Capitolo V “La cripta”
Era buio, lo circondavano strane pareti
di marmo, fredde e spoglie. Molti nomi e preghiere incise in
caratteri latini. Poi un corridoio e una porta che conosceva molto
bene. Un letto a baldacchino dai tendaggi rossi. Un mobile d'ebano
con dei cassetti, aprì il secondo tirandolo a sé. Un cofanetto
a forma di conchiglia, lo prese tra le mani e con un
piccolo click lo aprì. Una chiave d'oro era
appoggiata sopra un minuscolo cuscino. Era in un'altra stanza ora, la
stanza in cui Diana aveva suonato il flauto, c'era un armadio, un
armadio... un armadio...
“Thomas... Thomas svegliati...”
Aprì gli occhi destato dalla voce di
Diana.
“Hai dormito quasi tutto il giorno, è
passata l'ora del pranzo da un pezzo. Come ti senti?”
“Meglio, ho ancora male alla testa.
Devo andare al villaggio.”
“No che non devi! Devi riposare.”
“Mio zio è morto, devo celebrare il
funerale.”
“Ma... ci penserà qualcun altro...”
“Il prete è morto, sono l'unico che
può celebrare il rito.”
Meccanicamente si alzò dal letto, fu
colto da un capogiro ma resistette rimanendo in piedi.
“Non sei al sicuro qui. Verrai con me
oggi.”
“Io... non so se...”
“Diana, non intendo discuterne.”
aveva preso coraggio e soprattutto sapeva per la prima volta nella
sua vita ciò che andava fatto, “Oggi celebreremo i funerali di mio
zio, domani metterò fine una volta per tutte a questa storia.” si
fece procurare degli abiti, il suo saio era lurido.
Si fecero scortare da un manipolo di
guardie a cavallo alle quali Thomas consegnò un crocifisso a testa
benedicendoli uno ad uno. Giunto al villaggio radunò li popolo e fu
aiutato nei preparativi per il funerale. Aveva lasciato la ragazza
con un gruppo di donne all'interno di una casa presidiata dalle
guardie.
“Dov'è Diana?” chiese ad uno dei
cavalieri quando tutto fu pronto.
“Non si sente bene, ha detto che vi
attende alla fine della cerimonia.”
“Continuate a rimanere di guardia
alla casa, se dovesse succedere qualcosa non esitate a chiamarmi.”
detto ciò si avviò verso l'altare.
Diede l'ultima benedizione ai defunti e
officiò il funerale come gli era stato insegnato al monastero.
Infine parlò a quella gente provata dalle sofferenze. I volti scarni
per la paura in cui stavano vivendo da più di un mese gli
provocarono un moto di colera verso quelle maledette creature
malefiche.
“C'è un'arma. Un'unica arma con la
quale ognuno di voi può sconfiggere questi mostri. L'arma che
permise a Mosè di separare le acque del Mar Rosso e condurre il
popolo del Signore verso al libertà. L'arma che ha permesso a frate
Philippe di estirpare il demonio che si era impadronito del vostro
amato parroco: la fede. Soltanto la fede può salvarvi, pregate e
riponete tutte le vostre speranze in Dio poiché se avrete fede egli
vi salverà...”
Iniziò così la sua predica che durò
a lungo. Non era un oratore abile come suo zio ma quella sera, grazie
alla determinazione e alla sicurezza che provava riuscì a parlare ai
cuori dei fedeli. Sperò in cuor suo che bastasse veramente la fede
per tornare vivo da ciò che lo aspettava.
Fu trattenuto fino a dopo il tramonto
da un elevato numero di confessioni. Ognuno sembrava voler arrivare
alla sera con l'anima pronta al trapasso. Cercò di rassicurarli ma
le troppe vittime, le numerose famiglia spezzate, come si poteva
chiedere a quella gente di aver fede in Dio dopo che anche il loro
parroco gli aveva voltato le spalle?
