Tredici
Pochissime ore dopo,
Alberto aprì gli occhi, leggermente scosso da Thomas.
-Ehi, bello addormentato-
gli disse con un sorriso –ho risolto il puzzle. Prepara l’auto, andiamo a fare
una gita fuori città.-
*****
Il foglietto che Thomas
aveva ricomposto conteneva un indirizzo, scritto a grandi caratteri con una
biro blu. Thomas l’aveva cercato prima su Google Maps, ma non riuscendo a
trovare delle foto più chiare della semplice visione dal satellite, aveva
deciso di andarci di persona insieme ad Alberto.
-E dove sarebbe questo
indirizzo?- chiese Alberto, non vedendo alcun nome di via o numero civico.
-C’è scritto “S.S. 20 – Km
“Se invece di andartene
per conto tuo fossi rimasto con la tua mamma, Alberto, forse adesso Nathan
sarebbe ancora qui!” gli aveva detto sua madre a seguito della scomparsa del
fidanzato… Non che avesse tutti i torti. Sapeva che sua madre si svegliava
sempre di buon’ora, e se avesse visto Nathan, sicuramente gli avrebbe chiesto
“Dove stai andando, Nathan?”, e forse non sarebbe mai successo. Sospirò.
Intanto, Thomas si era già
avviato verso l’entrata. Com’era prevedibile, il portone principale era
sbarrato.
-Da qui non si passa.-
dichiarò, guardandosi intorno per cercare un’altra via d’accesso.
-Proviamo di là.- disse
Alberto, girando intorno al casale e trovando una porticina socchiusa.
Entrati, si trovarono in
un locale piuttosto buio, polveroso e pieno di robaccia sul pavimento.
Nell’aria, c’era un odore di stantio e marcio.
-Che puzza…- mormorò
Alberto, turandosi il naso. Lo stesso fece Thomas.
Aiutati dalle luci di due
torce, quella di Alberto che di solito teneva in auto per le emergenze, e
quella di Thomas, si fecero strada nel casale, alla ricerca di indizi che
potessero suggerire l’identità dell’assassino. I fasci di luce illuminarono il
pavimento, così pieno di cartacce e sporcizia, che non si riusciva a
distinguere il terriccio dal pavimento vero e proprio, ormai ridotto a pezzetti
di mattonelle, inframmezzate da vecchie foglie morte. Sui muri, parecchie
scritte, probabilmente create da barboni o writers senza fissa dimora, e
ovviamente parecchie bottiglie di birra, alcune integre ed altre rotte.
Nel silenzio più totale,
Thomas ed Alberto attraversarono due stanze, poi una che sembrava essere il
salone. Qui Alberto si sentì prendere da una sensazione di dejà vu, che gli
fece tremare tutto il corpo, oltre ovviamente a fargli accapponare la pelle.
Sembrava maledettamente
simile al salone da ballo del suo sogno.
Thomas se ne accorse, e
gli chiese se stesse bene. Alberto rispose annuendo, dichiarando “tutto bene”
sottovoce. Riprendendo la marcia, Thomas entrò in una specie di sgabuzzino. Una
porticina che dava chissà dove. Fece una faccia disgustata.
-Il fetore sembra
provenire da qui. Cavolo…-
-Sembra una riserva di
calzini sporchi.- commentò Alberto, di nuovo turandosi il naso.
-Vado avanti. Tu coprimi
le spalle…- disse, prendendo un tubo da terra, come arma di difesa in caso di
pericolo imminente.
Alberto si accontentò di
un bastone da scopa trovato appoggiato ad un muro, e lentamente seguì i
movimenti di Thomas, che stava già aprendo la porticina.
La porta dava su uno
stretto passaggio dove scendevano delle scale. Il fetore era più denso adesso.
Thomas si girò, guardando negli occhi Alberto.
-Non so cosa potremo
trovare lì sotto. Quindi, se non te la senti, non venire, d’accordo?- dichiarò.
Alberto scosse la testa.
-Sei completamente matto
se pensi che ti lasci andare lì sotto da solo.-
-D’accordo, ma poi non
dire che non ti avevo avvertito- disse, sollevando un indice sotto il naso di
Alberto.
Lentamente, scesero le
scale, addentrandosi in un angusto corridoio. “Di certo un ciccione non
potrebbe passare di qui” pensò Alberto, indirizzando il fascio di luce della
torcia che stranamente stava diventando più debole.
