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Autore: Amerginverdistelle    03/11/2010    2 recensioni
E' insolito che un quarantenne fanatico di Tolkien abituato a scrivere in versi si ritrovi catapultato nel mondo delle fanfictions.
A me è successo con la saga di Harry Potter. In cinque mesi ho letteralmente divorato i sette libri, e quando mi sono trovato a leggere l'ultimo capitolo dei Doni della Morte ho detto "Cavolo.. no! Come diciannove anni dopo? E tutto quello che è successo in quei diciannove anni dov'è? Perduto nel limbo?" E mentre dicevo questo avevo messo via il libro e preso il mio bel blocco ad anelli e già stavo scrivendo...
Questa è una quadrilogia che abbraccia nelle prime tre parti l'intero periodo di questi diciannove anni "perduti", mentre l'ultima parte è molto successiva all'epilogo dei Doni della Morte.
E' stata la prima fanfic che ho scritto, e i limiti si vedono.. ma mi piacque tantissimo farla, e non me ne sono mai pentito. Tanto è vero che poi ho continuato arrivando appunto alle quattro parti che compongono "Nuovi Doni".
Spero piaccia anche a voi.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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CAPITOLO PRIMO

Dieci settimane dopo

La professoressa Minerva Mc Granitt fissò per l’ennesima volta le spire di vapore che ancora andavano levandosi dalla sua tazza di tè.

Seduta alla scrivania, la preside "ad interim" della Scuola di Magia di Hogwarts (come lei stessa sottolineava ad ogni occasione, utile e non) si guardò attorno, compiaciuta e preoccupata allo stesso tempo.

La soddisfazione le derivava dal fatto che in sole dieci settimane una buona parte dei danni riportati dalla scuola erano stati sanati; gran parte delle mura erano di nuovo in piedi, e nel giro di un paio di giorni anche la Sala Grande ed il suo soffitto magico sarebbero stati di nuovo agibili ed utilizzabili.

Certo, restava il problema del ponte sospeso; i sovrintendenti del Ministero della Magia stavano ancora discutendo sul numero originario degli archi di cui era composto, e se fosse il caso di cambiarne il colore… rischiando, ogni giorno di più, che gli esasperati addetti del Dipartimento Manutenzioni e Ricostruzioni del loro stesso Ministero decidessero di porre fine al dilemma trasformandoli in gargoyles per sostituire quelli andati distrutti durante la battaglia che aveva visto la caduta del Signore Oscuro.

La preoccupazione le derivava dal fatto che non bastava certo rimettere in piedi un edificio perché le cose tornassero alla normalità. L’anno scolastico perduto, i corsi da riorganizzare, nuovi professori da inserire... I Giratempo! Doveva ricordarsi di chiedere al Ministro Shacklebolt (Kingsley, Kingsley… per quanto ancora avrai bisogno di me?) se i Folletti avevano provveduto a reintegrare la scorta andata distrutta durante il duello della Sala delle Profezie.

Oh, anche i Folletti avevano i loro grattacapi: la sede della Gringott da riparare, le indagini sulla detenzione di Oggetti Oscuri nei loro forzieri... Sì, pensò Minerva prendendo un sorso di tè ancora bollente, non avrebbero fatto troppi problemi, e i Giratempo le erano necessari, per il programma di recupero corsi che aveva in mente. Come poi sarebbe riuscita a far digerire il tutto ai suoi colleghi ed agli alunni, quello era un pensiero cui, in quel momento, non voleva dedicarsi.

Ed il tutto lo doveva fare senza far trasparire il dolore che ancora le chiudeva la gola ogni volta che un particolare di ciò che andava osservando, riparando, ricostruendo, le riportava alla mente che più di cinquanta persone erano morte per difendere quel luogo e tanti di loro erano suoi alunni. Valorosi come Fred Weasley, incoscienti come Colin... Ci sarebbe voluto più tempo per piangerli, ed invece c’era tutto quel lavoro da fare: quella scuola, la loro scuola, da rimettere in piedi, anche e soprattutto perché fossero ricordati. E a lei spettava il compito più ingrato, quello di far filare tutto a dovere, di preparare tutto affinchè il ritorno alla scuola fosse un momento di gioia e di speranza in un futuro in cui anche lei avrebbe potuto lasciarsi andare. Ora non c’era tempo.

Attorno a sé intanto quello che da principio era solo un brusio era nel frattempo diventato un chiacchericcio querulo e fastidioso, tanto da costringerla ad affermare, con tono cortese ma fermo:

- Stimati predecessori, capisco che ognuno di voi desideri apportare la propria dote di conoscenza, memoria ed opinioni alla mia indegna persona, affinchè Hogwarts ritorni al più presto a svolgere attivamente il suo ruolo, ma fatelo domattina, non ora, GRAZIE! -

I ritratti dei presidi che l’avevano preceduta la guardarono con espressioni tra l’indignato e il mortificato, e tra borbottii e mormorii assecondarono la richiesta espressa con tanta grazia.

Minerva appoggiò la tazza sulla scrivania, mentre una piuma autoinchiostrante andava vergando sull’agenda dell’indomani un memorandum sul problema da sottoporre ad Hagrid (il professor Hagrid, Minerva, ricordati!) riguardo al ricostituente per i gufi della scuola, che a furia di consegnare informative agli alunni vecchi e nuovi sui tempi previsti di riapertura della scuola, sul nuovo calendario dei corsi, sui libri di testo da acquistare, erano praticamente al collasso. Qualcuno paventava, addirittura, la nascita di un Sindacato dei Gufi e di uno sciopero contro quel superlavoro, ed onestamente non ci mancava che quello: uno sciopero dei gufi.

