Eva –
La Prima Figlia
Capitolo 9:
La sorpresa
-prima parte-
C’era una domanda che, ormai da
lungi, fluttuava senza sosta nella mente del più grande dei
Salvatore. In effetti, non faceva altro che cercare le origini di quella
singolare situazione che sì era andata a creare chiedendosi cosa effettivamente fosse accaduto
quella sera.
Purtroppo, ogni volta che aveva
trovato la risposta, questa si era vaporizzata negli oscuri dimenticatoi della
sua testa annebbiata dall’alcool.
Quella sera aveva bevuto tanto,
troppo, aveva esagerato perfino per i suoi standard…
e quand’era così ubriaco a malapena ricordava – fortunatamente – chi fosse, figurarsi se
era in grado di stare dietro al susseguirsi di eventi dalle rivelazioni sempre
più complicate e scottanti.
Perché quella sera era successo
qualcosa di veramente grosso e lui iniziava a rendersene conto solo in quel
momento, a ore di distanza, sbragato alla bell’e meglio nel salotto della sua
augusta dimora… nel quale,
tra l’altro, non ricordava neanche come fosse arrivato.
Sbornia devastante, domande pressanti,
risposte sfuggenti e sonno incombente non erano un abbinamento consigliato per
mantenere viva la ragione, ma l’ultimo imperativo che s’imponeva prima di
crollare addormentato in quella stessa sedia dove stava seduto era rimettere in
ordine ogni tassello che componeva il puzzle incredibile di quella serata
incandescente.
Sulla location iniziale non aveva
dubbi: la casa del sindaco Lockwood. Poco dopo la
dipartita della terribile Bonnie lui aveva cercato - e trovato, ovviamente - qualche nuova
cassa di bottiglie da scolarsi. Quando Alaric l’aveva
scovato, era quasi in stato comatoso. Ricordava di averlo sentito bofonchiare
qualcosa, probabilmente qualche insulto a suo indirizzo, poi l’aveva preso di
peso e caricato in macchina.
Nel bagagliaio.
Sorrise appena, mentre finalmente
la luce tornava a illuminare l’oscurità creata dall’inebriante elisir.
Il
biondo professore fissò con stizza l’interno del cofano della sua macchina,
dove il placido vampiro da lui ivi deposto sembrava pronto a schiacciare un bel
sonnellino.
Non
capiva bene il perché, ma in quello stato lo urtava ancor più che da sobrio:
probabilmente il motivo era che, ancora una volta, si mostrava indisponente
quando invece a lui serviva il suo aiuto urgente.
Chissà
cosa gli era successo quella sera per condurlo a conciarsi in quel modo.
In
un certo senso stimava Damon, lo riteneva una persona molto intelligente, uno
stratega dall’intuito infallibile… ma trovava che il suo pensiero fosse tanto veloce quanto il suo
istinto, che non mancava mai di seguire, difettaccio che più di una volta era
servito a mandare in fumo i vantaggi acquisiti col suo abile intelletto.
Inoltre,
la mancanza di un equilibrio, tanto emotivo quanto morale,
lo rendeva inquietante quanto una bomba ad orologeria dal timer impazzito: il
pericolo era solo in potenza, ma la minaccia costante lo rendeva quasi
inavvicinabile, se non con numerose cautele.
Ben
sapendo questo, dunque, Al tendeva a stargli il più possibile lontano,
avvalendosi del suo aiuto solo quando sapeva che certamente sarebbe stato dalla
sua parte.
Quella
sera, tuttavia, aveva intenzione di mandare all’aria qualsiasi precauzione nei
suoi confronti: troppo era il bisogno che aveva di lui per lasciarlo in quello
stato, anche a costo di qualsiasi – certa
– ritorsione.
“Dove…?” Mugugnò in
quel momento il suo passeggero, dagli occhi oramai socchiusi. Probabilmente
intendeva chiedergli dove stessero andando.
“Non
ti preoccupare, sono certo che dopo il viaggio sarai
abbastanza lucido da capirlo da solo.” Gli rispose con vago tono sadico, e ben
sapendo che lui non l’avrebbe capito in ogni caso continuò “Mi servi lucido,
Damon.”
Chiuse
il cofano e si sedette al posto di guida. Casa sua non distava molto da lì, ma
il suo ospite aveva bisogno di un po’ di tempo e molto movimento per
riprendersi.
La
strada ricca di curve e dossi che dal paese conduceva alle campagne circostanti
faceva proprio a caso suo.
Probabilmente
sarebbero bastati una decina di minuti per risolvere
il problema.
Accese
la macchina.
Schiacciò
l’acceleratore.
Chissà
se Damon era mai stato sulle montagne russe.
“Ti ho vomitato tutto il cofano” Disse il
vampiro, dopo aver squadrato con sguardo un po’ minaccioso e un po’ perso il
suo carnefice. Al professore ricordò tanto un bambino dispettoso.
“Ho
visto”
“Domani,
quando mi riprendo, ti stacco la testa”
“Domani,
quando ti riprendi, ricordati che ce l’hai fatta solo
grazie a me”
“Vorrà dire che per sdebitarmi ti
offrirò un viaggio nel bagagliaio anch’io.
Alaska, ti piace? E’ da un po’ che vorrei tornarci”
“…
Sei sempre stato molto equo”
“In
questi casi non manco mai di rendere il favore ricevuto”
“Capisco.
Abbi pazienza, mi servivi!”
“La
mia pazienza se ne va con la sbornia”
L’uomo
scosse la testa: parlare con un Damon mezzo brillo era deleterio per i suoi
nervi. Sperava solo che fosse in grado di reagire con razionalità davanti alla
sorpresa che avrebbe trovato nel suo salotto. “Vieni in casa” Gli disse dunque,
infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso l’abitazione.