-Ma… che succede?- chiese
Thomas.
-Le batterie. Forse sono
scariche.-
-Ho capito, useremo la
mia. Spegni la tua torcia.-
Avanzarono per un po’,
quando Thomas si sentì urtare da una specie di sacco peloso che gli urtò la faccia.
Nel buio, urlò, gettandosi fra le braccia di Alberto, che saltellò all’indietro
e pestò qualcosa che lo fece trasalire a sua volta. Urlarono entrambi,
abbracciati, in preda al terrore. A Thomas cadde di mano la sua torcia.
-Cazzo!! Mi è caduta la
torcia! Accendi la tua, fai un po’ di luce!-
Alberto obbedì, e nella
fioca luce concessa dalle batterie semi-scariche, i due si ritrovarono in un
ambiente dallo spettacolo raccapricciante.
Al soffitto, erano appesi
dei cavi elettrici a cui erano impiccati dei gatti. Alcuni penzolavano per il
collo, altri per le zampe posteriori… Altri ancora erano addirittura decapitati
o dimezzati. Alle pareti, migliaia di scritte, all’apparenza tutte lettere a
caso, alcune vergate con vernice nera, altre con una strana vernice rossastro -
marrone. Uno spettacolo agghiacciante, che fece drizzare i capelli sulla testa
di Thomas, che si girò per non guardare, cercando rifugio nelle braccia di
Alberto, stringendolo forte mentre lui osservava impietrito quella specie di
stanza delle torture felina. Indirizzò il fascio di luce verso le pareti. Su
alcune parti c’erano dei gatti inchiodati al muro, ed il pavimento era pieno di
scheletri di quelle povere creature ormai putrefatte.
-T…Thomas?- chiamò
sottovoce Alberto, sentendo che il ragazzo stava tremando di paura fra le sue
braccia. –S… sono … sono soltanto cadaveri di gatti, non … non aver paura.- la
luce si stava spegnendo, ma Alberto fu lesto a ritrovare la torcia di Thomas e
l’accese. Per fortuna, le batterie erano ancora cariche.
-Forse… forse è meglio che
io faccia qualche fotografia qui.- disse Thomas, cercando di ritrovare il
contegno che lo contraddistingueva. Lentamente si dissolse dall’abbraccio ad
Alberto e tirò fuori la macchina fotografica digitale dal taschino della sua
giacca, incominciando a fotografare le pareti.
Le migliaia di lettere,
apparentemente non avevano un senso, ma per Thomas, che aveva studiato un po’
della mente degli assassini, potevano essere una nuova chiave. Fotografò
minuziosamente tutte le pareti, cercando di non far sfuggire nessuna lettera al
censimento. Alberto cercò di non intralciare il suo lavoro, sentendosi sempre
più preoccupato per le sorti del suo Nathan, pregando ancora una volta che il
suo ragazzo non fosse finito come una di quelle povere bestiole che erano
presenti lì. Mettendo via la macchina fotografica, Thomas andò verso Alberto,
dichiarando di averne abbastanza di quel posto e di voler tornare a casa.
*****
Guidando, Alberto si
massaggiò la guancia sinistra. Ricordava di essersi addormentato e poi di aver
fatto un sogno, dove nel sogno baciava Nathan. Ricordava anche di aver detto
“Nathan”, ma all’improvviso gli era arrivata una sberla tale da interrompere la
proiezione del suo sogno e mandarlo a dormire direttamente. Lanciò un’occhiata
a Thomas, seduto sul sedile passeggero, che stava armeggiando con la macchina
fotografica. Nella sua mente, l’interrogativo più grande. Perché l’assassino
avrebbe dovuto scrivere su un foglietto l’indirizzo di un casolare? E poi
perché distruggerlo e lasciarlo lì? L’ipotesi più probabile forse risiedeva in
un eccesso di megalomania dell’assassino: divertirsi nel vedere se riuscivano
ad incastrarlo in qualche modo. Si morse
il labbro inferiore, mentre visionava le foto che aveva scattato poco prima. Finite
di scorrere le fotografie recenti, si mise a guardare le foto più vecchie… Aprì
la prima cartella. Fotografie della sua festa di laurea, celebrata in una
pizzeria alla periferia di Bologna. Tante le facce, gli affetti, i ricordi che
quei tre anni gli avevano lasciato… Vide alcuni suoi vecchi compagni di corso,
e addirittura il suo ex ragazzo (che non ricordava perché l’avesse invitato).
