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Autore: Many8    01/11/2010    6 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Eccomi come promesso ad aggiornare!
Le due domande che avevo fatto erano due, le paure e i pov.

Per le paure devo dire che io non so quali siano davvero le mie, faccio parte del gruppo " Molti non conoscono le proprie paure..." , quelle che riconosco sono: le calamità naturali, ho timore di perdere le persone a me care e di incombere nelle paure, ma credo che per la maggior parte delle volte io abbia paura di avere paura... un pò stupida, ma ahimè sono io!

Per i POV: credo che la maggior parte siano esclusivamente Bella, ma forse ci sarà qualcuno Edward... poco probabile, perchè a me non piace tanto fare questo salto, lo leggo con piacere ma se devo scriverlo io no... preferisco raccontare da un solo punto di vista e credo che l'abilità di uno scrittore stia in questo, far capire i punti di vista di tutti da uno solo...

ok, basta con gli sprloqui, vi lascio al capitolo, e scusate l'ho fatto con un mal di testa da pazzi...


Dobbiamo abituarci all'idea che ai più importanti bivi della vita non c'è segnaletica
Ernest   Hemingway
 
 
 
 
Un'altra giornata vuota, un'altra giornata piena di ricordi e sofferenze, mi chiedevo se lo strazio sarebbe mai finito... 
No, la risposta era questa.
Mi chiamavo Isabella, Bella per gli "amici", quei pochi amici, ero un'insignificante umana, ventitrenne, dagli occhi color cioccolato, come i capelli, lunghi con ampi boccoli, e infine un fardello sul dorso di cui nessuno conosceva l'entità, tranne ovviamente la sottoscritta.
La mia vita era cambiata, in modo drastico, da quando mi lasciai con il mio fidanzato Jacob...
Mi ritrovai in ospedale con due costole incrinate e un il radio rotto del braccio sinistro. Da quel momento decisi di chiudermi in me stessa, non era per le ossa rotte ma per ciò che era successo prima, prima che mi lasciassi con Jacob. Il mutismo mi aiutava molto, le persone non mi rivolegevano più la parola, sapendo che non ci sarebbe stata una risposta. 
Ma il lato negativo era che i miei genitori, preoccupandosi, prima mi avevano portata da uno psicologo, ma non vedendo effettivi miglioramenti mi avevano rinchiusa in questo posto; un istituto di salute mentale, o per meglio dire un manicomio.
Per loro era stato tutto più semplice scaricarmi qui, ma per me no. Continue sedute con psicologi, medicinali come calmanti , anche se i tranquillizzanti non mi servono a nulla, ero già calma di mio, sapevo che fin a quel punto nessuno mai aveva capito ciò di cui veramente avevo bisogno, neanche mia madre, colei che conoscevo di più, quella donna che mi aveva messa al mondo e mi conosceva come le sue tasche, secondo Renee (il nome di mia madre), ero impazzita... In un  certo senso lo stavo diventando... stavo impazzendo per il dolore e il senso di colpa che mi opprimeva...
Ero nella mia stanza in quella notte nella quale tutto ebbe inizio, ci fu un risvolto.
Erano le due di notte quando mi svegliai ansante, l'ennesimo incubo aveva interrotto i miei sogni. Tutti erano correlati a ciò che successe pochi mesi prima, anche le fitte al basso addome sono iniziate da quell'episodio...
Mi giravo nel letto guardandomi intorno, la stanza era piccola, conteneva una scrivania con un televisore poggiato su, una poltroncina e una minuscola libreria possedente miseri libri, e poi c'era il mio letto che occupava un terzo della stanza, un comodino adiacente ad esso, un armadio che conteneva i miei vestiti ed infine una porta che portava al bagno, si poteva dire che il bagno fosse più largo della stanza.
