19 novembre 1940
-
“Avere un figlio nell’esercito porterà più onore alla
nostra famiglia”. Queste sono state le parole di mio padre, mentre stringeva
tra le mani il telegramma che stamattina è arrivato dall’esercito – si sedette
accanto a Nami nel giardino sul retro
-
Ma puoi sempre rifiutare … sbaglio o sei l’erede diretto
della casata Roronoa, c’è la palestra di Kendo da mandare avanti, tuo padre …
-
Per tutto questo c’è Ace … ormai ho deciso
-
Tuo padre l’ha fatto per te … è una stupida guerra … non è
quello che vuoi tu – si alzò in piedi lasciando Zoro da solo nel giardino
-
Promettimi che mi scriverai – Nami si aggrappò alla manica
della divisa per trattenerlo ancora qualche istante in quella piazzola di sosta
-
Ogni volta che potrò farlo – poggiò la fronte sulla sua
-
Non dimenticarmi – sussurrò mentre le lacrime scivolavano
sul suo volto – prendi – gli passò una foto tra le mani – l’abbiamo fatta
l’inverno scorso, alla festa giù in paese per il nuovo anno … così non dovresti
dimenticarmi
-
Non sarà facile dimenticarti – fece scivolare la foto nel
taschino della sua giacca – forse le mie orecchie mi ringrazieranno quando per
un po’ non dovranno più sentire la tua stridula voce
Nami mise su il
broncio indispettita e dandogli le spalle – se la pensi così
Zoro l’attirò a se,
stringendola per la vita, affondando il volto nella chioma rossa. Nami si voltò
per guardarlo negli occhi.
Si baciarono sotto lo
sguardo accusatore e ammonitore di tutti colore che era presenti lì: baciarsi
in quel modo, davanti a tutti e senza essere neanche sposati, era oltraggioso.
Ma i due non
prestarono attenzione a nessuno di quei particolari.
Non sapevano quando si
sarebbero o se si sarebbero rivisti.
Nami portò le mani sul
collo di Zoro per attirarlo maggiormente a sé, approfondendo il bacio, un bacio
che sapeva di rabbia per una guerra inutile che li stava dividendo; di
speranza, quella stessa speranza che nutrivano nel rivedersi uno di quei
giorni, il prima possibile, di amore, quell’amore che li univa da sempre che
molto probabilmente sarebbe sopravvissuto anche a quella guerra.
Si distanziarono di
qualche centimetro, mantenendo per qualche secondo gli occhi chiusi,
assaporando i profumi che caratterizzavano entrambi, per un’ultima volta.
-
È arrivato il momento … devo andare – le diede le spalle
sentendo la sua mano, scivolare sul suo braccio, mentre saliva gli scalini
dell’autobus
Chissà quando si
sarebbero rivisti…
7 dicembre 1941
-
L’attacco alla base americana di Pearl Harbor nelle Hawaii,
ad opera dei nostri caccia, guidati da Mitsuo Fuchida e il capitano Minoro
Gendo, ha avuto successo.
La tigre va lontano 2000 miglia e ritorna infallibilmente.
L’esercito giapponese
potrà tronare presto a casa.
Il cuore di Nami smise
di battere per diversi secondi.
Era ancora vivo?
Corse verso il
telefono, si precipitò ad afferrarlo. Cercò freneticamente uno di quei
maledetti numeri che Zoro le aveva dato più di un anno prima e che lei era
riuscita a trovare durante le sue ricerche. Doveva necessariamente avere
qualche informazione su Zoro.
La linea non è momentaneamente
disponibile … riprovare più tardi.
Quella maledetta
vocina si ripeteva all’infinito. Qualsiasi numero componesse quella inutile,
quella stupida vocina continuava a rimbombarle nelle orecchie.
-
Fatemi parlare con qualcuno – urlò
La linea non è
momentaneamente disponibile … riprovare più tardi.
Si lasciò scivolare a
terra, stringendo spasmodicamente il telefono tra le mani. Cercò di tronare a
respirare in modo normale, di far rientrare l’aria nei polmoni.
Passò una mano coperta
dalla stoffa del kimono sul volto, per asciugarsi le lacrime.
Il suo sguardo si
perse su una cornice che proteggeva una foto, la stessa foto che aveva dato a
Zoro.
18 aprile 1942
Ad aprile è caduta la
prima bomba … poi hanno ricominciato a bombardare nuovamente, seminando il
cielo di tracce di fuoco. Scoppi di luce dappertutto nell’oscurità come alberi
di Natale, quegli stessi alberi che vedevamo nella piazza centrale del paese.