Mrs. McGrannitt si alzò dalla sedia, prese la sua tazza ed augurò la buonanotte, ricambiata da qualche altrettanto e da qualche sonoro russare.

Anche Albus Silente era profondamente addormentato. Questo non le impedì di dedicargli un sorriso ed un pensiero particolarmente grato; in gran parte, tutte le energie che l’intero Mondo Magico stava riversando sulla rinascita di Hogwarts erano dovute al suo carisma, alla sua perseveranza, al suo rispetto per ogni creatura, magica o Babbana che fosse. Un lavoro che stava dando frutti abbondanti, per quanto pagati a carissimo prezzo.

Mentre usciva dall’ufficio del Preside, notò con la coda dell’occhio Severus Piton intento, nel suo ritratto, a pettinarsi con cura.Il ritratto le restituì un’occhiata interrogativa con uno sguardo della serie "beh, e allora?".

Stanca, Minerva, sei troppo stanca... ancora qualche mese e poi tornerò ad essere solo la professoressa di Trasfigurazione... A questo pensava la Preside (ad interim!) di Hogwarts mentre chiudeva la porta della sua stanza e si distendeva sul letto, estraendo da una tasca della vestaglia scozzese un rotolo di pergamena consegnatole quella mattina da un piccolo gufo schizofrenico (Leotordo? Era quello il nome?) direttamente nella ciotola di porridge della colazione.

Inforcò gli occhiali e cominciò a leggere. La prima cosa che notò fu che a scriverle era Hermione Granger, la sua allieva prediletta. La seconda che c’era troppo porridge sulla pergamena, quindi con un breve cenno della bacchetta ed un "Tergeo" la rese leggibile.

Le fece piacere sapere che Hermione aveva trascorso una settimana di spensierate vacanze in Australia con i suoi genitori, dopo averli liberati dall’incantesimo di memoria a cui li aveva sottoposti durante la fuga da Voldemort e la ricerca degli Horcrux. Ora era rientrata dai Weasley, e in attesa che la scuola riaprisse cercava di dare una mano ad una famiglia ancora profondamente segnata dalla perdita di Fred.

Arthur Weasley era diventato uno dei collaboratori più fidati del nuovo Ministro della Magia, ed anche Percy stava assolvendo una serie di compiti assai importanti anche se, come diceva a volte Kingsley Shacklebolt, la sua pignoleria lo esponeva al serio rischio di essere trasformato in una scaffalatura d’archivio da qualche esasperato sottoposto.

Questo, unito al fatto che Charlie Weasley stava lavorando ad Hogwarts assieme ad una squadra di draghi coibentatori per impermeabilizzare i nuovi tetti della scuola ("Anni di studi, di ricerche... e guarda che mi tocca fare!" soleva lamentarsi sottovoce Charlie, rattoppandosi le ustioni), giustificava il fatto che Hermione si fosse fermata alla Tana, per aiutare Molly Weasley nelle faccende di casa e per cercare di tenere tutti su di morale, soprattutto Ron.

Ron era rimasto particolarmente prostrato dalla morte di Fred, e l’idea di Hermione di convincerlo a lavorare con George alla "Tiri Vispi Weasley" ("prossima inaugurazione della filiale di Hogsmeade", sottolineava Hermione) era stata l’unica cosa capace di scuoterlo dal dolore e dall’apatia in cui era sprofondato dopo i funerali.

- Signorina Granger... non pensare che solo perché sono una professoressa non sappia riconoscere cosa c’è dietro le tue parole - Minerva sapeva perfettamente che Hermione aveva bisogno di Ron quanto Ron di Hermione, e saperli vicini voleva dire che la vita stava riprendendo a scorrere normalmente o, almeno, che stava riprendendo a scorrere. E non era poco.

La lettera terminava riportando i saluti della signora Weasley, i suoi ringraziamenti per tutto quello che Minerva aveva fatto per i suoi figli e che avrebbe fatto in futuro, e l’auspicio di averla presto ospite alla Tana.

- Magari, Molly, magari potessi…- Perdiana, quella donna aveva dato al Mondo Magico sei figli e una figlia uno migliore dell’altro, era stata una colonna dell’Ordine della Fenice, dando prova di una forza inimmaginabile polverizzando l’odiata Bellatrix nella battaglia finale... ed ora era tornata, come se nulla fosse, l’amabile padrona di casa Weasley, pronta ad accoglierla per un weekend di amene frivolezze (quanto tempo dovrà passare prima del prossimo Ballo del Ceppo?).

Ma c’era ancora tanto da fare ad Hogwarts, tanto da sistemare... e non c’erano più Sirius, Albus, Remus, Tonks, Fred, Severus... e Minerva Mc Granitt cominciava a sentirsi, oltre che stanca ed irritabile, anche un po’ sola.

Forse era davvero ora di dormire. Agitò noncurante la bacchetta per spegnere la lampada, trasfigurandola in una perplessa lucciola con interruttore. Ma non se ne accorse, aveva già chiuso gli occhi. Prima di piombare nel sonno pensò che nella lettera non c'era menzione alcuna di Harry Potter (beh, aveva diritto ad un po’ di pace adesso) e neppure di Ginny Weasley... E questo era più insolito, dato che lei ed Hermione erano molto, molto amiche.