“Non
ci penso nemmeno!”
Alaric si voltò,
allibito e vagamente seccato. “Cosa?! Non ti ho fatto
rinsavire per vederti andare via!”
“No,
è evidente che l’hai fatto perché non avevi più voglia di vivere la tua
inutile, stupida, patetica vita!” Gli sputò arrabbiato, barcollando nella
strada mentre tentava invano di chiudere la zip del
giubbotto in pelle.
“Damon,
la faccenda è grave.”
“Ci
puoi scommettere!”
“C’è
Isobel là dentro”
Silenzio.
Per
Damon fu come ricevere un secchio d’acqua gelata direttamente sulla testa.
Isobel.
Isobel
significava Katherine.
“In
casa tua?” Chiese, ciondolando nella sua sbornia imperitura.
“Sì”
“L’hai
fatta entrare” Constatò con gravità.
“Mi
ha chiesto aiuto”
“Per
ucciderti nel sonno o per ficcarsi un paletto su per…”
“Damon!”
“…
perché se non è per ucciderti o uccidersi, per
quale motivo dovrebbe andare da te?”
“Afferma di essere braccata da Katherine”
“…
COSA?!” Rimase immobile per un attimo, riflettendoci
sopra. “Isobel ha schiacciato la coda alla gatta sbagliata, vero?” Ridacchiò,
assaporando il ricordo della perversa malignità della sua passata amante.
“A
quanto dice lei, Katherine è furiosa con lei perché ha osato tentare di
ammazzare il suo uomo”
Silenzio.
“Sono
io il suo uomo?”
“Sì”
Aveva
appena pronunciato la risposta, che il vampiro scomparve da davanti a lui. Alle
sue spalle la porta di casa sbatté violentemente contro il muro.
“Dannazione!” Mormorò, correndo dentro
l’abitazione.
Era
stato pazzo solo a pensare di poter convincere un Damon mezzo brillo a
mantenere la razionalità con Katherine di mezzo quando, a conti fatti, anche da
lucido il solo pensiero di quella donna riusciva a fargli perdere il senno.
“IL
SUO UOMO?! IO SAREI IL SUO UOMO?!”
“Damon!”
Esclamò Isobel colta di sorpresa, alzandosi velocemente dal divano su cui era
seduta. Ma non
ebbe neanche il tempo di fare un passo che si ritrovò schiacciata contro il
muro con il viso demoniaco del Salvatore a un centimetro dal suo.
Ne
ebbe paura, sapeva quanto quel ragazzo fosse instabile emotivamente, che
temperamento istintivo possedesse …. E in quel momento pareva proprio una
bestia impazzita.
“ORA SAREI IL SUO UOMO?!
E DURANTE QUESTI CENTOQUARANTACINQUE ANNI, COS’ERO?!
COS’ERO QUANDO HA SCELTO DI SCAPPARE DALLA CRIPTA E
NON FARSI MAI PIU’ RIVEDERE?!”
“Damon… Oddio…!” Mugugnò quella,
completamente incapace di opporgli resistenza.
“SONO
DIVENTATO PAZZO, PAZZO PER LEI!” Continuò lui a gridare, sbattendola con
violenza contro la parete, insensibile a ogni suo lamento.
“DAMON!”
Gridò Alaric, sulla soglia d’ingresso del salotto.
“Lasciala stare!”
“La
difendi, Al?! Cosa te ne fai di una
come lei? Vuoi finire come me? Vuoi impazzire anche tu?”
“Non
ti preoccupare, sono ben lungi dal rassomigliarti.”
“Ahhh Al, l’amore è una brutta bestia: quando credi di
essertene liberato, eccola ritornare lì, più feroce di
prima!” E rise, rise di un riso amaro che sapeva di cuori infranti e speranze
disilluse, i sentimenti accresciuti dal poco alcool ancora in circolo, guardando
Isobel e vedendo Katherine. “Non si sa mai, meglio non correre alcun rischio!”
Mugugnò, afferrando in un attimo la croce di legno che stava appesa sul muro
sopra di lui e trasformandola in un perfetto paletto da caccia.
“Damon,
fermati!” Gridò il biondo, correndogli al fianco a trattenergli il braccio
armato, mentre l’ex moglie terrorizzata faceva passare lo sguardo dall’uno
all’altro attendendo con ansia il suo destino.
“Sai
che non sarà il tuo braccio a fermarmi, vero?”
“E
tu sai che lei non è Katherine, vero?”
Il
bellissimo demone fissò la sua preda impaurita con sguardo cattivo. Il mare dei
suoi occhi si perse in quello di lei, perfettamente identico. Quasi gli sembrò
di leggere qualcosa in quella somiglianza inquietante, ma l’ira scatenata da
quella frase di Katherine non gli diede modo di approfondire il concetto.
Katherine.
Lei
lo reputava il suo uomo.
Lo
amava?
No,
Katherine non era in grado di amare.
Le
piaceva, piuttosto, possedere.
Non
era il suo uomo… era il suo giocattolo.
E
lui, stupidamente, si era dannato l’anima e fottuto la
mente prima di capirlo.
“Se
è vero che lei ti da la caccia, sei spacciata. Sa già dove sei e come ucciderti” Disse, allontanandosi da lei
e gettandosi sul divano, senza però abbandonare il suo improvvisato paletto.
Alaric riprese a
respirare: strano ma vero, era riuscito a farlo ragionare.
“Qua
non può entrare” Gli fece notare.