Mi giravo e rigiravo nel letto cercando di riaddormentarmi, vanamente. Quando capì che tutti i miei sforzi erano nulli, mi alzai dal letto accostandomi alla finestra. Il cielo era ricoperto di nuvole, la luna era nascosta, faceva capolino ogni tanto, quando lo spesso strato di nuvole glielo permetteva; trovai delle analogie tra noi, anche io ero in un certo senso così. 
Venivo notata solo quando nessuno mi oscurava, e c'era sempre qualcuno che mi nascondeva nella sua ombra.
Osservai il giardino, antistante la clinica, era immenso, passavo intere giornate tra l'erba e i fiori, magari quando c'era il sole era anche più piacevole, il mio posto era lì, sotto un pino tra cespugli e fiori. Il loro odore mi riempiva i polmoni quando ci sedevo, inebriava i miei sensi donandomi tranquillità e in quei momenti riuscivo a dimenticare tutto; il resto del mondo.
Continuavo a guardare fuori attraverso il vetro e il ferro, le finestre erano provviste di cancellate, noi "pazzi " eravamo molto popolari per aver messo fine alla nostra vita così, lanciandoci nel vuoto, quelle persone non erano pazze, ma bisognose di affetto e amore, quello che manca in questi posti, così freddi e solitari. Tra noi ci facevamo compagnia, ma la maggior parte delle volte ognuno pensava a sé, era una regola di vita, anche tra i comuni e "normali" mortali.
Presi il mio quaderno e iniziai a fare degli schizzi del territorio, ero molto brava col disegno, riuscivo a comunicare attraverso esso, riuscivo a riprodurre nei minimi particolari tutto ciò che mi circondava, ero in clinica da circa tre settimane, ed erano passati quasi due mesi da quando avevo rotto con Jacob, da quel momento i colori dei miei disegni erano diventati sempre più scuri, avevo notato come l'intensità dei colori fosse cambiata dal prima e il dopo, forse i disegni erano soltanto un modo di comunicare incosciamente ciò che provavo. 
Da circa due mesi non parlavo più, comunicavo con medici, psicologi, infermiere e famigliari attraverso la scrittura, loro mi facevano delle domande ed io rispondevo semplicemente; ma non prendevo mai io l'iniziativa, mai.
Iniziai a ritrarre il giardino, con tutte le sue caratteristiche, poi iniziai a disegnare il pino e i cespugli dove spesso mi " nascondevo"; nel complesso era molto vivido e naturale. Un ottimo lavoro. In quel momento servivano dei pastelli, li avevo deposti con cura sulla libreria, all'ultimo ripiano, non volevo che le infermiere facessero caso a loro, e anche al mio quaderno, al maggior parte delle volte lo posavo lì, custodito dall'altezza.
Presi la poltroncina,  e con più delicatezza possibile la spostai silenziosamente accanto alla libreria, ci salii su, e mi allungai per prendere il portacolori, il mio metro e sessanta non  mi aiutava di fatto.
Poi... poi non so che movimento feci, seppi solamente che una dolorossisima fitta all'addome e persi l'equilibrio, cadendo all'indietro. Cercai di sostenermi alla libreria, ma il mio peso la trascinò con me.
Tra il volo e l'impatto  sembravano essere passate ore e non secondi, trattenni il respiro, chiusi gli occhi portando le braccia al petto e l'impatto con il suolo arrivò forte e doloroso. Lo scontro con il suolo creò un forte boato, la mia povera testa sbattè contro il freddo pavimento, sentì il sangue copioso e caldo scorrermi tra i capelli ad una velocità allarmante, non riuscivo a respirare per il dolore che stavo provando un pò ovunque sul mio corpo,  la schiena mi doleva,  ma la sofferenza che pativo di più era alla testa. La libreria mi cadde addosso rovescindo i libri su di me, sentì un dolore acuto alla gamba destra.
La porta si aprì, trovò le mie gambe e con un nuovo tonfo secco mi colpì, aggiungendo altro dolore, come se non bastasse quello che già sopportavo.