"Ora basta" , si disse. All’indomani ci sarebbero stati ben più pressanti pensieri per la Preside (ad interim!) di Hogwarts. Buonanotte.

 

CAPITOLO SECONDO

 

Parla con lei

 

 

Le sei e mezzo del mattino. Harry James Potter aprì gli occhi. Un barlume di luce entrava dagli scuroni della stanza che un tempo era stata di Fred e George.

- Alla Tana… sono alla Tana.. è tutto ok, è solo maledettamente presto -.

Man mano che il risveglio procedeva, Harry cominciò a ripercorrere ciò che era avvenuto dopo il duello finale: la morte di Voldemort.. e la riconsegna della Bacchetta di Sambuco alle mani di Silente.

Tutto il Mondo Magico lo voleva abbracciare, celebrare, premiare, tutti volevano toccare il Prescelto, l’Eroe, Colui che Era Sopravvissuto… e lui voleva semplicemente stare solo.Solo.

Kingsley Shacklebolt lo aveva capito, ed aveva fatto pubblicare sulla Gazzetta del Profeta una notizia secondo la quale Harry Potter era partito per un giro di conferenze da tenersi in una serie di località non meglio precisate con non meglio precisati rappresentanti del Mondo Magico su temi ancora meno precisati (un mirabile Incanto Confundus, aveva riconosciuto compiaciuto il ministro).

Per un mese intero Harry era rimasto dentro la torre di Grifondoro; quando i restauri resero necessario che si spostasse, scelse di proseguire il suo isolamento nella vecchia sede dell’Ordine della Fenice. Il Ministro in persona aveva accompagnato Harry al 12 di Grimmaud Place, e lo aveva lasciato con un consiglio:

- Harry, inutile perdersi in parole ora. Tu sai quanto ogni creatura di questo mondo, magico o non, ti sia grata per tutto ciò che hai fatto... e che hai sacrificato. So che vuoi tempo, e silenzio. Hai persone da ricordare e dolore da cancellare. Hai scelto di venire qui e qui ti lascio, Harry, ma segui il mio consiglio, qui dentro ci sarà tempo per costruire gioia. Adesso non restarci troppo, o il dolore tornerà ancora più forte. Non dimenticare gli insegnamenti di Silente... specialmente uno, Harry. -

Una forte stretta di mano e poi Kingsley si era Smaterializzato.

A pensarci bene, le due settimane che Harry aveva trascorso in Grimmaud Place erano sembrate interminabili. E il dolore non era certo passato. Inutile! Come dicevano i suoi amici, era un testardo ostinato, e se non sbatteva la testa, non capiva.

I suoi amici... Quando Molly Weasley lo aveva invitato, o meglio pregato, o forse intimato di andare a stare da loro, alla Tana, Harry aveva pensato a Ron, alle sue terrificanti prestazioni da Portiere, a Hermione, la pedante, sgobbona, adorabile Hermione che aveva sopportato la maledizione Cruciatus per permettergli di continuare la sua battaglia. Come poteva stare lontano da loro, come poteva pensare di ricominciare a pensare alla vita da solo? E la signora Weasley... Beh, Molly Weasley era come l’odore della torta di mele appena sfornata dopo il rientro a casa alla fine di una partita di Quidditch contro Serpeverde (stravinta, ovviamente). E i suoi abbracci erano un balsamo per tutte le piaghe che Harry si portava dentro. Quindi, era stato bellissimo ritornare alla Tana... almeno fino a quando, uscito dall’abbraccio di Molly, di Ron e di Hermione, Harry aveva sentito una voce.

- Bentornato, Harry -

Ginny.

Ad Harry si era quasi fermato il cuore. Non la vedeva dal funerale di Fred; non era riuscito a parlarle, solo ad abbracciarla forte. Poi l’aveva lasciata con i suoi, a guardare ammirata gli incredibili fuochi d’artificio che George aveva organizzato per l’ultimo saluto al gemello.

- Io... ehm... Ciao, Ginny, lieto di vederti. -

Poi non era più riuscito a spiccicar parola, e Ginny gli aveva rivolto quel sorriso mezzo storto che lui conosceva bene. Ed era uscita.

Era un lunedì. Ed il resto della settimana era trascorso con Ron ed Hermione che facevano avanti e indietro tra Diagon Alley ed Hogsmeade, con Arthur e Percy che venivano coperti di improperi da Molly perché non facevano altro che discutere di procedure di sicurezza e regolamenti di tutela per i Manufatti Babbani, con Charlie che imprecava contro i Dorsorugosi di Norvegia e George che gli consigliava di rivolgersi ad Harry per consulenza, magari sarebbe andato meglio con gli Ungari Spinati. Non aveva, invece, visto Bill e Fleur, ma Molly Weasley aveva detto che stavano lavorando ad alcune modifiche resesi necessarie a Villa Conchiglia e tanto doveva bastare.

Ginny salutava Harry ogni volta che lo incontrava, ma gli rivolgeva il solito sorriso e parlava poco (di solito con Hermione). Stava molto in camera sua, studiava, ripassava, si teneva in esercizio, o almeno questo è quello che diceva.

Quella non era Ginny: beh, i capelli ramati raccolti a coda di cavallo erano i suoi, il profumo che lasciava quando gli passava vicino anche. Erano gli occhi . Gli occhi non andavano.

