domandò allora lui con un guizzo improvviso, come se si fosse ricordato all'improvviso di qualcosa che aveva appena dimenticato.
«Per tuo padre sarebbe pericoloso averti accanto. Potrebbe ammalarsi anche lui, e non è ciò che vuoi, vero?»
«No, ma...»
«Sarebbe pericoloso, mio piccolo amico, pericoloso! Pensa. Tuo padre è ormai anziano. Non pensi che la malattia potrebbe ucciderlo? Vuoi forse comportarti come un piccolo egoista, mostrando di non avere a cuore la salute di tuo padre?»
«No!» esclamò allora lui. Sembrava atterrito solo all'idea.
«Bene. Allora, mio piccolo amico, dimostra di essere buono e intelligente come sembri. Vieni qui, e aggrappati alle mie spalle. Ti porterò in un luogo sicuro, dove potrai riposare con tranquillità.»
E al piccolo non rimase altro che obbedire. Amum sentì le sue piccole, fragili mani stringersi sulle sue spalle, le gambe esili e nude cingergli la vita. Attese che si fosse sistemato per bene, poi partì con un balzo.

Il bimbo non sembrava essersi spaventato più di tanto per quel viaggio a velocità sovrumana. Certamente i suoi nuovi poteri gli permettevano di resistere incolume a una simile accelerazione, eppure Amum ricordava benissimo la sensazione di terrore che lui stesso aveva provato la prima volta. Il bambino, invece, appariva tranquillo. Con una manina teneva la treccia di capelli scuri, con l'altra si massaggiava il petto.
«C'è qualcosa che non va, mio piccolo amico? Questo posto non ti piace?» gli chiese allora Amum con garbo, spingendolo leggermente per le spalle, in modo che si allontanasse dalla porta della piramide e che potesse evitare i raggi del sole che iniziava a sorgere.
«Dov'è mio padre?»
«Molto lontano da qui, mio piccolo amico.» Gli si inginocchiò accanto e posò la testa contro la sua. «Ma non puoi tornare da lui, lo sai. Che cosa diresti se si ammalasse? Saresti felice?»
Per risposta, il bimbo scosse il capo.
«Bravo. Comportati bene, e domani ti insegnerò a fare delle cose che ti piaceranno. Potremo salire sulla cima della piramide e da lì vedere tutto il deserto. Ti piacerebbe, sì?»
«Sì, tanto.»
«Bravo, mio piccolo amico. Adesso vieni, ti faccio vedere dove dormirai.»
Mosse qualche passo e si arrischiò a proseguire solo quando vide che il bambino lo seguiva. Ci aveva messo parecchio per trovare la camera tombale di quella vecchia piramide, ma quando c'era riuscito aveva deciso che quella sarebbe stata un'ottima protezione, durante il tempo che avrebbe trascorso in Egitto. Nessuno sarebbe riuscito ad arrivare vivo al centro di quella costruzione, per quanto abile un umano potesse essere. Inoltre, era praticamente sicuro che coloro che avevano progettato quel posto fossero ormai morti da centinaia di anni.
La camera funeraria era colma di oro e di oggetti preziosi. Amum non li aveva toccati. Per quanto lo riguardava, potevano restare dov'erano. Si era premurato, però, di eliminare la mummia del faraone per cui era stata costruita la piramide, così come aveva fatto con quelle della moglie e dei figli. Li aveva trovati in una stanza adiacente, più piccola, mentre il faraone riposava in quella principale.
Lo impressionava l'idea di dormire accanto alla salma di un umano, per quanto innocua potesse essere.
«Ecco, io dormirò in questa grande stanza, mio piccolo amico. Lo vedi quel sarcofago?»
Il bimbo annuì.
«Io dormirò lì dentro. Tu invece potrai stare nella camera accanto, è altrettanto bella. E sarai al sicuro. Il sole non potrà raggiungerti. C'è un sarcofago anche per te.»
«Non voglio dormire dentro un sarcofago. Ho paura.»
Amum sorrise. Non poteva permettersi di spaventarlo, né di renderselo nemico, ma aveva fretta. Il bimbo doveva dormire. Riposare, rilassarsi, imparare a muoversi nel suo nuovo corpo.
«Sarai perfettamente al sicuro. E poi, mio piccolo amico, io sarò proprio vicino a te. Se accadesse qualcosa, ti aiuterei.»
Il bimbo si morse il labbro inferiore senza guardarlo.
«Me lo prometti?» piagnucolò gettando un'occhiata terrorizzata all'ingresso dell'altra camera.
«Ma certo, mio piccolo amico.» gli assicurò Amum prendendolo per le spalle e sospingendolo verso la seconda stanza. Quando vi furono dentro si avvicinò al sarcofago, lo aprì e carezzò la morbida stoffa che vi aveva collocato.
«Vedi com'è bello?» domandò con voce suadente. «Ti piacerà, mio piccolo amico. È comodo.»
Lo aiutò a entrarvi, carezzandogli il cranio tondo e le guance lisce, e quando si fu disteso gli indicò un tavolo posto proprio di fronte al sarcofago.
«Accenderò una candela proprio lì.» gli spiegò. «Se per caso ti sveglierai, mio piccolo amico, dovrai controllare se è accesa. Se è spenta significa che è notte, e che puoi uscire.»
«E se invece è accesa?»
«Se è accesa allora dovrai richiudere il sarcofago e dormire ancora. Ricordatelo bene, è importante. Il fuoco della candela significa che è ora di dormire.»

 

Ed ecco qui il prologo di questa mia nuova storia. E' stato il mio primo tentativo in ambito di vampiri, e soprattutto è stata la mia prima storia che non avesse tematica romantica, perciò sono soddisfatta del mio sesto posto (e il bannerino è bellissimo. Andate, andate a vederlo nella mia pagina autore!). Ne approfitto quindi per ringraziare tantissimo storyteller lover, che ha indetto il contest e che ha avuto la pazienza di giudicare tutte le storie, Prisca Turazzi, che ha fatto i banner (stupendi) e tutti gli altri partecipanti, di cui prima o poi leggerò le storie.
Aggiungo inoltre i miei complimenti a tutti gli altri partecipanti e in particolar modo ai tre podisti.

Qualsiasi commento sulla storia sarà sempre gradito, e vi ringrazio in anticipo se deciderete di commentare.

Baci,

rolly too

   
 
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