Gemetti.
"Signorina Isabella " mi chiamò l'infermiera, una donna dai lunghi capelli scuri, abbastanza alta, sulla cinquantina: il suo nome era Zafrina.
Aiutatemi  dissi silenziosamente.
" state perdendo sangue " disse, oh guarda non me ne ero accorta!...
"Aspettate, vado a chiamare qualcuno " parlò e sparì nuovamente.
Sentì dei passi allontanarsi, delle voci e nuovamente  dei passi che questa volta però, si avvicinavano velocemente.
" Signorina Swan " disse il medico entrando; anche lui era alto e capelli scuri, fisico scolpito, sul suo cartellino si leggeva il nome Sam.
" chiami un'ambulanza "continuò rivolgendosi all'infermiera.
" vado subito " rispose prontamente e sparì.
Intanto io respiravo a fatica, avvertendo fitte in tutte le parti del corpo.
" Non si preoccupi, va tutto bene, la ferita alla testa è abbastanza superficiale " spiegò. A queste sue parole, seguirono dei movimenti, alzò il mio capo da terra mise un cuscino sotto l'incavo posteriore del collo e tamponò la ferita. 
Arrivò nuovamente Sue. " L'ambulanza sta arrivando " annunciò.
In quel momento avrei voluto urlare...
" Tenga questo e faccia pressione " spiegò all'infermiera. Ci fu un movimento repentino e il medico ora era davanti a me cercando di estrarmi dalla morsa che aveva creato la libreria.
L'alzò di peso facendo dei versi strani, riuscì a respirare meglio senza quel supplemento di peso.
Si iniziò a sentire una sirena in lontananza. Era stata davvero veloce.
Sam ritornò di nuovo dietro di me, riprendendo il fazzoletto e continuando la sua pressione, che era maggiore di quella di Zafrina.
Iniziai a sentire dei fischi alle orecchie, i miei occhi si chiudevano automaticamente.
" Signorina, non chiuda gli occhi, ora! " Li riaprii cercando di farli rimanere tali.
Dopo pochi minuti arrivarono dei paramedici, con una barella, mi fecero delle domande, ma non ricevendo risposte lo chiesero al medico vicino, che rispose " Non parla" dovevano aspettarselo, eravamo in una clinica di "malati", se non avessi avuto dei problemi , lì non ci sarei mai entrata.
Mi portarono nel grosso abitacolo posteriore dell'ambulanza e partimmo con le sirene spiegate,  con noi venne anche Sam, il medico.
Mi controllarono la pressione, che era a loro avviso un pò bassa e chiamarono l'ospedale annunciando il nostro arrivo.
Il viaggio fu un trambusto totale, venivo sballottata sulla barella come su una nave in piena tempesta. 
Finalmente arrivammo alla nostra meta.
Appena entrammo nel reparto " Pronto Soccorso" , ci accolse un'infermiera. Bassa, capelli corvini e occhi scuri, pelle bianchissima, non riuscì a focalizzare il nome che era segnalato sul camice blu.
mi portarono in una stanza, con un lettino, una scrivania e qualche sedia.
Mi adagiarono dalla barella sul lettino e l'infermiera dai capelli corvini rimase con me, sempre con la benda attorno al capo.
" Ciao, io sono Alice... " e mi sorrise. Sorrisi anche io di ricambio ma senza convinzione.
" tu, invece come ti chiami? " sembrava una bambina in procinto di fare nuove amicizie. Ovviamente non risposi, la schiena e la gamba destra iniziarono a dolore di più.
" Non parli, eh? "  concluse. Il mio volto era impassibile. Anche se quell'infermiera mi proferiva simpatia e dolcezza, insieme a tanta voglia di vivere. Sentimmo bussare alla porta ed entrò un dottore, lo capì dal camice bianco con delle righine blu. Era alto e grosso, con capelli e occhi castani, i capelli ricci e tante fossette che rigavano il suo viso contratto in un sorriso. Dall'apparenza doveva essere simpatico.
" Chi abbiamo qui? " chiese.
" Buonasera dottor McCarty " salutò Alice.
" Buonasera anche a lei " continuò, il dottore. " Che caso abbiamo? " chiese il medico.