“Troverà
il modo. Ad esempio, potrebbe ammazzarti mentre vai a lezione così da abbattere
la maledizione e poter tranquillamente fare il suo ingresso trionfale in questa
casetta da quattro soldi!”
“Oh,
mi spiace che la mia dimora non sia di suo gradimento... ma sa, faccio il
professore, non il vampiro centenario!”
“Sei
fortunato, potrei aiutarti a cambiare lavoro!” Gli disse, facendogli un allusivo occhiolino.
“Sto
bene così”
“Oh, la modestia: la conseguenza più
grave data da tale afflizione è che conduce all’accontentarsi…
quando invece si potrebbe arrivare più in alto.
Ma non stiamo qui a riderti dietro,
questa sera abbiamo ospiti ben più illustri!
Prego
Isobel, vuoi dirmi secondo te perché ho deciso di seguire i consigli del tuo
patetico ex marito piuttosto che squartarti in mille pezzi, come consigliava la
mia esuberante perversione?”
“…”
La bella donna lo fissò in silenzio, tentando di ritrovare la calma ma, in cuor
suo, ancora tremando alla presenza del vampiro.
“Ah
ah, piccola discola, non hai studiato per oggi?”
Disse, muovendo il paletto in sua direzione come se fosse una bacchetta da
insegnante.
“Per
farle un dispetto” Sussurrò allora, non osando tuttavia allontanarsi dal muro
per evitare di avvicinarsi anche di un solo millimetro a lui.
“Spiegati
meglio!” La incitò lui, ebbro di un’allegria che preoccupò perfino Saltzman.
“Tenendomi
in vita ed evitando che mi uccida non le farai avere ciò che vuole, e farla arrabbiare… immagino sia uno dei pochi piaceri che ti siano
rimasti”
“A dire il vero molte cose ancora mi
danno piacere, una di quelle è la fine che avrei voluto farti fare. Ma per rovinare i piani a Katherine…
questo e altro!
Tuttavia,
mantenerti in vita non significa necessariamente che tu debba rimanere illesa”
“Damon,
per favore!” Intervenne allora il biondo professore, preoccupato da ciò che
quella frase lasciava presagire.
“Cosa vuoi?!”
“Casa
mia non è una macelleria!”
“Se
lo fosse probabilmente avresti uno stipendio
migliore!”
“Potrei
sapere da quando t’interessa così tanto la mia
retribuzione?!”
“Da
quando mi hai infilato nel cofano e portato in giro a centocinquanta chilometri
orari, ad esempio!”
“E
credi di colpirmi dandomi del misero poveraccio?!”
Lui ghignò, sadico “Adopererò una
metafora di facile intendimento per spiegarti meglio il concetto usando… le mosche! Sai qual è la più grande magia della
mosca? Pur essendo piccola e insignificante, dopo che rimane a girovagarti attorno instancabilmente riesce a farti diventare i coglioni
grandi quanto una casa!”
“…”
“Esatto, stai in silenzio e non
intrometterti.
Cara-mamma-di-Elena, torniamo a
noi. Immagino che quanto ti dicevo prima sia stato inteso tanto bene da questo
buffone che sposasti un tempo, prima di accorgerti che preferivi venire a letto
col sottoscritto …” sorrise, vedendo di sottecchi Al poggiarsi una mano sugli
occhi e imprecare fra le labbra “… quanto da te. Dunque, se vuoi rimanere completamente
intera dovrai renderti utile”
“In
che modo?” Chiese lei, intenta a fissare l’ex che, a denti stretti e braccia
incrociate, tentava di reprimere l’istinto di picchiare il suo ospite
antipatico. Quella frase l’aveva colpito nel profondo, era evidente…
e aveva colpito anche lei. Quanto avrebbe dato per tornare indietro nel tempo e
non compiere tutti quegli errori?
“Cosa lega te a Katherine?”
Isobel
si voltò di scatto a fissare il suo interrogatore. Quel’apparentemente semplice
quesito ebbe l’effetto di interrompere il flusso di rimpianti, catapultando la
sua attenzione su quegli splendidi occhi azzurri che la fissavano severi.
La
voce di Damon poteva pure aver avuto un tono giocoso, ma guardandolo si capiva
che non stava scherzando.
Quel
modo di fare le ricordò tremendamente la donna da cui scappava: anche lei amava
giocare con le sue vittime come il gatto col topo, e nel farlo riusciva a
essere ancora più terrificante del Salvatore lì presente.
Era
quella comune follia ad averli fatti innamorare un tempo? Probabilmente sì.
Con
Stefan, invece, cos’era stato?
Quale la scintilla? Lui era così diverso da lei e dal fratello….
Che fosse questo? La diversità?
Sospirò,
cacciando via un po’ di tensione. Non era quello il momento di porsi domande
sul rapporto che legava quel trio amoroso, aveva ben altro di cui preoccuparsi.
Damon
voleva avere risposte, e per averle non avrebbe esitato a fare ciò che già
aveva anticipato.
Avrebbe
voluto tanto aprire la bocca e spifferare ogni cosa che sapeva…
ma non poteva. Troppe persone avrebbero sofferto, e fra queste quella figlia a cui già ne aveva fatte passare troppe.
Era
pronta a rischiare la sua incolumità per la sua felicità.
Meno
sarebbe riuscita a dire, quindi, meglio sarebbe stato.
Per
tutti.
“Perché
pensi ci sia un legame tra noi che trascenda il puro
servilismo?” Chiese allora, facendo nascere un sorriso furbo sulle labbra del
giovane uomo.