La testa lo martellava con delle fitte
insopportabili. Raggiunse Diana e insieme alle guardie tornarono al
castello. Avrebbe voluto porre fine alla maledizione quella stessa
notte ma non poteva, doveva prima recuperare le forze, e comunque non
aveva la più pallida idea di dove cercare il conte. Aveva appurato
l'innocenza del cavaliere. Quello era stato un semplice errore di
valutazione, probabilmente indotto dal conte stesso ed era sicuro che
la chiave si trovasse proprio dove aveva visto nel sogno. Ma la
stanchezza e il dolore dovuto alla ferita lo vinsero. Si sedette con
Diana di fronte al camino acceso nel salone centrale del castello,
decisero di dormire insieme sul divano uno a fianco all'altra. Fecero
di nuovo l'amore, con passione, Thomas faticava a credere che fosse
possibile provare determinate sensazioni. Avrebbe voluto vivere così
per sempre. Amava Kate, non poteva più negarlo nemmeno a sé stesso.
“Come si chiamava tua madre?” le
chiese la ragazza destandolo dal dormiveglia.
“Si chiamava Kate. La tua?”
“Rose, aveva i capelli biondi come i
miei e gli occhi grandi. Dicono tutti che era bellissima.”
Si addormentarono accompagnati dallo
scoppiettio del fuoco e dall'ululare del vento.
Fu una notte senza sogni per Thomas, la
mattina seguente si svegliò rigenerato. La testa non gli doleva più
e si sentiva pronto ad affrontare qualsiasi cosa gli si fosse parata
davanti. Indossò di nuovo il suo saio, che era stato lavato dai
domestici il giorno precedente. Gli dissero che aveva delle visite
dal villaggio, chiese a Diana di aspettarlo in biblioteca e si
affrettò verso il cortile antistante al maniero. Lo attendeva una
delegazione del popolo, si fece loro portavoce il gobbo falegname:
“Frate, ho pensato che aveste bisogno
di tutto l'aiuto possibile. Purtroppo non sono più un giovincello ma
ho fabbricato per voi questo.” gli porse un paletto di legno, da
un'estremità era stata intagliata una croce e dall'altra era
talmente appuntito da poter trapassare un uomo con facilità.”
“Cos'è?” domandò Thomas
constatando la leggerezza e la facilità di maneggiare tale oggetto.
“È frassino. Le leggende dicono che
conficcandolo nel cuore dei non morti li riduca in cenere.”
“Anch'io vi ho portato qualcosa.”
si fece avanti una donna che riconobbe come la madre del bambino
ucciso due giorni prima “È una spezia potente contro
queste creature, un misto di aglio ed erbe.” Thomas prese il
piccolo sacchetto e ringraziò, anche se abbastanza scettico
sull'efficacia di quel rimedio.
“Io ho pensato che questo potrebbe
esservi utile.” anche il fabbro aveva collaborato forgiando un
coltellino d'argento.
“Vi ringrazio di cuore per...”
Il falegname lo interruppe “Non
dovete ringraziarci, fate solo in modo che questa maledizione lasci
il nostro villaggio per sempre.”
“Ce la farò, ve lo prometto.”
Quella dimostrazione di fiducia lo
convinse ancora di più che era tempo di andare fino in fondo.
Si diresse immediatamente in camera di
Diana. Lei era in biblioteca e non voleva disturbarla, non sapeva
ancora cosa avrebbe trovato nella sua ricerca e sperava di non
doverla coinvolgere. Come nel sogno il mobile era la, col suo legno
d'ebano scuro. Aprì il secondo cassetto e trovò il cofanetto a
forma di conchiglia, lo aprì con quel click chiaro e distinto
del sogno e prese la chiave rimettendo la piccola scatola al suo
posto.
Trovò in breve tempo la stanza nella
quale aveva udito Diana suonare quella splendida melodia e vide
l'armadio. Introdusse la chiave nella toppa, questa girò facendo
scattare i cardini.
Le ante si spalancarono meccanicamente,
lasciando fuoriuscire il tipico odore dei luoghi remoti che rimangono
chiusi a lungo. Accese una candela ed entrò, in quella che sembrava
una stanza molto grande, cercò a tentoni una qualche finestra ma non
la trovò. Si accorse però di un canale metallico con una fessura
che correva come una cornice lungo tutte le pareti.