Le fiamme si alzavano
alte nel cielo della notte per poi precipitare di nuovo a terra in una tempesta
di scintille, che precipitavano lungo i tetti come una rugiada in fiamme,
appiccando il fuoco a tutto ciò che incontravano sul loro cammino.
Il fuoco frustato dal
vento cominciò a far diventare quel paese di legno come un falò.
Crollarono, sotto l’impatto
delle bombe, le fragili case fatte di legno e di carta, illuminate come
lanterne colorate, le stesse che dondolavano in paese durante una qualsiasi
festa.
Erano due mesi che non
riceveva una lettera di Nami e non ne conosceva il motivo. In quell’ultima che
gli era arrivata, lo rassicurava, gli diceva che stava bene, ma non ne aveva la
certezza e poi era di aprile, mentre ormai erano quasi luglio.
Non sapeva come
mettersi in contatto con lei, il telefono poteva scordarselo o gli americani
gli avrebbero certamente localizzati e non sapeva se le sue lettere fossero mai
arrivate, non vi aveva mai fatto cenno e questo non faceva che preoccuparlo
ancora di più.
-
Ai vostri posti … il nemico ci ha localizzati – il sergente
fece ancora qualche passo all’interno dell’accampamento – soldato scelto
Roronoa non è il momento di restare lì impalati … si muova
-
Sissignore – scattò in piedi, Zoro, imbracciando il fucile
Erano sotto attacco,
non c’era posto sicuro dove rifugiarsi.
Corse verso un muro
diroccato, dove i suoi fidati compagni si erano nascosti e si stavano
organizzando per contrattaccare
-
Granata – urlò Sanji vedendola arrivare
Fu un attimo, poi
tutto parve brillare, sembravano i fuochi d’artificio che venivano lanciati in
cielo l’ultimo dell’anno, quelli che andava a vedere sempre con Nami in riva al
lago.
Poi tutto fu buio …
1 gennaio 1943
Attacco nemico stop …
granata stop … Zoro ferito gravemente stop … non so se ce la farà stop …
Poco più d una decina
di parole che le fecero crollare, l’intero mondo addosso.
Non so se ce la farà … non so se ce la
farà … NON SO SE CE LA FARA’
Era morto? Era vivo?
Il telegramma era di
luglio, cos’era successo?
Voltò lo sguardo alla
sua sinistra, dove spuntavano gli alberi nel giardino della palestra di Kendo
del padre di Zoro.
A gradi falcate si
diresse verso la palestra, ripercorrendo la strada che Zoro ogni volta
percorreva per raggiungerla.
Spalancò la porta,
irrompendo e spaventando Ace che rimetteva in ordine.
-
Dov’è? – urlò aggredendo il povero Ace che non riusciva a
capire cosa volesse
-
Cosa c’è da urlare – disse pacatamente Mihawk
facendo il suo ingresso nella palestra
-
Ma vuole scherzare? – mostrò il telegramma all’uomo – ecco
cosa c’è da urlare
-
Si è salvato ragazzina … è vivo – affermò come se la cosa
non lo riguardasse più di tanto
-
E cosa aspettava a darmi questa notizia? Vuole vedermi
morire di crepacuore? Io non ce la faccio più … lo vuole capire?
-
Sei libera di fare ciò che vuoi … sei libera anche dalla
promessa di matrimonio … cercati un altro uomo – le diede le spalle
-
Ma cosa sta dicendo? Io ho il diritto di sapere cosa sta
succedendo a Zoro e voi siete l’unico che può darmi notizie … anche se è tutta
colpa vostra – terminò la frase in un sussurro
-
Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo – le si
avvicinò puntandola con l’indice
-
E con chi dovrei prendermela se non con lei? – scostò il
braccio dell’uomo – non l’ho sbattuto di certo io in un mezzo ad una guerra –
lo fissò in segno di sfida direttamente negli occhi
-
Non sono affari che ti riguardano ragazzina, ora tornatene
a casa, che è la cosa migliore – le diede nuovamente le spalle lasciando questa
volta la palestra
-
Non può fare così ogni volta – urlò con la voce strozzata
dalle lacrime – se morirà sarà tutta colpa sua, lo tenga bene a mente
Dietro il fusuma, Mihawk si irrigidì a
sentire quella frase, quasi la sua corazza di uomo duro fosse stata scalfita,
poi il suo volto tornò ad essere impassibile e andò a chiudersi nelle sue
stanze.
Nami si strinse ad Ace
piangendo tra le sue braccia.
Ormai non faceva che
questo.
…
Ciò che sto
dimenticando è il calore del tuo corpo.