“Perché
è stata lei a inviarti da me per la trasformazione. Perché Katherine non gioca
mai in squadra con altri vampiri. Perché sei la madre di Elena, l’emblema della
catena che ti tiene unita a quel mostro… e non mi
venire a dire che la loro è pura e semplice
somiglianza, perché potrei perdere la pazienza istantaneamente”
“Mai
pensato che potrebbe essere il suo doppelgaenger?”
“Mai
pensato che, se giochi col fuoco, potresti bruciarti?”
“Sul
serio Damon”
“Sul
serio Isobel”
“Cos’è
un doppelganger?” Chiese il professore, ignorante
riguardo l’argomento.
“Un
gemello che condivide metà della tua anima ed è, per questo, esattamente il tuo
complementare” Spiegò velocemente il demone.
“Intendi… una sorta di controparte maligna?”
“Maligna… dipende
da che punto di vista guardi la coppia e dall’equilibrio esistente fra le due
porzioni spirituali: in casi di equilibrio, ad esempio, esse si corrispondono.
Comunque sì, esatto.”
“Beh,
detta così non sembra tanto irrealistica come opzione”
“Sono d’accordo, se non fosse per qualche
piccolo particolare tecnico da tenere in conto.
Vero,
Isobel? Io e la tua sconsiderata mogliettina sappiamo
entrambi che non può esserlo, perché se Elena fosse davvero il suo doppelgaenger, Katherine non vedrebbe l’ora di ucciderla e
avere la metà del potere che lei tiene nella sua anima; mentre, finora, non
l’ha fatto nonostante ne avesse più volte avuto l’opportunità.
Inoltre
il vostro ‘rapporto di lavoro’ è iniziato ben prima della
nascita della mia adorata cognatina.
Smettila
di blaterare sciocchezze, ti conviene”
Alaric corrugò la
fronte, fissando l’ex moglie che, in quel momento, teneva gli occhi fissi sul
pavimento. Stava tentando di nascondere la verità perfino allora, con Damon
pronto a farla a pezzi al minimo sgarro.
Ma perché? Perché lo faceva? Quali
gravi segreti occultava?
Strinse
le mani a pugno, irritato dal suo atteggiamento: non ne poteva più di vedersi
negata la verità. Perfino quando erano sposati non aveva
fatto altro che nascondere, nascondere, nascondere… finché
un giorno si era svegliato e di lei non era rimasta alcuna traccia.
Andata.
Sparita.
Eclissata nel nulla.
L’aveva
creduta morta, e per vendicarne la morte si era inoltrato in un mondo oscuro e pericoloso,
quello del soprannaturale, di cui all’inizio aveva ignorato perfino la vera esistenza,
intenzionato unicamente a uccidere il suo supposto assassino, Damon. Aveva
rischiato la sua vita per lei.
Solo
dopo aveva scoperto che era stata lei a scappare e a chiedergli di trasformarla.
L’aveva
sempre lasciato fuori dalle sue scelte, dai suoi piani, dalla sua testa… forse anche dal
suo cuore.
In
passato, ignaro di tutto e convinto della sua innocenza, l’aveva perdonata. Ora
invece, col senno di poi, era più propenso ad adottare metodi ben alternativi alla
comprensione.
“Mi
ha detto che Katherine non farebbe mai del male a Elena, pur essendo la ragazza
di Stefan” Rivelò allora, dando al suo amico la
conferma della sua menzogna.
“Come
appunto dicevo, io ho sempre rag… Che centra Stefan adesso?!” Si bloccò il
vampiro, corrugando la fronte per un improvviso sospetto.
Non
ancora, non di nuovo quell’intollerabile contesa fra fratelli.
“Diciamo
che… voi due occupate lo stesso spazio nel suo cuore”
Disse Alaric, troppo concentrato sulle infelicità
della sua vita passata per accorgersi di aver appena scatenato una tempesta.
“E
te l’avrebbe rivelato sempre questa stronza?”
“Damon…!”
Ma quello con un gesto violento del
braccio abbatté completamente il tavolino di legno che gli stava vicino.
Al
e Isobel si scostarono da lui istintivamente.
Ci
fu una lunga pausa di silenzio, durante la quale l’ospite irrequieto tentò di
sedare i suoi bollenti spiriti e lasciare spazio alla razionalità, già contesa
fino allora con l’alcool e ancora da esso non completamente libera.
Aveva
giurato di abbandonare il ricordo di lei per ritrovare se stesso…
eppure, ogni volta che gli tornava in mente ciò che era stato il suo cuore
ruggiva come un leone ferito.
Chissà
cosa avrebbe detto Bonnie se lo avesse visto in
quello stato.
Probabilmente
si sarebbe infuriata, e gli avrebbe dato dello stupido.
E,
quindi, per punizione l’avrebbe baciato.
Gli
sfuggì un sorriso al solo pensiero…
La
sua piccola, grande strega.
Sentì
il suo dolore acquietarsi, mentre il ricordo di lei lo
rappacificava.
Si
schiarì la voce, riacquistando in un attimo la sua abituale e sadica vena
umoristica: si sarebbe dato ai romanticismi più tardi…
magari in versione più calorosa, e con la sua donna al fianco. “Credo che, se continueremo così, un vampiro a caso in questa
stanza non vedrà l’alba.
E
non si tratterà di certo di me!
Toglimi
una curiosità, perché hai tentato di uccidere me e mio fratello se Katherine ti
aveva ordinato di non farlo? Non ti credevo così folle”
“Per
mia figlia”
“Sì?
E da quando hai deciso di fare la madre?”
Toc Toc
L’attenzione
di tutti si catapultò all’ingresso, poi gli occhi degli ospiti fissarono il
padrone di casa.
“Non
attendo ospiti, non alle undici e mezza di notte!”
“Ormai
arreso alle lunghe nottate in bianco, eh?” Ghignò Damon, malizioso.