Se li ricordava benissimo, quando gli era andata incontro trionfante dopo la vittoria nel Torneo di Quidditch: occhi risplendenti di orgoglio, ardenti di riconoscenza e, dopo quel bacio magnifico e maledetto, e i giorni a seguire in cui aveva sognato di essere uno studente qualsiasi che viveva una banale e meravigliosa storia con una compagna di studi e non il Prescelto.

Adesso quegli occhi lo sfuggivano, e questo non andava.

Per Merlino, gli si bucassero le brache.. ma perché certe cose non le insegnavano, ad Hogwarts? Perchè non c'era una professoressa che invece di insegnare a leggere il futuro nei vapori di sherry (come va, Mrs. Cooman?), non insegnava come affrontare certi discorsi con una giovane e talentuosa strega che pretendeva di essere la miglior Cacciatrice che la casa di Grifondoro avesse mai avuto? E che come regalo di compleanno aveva dato ad Harry un bacio, un semplice bacio che da allora, dentro di lui, sussurrava qualcosa di tanto intraducibile quanto improcrastinabile?

Doveva parlarle. Voleva parlarle. Si, ma per dirle cosa?

Sei e trentacinque. E’ domenica mattina, casa Weasley ancora dorme.

Ora hai capito cosa dovevi dirle, vero Harry? Stiracchiandosi nel letto, il giovane mago cominciò a innervosirsi. Ma perché diavolo era sveglio così di buon’ora, dopo una giornata come quella appena passata? E perché si sentiva un sorriso ebete stampato in faccia?

Considerato che il sonno non aveva voglia di ritornare… tanto valeva ripercorrere quel sabato appena trascorso..

Tutto era cominciato al tavolo della colazione. Harry era intento a terminare una gigantesca fetta di torta alla melassa che la madre di Ginny gli aveva servito al termine di un pasto sufficiente per tre Hagrid. Molly sapeva quanto piacesse ad Harry quella torta. Ma rischiò seriamente di farlo strozzare quando, con tono insolitamente formale, pronunciò tre parole:

- Harry, dobbiamo parlare. -

Dopodichè si precipitò a battergli manate sulla schiena e gli fece trangugiare una mezza tazza di tè rinforzato da una generosa dose di Whisky Incendiario.

Quando il colorito di Harry passò dal porpora al carminio (colorito tipico del Potter in fase timida acuta) lo fece sedere e continuò:

- Scusami, ma dobbiamo proprio parlare. Di Ginny. -

Harry balzò in piedi farfugliando qualcosa di incomprensibile riguardo al Quidditch, al rispetto che portava a tutta la famiglia... Ron sapeva che lui era un ragazzo perbene e poi non era successo niente di sconveniente e comunque... ormai ... e poi Voldemort... Non poteva rischiare.. lui usava le persone che gli erano vicine e quindi era stato costretto...

- Finisci la tua tazza di tè, Harry James Potter. -

Per Harry sentirsi chiamare con il suo nome completo fu un segnale inequivocabile. Trangugiò il resto del tè e si preparò al peggio: le arrabbiature della signora Weasley erano famose quanto la sua ospitalità. E attese.

- Harry… - e il volto di Molly Weasley si sciolse in un’espressione tenera e dolente. Questo non era previsto. - Harry, io ho bisogno di chiederti un favore, un grosso favore. -

Il ragazzo balzò in piedi dalla vecchia poltrona, sollevato: poter fare qualcosa per Molly era un piacere, e lo espresse con voce ferma e sicura:

- Signora Weasley, nessun favore che potrò renderle sarà troppo grande per me. -

Quest’affermazione fu seguita da un abbraccio della signora Weasley, particolarmente intenso.

Poi quelle parole.

- Harry, tu devi parlarle. -

Un nodo aggrovigliò la lingua di Harry, ci volle un minuto buono a districarla.

- Eh... Signora Weasley, io dovrei parlare a... -

- A Ginny, Harry. Alla mia Ginny. -

La poltrona riaccolse Harry che vi sprofondò dentro come se fosse stato Schiantato. A confronto trovarsi di fronte al Signore Oscuro sembrava una passeggiata.

- A dire il vero - cominciò Harry - io avrei piacere di parlare con lei. E' che, dopo tutto quello che è successo, pensavo che magari avesse bisogno di stare un po’ tranquilla. Io posso aspettare. -

- No che non puoi, Harry. E neppure lei può. Soprattutto lei – affermò con tono imperioso Molly. Poi lo sollevò dalla poltrona, e lo spinse verso la scala che saliva alle stanze.

- Harry, aiutala... aiutatevi... io sono solo una povera maga madre di sette figli che vorrebbe vedere un po’ di felicità attorno a sé, ma quella non posso tirarla fuori dalla bacchetta. Quella è dentro di voi. Per favore, Harry. Adesso. -

I diciassette gradini che separavano la cucina dalla stanza di Ginny sembravano un dirupo inaccessibile. Harry li percorse lentamente, terrorizzato. Aveva paura. Ma di che? E perché? Ma, soprattutto, perché sul pianerottolo c’era Hermione?

- HERMIONE? -

- Harry, ciao. Scusa sto uscendo. Devo prendere la Metropolvere per Hogsmeade; oggi consegnano il bancone del nuovo negozio e Ron è già là completamente in preda al panico quindi io... Harry... Che hai? – disse l’amica guardandolo perplessa e preoccupata – Harry, hai un odore come di Whisky Incendiario. Non ti pare che le nove e tre quarti del mattino siano un’ora insolita per un goccetto? E poi che fai qui impalato di fronte alla stanza di Ginny? ... Ops... Scusami Harry... devo andare... è tardissimo – ed Hermione corse giù per le scale, gridando Hogsmeade per poi scomparire nel classico lampo di luce verde nel camino.