Ciò che me lo sta
rammentando sono il rumore dei passi della tristezza.
Ciò che m incoraggia
verso la porta è il frammento di un ricordo.
…
6 agosto 1945
…
9 agosto 1945
…
28 dicembre 1945
Mise i piedi a terra,
la sua terra. Inspirò a pieni polmoni quell’aria carica di freschezza
invernale. Mancava da cinque anni … cinque anni … sarebbe dovuto tornare una
volta all’anno, ma la guerra non glielo aveva permesso, togliendogli alla fine
anche la possibilità di comunicare con le lettere e di riceverle.
Niente era più come
prima. E forse niente sarebbe più tornato come prima.
Tirò fuori qualcosa
dal taschino della sua giacca: un pezzo di carta ingiallito e rovinato. La dispiegò,
era una fotografia, quella fotografia.
Non aveva più sue
notizie da anni, in cuor suo sperava di trovarla ancora, ma non sapeva dove
cercare, a chi rivolgersi.
Si incamminò verso
quella strada che anni prima, portava al suo villaggio, a casa sua, a casa di
Nami, nei suoi posti preferiti.
Si guardò attorno e
arrivo persino a chiedersi se non avesse sbagliato fermata.
Dov’erano finiti gli
alberi che costeggiavano tutte le stradine, i negozi dove Nami era solito
trascinarlo quando veniva colpita da uno dei suoi attacchi di compere, le case
che ogni volta incontrava nelle sue passeggiate.
Aveva paura
dannatamente paura di voltare l’angolo, non c’era più nulla ed era impossibile
che lei ci fosse ancora. Prese un respiro profondo e svoltò: una distesa di
macerie si estendeva a vista d’occhio, fino all’orizzonte. La sua casa, la sua
palestra, la casa di Nami, le rive del lago erano scomparse.
Arrancò nelle macerie
alla ricerca di qualcosa di familiare, di qualcuno a cui potesse chiedere
spiegazioni.
Una vecchietta sedeva
tra le macerie e decise di avvicinarla senza farla spaventare.
-
Mi scusi, sa dirmi cos’è successo?
La vecchietta sollevò
stancamente lo sguardo e lo fissò con i occhi vacui, senza dire una sola
parola. Era palese cosa fosse successo, erano stati bombardati, avevano perso
tutto, case, ricordi, persone care.
Tentò ancora una volta
di parlarle – conosce questa ragazza – chiese mostrandole la foto rovinata
Questa volta la donna
sembrò prestargli maggiore attenzione, prese la fotografia dalle mani di Zoro e
la osservò attentamente. In tati si fermavano da lei per conoscere cosa fosse
capitato ai loro cari, era per quello che lei sedeva lì, voleva aiutarli.
-
Era alla palestra di Kendo quando le bombe hanno distrutto
tutto, l’ho vista passare di qui, tutta sola, sembrava arrabbiata quel giorno …
poi non l’ho più vista, non ho più visto nessuno – la donna iniziò a piangere e
Zoro non sapendo che fare, si riprese la foto e lasciò sola la vecchietta nelle
sue lacrime
Non aveva scoperto
nulla, se non che quel giorno maledetto era a casa sua, senza conoscerne il
motivo e cosa poi fosse successo.
Si mosse con
difficoltà, per trovare qualcun altro che gli desse maggiori informazioni, era
pronto a tutto, ma voleva sentirselo dire, altrimenti non avrebbe mai smesso di
cercarla, finché le forze non l’avessero abbandonato.
Passò molto tempo,
prima che incontrasse qualcuno sulla sua strada. Un uomo questa volta, non
molto anziano, ma distrutto anche lui dalla guerra. Anche a lui fece le stesse
domande e questa volta ebbe risposte più esaurienti. Quel giorno si era salvata
e si era trasferita sulle montagne, per essere maggiormente al sicuro. Ma se
fosse ancora viva adesso, non lo sapeva.
Non c’era niente e
nessuno nel raggio di chilometri che l’avrebbe accompagnato sulle montagne. Si
mise in marcia, l’avrebbe raggiunta costi quel che costi.
Il sentiero sterrato
era ripido e disseminato di macerie, che rendevano ancora più difficile scalare
la montagna, il tutto accompagnato da un discreto manto di neve che lo rendeva
scivoloso ad ogni passo.
Incontrò diverse
persone, che scendevano a valle alla ricerca di qualcosa tra le macerie che
potesse ancora essere utile, o che come lui risalivano la montagna.