“Potrebbe
essere Katherine?” Replicò quello, lasciando perdere
la sua precedente osservazione.
“Non
sento presenze vampiriche… e quella di Katherine è
molto forte”
“Allora vado ad aprire”
Toc Toc
Toc Toc Toc
“Arrivo!”
Disse l’uomo, correndo alla porta dietro la quale il notturno avventore batteva
con sempre più impazienza.
Aprì,
ritrovandosi davanti l’ultima persona al mondo che
avrebbe pensato di vedere.
Allibito,
rimase in silenzio a fissarla, mentre lei sbuffava seccata.
“Ma sa che ore sono?” Gli chiese con tono di rimprovero.
“…
E tu?!”
“Le undici e trentacinque! E lei mi
lascia fuori di casa a quest’ora? Mi sto gelando!” Protestò,
stringendosi le braccia attorno al magro busto.
“…
Sei sicura di non avere sbagliato casa?!”
“Nient’affatto!”
Rimasero
per un po’ in silenzio a fissarsi, mentre nella stanza affianco gli ospiti iniziavano a domandarsi cosa stesse accadendo.
“Tu
sei…?”
“Eva.
Eva Marion Addams, professore”
“Sì,
ti ho vista alla mia lezione qualche giorno fa… sei la ragazza che è stata male, vero?”
“Esatto”
“Non
eri ricoverata?”
“La
mia tata è riuscita a farmi arrivare un po’ della mia medicina richiamando
dall’oltretomba lo spirito di una sua amica strega… ed ora sono di nuovo in piedi.” Spiegò con stupefacente calma, come una bimba che parlava delle sorpresine
appena vinte nelle uova kinder. “Damon è in casa,
vero?” Chiese, indicando l’ingresso. “Immagino non la disturberà se entro un attimo.
Con permesso…” Aggiunse poi, scansandolo ed entrando
nell’appartamento mentre continuava a mugugnare, in tutta tranquillità “Ma che
freddo che fa!”
“DAMON!”
Il
vampiro, che già aveva udito chi fosse il nuovo ospite, si era alzato in piedi
e fissava per niente felice l’antro d’ingresso del salone, dove una sorridente
e bellissima fanciulla lo salutava con la sua elegante
manina.
“Cosa
ci fai qua?”
“La domande è cosa ci fa lei qua!” Replicò, indicando con un cenno
del mento la donna a lei sconosciuta. “Ho interrotto qualche riunione di
famiglia? Cos’è, tua sorella?”
“A
dire il vero, signorina Addams, le persone in questa stanza
sono tutte miei legittimi ospiti.” S’intromise il professore,
colpito dall’atteggiamento spaccone della ragazza.
“Intende
dire, a mia differenza?”
“Intendo
dire a sua differenza.”
“Ma io sono qui per Damon”
“Ma
questa è casa mia, e lasciatelo dire, il tuo non è esattamente quello che si definirebbe
un comportamento educato”
Eva
lo fissò in silenzio per un po’, stupendolo con la stranezza del tatuaggio che portava
in fronte. Sapeva benissimo che il suo non era un comportamento educato, ma al momento
aveva altro per la testa di cui preoccuparsi. “Lei fa parte del
gruppo, vero? Del loro gruppo, intendo”
“…
Damon, vuoi dirmi cosa sta succedendo?”
“Ecco
la mia sorpresa di questa sera, caro Al… graziosa, non
ti pare? E pure poco costosa: non sei neanche dovuto salire nel bagagliaio
della mia fuoriserie per averla!”
“Non
lo so…”
“Già
dubbioso sulla sua piacevolezza? E dire che non ha ancora dato il peggio di sé!”
“Ti
assicuro che mi ci vuole poco” Brontolò Eva, per niente felice di quel suo commento.
“Ne
sono più che sicuro!”
“Non
mi provocare, non sono esattamente di buon umore e, qualora decidessi di andarmene,
ti assicuro che sarà tutto a tuo discapito”
“Perché
mai?! Ti assicuro che meno mi stai intorno, meglio sto”
“Stasera
avrei detto tutto il contrario… mi sembravi piuttosto
interessato a me”
Damon,
che aveva già una perversa risposta pronta da pronunciare,
ebbe un attimo di titubanza: cosa significava? Era venuta fin lì per parlare?
D’altronde,
in effetti, la sua presenza non poteva avere nessun altro senso che quello:
poco prima aveva appreso che non conosceva ancora familiarmente il professore,
quindi non era lì per trovarlo… e quand’era entrata
aveva chiesto proprio di lui.
Decise
di moderare il suo caratteraccio e tenere un atteggiamento più cauto e pacato. “Perché sei qui?”
“Per
spiegarti chi sono”
“Cosa
ti ha fatto cambiare idea?”
“Rosie è riuscita a farmi il lavaggio del cervello”
“Sono
tutt’orecchi”
“Un
attimo. Voglio sapere chi è lei… non parlo davanti a sconosciuti”
“Si
chiama Isobel, è una vampira”
“Fa
parte del gruppo come il professore?”
“Non
esattamente. Lei… ha appena chiesto protezione”
“Perché?”
“E’
braccata da un’altra vampira”
“Non
capisco… è una visitatrice temporanea?”
“Sono
l’ex moglie del tuo professore… nonché
la vera madre di Elena” Spiegò allora la diretta interessata, fissando con
attenzione la straniera. La sua venuta l’aveva salvata da una probabile
tortura, per cui era ben propensa a mostrarsi disponibile nei suoi confronti.
La
ragazza fece una smorfia d’apprezzamento. “Wow! Ed io
che credevo di avere una famiglia complicata! D’improvviso quell’oca modaiola mi
sta più simpatica!”