Tastò quello strano congegno e portandosi le mani verso il naso capì
che si trattava di olio, avvicinò la fiamma della candela alla
fessura che si apriva tra le lastre metalliche. La fiamma arse lungo
tutto il perimetro della sala, illuminando a giorno quello che
sembrava un magazzino pieno di cianfrusaglie: vecchi ritratti
di una ragazza bionda che somigliava incredibilmente a Diana,
ceramiche di ogni tipo, porcellane,
maschere esotiche, una strabiliante collezione
di bambole, oggetti dei più rari e meravigliosi che
Thomas avesse mai visto. Ma la cosa che attirò tutta la sua
attenzione fu un fiore sotto vetro, una rosa rossa,
resa secca dal tempo, aveva assunto un colore così scuro da sembrare
irreale.
“Thomas!” esclamò una voce
proveniente dal salotto adiacente. Si voltò vedendo Diana che lo
osservava sulla porta, era furente.
“Non avevi il diritto di entrare
qui!”
“Diana, perdonami credevo di poter
trovare degli indizi...”
“Indizi su cosa?! Questa è la stanza
di mia madre, non troverai nulla qui dentro.”
Uscii a testa china, gli occhi le
brillavano di lacrime. Al contrario di quanto mi aspettassi mi buttò
le braccia al collo.
“Scusami, so che tu puoi capirmi.
Questa stanza è l'unico ricordo tangibile che ho di lei... ”
Certo che la capiva, comprendeva a
pieno il suo dolore. Soprattutto ora che aveva perso anche suo padre.
Era rimasta sola proprio come lui.
L'accompagnò a sedere e, vedendola
scossa le chiese di suonargli ancora quella meravigliosa melodia.
Stavolta non prese il flauto, ma prese un altro astuccio, più grande
e largo questa volta.
Ne estrasse un violino e iniziò a
suonare. Le sensazioni furono le stesse della prima volta, così
belle, così paradisiache. Quando Diana finì e fece per riporre lo
strumento, Thomas scorse un foglietto ripiegato all'interno della
custodia.
“Cos'è?” chiese.
“È lo spartito della canzone, l'ha
scritto mia madre. Non lo uso più, ormai la conosco a memoria.” lo
porse a Thomas che lesse ad alta voce il titolo.
“Rosa d'inverno.”
“Già... è un gioco di parole.”
spiegò Diana “Mia madre era inglese, si chiamava Rose Winter.”
Un'idea lo raggiunse come una
folgorazione.
“Winter Rose! Rosa d'inverno! Ma è
chiaro!”
La ragazza lo guardò senza capire.
“Sebastian, il ragazzo che ha
raggiunto il nostro monastero per avvisarci della tragedia ha detto
queste parole: la tana del lupo è dove riposa il fiore d'inverno.
Dove è sepolta tua madre?”
“Nella cripta di famiglia, a circa
due chilometri da qui.”
“È lì che si nasconde tuo padre.
Diana, devo andare... ” uscì in fretta dalla stanza, doveva agire
prima del tramonto del sole. La notte quelle creature diventavano più
forti mentre di giorno erano vulnerabili. Cercò il capitano delle
guardie, ma fu avvisato dai domestici che era scoppiato un incendio
al villaggio e le guardie erano accorse ad aiutare a domare il fuoco.
La certezza che quell'evento non fosse casuale non lo trattenne
comunque dal suo intento. Fece sellare un cavallo e stava per partire
al galoppo quando vide Diana venire verso di lui.
“Vengo con te.”
“No, è fuori discussione! Non
metterai a rischio la tua vita per... ”
“Per mio padre?! Si invece, è
l'unica persona della mia famiglia che mi è rimasta e voglio vederlo
con i miei occhi se è davvero lui che ha portato questa maledizione
al villaggio! Thomas... tu avresti fatto la stessa cosa...”
Non poteva fermarla, era vero, lui
avrebbe fatto la stessa cosa.
Cavalcarono sotto il cielo grigio
finché non raggiunsero una collinetta sulla quale svettava un
monumento marmoreo, aveva la forma rotonda di un tempio greco.
Legarono i cavalli ed entrarono.
Non vi era nessuna apertura nella
pietra. Thomas iniziò a tastare ogni centimetro della struttura ma
Diana lo precedette. Si avvicinò ad una fessura, dalla quale
sgorgavano rivoli d'acqua come da una fontanella e fece scattare un
meccanismo. Una delle colonne girò su se stessa, scoprendo una
scalinata a chiocciola che scendeva verso il basso.