-
Giovanotto?! Vuole un passaggio, non incontrerà un
villaggio prima di un paio di chilometri, non credo che ce la faccia prima che cali
la notte
Zoro accettò e si
ritrovò a viaggiare con un simpatico uomo, che sembrava non fosse stato colpito
dalla guerra, qual suo sorriso diffondeva calma. Ancora una volta riuscì ad
avere alcune notizie su Nami, l’uomo l’aveva vista qualche giorno prima nel suo
villaggio, a fare compere. Abitava poco distante dal villaggio dell’uomo.
Giunti a destinazione,
Zoro si congedò dall’uomo, declinando la sua offerta di rimanere lì per la
notte. Era arrivato fin lì, non si sarebbe di certo lasciato fermare dal buio
della notte e dal freddo.
La guerra era stata
molto peggio, quelli erano gli ultimi dei suoi incubi, in quel periodo.
La luna debolmente
illuminava il sentiero che conduceva la villaggio successivo. Non si era mia
spinto così oltre sulla montagna, neanche quando abitava giù a valle, ora
invece sarebbe arrivato in capo a qualsiasi montagna pur di saperla al sicuro e
felice, anche se non al suo fianco.
In lontananza le luci
delle lanterne a petrolio, danzavano sotto i colpi della brezza e dal cielo
leggeri fiocchi di neve iniziarono a venir giù, rendendo l’aria leggera e
gelida.
Non si sentiva più i
piedi, li aveva tenuti troppo tempo nella neve, ma non poteva lasciarsi andare
ora.
Il villaggio era
deserto, solo qualche fiamma illuminava ancora qualche casa, forse le stesse
che lo avevano condotto fin lì. Ora doveva solo trovarla.
Si avvicinò ad una
casa dove qualcuno era ancora svegli. Bussò e attese.
Venne ad aprire una
donna avvolta in un kimono.
-
Mi scusi non volevo disturbare, ma sto cercando una persona
e m hanno detto che abita in questo villaggio … vede è la ragazza di questa
foto
-
Ah Nami-san … vede quella casa laggiù? Quella tra le due
case illuminate, è lì che abita
-
La ringrazio e mi scusi ancora per il disturbo – corse
verso la casa indicatogli, lasciando interdetta la ragazza che rimase a
fissarlo ancora per qualche stante, prima di rientrare in casa, richiamata da
una voce maschile
Davanti a quella porta
tutte le sue sicurezze vennero meno. Forse si era dimenticato di lui, si era
sposata, aveva dei figli, cosa poteva saperne lui, in fin dei conti aveva perso
di far parte della sua vita cinque anni prima, quando aveva deciso di partire
per la guerra.
Sentì dei rumori e si
appiattì contro la parete. La porta venne aperta e qualcuno uscì fuori, una
donna con i capelli lunghi avvolta in una coperta. La vide sedersi sui gradini,
stringersi e sorseggiare qualcosa. Non sapeva se fosse Nami, era buio e la poca
luce che c’era non gli permetteva di distinguerne i tratti.
Una leggera brezza
soffiò nella sua direzione, portando con sé un aroma familiare, mandarino. Le
pupille si dilatarono, i pugni si strinsero sulla stoffa dei pantaloni. Non
sapeva cosa fare.
Nonostante continuasse
a nevicare, continuava a rimanere seduta lì fuori. La vide armeggiare con le
mani, sotto la coperta per poi fermarsi e guardare qualcosa.
La porta dietro di lei
si aprì e venne fuori un bambino, che si aggrappò sulle sue spalle.
Forse era meglio
andare, non c’era più posto per lui.
Fece qualche passo, ma
le travi marcie di legno lo tradirono.
Parandosi dinanzi al
bambino, Nami scattò in piedi – chi c’è lì? – sussurrò a denti stretti
avvicinandosi alla porta, spingendo il bambino all’interno
Un fascio di luce
proveniente dall’interno rese più visibile l’esterno della casa.
Non riusciva a vedere
bene chi fosse.
Ancora una volta provò
a chiedere e ancora una volta non ricevette risposta.
Se non si era ancora
mosso, forse non voleva farle del male.
Zoro si chiuse nel
cappotto facendo qualche passo – non volevo spaventarti, volevo solo ripararmi
dalla neve
-
Aspetta qui un attimo – sparì dentro casa e ricomparve con
una tazza fumante – prendi potrai riscaldarti … non ho spazio per ospitarti, ma
potresti dormire sul pavimento in cucina, è l’unico posto mi dispiace
-
Non devi preoccuparti, sono solo di passaggio – sorseggiò
quello che era dell’ottimo the bollente – mi basta questo – sollevò la tazza
per ringraziarla
-
Insito … non puoi passare la notte all’esterno, rischi di
morire assiderato
-
Non è la migliore delle prospettive – disse ghignando,
coperto dalla sciarpa – se insisti
Entrò in una spartana
casa, arredata con mobili umili, fusuma rovinate. Si
sedette su uno sgabello, seguendo con gli occhi i movimenti di Nami.