Poi accaddero due cose. La prima fu che la porta della stanza di Ginny si spalancò, e lei si stagliò sull’uscio con l’espressione di chi è stata disturbata in un momento quanto mai inopportuno. La seconda fu che per la prima volta da quando era ritornato alla Tana lei lo guardò dritto negli occhi, e sorrise. Non con il suo sorriso storto di convenienza, ma con un sorriso luminoso, come i suoi occhi.

- Harry Potter. Non mi dire, passavi di qui e… -

- Veramente, Ginny, io volevo dirti.. ehm... -

- Entra, Harry. E’ meglio. - Lo prese per mano, lo fece entrare, e chiuse la porta.

 

CAPITOLO TERZO

Gita al lago con sorpresa

La stanza di Ginny Weasley era il posto dove Harry si era rifugiato nei suoi sogni, durante i mesi passati nella ricerca degli Horcrux, quando la sua mente era libera dalle visioni dell’Oscuro Signore; aveva varcato quella soglia solo una volta prima di quel momento, ma ricordava ogni angolo, i poster, le piccole rughe delle pareti, il letto che ogni sera abbracciava Ginny quando si addormentava e... la sua foto sul comodino di Ginny... LA SUA FOTO??

- Ginevra Weasley, chi ti ha dato quella foto che tieni sul comodino? Ho un’espressione da completo idiota, e la divisa di gioco lurida... potevano farmene una migliore - concluse con espressione corrucciata.

Ginny ridacchiò, la foto gliel’aveva fatta lei anni prima durante una partita, e da allora la conservava come un talismano. Solo Hermione l’aveva vista, e concordava sul fatto che l’espressione di Harry non fosse propriamente furba.

Ma dietro quella risata il cuore le batteva impazzito.

Ginevra... nessuno la chiamava mai con il suo vero nome, a parte sua madre quando era veramente arrabbiata, ma detto da lui, era come un bicchiere d’idromele dopo un ballo, era l’attimo di trionfo dopo aver catturato il Boccino d’Oro, era... oh Harry... Harry sei qui...

- Beh, che vuoi, Potter? Una lezione di Quidditch? – buttò lì Ginny, con tono baldanzoso, o almeno così sperava.

- Veramente mi manda tua madre, Ginny – le rispose lui con aria grave.

- Oh per Merlino! Che è successo? Papà? Percy? Ron no, è uscito da poco – disse con foga Ginny afferrando la bacchetta e la scopa – Dove dobbiamo andare? Chi sono, Mangiamorte nascosti? –

Harry afferrò Ginny per le spalle, la guardò e la fece sedere sul letto. Le tolse di mano la bacchetta e ripose la scopa, poi le sedette accanto.

- Ginny? E’ tutto ok. I tuoi familiari stanno bene. Hermione anche. Molly mi ha mandato su per... perché parlassi con te.

Ginny lo fissò, sconcertata.

- Mia madre? Lei ti ha mandato qui? Ma… Harry scusami, a volte penso che i troppi impegni le tolgano lucidità. Adesso scendo a dirgliene quattro. – e fece per alzarsi. Harry la fermò e la fece sedere di nuovo, accanto a lui, e le prese le mani.

- Credo – esordì – di avere qualcosa da dirti... anzi circa un milione di cose da dirti, ma non so assolutamente da dove cominciare. Sono certo che siano successe troppe cose dall’ultima volta che siamo stati qui... insieme, Ginny, per pensare di poter riannodare quel filo che ho rotto così, in quattro e quattr’otto. Ma penso che io e te... adesso... ora che Voldemort è finito... potremmo parlare tra noi, sai, voglio dire... di noi due. -

Un lungo minuto di silenzio. Difficile dire se fossero più rossi i capelli di Ginny o il volto di Harry.

- Sono certa, Harry James Potter – disse Ginny quietamente – che continui ad essere terribilmente imbranato con le ragazze, e che parli troppo. Sai che ti dico? Oggi questa stanza mi sta stretta. Ho voglia di uscire. Ho voglia di un picnic. E tu, Harry? – gli chiese gentilmente, ma lo sguardo era quello di un tipico " non-dire-no-o-ti–squarto".

- Assolutamente appropriato, Ginevra Weasley – rispose lui, felice.

- Allora, Harry, usami la cortesia di uscire dalla mia stanza, e di chiedere a mia madre se ha sottomano qualcosa per un... come dice Flebo – cioè Fleur –Ah si, un petit dèjeuner sur l’herbe... – disse Ginny scortando uno sconcertato, esaltato, confuso Harry alla porta.

- Ma che vuol dire quella roba in francese, Ginny? – disse lui scendendo le scale di corsa.

- Che prepari quattro panini e due Burrobirre per un maledetto picnic, Harry! – le urlò lei da dietro la porta.

Stranamente, in cucina, Molly Weasley non c’era. Sul tavolo c’era, però, un cestino da picnic da cui usciva un odorino assai invitante.

"Decisamente", pensò Harry sedendosi ad aspettare la sua... oh, ad aspettare Ginny, "in quella casa doveva esserci qualcuno dotato di grande intuito.. o che aveva imparato ad utilizzare le Orecchie Oblunghe".