“Elena
non è un’oca” Sibilò il vampiro, fulminandola con uno sguardo dei suoi profondi
occhi azzurri.
Lei
lo studiò, e mentre lo faceva un ghigno divertito si delineava
sempre più nel suo viso “Ma non mi dire: corri dietro alla ragazza del tuo fratellino!”
“Ti
sbagli di grosso”
“E
la mamma vampira cosa ne pensa? E’ felice del casino che grava intorno alla sua
figliola?!”
“Elena
è una ragazza in gamba” Replicò quella, sforzandosi tuttavia di non mostrare quanto
quella frase l’avesse colpita… e quanto la ritenesse vera.
“Ah ah, e loro sono dei bravi pipistrelli,
non è vero?
Certo, ogni tanto hanno bisogno di strappare qualche arteria e fare secco qualcuno… ma non si può mica pretendere la perfezione!
Sa
qual è il brutto di voi vampiri? Che credete di poter essere umani, quando invece
non lo siete! Credete di poter vivere come vivevate prima della
maledizione, mangiando, bevendo, lavorando e, perché no, costruendovi una famiglia,
rendendovi conto solo troppo tardi che tutto ciò che toccate si distrugge, perché
voi siete morti, siete morte… e solo morte riuscite a
portare!” Lo disse con un tono leggero, quasi frivolo, e il sorriso sulle labbra… ma i suoi occhi brillavano di rabbia a malapena trattenuta.
Isobel
corrugò la fronte, mentre un vago sospetto le nasceva in cuore. Certo, le sue parole
le avevano fatto sudare le mani e accelerare il battito cardiaco…
ma era stato qualcos’altro a colpirla di lei.
Per
la seconda volta in quella giornata le parve di avere davanti una copia – anche se sbiadita – della sua terribile Katherine.
Nel
frattempo Damon - che l’aveva ascoltata con l’aria annoiata di chi ha avuto la sfortuna
di trovarsi davanti il nuovo profeta di turno intento a
annunciare l’ennesima fine del mondo - prese la parola. “Senti un po’, piccola Sibilla: la signora ha già
tentato di uccidermi una volta perché ronzavo intorno alla sua bella bambina, quindi
ti dispiacerebbe evitare di metterle di nuovo in testa idee poco sane?!
Anzi,
già che ci sei, potresti non rivolgerle neanche la minima attenzione e muoverti
a dirmi ciò che devi?”
“Parlavi
per esperienza personale?” Chiese tuttavia, proprio in quel momento, Isobel.
“Più o meno”
“Eva
Marion Addams, giusto?”
“Sì
signora”
“Da
dove vieni?”
“Vuole
sapere anche il mio numero di scarpe?”
“Non
necessariamente”
“Lei
da ove viene?”
“Sono
nata in zona… e poi ho vagabondato per un po’”
“Solita
vita da vampiro errante”
“Già”
“Vengo
da Los Angeles”
Los
Angeles.
La
vampira strinse forte la mano a pugno e si morse la lingua pur di non svelare quale
grave importanza avesse per lei quella risposta. Nella sua mente ricca di notizie
agli altri ignote iniziò a costruire castelli di teorie
e ipotesi, tutte altamente probabili.
“Mi
chiedo perché un demonio come te venga da una città che porta proprio quel nome”
Osservò Damon, spazientito.
“Ma io sono un angelo bellissimo”
“Sì? Mi devo essere perso la tua
copertina su Playboy”
“Oh,
è da molto che hai sostituito le donne col giornalino?” Chiese, dispiaciuta.
“Non
mi dire, usi anche tu queste battutine di second’ordine
per raccattare prestazione dimostrative?” Domandò in
risposta, fingendosi stupito.
“Eh… è possibile sapere quando avete deciso di farci capire
qualcosa?” Domandò Alaric, stanco di quel battibecco.
Non
solo una quasi completa sconosciuta gli era piombata in casa nel bel mezzo
della notte, ma ora si trovava pure a sorbire un’inutile
schermaglia fra ragazzini dispettosi. Aveva capito che l’arrivo di Eva era
stato fonte di preoccupazione per il gruppo, tuttavia ne ignorava la
motivazione e quanto fosse successo in quei giorni… e certo i due non lo stavano aiutando a capire.
“Ma certamente! Ti dispiacerebbe farci capire qualcosa, finalmente?” Disse il moro,
rigirando la domanda del professore alla nuova ospite, la cui risposta non si
fece attendere.
“Come
già sai, non sono semplicemente umana”
“Signore
e signore, ecco a voi una delle più rare creature del mondo:
una meticcia!” Gridò lui, indicandola
come se fosse l’attrazione principale di un circo.
“Una
meticcia?!” Ripetè Al, allibito.
“Pensavo fossero solo leggenda!”
“Devi
aver avuto una vita difficile” Osservò invece l’ex moglie.
“Non
per questo: i miei sapevano tenere bene il segreto… e
voi siete portati a fare altrettanto”
“Hai
usato il passato… sono forse morti?” Continuò a
chiedere Isobel.
“Mia
madre. Mio padre è scomparso”
“Eccoci giunti alla domanda del secolo! Tuo padre è un…?”
La interrogò Damon.
Lei,
inizialmente, esitò. Non era abituata a rivelare la natura del genitore, fin da
piccola le era stato insegnato a tenerla celata a qualunque costo.
Tuttavia,
se si trovava lì era perché aveva preso una seria
decisione, ben meditata e ponderata.
Rosie, poi, era dalla
sua parte.
Ricordava
bene quanto era successo quella sera dopo i brutti eventi del cimitero.