-
Nami?! – la chiamò piano
-
Come fa a sapere come mi chiamo? – disse voltandosi
tremante reggendo a mal pena la tazza tra le mani
Scostò la sciarpa e si
sfilò il cappello, mostrando i capelli verdi e il suo volto.
-
Sono Zoro, Nami!
La risposta che
ricevette fu il rumore delle tazze che si frantumavano a terra in mille pezzi.
Nami si portò la mano
alla bocca – Zo … Zoro – balbettò, riuscendo a dire
solo quello
-
Ciao – disse sorridendo
Le lacrime scorrevano
copiose sul volto di Nami. Si avvicinò, mettendo come distanza tra loro il
tavolo. Zoro eliminò quella distanza, raggiungendola. Adesso solo pochi
centimetri a distanziarli. La rossa sollevò una mano poggiandola sulla giacca,
non credeva potesse essere tutto reale, non dopo tutti quegli anni,
-
Sei veramente tu? – disse a bassa voce
-
Si sono io, Nami
Affondò il volto sul
suo petto, soffocando i singhiozzi nella stoffa – sei tornato … sei
tornato - lo strinse con tutte le forze
che le erano rimaste. Sollevò le punte dei piedi per raggiungere la sua
altezza, accarezzando la cicatrice sull’occhio
Zoro si scostò – una
granata, tre anni fa … non puoi farlo … c’è tuo figlio, ci sarà tuo marito
Nami sollevò un
sopracciglio e soppresse una risatina – non è mio figlio e non sono sposata … è
il figlio di Nojiko e Ace
-
Si sono sposati? – chiese. Chi se lo sarebbe mai aspettato
-
Si … e sono morti un paio di anni fa – abbassò lo sguardo
perdendo nuovamente il controllo delle due lacrime – Seto
è rimasto con me da allora
-
Basta! – le prese il volto baciandola, come in tutti quei
mesi aveva sognato di fare – basta … basta … non voglio che accada più una cosa
del genere – ancora una volta la baciò con foga
-
Non andare più via … ti prego Zoro, non farlo mai più
-
Te lo prometto Nami … resterò con te e Seto
e staremo bene, non ti lascerò mai più … tutto tornerà come prima … piano noi
due insieme ricostruiremo qualcosa
21 marzo 1950
-
Seto vieni in casa è ora
di cena – urlò Nami sulla soglia della porta – Zoro vale anche per te, avanti
-
Cosa hai preparato per cena zia? – Seto
corse in casa come un fulmine
-
Lavati le mani prima di sederti a tavola … e tu da dove
vieni? – chiese guardando Zoro da testa a piedi interamente coperto di fango
-
La casa dei vicini … argh – si
grattò la testa nervosamente – tutto nella palestra … non ne parliamo
-
Aspetta – gli prese la manica della maglia e si avvicinò
per baciarlo, per quanto il pancione le permettesse di farlo
-
E questo per che cos’è? Non dovrei meritarmelo …
-
Quante storie … - ancora una volta lo baciò teneramente –
grazie Zoro … tutto questo è merito tuo – Zoro le si avvicinò ancora – ehi non
sono una dispensatrice di baci … avanti va a lavarti, la cena è quasi pronta –
gli diede uno schiaffo sul fondoschiena
Nami si voltò verso
l’orizzonte, posando una mano sul pancione. Erano passati diversi anni e tutto
lentamente stava tornando alla normalità, Zoro stava mantenendo la promessa.
Prese il ciondolo, che portava al collo e lo aprì, guardando la foto che
nascondeva: la stessa che aveva dato a Zoro dieci anni prima.
-
Namiii – due voci
dall’interno la chiamavano e reclamavano cibo
-
Arrivo – si voltò a guardare un’ultima volta il tramonto e
il paese che lentamente riprendeva a vivere come lei
Angolo di Tsuki
Alloooora prima di tutto il merito di questa fic va a
Rolo, perché se lei non mi avesse passato la canzone “She
could be you” la suddetta fic non sarebbe mai nata e tutto per merito del telefilm Kyle
xy, che da mesi non facciamo che guardare ogni
mattina.
Mille e mille grazie
Rolo XD
Fatta questa
precisazione, spero che sia stata una buona lettura, altrimenti passate da casa
che vi passo la cassa di pomodori da lanciarmi -.- Grazie mille anche a voi che
avete letto ^^