Thomas iniziò a scendere le scale,
tese la mano a Diana che lo seguiva passo passo. Il buio e l'odore di
umido si facevano sempre più persistenti. Sentì il terreno sotto di
lui farsi più morbido. Avevano percorso la scala fino in fondo ed
urtò un oggetto. Si abbassò tastando qualcosa che riconobbe essere
una lanterna, riuscì ad accenderla facendo luce di
fronte a loro. Proseguì tenendo alta la lanterna con la mano destra
e la mano di Diana con la sinistra.
“Dov'è sepolta Rose?”
“Dobbiamo andare fino in fondo, ci
sono delle scale che scendono verso il basso. Laggiù c'è una grande
stanza, dove mio padre ha fatto costruire una statua che ci raffigura
tutti e tre insieme.”
Proseguirono fino alle scale, quel
luogo era immenso. Videro una luce provenire dal locale sottostante.
“Resta qui.” disse Thomas sottovoce
porgendole la lanterna “Se dovesse accadere il peggio urlerò il
mio nome, a quel segnale fuggi più veloce che puoi.”
“Se tu morirai saremmo tutti perduti.
Compresa io... buona fortuna.” gli disse prima di baciarlo.
Thomas prese coraggio e cercò di
ricordare ciò che gli aveva detto suo zio: abbi fede in Dio.
Poggiò il piede sul primo scalino
cercando di non far rumore, passo dopo passo giunse all'interno della
stanza. Era illuminata da alcune fiaccole appese al muro. Vide subito
la statua di cui parlava Diana; una scultura in marmo della sua
famiglia, tutti insieme come non lo erano mai stati.
In fondo, all'interno di una bara senza
coperchio distinse una sagoma coperta da un velo nero.
Afferrò il picchetto di frassino tenendo la croce ben visibile di
fronte a sé e parlo con voce imperiosa:
“Alzati creatura del demonio! Sono
qui per ucciderti!”
Nessuna reazione si ebbe dal corpo
all'interno della bara.
“Conte Jaques so che siete voi il
vampiro! Alzatevi e venite ad affrontarmi!”
Nulla si mosse. Il coraggio con cui era
entrato iniziava a dissiparsi. Si costrinse ad avvicinarsi alla bara,
la mano gli doleva per la forza con cui stringeva la croce in
frassino. Giunse sopra il corpo e scansò il velo: balzò indietro
quando vide gli occhi vitrei del conte sotto di lui, il corpo era là,
ma dava la sensazione di essere morto da un pezzo. Lo esaminò e
concluse attraverso la sue conoscenze mediche che doveva essere
deceduto non più di un giorno prima. Rimase sconcertato nel
constatare che presentava sul collo i segni del morso di un vampiro.
“Così mio padre non è il
vampiro...” si voltò di scatto. Diana era la, dietro di lui.
Abbassò la testa sconsolato.
“Non so più cosa pensare... Diana se
il conte non è il vampiro allora...”
“Thomas, mio padre è morto...
Abbracciami ti prego.”
Si avvicinò a lei stringendola a sé.
“Brancolo nel buio Diana. Philippe si
era sbagliato ed io non ho la minima idea di cosa...”
“Non ci pensare ora Thomas. Siamo tu
ed io, solo tu ed io.... Rilassati, sei stanco, molto stanco...”
I suoi occhi si appesantirono e le
membra sembrarono intorpidirsi, stava per addormentarsi fra le
braccia di Diana. Sentì i baci della ragazza sul suo collo, morbidi
e caldi, soprattutto caldi, umidi. Avvertì lontano come se
provenisse da qualche altro luogo l'odore del sangue, acre e
metallico.
Tutto d'un tratto, improvvisa e
lancinante una fitta si propagò da suo collo al resto del corpo.
Gli sembrò di ardere. L'odore di
sangue ora è più forte, più vicino, troppo vicino. Il caldo umido
sul suo collo non erano baci, era il suo sangue che colava in rivoli
rossi fino alle spalle.