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Quando
la tristezza la avvolgeva fra le sue infami spire, ad
Eva piaceva camminare. Andare e andare, muovere i piedi, le gambe, le braccia,
sempre e senza sosta, inoltrarsi nei posti più intricati, nei boschi più
inaccessibili, nei sentieri più pericolosi, come se il non avere mai tregua
fisica la aiutasse a sfuggire a quel vuoto incolore che era la malinconia.
Non
fermarsi mai, per non avere il tempo di lasciare alla mente lo spazio di
analizzare i dolori appena vissuti, di riportare alla luce quelli passati per
poi sommarli tutti assieme e distruggerla con quel senso d’impotenza che sapeva
solo renderla infelice.
Tuttavia,
sebbene le sue gambe potessero andare molto veloce e la sua resistenza fosse
quasi infinita, non si poteva sottrarre a lungo dal predominio del proprio
intelletto: prima o poi le barriere create per
arginarlo si rompevano, e allora la lunga corsa aveva fine. Non c’era salvezza per
i possessori della coscienza… ed era stata lei stessa
a fare in modo che la sua non venisse mai oscurata.
Cadde
a terra col fiatone, le mani immerse nel fogliame muffito del bosco, gli alti
alberi che tutt’attorno la circondavano in un
abbraccio protettivo.
Non
sapeva dove si trovava, ma sapeva bene di non essere
sola.
Sentiva
la presenza di Rosie alle sue spalle.
Il
giorno prima aveva ingerito la sua medicina, ed ora le
sue capacità era tanto cresciute da riuscire a tenerle testa perfino nella
corsa. Peccato che tali doni soprannaturali le sarebbero durati per poche ore
ancora, poi sarebbe ritornata a essere l’umana che sempre era stata e che continuava a volere essere: come ricordava di averla sentita
dire prima, non le interessava vivere per sempre, si accontentava dell’esistenza
che il Signore aveva deciso di darle.
“Non
avevi mai fatto una cosa del genere… non ti eri mai
permessa di prendere decisioni senza rendermene partecipe” Le disse, dopo
essersi trascinata sotto un albero ed essersi seduta ai suoi piedi.
I
jeans che indossava si erano completamente sporcati di
terra e residui di foglie morte, le mani erano sudice e i cappelli scomposti
dalla corsa precipitosa: in quello stato pareva più una fuggitiva che una
semplice ragazzina ribelle.
“Veramente
ti ho reso partecipe di quanto intendevo fare questo pomeriggio, ma tu sei
scappata via senza lasciarmi concludere e darmi
risposta, come invece avresti dovuto” Le disse, dolce e severa al contempo, in
piedi poco distante da lei che non la degnava neanche di uno sguardo.
“Forse
era interpretabile come un NO, allora?” Sbottò, seccata.
“Forse
dovresti evitare di lasciare le spiegazioni dei tuoi comportamenti alle libere
interpretazioni, allora?”
“Vedi,
continui a fare cose che non mi piacciono!”
“Come
cosa?!” Chiese la donna, non capendo seriamente cosa
intendesse.
“Come
chiedermi di cambiare. Quando avrò voglia di essere perfetta e diventare un
modello ottimale di comportamento lo farò, ma al momento ho ben altro per la
testa e tale proposito non mi potrebbe interessare di meno.”
“Eva,
tu vivi in una società che ha determinati canoni e
regole, e se non vuoi essere rigettata come individuo deviante devi seguirle”
La
ragazza sospirò, mentre l’ira iniziale lasciava il posto a un grande sconforto.
“Rosie… questa non sarà l’unica
società in cui vivrò. Ti scordi spesso che io sono immortale: il mio
essere non è aggrappato al solo qui ed ora, io ci sarò
per sempre. Sono stata frustata abbastanza dalla vita per
sopportare anche il peso delle catene che tu mi vuoi imporre. Correggimi se
abbandono la retta via, ma finché non faccio del male a nessuno non pretendere
di cambiare la mia imperfezione”
La
mora le si avvicinò, sedendosi al suo fianco e
poggiandosi il suo capo sul petto. Sorrise lievemente, mentre le accarezzava la
chiara chioma arruffata. “Bambina mia, ora sei tu che pretendi che io cambi:
nella mia vita non ho fatto altro che la madre, come potrei ora mutare mestiere
proprio con te che mi dai tanta occasione di praticarlo?”
Anche
Eva, nonostante tutto, a quella battuta ridacchiò un poco. Stare fra le sue
braccia la calmava, e un po’ del magone si era
dissipato grazie a tanta dolcezza.
L‘armonia
tornò da loro circondata dal silenzio che le avvolse per gli attimi successivi,
riallacciando gli spiriti scossi dalle incomprensioni appena avute.
Ben
presto, tuttavia, giunse il momento dei chiarimenti.
“Perché
l’hai fatto, Rosie?”
“Avevano
capito che c’era qualcosa di strano in te”
“E
allora?”
“Questa
è una zona che ha sofferto per lungi guerre fra vampiri e umani. La terra urla
per il sangue dei suoi figli che è stata obbligata ad
inghiottire! Bisognava chiarire prima che qualcuno decidesse di darti la
caccia.”
“Ho
perso i miei amici in passato per via del mio segreto, e ora mi ritrovo a
svelarlo a persone che neanche mi piacciono…”
“Allora
era diverso! Era piccola, eri una bambina e non si sapeva se la maledizione si
sarebbe fatta viva! Cosa avresti fatto se la sete di
avesse colto in loro compagnia? Ti saresti cibata di loro? E poi? Te ne saresti
pentita per tutto il resto della tua esistenza? Ora questo pericolo non c’è
più! Ora puoi permetterti degli amici!”