Non fu un’attesa lunga. Ginny Weasley scese le scale e prese sottobraccio Harry, con un sorriso pericolosamente mansueto sul volto, e con voce squillante disse –Mamma, io ed Harry andiamo a fare un picnic, ci sono problemi? Nessuno? Grazie mamma. Harry, vuoi prendere il cestino invece di restare impalato come un allocco artritico? – soggiunse poi la ragazza, prendendo per mano un sempre più confuso Harry, che si stava interrogando sul fatto che non aveva udito alcuna risposta, affermativa o negativa, da parte di Mrs. Weasley all’affermazione fatta dalla figlia.

Ecco il punto. Affermazione. Ginny non aveva chiesto il permesso, Ginny aveva deciso di andare, Ginny era uscita di casa. Missione compiuta, pensò compiaciuto il ragazzo, uscendo dalla porta assieme alla sua ragazza.

Ecco, l’aveva detto. Cioè no, non l’aveva detto, ma l’aveva pensato... ci credeva... non poteva non essere che così... ma le cose non dette sono come il vapore, sbiadiscono e scompaiono.

Devo dirglielo, devo dirglielo. Io devo...

-Harry? Scusa caro, hai capito? –

La voce un po’ sorridente un po’ preoccupata di Molly Weasley riportò Harry nel giardino della Tana... ma cosa gli stava succedendo? -

-Beh, signora Weasley, io... no, veramente non ho capito bene – mormorò Harry, contemplandosi la punta delle scarpe (erano pulite perlomeno).

- Tranquillo, Harry. Ho solo raccomandato a te e Ginny di non tardare a rientrare; stasera dovremmo riuscire a cenare tutti assieme, finalmente, e avrò bisogno di una mano, anzi quattro – concluse sorridendo felice. – Ora andate. A proposito, non allontanatevi troppo! -

Ginny era al suo fianco. Aveva lasciato da parte i jeans e la felpa consunta delle Holyhead Harpies per un vestito color dell’autunno, e i suoi capelli... i suoi capelli erano corde di un’arpa celeste, il loro profumo un sospiro caldo e suadente, i suoi occhi…

- Harry, il picnic. Non vorrei farlo qui, in giardino. Vorrei un posto... speciale. Capisci quello che ti dico? – scandì una vocina leggermente alterata.

- Sì. Capisco. Stringiti a me, Ginny. -

Lei obbedì. Obbedì, perché il tono era stato perentorio. Lei a dire il vero aveva pensato alla radura dietro al bosco di noccioli, in mezz’ora a piedi ci sarebbero arrivati, ma poi si trovò come ficcata in un imbuto di gomma, strizzata come uno strofinaccio da cucina e poi...

Hogwarts. O meglio, un sentiero vicino ad Hogwarts, lungo il lago.

- Harry, la prossima volta che intendi farmi sperimentare una Smaterializzazione Congiunta sarei lieta tu mi avvertissi prima – disse Ginny con un singulto. Si guardò intorno… il profilo della Scuola di Magia era vicino, ma non troppo. Non c’era nessuno attorno, solo loro due.

Lui le sorrise, tendendole la mano. Si incamminarono lungo il sentiero, verso il posto speciale che Ginny non avrebbe mai pensato, osato chiedere.

Fu un cammino silenzioso, il loro, ma non c’era tensione, come una quieta attesa per l’inevitabile.

Poi la radura , il boschetto, il lago. L’ora più felice della loro vita l’avevano trascorsa lì. Quell’angolo era loro, soltanto loro.

- E adesso, milady Weasley, cosa le sarebbe gradito? – domandò compunto Harry.

La risposta giunse direttamente dalle labbra di Ginny: un bacio caldo come una coperta in una notte di nebbia, come una cuccia e una ciotola di zuppa per un cane randagio... Ma fu un bacio breve, seguito da un sorriso un po’ incerto, poi Ginny si tolse le scarpe e si mise a correre, a correre come una gazzella, urlando ad Harry – Mi sarebbe gradito che riuscissi ad acchiapparmi, signor Potter, se ne sei ancora capace! -

Quel giorno scivolò via come una piuma portata dal vento. Ma era un vento caldo, quello che avvolse Harry mentre appendeva le scarpe di Ginny in cima ad una quercia, per il gusto di ammirarla mentre si arrampicava a riprenderle. Aveva delle belle gambe, d’altronde era una Cacciatrice di prim’ordine, capace di restare aggrappata alla scopa anche con un piede solo... anche se in quelle considerazioni il Quidditch non c’entrava granchè.

Mangiarono con un appetito insolito, e dopo la terza Burrobirra Ginny cercò di convincere alcune sirene del lago ad imparare a ballare con lei la macarena. Per fortuna le creature ebbero il buongusto di non trasformarla in una carpa koi, ma fissarono Harry con disapprovazione. Lui non ci fece molto caso, stava cercando di non soffocare dalle risa: e poi, mentre passeggiava lì intorno (gli era venuta una bella idea, sperava) aveva trovato un angolino che non conoscevano, ai limiti della radura.

Harry condusse Ginny vicino ad un vecchio ceppo coperto di muschio. Era perfetto, sembrava un cuscino fatato. Un po’ di riposo ci voleva, prima di tornare alla Tana. Distesero il plaid (un’usanza Babbana, ma Harry non voleva che il vestito di Ginny si rovinasse) e si accomodarono, uno fianco all’altra, a fissare il cielo. Le loro mani si sfioravano, il capo di Ginny sulla spalla di Harry. Il profumo dei suoi capelli rossi. Era quello il momento giusto, pensò.