Poi fu la volta della seconda cartella. Qui c’erano alcune foto riguardanti il
suo ritorno a Torino. Sorrise nel vedere che conservava ancora qualche
fotografia di Daniele. Infatti ce n’era una dove erano uno accanto all’altro
sotto
Qui c’erano fotografie di
un convegno al quale era stato (in un manifesto alle spalle del relatore c’era
scritto “Reati perpetrati dai politici – tra improcedibilità ed omertà”).
Scorrendo le immagini, le sue labbra si spalancarono leggermente, proprio
com’era successo all’epoca del convegno… avrebbe voluto dire la sua riguardo ai
reati di cui era stato diretto testimone in un tempo che adesso sembrava
lontanissimo, un tempo che l’aveva visto battere le strade e offrire il suo
corpo a vecchi lascivi che si facevano riempire (o riempivano) da giovani
ragazzini a volte minorenni. Chiuse gli occhi, non sopportando quel ricordo. Poi,
pochi attimi dopo, il suo stomaco ebbe una reazione.
-A..Alberto… Fermati.
Fermati!-
-Cosa…? Cosa c’è?-
-Fermati, ti ho detto!!!-
Con calma, Alberto accostò
“Ma che cosa gli ha
preso?” pensò Alberto. Si chinò, aprì il portaoggetti della sua auto e ne
estrasse un pacchetto di fazzoletti. Poi da sotto il sedile prese una
bottiglietta d’acqua, e lentamente raggiunse Thomas.
Non sopportando il peso di
quei ricordi, Thomas si era totalmente svuotato del pranzo, eppure ancora
sentiva di dover rigettare. Si tenne la fronte ancora per un po’, ma non cavò
altro che amara bile dal suo piccolo stomaco. Mentre respirava a fatica, cercando
di ricacciare indietro anche quelle lacrime che gli erano uscite, più per il
dolore che per lo sforzo, si sentì toccare la spalla delicatamente. Lì c’era
Alberto con in mano un pacchetto di fazzoletti ed una bottiglietta d’acqua.
-Chi… chi ti ha detto di
venire a soccorrermi? Sto benissimo.-
-Non mi pare che uno che
vomita l’anima in mezzo ad una strada di campagna possa stare benissimo-
replicò Alberto.
Senza nemmeno ringraziare,
Thomas afferrò la bottiglietta d’acqua e il pacchetto di fazzoletti,
asciugandosi le labbra prima e bevendo a grandi sorsate direttamente dal collo
della bottiglia dopo.
-Da quando in qua ti
preoccupi per me?- e sputò un grumo di saliva sul terreno. Alberto non rispose.
–So di essere stato io a chiederti di ritrovare il tuo ragazzo, ma credo che tu
sia veramente troppo attaccato a lui. Vuoi smetterla con questo atteggiamento?-
concluse, guardando Alberto con una faccia furente. Questa volta Alberto non
poté trattenersi dal rispondergli per le rime.
-Ehi, si può sapere che cazzo
ti prende? Entri in casa mia, mi prendi a botte, poi mi offri il tuo aiuto e
fai il carino e gentile, e neanche cinque giorni dopo, mi tratti così?!?-
rispose Alberto, alzando la voce –Ma chi ti credi di essere, eh?- Non gli diede
il tempo di rispondere, che lo attaccò di nuovo –Che cosa avresti fatto, che
cosa cazzo faresti tu al mio posto, se il tuo fidanzato anziché scriverti una
lettera dove ti diceva che andava a sbatterlo nel culo ad un altro, se ne fosse
andato di casa e ti avesse lasciato per due anni nello sconforto??? Eh??-
adesso stava urlando. Thomas si girò a dargli le spalle, incrociando le
braccia. I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Si allontanò, e questo
ebbe l’effetto di fare incavolare Alberto ancora di più.
-Rispondimi, cazzo!!!-
urlò al suo indirizzo. Ma Thomas stava già camminando verso l’auto. Alberto lo
seguì, ma Thomas accelerò fino ad incominciare a correre. Guadagnata l’auto,
aprì lo sportello passeggero e tolse le chiavi dal quadro, spingendo il
bottoncino che chiudeva tutte le portiere. Quando Alberto raggiunse l’auto,
provò ad aprire gli sportelli e non vi riuscì.