Trasse un respiro profondo e spinse il
crocefisso che teneva ancora in mano verso di lei. Il solo contatto
con il corpo provocò un urlo di dolore alla ragazza che si ritrasse
e con un colpo buttò a terra il picchetto. Thomas cadde, debole e
indifeso, quasi incapace di muoversi.
“Io ti amo...” fu capace di dire
prima che Diana piombasse su di lui serrandogli di nuovo la mascella
sul collo. Si stava lasciando andare, stava consegnandosi
completamente in mano a lei. Voleva morire, non aveva più nessun
senso vivere sapendo che la prima e unica persona che aveva amato lo
aveva ingannato per tutto il tempo. Poi pensò al villaggio, a quella
povera gente che avrebbe continuato a morire ogni notte finché Diana
non avesse sterminato tutti quanti.
Sentì la forma de coltellino
regalatogli dal fabbro sotto il suo saio, lo afferrò e in un attimo
di lucidità lo conficcò nel fianco della vampira. Quella si alzò
emettendo un suono demoniaco, estrasse il coltello dalle carni e lo
gettò lontano. Sarebbe stata di nuovo sopra di lui se Thomas non
avesse preso il sacchetto contenente le spezie e non gliele avesse
lanciate contro. Fu incredibile l'effetto che ebbero su di lei, si
gettò a terra contorcendosi e gridando. I punti in cui la strana
sostanza era venuta a contatto con la pelle erano ustionati. Thomas
non si fermò a riflettere, ormai agiva meccanicamente. Si trascinò
verso il picchetto, con uno sforzò immane di rialzò in piedi, si
gettò sopra Diana e conficcò il paletto dritto nel cuore della
ragazza. Un ultimo urlo assordante riempì la stanza prima che il
corpo iniziasse a carbonizzarsi.
Thomas, incapace di credere a ciò che
era appena successo, incapace di accettarlo si sdraiò sulla schiena
ed aspettò la morte che sarebbe sopraggiunta a breve.
Sentiva freddo, ma non un freddo
convenzionale, un freddo diverso, un freddo più interiore che
esterno. La vita stava scivolando via lentamente dal suo corpo.
E se non ci fosse nient'altro? E se
tutto finisse qui? Ebbe paura.
Udì dei passi sulla scale, ma forse
era solo un allucinazione uditiva. No, erano reali quei passi, si
stavano avvicinando. Chiuse gli occhi, ormai la cosa non lo
riguardava più. Sentì una mano sulla sua nuca sorreggerli la testa
ed una voce che delicatamente lo chiamava.
Aprì gli occhi con un ultimo sforzo,
mise a fuoco una mano di fronte a lui, la stessa mano che aveva
brandito la spada dando la morte a Philippe. Riconobbe l'anello con
il rubino. Sorrise, quindi uccidere Diana era stato inutile, c'era un
altro vampiro in libertà.
“Thomas, guardami. Non mi riconosci?
È passato molto tempo...”
Cercò di vedere bene quel volto, gli
era familiare. La sua memoria si sforzò di ricordare.
“Oliver...” mormorò infine.
“Si cugino mio, sono io... sono qui
per salvarti, per darti il dono oscuro.”
“No... io non voglio...”
“Thomas, cugino mio... stai morendo,
vedi qualche luce lontana? Vedi qualche sentiero verso il quale la
tua anima dovrebbe incamminarsi? Credo di no...”
“La mia... la mia fede ha
sconfitto...”
Oliver rise: “La tua fede? Thomas, la
tua fede non c'è mai stata. Hai ucciso Diana di giorno mentre era
molto più vulnerabile. Inoltre se quegli oggetti hanno avuto effetto
non è sicuramente merito tuo... ma di chi te li ha donati.”
“Cosa vuoi da me?”
“Voglio che ti riunisca a me dopo
tutti questi anni. Siamo rimasti solo noi Thomas, anche i miei
genitori sono morti.”
“Tu hai ucciso Philippe...”
“Se non lo avessi fatto lui avrebbe
ucciso me...”
Thomas lo guardò sorridendo e provò
pena per lui.
“È stato bello rivederti Oliver.
Addio...” detto ciò la morte lo colse nella notte tra 12 ed il 13
dicembre 1694.