" Escoriazione alla nuca, nulla di grave, ma lei non parla e non sappiamo gli effettivi danni che ha riportato, non ha spiegato nulla. " spiegò. Feci una smorfia.
" E' successo alla clinica di salute mentale " aggiunse l'infermiera. Fin a quel momento mi era parsa abbastanza simpatica, dopo quello che aveva aggiunto non più.
" Ciao, io sono Emmett, ti ricucirò la ferita " disse sorridendo, sempre calmo e allegro. Indossò dei guanti sterili bianchi e prese un carrello con l'occorrente. Prese ago e filo e mi disse di girarmi di lato, su non fianco.
Gemetti quando sentì il dolore provenire dalla schiena.
" dobbiamo fare delle lastre. " mise in conto il medico.
Sentì una parte di capelli bagnata.
" Sto disinfettando " avvisò il dottor McCarty, o meglio Emmett. Mi spiegava passo passo tutto ciò che compiva. 
Dopo circa dieci minuti la tortura era finita, ricucire una ferita non era piacevole!
" Abbiamo finito " annunciò. " Adesso farai una lastra al cranio, una alla schiena e una agli arti inferiori, in poche parole per controllare lo scheletro in generale. " Annuì.
Poi si rivolse ad Alice.
" La porti in ortopedia, lì hanno sempre tempo libero... - e sghignazzò, io non ci trovavo nulla da ridere- e le faccia fare una tac completa, dovrebbe esserci il dottor Whitlock. " terminò.
" Andiamo" mi sussurrò all'orecchio Alice, era raggiante, gli occhi le si erano illuminati. Con l'aiuto del medico mi adagiarono su una sedia a rotelle, cercai di non gemere per il dolore, quasi correndo e sgambettando Alice mi portò verso l'ascensore e salimmo al secondo piano, l'ascensore era spaziosa e completamente ricoperta di metallo, tranne che per cinquanta centimetri di parete che erano ricoperti da uno specchio. Le porta dell'ascensore si aprirono dandoci vista ad un reparto completamente addormentato. 
Ci venne incontro un medico alto, con capelli biondo miele e occhi chiari, smilzo, e abbastanza carino. Alice arrossì quando lo vide, sorrisi compiaciuta tra me.
" Buonasera, per non dire buongiorno " disse salutandoci. Abbozzai un sorriso.
" Buonasera Dottore, dobbiamo fare una tac! " disse allegra il piccolo folletto indietro a me. Si, folletto era appropriato al suo modo di essere e di fare.
" Andiamo " e ci scortò fino alla stanza per le tac.
Mi fece entrare e velocemente furono fatte queste queste lastre, nel giro di trenta minuti tutto era finito.
" Saranno pronte per le sei, lei va in medicina generale. Con il dottor Cullen " annunciò, e infine il mio sballottamento finì. Mi ritrovai in una stanza singola, formata da letto, un piccolo armadietto, un comodino e una scrivania, spoglia era l'aggettivo adatto.
 " Ti aiuto a svestirti? " mi chiese Alice. Annuì.
Mi aiutò ad indossare un pigiama dell'ospedale, e mi aiutò a salire sul letto.
" Buonanotte " disse spegnendo la luce, rimasi con la fioca illuminazione di una lampadina sul comodino adiacente al letto.
Cercai di dormire, sperando in un indomani migliore...
Un altro incubo infastidiva i miei sogni e fui svegliata, nella stanza non ero sola. 
Un medico, più o meno un metro e novanta, un fisico slanciato e muscoloso ma non massiccio, capelli ramati, attraente e occhi verdi, un verde acceso come fari...

Cosa ne pensate, fatemelo sapere...!

Risposte alle recensioni:

Aniasolary: Grazie mille per i complimenti, un bacio e spero che questo capitolo ti piaccia!
vittoriaKF: grazie mille, gentilissima... un bacio !<3
Sene: grazie mille anche a te... spero di sapere cosa pensi di questo capitolo!



Domanda per voi: Vi piace disegnare?
e se si siete bravi/e??

PS metterò il teaser del capitolo ( il prossimo) sul mio blog, passateci! <3



 
   
 
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