-Cazz… Thomas, apri le
portiere.- disse, tra i denti, mentre provava ad aprire. Thomas era dentro,
rannicchiato nei sedili posteriori, coprendosi la faccia che gli si era
riempita di lacrime.
Fuori, Alberto si stava
alterando di brutto. Non gli era mai capitato di dover scendere a patti con un
ragazzo, nemmeno con Nathan… Egli era molto più intelligente, e di sicuro non
si comportava come un ragazzino come faceva Thomas. –Thomas, non peggiorare le
cose. Apri le portiere, questa è la mia auto, e tu non hai il diritto di…- si
fermò, vedendo che Thomas gli stava mostrando il dito medio. –Ah! È così?
Guarda che se non apri immediatamente, prendo un sasso e sfondo il finestrino!-
esclamò, ma quando ripensò alle ultime due rate ancora da pagare, si morse il
labbro. Fece una pausa, guardando Thomas che si nascondeva e si sentiva
protetto dall’abitacolo dell’auto.
-Thomas!!!- urlò di nuovo
Alberto, picchiando i pugni sul finestrino della sua stessa auto –Smettila di
comportarti così! Se c’è qualcosa che non va, parliamone, ma non è questo il
modo di agire!- pausa. –Mi hai sentito? Thomas!!!-
A nulla servirono i
ripetuti avvisi all’indirizzo di Thomas, inframmezzati da minuti di pausa. Il
ragazzo continuava a non voler sentire, e Alberto si decise a darsi una calmata
anche lui. “Tanto non potrà stare lì chiuso per tutto il pomeriggio”.
Si sedette sul ciglio
della strada e aspettò, mentre la sera scendeva, avvolgendo tutto nell’ombra e
nel freddo. Ricordando i gatti nel casolare, Alberto si preoccupò che
l’assassino potesse essere nei paraggi, e desiderò rientrare nel suo veicolo.
Poco dopo, il suo cellulare suonò. Un messaggio da parte di Thomas.
“Vieni dentro” diceva.
Alberto scattò in piedi, e
velocemente aprì la portiera del lato posteriore. Thomas si era seduto, la
testa poggiata al finestrino, i suoi occhi che guardavano l’oscurità… avrebbe
dovuto essere in collera con lui, ma anziché essere arrabbiato, Alberto gli
chiese –Cos’hai?- Thomas non rispose.
-Ti ho fatto una domanda-
incalzò Alberto. Ma Thomas non rispondeva ancora… sospirò, e si decise ad ignorarlo. Per lo
meno, era riuscito a rientrare in auto con lui. Abbassò la sicura, chiudendo di
nuovo l’abitacolo.
Dentro di sé, Thomas stava
provando dolore. Un dolore antico, forse addirittura collegato all’evento
stesso della sua nascita. Una vita a cui si erano aggiunti solo dolori, che in
parte aveva cercato di guarire con i migliori sforzi possibili, ma non c’era
sforzo che poteva resistere di fronte al dolore più bello…
Accanto a lui, Alberto
sospirò di nuovo, ricordando il sogno in cui Thomas piangeva e gli individui
dicevano “A morte l’impostore”, ed ebbe un brivido di freddo. Lentamente, quasi
guidato da un istinto che non conosceva, allungò il suo braccio a cingere le
spalle di Thomas. Questi si sentì combattuto dentro di sé. Da un lato sentiva
il calore riscaldargli il corpo, e dall’altro provava repulsione verso Alberto,
ancora così attaccato a Nathan che sembrava non voler accettare sentimenti da
un’altra persona. Questo secondo pensiero fu spazzato via quando Alberto lo
tirò a sé, stringendolo in un abbraccio protettivo. Senza dire nulla, ma
tenendo gli occhi aperti, Thomas si lasciò abbracciare, tenendo le mani in
grembo. Con la sua mano destra, Alberto prese le piccole mani di Thomas, che
ora erano fredde come il ghiaccio… Lasciò la sua mano destra su quelle di
Thomas per un po’ di minuti, quando il ragazzo aprì le mani e incominciò a
strofinare quella di Alberto, intrecciando le dita con le sue. Alberto sentì
gli anelli di Thomas che erano abbastanza gelidi.