- Harry… -

Ma perché, perché, in nome di tutti gli antenati di Merlino, era sempre lei quella che riusciva a cogliere gli attimi giusti? Eh no, stavolta..

- Senti Ginny... - disse Harry mettendosi a sedere contro il ceppo, - io... -

- Come mi hai chiamata, stamattina? – replicò lei, con un leggero tremore nella voce.

- Ginevra. Ti ho chiamato Ginevra, Ginevra Weasley - , disse Harry. A lui non tremava la voce. Improvvisamente tutto era chiaro.

- Sai che non permetto neanche a mia madre di chiamarmi così, Harry? Sei l’unico... l’unico che può pronunciare il mio nome senza trovarsi un Orcovolante addosso e...e puoi chiamarmi Ginevra ogni volta che vuoi. - Poi l'abbracciò. Un abbraccio ancora troppo breve. Ancora tante cose da dirsi... ed il sole calava, si stava facendo tardi.

- Presto riprenderanno le lezioni, sai Harry? I gufi della Mc Granitt fanno la fila fuori dalla stanza di Hermione. Ci sarà da sgobbare come matti, specialmente per te, visto che l’ultimo anno te lo sei fatto a zonzo per le campagne – disse Ginny, con il suo sorriso storto – specie se vuoi diventare... -

- Auror. - Ecco, l’aveva detto. Nelle due settimane a Grimmaud Place quella era stata l’unica scelta che aveva fatto con sicurezza, ora che poteva scegliere, ora che era semplicemente Harry. - E’ quello che voglio - continuò con fermezza. - Ora che Voldemort non c’è più, resta la puzza della sua malvagità, resta il fatto che molti, troppi lo avevano seguito. Non voglio un’altra guerra, non sopporterei di perdere ancora qualcuno di caro, e ancora meno di costringere qualcuno a sacrificarsi per me. Occorrerà vigilare – soggiunse, una luce dura nello sguardo – ed essere pronti. Mi dispiace, Ginny... Ginevra, io... -

- E perché dovrebbe dispiacerti una simile scelta, Harry? Sarai un Auror fantastico, ne sono certa. Certo, dovrai essere meno indolente, e i tuoi voti in Pozioni dovranno migliorare – continuò decisa – ma per quello ci sarà comunque Hermione a darti una mano. Piuttosto, visto che a quanto pare il Quidditch non sembra interessarti più di tanto, potresti darmi qualche consiglio, ed allenarci assieme, perché le Harpies tra un paio d’anni avranno bisogno di una nuova Cacciatrice, ed in fondo io penso... oh io credo... io so di essere in gamba, ma sarebbe una maniera per passare insieme un po’ di tempo se io e te... se credi che noi… - terminò Ginny; la voce le si era incrinata.

- Ginevra Weasley, ci sono tante cose che dobbiamo dirci - esordì Harry.

- Adoro quando mi chiami così, Harry – lo interruppe Ginny. Si sentiva tremare le gambe, gli occhi le si riempivano di lacrime.

Resisti Ginny resisti ancora un po’.

- Ginny, io non credo che noi... credo che nessuno potrà mai più impedirci di stare insieme, fosse anche un triplo compito di Trasfigurazione o i tuoi fratelli intenzionati a darmi in pasto ad un Ungaro Spinato. Quello che voglio dire è che nessuno mi separerà mai più da te. Mai più. -

Due lacrime perfette sgorgarono dagli occhi di Ginny.

- Vuoi dire che mi ami, Harry? -

- Lo sai, Ginny. Lo hai sempre saputo – le sussurrò.

- No, Harry, NO! – esplose Ginny, con un tono rabbioso, quasi disperato. – Non è vero! Sono io che so.. che a dieci anni avevo una cotta spaventosa per te, io che al primo anno ti ho mandato un San Valentino che ancora adesso a pensarci mi seppellirei in una tana di Troll, io... io ho riempito di bava di lumache le scarpe di quella smorfiosa di Cho... non fare quella faccia da triglia – continuò Ginny inviperita, le lacrime come un fiume in piena - lo sapevo che ti piaceva. Come pensi che mi sia sentita quando ho saputo che vi eravate baciati? Come pensi che mi sentissi quando nella Sala Comune stavo con Dean e tu mi guardavi. Credi che non mi accorgessi di niente, Signor-So-Tutto, credevi che non pensassi all’estate alla Tana, a giocare a Quidditch con te, Ron ed Hermione, agli allenamenti e alle partite e alle tue sfuriate che mi facevano ridere, e poi tu mi guardavi con quei maledetti occhi verdi e lo stomaco mi si annodava tutto. Quante volte... quanto volevo correrti incontro ed abbracciarti e stringerti e appena ho potuto l’ho fatto, l’ho fatto, oh Harry – singhiozzò Ginny stringendolo forte - io non volevo star male, non volevo che tu stessi male, sapevo a cosa stavi andando incontro, ma non potevo stare lontano da te. Proprio non potevo - concluse, e i singhiozzi si fecero più forti.

Harry la tenne stretta a sé. Le accarezzò i capelli, sentì il suo respiro calmarsi, la sentì abbandonarsi tra le sue braccia.