“Loro
non di certo!”
“Cos’hanno
loro di sbagliato?!”
“Beh… ad esempio, due di loro sono vampiri!”
“Sono persone per bene”
“Il
verme viscido non di certo, ha anche tentato di rubarmi il diario!”
“Beh,
lui ha qualche precedente nefasto... ma è in via di miglioramento. Diciamo che
va preso con le pinze e bisogna guadagnarsi la sua fiducia per evitare di
diventare bersaglio prediletto dei suoi piani diabolici!”
“Meno
male che era una brava persona…”
“Sheila
mi ha detto che di lui possiamo fidarci, e lei dice sempre il vero.”
“Uff, sempre a cercare i tuoi fantasmini….”
“Sulle
due ragazze, invece, non puoi avere niente da ridire!”
“Bah,
una bambola e una strega… per carità!”
“Finiscila!
E pure il ragazzino… come si chiama?”
“Quello
che stavo per arrostire?”
“Es…a proposito! Cosa ti è saltato in mente?! Meno male che volevi tenere la
segretezza sul tuo essere!”
Lei
fece spallucce. “Mi sono saltati i nervi… sai,
giornata no”
“Per
quale motivo?”
“Devo
iniziare da capo oppure...”
“No,
giungi subito alla fine.”
“Aveva
un anello protettivo”
“….
Oh, capisco. Di che tipo?”
“Era
uno di quelli protettivi… quelli per gli umani”
“Beh,
la sua presenza a dire il vero è piuttosto rassicurante”
“Perché?”
“Perché
può averglielo dato solo tuo padre o qualcuno di sua fiducia a
cui lui stesso l’aveva regalato! E tuo padre ha sempre dato le sue pietre
con grande giudizio!”
“Già… è l’unica cosa con giudizio che sia mai riuscito a
fare”
“E’ per questo che ti sei arrabbiata? Perché
hai pensato a lui?”
Lei
rimase in silenzio, pensando ciò che provava per lui. “Alle volte credo di
odiarlo”
“Tuo
padre non è una persona cattiva, non si merita il tuo odio”
“Hai
ragione, si meriterebbe la mia indifferenza, ma non posso fare a meno di
pensarlo e arrabbiarmi per ciò che non ha fatto”
“E’
perché gli vuoi bene!”
“No
Rosie… è perché so che lui non me ne vuole quanto io ne voglio a lui.
Ma ora basta con le smancerie e
i sentimentalismi, ne ho abbastanza per questa sera.
Credi
che farei bene a cercarli e dir loro tutto?”
“Credo
di sì”
“Forse
non mi farebbe male avere degli amici… almeno per un po’,
per provare. Dove saranno?”
“Probabilmente
alla festa a villa Lockwood!”
“Allora
aspetto domani, lì non ci vado manco morta!”
“Ma non avevi detto che intendevi avere dei nuovi amici?”
“Se
speri che me ne vada in giro a sorridere a destra e a manca ti sbagli di
grosso! Mi accontento della setta dei filo-vampiri!”
“Oh,
benedetta ragazza!
Sempre controcorrente! Va bene, va bene, ma andiamo a casa
ora!” Disse, alzandosi e aiutandola a fare altrettanto.
“A
casa?!”
“Se
credi di andartene in giro per il paese lurida come un
maiale ti sbagli di grosso!”
“Beh,
in effetti…” Mormorò la mora, rendendosi conto solo
allora dello stato pietoso in cui versava. “A casa potresti anche usare il
pendolo e cercare di individuare i ragazzi… magari ce
n’è qualcuno che non è andato alla festa!”
“Wow,
questa tua impazienza mi colpisce!”
“Cavalco
l’onda finché c’è… domani potrei aver cambiato idea!”
Le rivelò, facendole l’occhiolino.
“Allora
corriamo, so con certezza che il tuo buon umore non ha mai durata
molto lunga!”
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Il
pendolo aveva rivelato che le uniche tre persone che non avevano partecipato
alla festa erano Bonnie, Jeremy e Damon: avevano poi
scelto quest’ultimo – nonostante le mille proteste di Eva – perché era nel
gruppo il più ostile nei suoi confronti. Secondo Rosie
concedergli di ricevere la verità per primo lo avrebbe invogliato ad avere
rapporti più amichevoli con lei. Ad Eva, invece,
bastava che lo invogliasse ad ignorarla completamente.
Tirò
un sospiro d’incoraggiamento, poi rispose fissando il suo interlocutore negli
occhi.
“Un
dio”
“Tuo
padre è un…?”
Ripetè lui.
“Un dio!”
“TUO
PADRE E’ UN?”
“UN
DIO, RITARDATO!”
Il
vampiro si spazientì e abbandonò subito l’atteggiamento da presentatore buffone
per assumere la sua solita aria minacciosa.“Senti un po’, finora non ti ho mai parlato
dei miei nervi ma ti assicuro che sono molto, molto, molto fragili, specialmente
quando ci sono le tue cazzate di mezzo”
“L’unica
cazzata che contemplo in questo momento è la tua esistenza. Vedi, è in momenti come
questi che trovo che l’omosessualità risparmi all’umanità
tanti sprechi inutili di carne: se tuo padre, anziché farsi tua madre, si fosse
incul…”
“Mi
vorresti fare credere che tuo padre sia davvero un dio?”
“Si, struzzo di poca fede. L’unico scampato alla maledizione,
e uno dei pochi antichi dei ancora in vita”
“Quale
maledizione?”
“Quella
con cui, millenni fa, furono tutti trasformati in vampiri”
“…
Stai dicendo sul serio che gli dei di una volta sono i vampiri di oggi?!”
To be continued…