-Perché?- sussurrò Thomas,
così lievemente che Alberto fece fatica a sentirlo –Perché stai facendo
questo?- deglutì –Io… io non sono …-
-Shhh.- lo zittì Alberto,
posandogli un dito sulle labbra… – Adesso facciamo un gioco. Fai finta che io
sia una persona che vuoi tu.- nel buio dell’abitacolo, ad Alberto sembrò che
Thomas spalancasse gli occhi per la sorpresa. –Io sono chi vuoi, e sarò il tuo
compagno di giochi.- sorrise. Per un attimo Thomas si dimenticò di essere un
ragazzo intelligente, laureato con il massimo dei voti, intuitivo… ma
soprattutto forte. Per qualche strano motivo, Alberto aveva una specie di
ascendente su di lui. E si lasciò andare alla fantasia.
Con le ginocchia scavalcò
il grembo di Alberto e si mise a sedere sulle sue cosce, accarezzandogli
dolcemente le guance. Lo guardò negli occhi castani, ammirando come il ragazzo
fosse una bellezza diversa da quelle che era abituato a vedere nei locali… una
bellezza naturale. Forse adesso capiva perché Daniele si fosse innamorato di
lui. Era semplicemente… stupendo.
Alberto incontrò gli occhi
verdi di Thomas, cercando di indovinare a chi stesse pensando per realizzare
quel timido gioco… forse al suo ex ragazzo? O forse a qualcuno che in passato
gli aveva rubato il cuore? Non se ne curò più di tanto, ma cercò piuttosto di
lasciarsi andare, dato che lui stesso aveva proposto il gioco.
Sopra di lui, Thomas
avvicinò il suo sguardo, chiudendo gli occhi ed aspirando il profumo dolce di
Alberto, quasi chiedendosi perché Nathan l’avesse abbandonato, se così aveva
fatto, e dispiacendosi per lui nel caso che Nathan fosse stato portato via e
non avesse più potuto aspirare quella fragranza. “Scusami, Nathan…” pensò, mentre
le sue labbra andavano a baciare quelle di Alberto, dolcemente, massaggiandole
e assaporandone la dolcezza…
Quando le labbra di Thomas
toccarono le sue, Alberto chiuse gli occhi. Quelle labbra sapevano di fragola,
forse un lucidalabbra o del burro cacao che si era applicato… però erano dolci,
morbide… Così morbide che Alberto ne volle di più. Lo baciò con passione,
vedendo che Thomas si offriva al gioco…
Con le braccia Thomas
avvolse il collo di Alberto e lo strinse forte, e lo stesso fece Alberto,
avvolgendo la vita di Thomas e abbracciandolo teneramente. Con le scarpe Thomas
stava accarezzando le gambe di Alberto, a sottolineare quanto a cuore gli
stesse quel gioco. Con la lingua fece pressione tra le labbra di Alberto,
cercando di schiudergliele… Alberto si lasciò sottomettere al suo volere ed
aprì la sua bocca, lasciando che la lingua di Thomas entrasse… Le loro lingue
si strofinarono insieme, lottando per un po’ di tempo…
Restarono lì,
nell’abitacolo della Fabia di Alberto per un bel po’ di tempo, a scambiarsi
tenere effusioni… Da fuori, i vetri dell’auto erano appannati, e le pochissime
auto che passavano sembravano non curarsi di ciò che stava succedendo in quella
piccola station wagon… Neanche quella volta Alberto vide Nathan apparire
all’improvviso. Si aspettava che sarebbe apparso più tardi, ma se proprio
avesse dovuto, gli avrebbe detto “era tutto un gioco, amore mio…”
Come avendo sentito i suoi
pensieri, Thomas si staccò dalle labbra di Alberto e lo guardò.
-…Alberto…?-
-…Thomas?-
Thomas aprì la bocca, per
aggiungere qualcosa, poi scosse la testa e piegò le sue labbra in un sorriso
leggero, quasi di compassione. Con le dita accarezzò il collo di Alberto,
arrossendo leggermente.
“Vorrei soltanto che
questo non fosse solo un altro gioco” pensò Thomas, e come per auto-zittirsi,
riprese a baciare Alberto, che si lasciò andare ancora una volta, una parte di
sé che desiderava che non stessero soltanto giocando.