- Ginny... neppure io potevo stare lontano da te. Quando Silente è... andato, ho pensato che avevo perduto i miei genitori, il mio padrino, e lui... lui che mi aveva mostrato quella che era la mia strada. Sapevo che il loro sacrificio aveva un motivo, come lo aveva il mio. Tutto, per sconfiggere il Signore Oscuro, ma non – e ad Harry tremò la voce – non potevo immaginare di dover deporre la tua bacchetta tra le tue mani fredde, senza più guardarti negli occhi prima di nascondermi tra i tuoi capelli, senza più baciarti. Se Ron non fosse entrato in camera tua, il giorno del mio compleanno, mentre mi stavi dando il tuo... uh.. regalo.. io quel giorno... -

- Tu cosa avresti fatto, Harry? Che avresti detto, Harry? – mormorò dolcemente Ginny

- Te lo avrei detto, Ginny. -

- COSA MI AVRESTI DETTO, MALEDETTO IDIOTA? – sbottò esasperata Ginny.

- Quel che ti dico ora, Ginevra Weasley... che ti amo con tutto il cuore. -

- Anch’io ti amo, Harry James Potter... mio dolce imbranato, coraggioso Harry. – e poi le lacrime di Ginny tornarono a scorrere copiose.

Non parlarono per un po’. Le loro labbra erano impegnate a cercarsi e ritrovarsi ad ogni momento, ed il vestito di Ginny finì con lo sgualcirsi un pochino e di tanto in tanto i loro occhi si ritrovavano anch’essi, colmi di lacrime e di gioia.

Fu Ginny ad alzarsi di scatto, con un’espressione di comico terrore sul volto.

- Harry.. il sole sta scendendo... - mormorò.

- Non ho intenzione di morderti alla gola, tesoro mio – le rispose raggiante Harry mentre scrollava il plaid dall’erba e lo ripiegava dentro la cesta da picnic

- Tu non hai capito, Harry. Il sole sta scendendo, saranno perlomeno le sette e mezzo di sera. Dovevamo essere a casa da almeno un’ora, Harry – concluse tetramente – Temo che mia madre potrebbe, anzi è sicuro, oh Merlino nella gloria dei suoi peli ascellari – imprecò Ginny – stasera volevo addormentarmi pensando ai tuoi baci, e invece non dormirò pensando alle sue sberle. Presto Harry – gli disse prendendolo frettolosamente per mano – torniamo a casa. -

Harry la trattenne. Si chinò dietro al ceppo, e le disse di chiudere gli occhi.

Poi qualcosa di fresco e profumato si posò sul capo di Ginny Weasley.

- Vedi, Ginevra, non ho avuto il tempo di leggere quel libro sui dodici modi per sedurre una strega che mi ha regalato tuo fratello Ron. Veramente in materia non valgo molto... Aspetta – le disse tenendole un dito sulle labbra – non aprire gli occhi ancora. Volevo solo dirti che mentre cantavi alle sirene ho preparato questa cosa per te. E' solo per te, Ginny, solo per te. Ora guarda pure, se ti va – concluse Harry con una punta di imbarazzo.

Ginny aprì gli occhi e scese verso il lago. Nello specchio fermo delle acque che andavano tingendosi in un magnifico tramonto, Ginny restò incantata, ad ammirare la corona di fiori che Harry aveva preparato per lei. C’era dentro un arcobaleno di pazienza, goffaggine e dolcezza... e cose come quelle non si riuscivano a creare con un incantesimo, andavano fatte a mano, con sentimento, con amore. Amore. Finalmente.

 

 

CAPITOLO QUARTO

L'incantesimo delle fate

- Harry, puoi farmi un piacere? – La voce di Ginny era strana, quasi timorosa... Ovvio, dato che alla loro prima uscita erano in un ritardo mostruoso, però c’era dell’altro, in quella voce, che lo incuriosì:

- Che devo fare, Ginny? -

- Beh... giurarmi innanzitutto che non racconterai a nessuno quello che sto per fare. E poi ecco, c’è una cosa che devo fare, e la devo fare da sola. Torna alla Tana ed aspettami. Tra mezz’ora sarò arrivata, non azzardarti ad entrare da solo senza di me o mia madre ti Trasfigurerà in un pitale per troll – concluse con tono perentorio la sua ragazza... La sua ragazza... che gli stava chiedendo di tornare DA SOLO?

- Ginny, Ginny, Ginny, aspetta non puoi... dove vuoi andare... Smaterializzarti prima dei diciassette anni è rischioso, ci vuole esercizio. E' vietato. - cominciò a balbettare Harry, cercando di avvicinarsi a lei.

- Tra mezz’ora, Harry. Vado – disse lei, ed era andata.

Harry si guardò intorno, fece tre respiri profondi, imprecò con variegata fantasia, e si Smaterializzò a sua volta.

Dopo quaranta minuti trascorsi dentro lo sgabuzzino delle scope, un "pop" elegante lo fece balzare fuori dal suo rifugio nel giardino dei Weasley. C’era Ginny di fronte a lui, con la coroncina di fiori in mano. Aveva un’espressione radiosa in volto, ma non stava guardando lui; il suo sguardo era perso chissà dove, ma dovunque fosse doveva essere un gran bel posto... poi si girò, prese Harry per mano, e lo baciò dolcemente.

- GINEVRA WEASLEY! –

La porta della cucina si era spalancata, e Molly Weasly sembrava l’incarnazione di Aktor, Sovrano dei Draghi... praticamente era oltre la rabbia. Era... ecco... alterata... ma una strega alterata con una bacchetta in mano può risultare letale, specie se esce di casa e vede la figlia rincasare con due ore di ritardo e la trova in giardino a baciare un ragazzo... baciare Harry... oh Merlino, se non è magia questa.

- Scusa mamma, il tempo ci è scappato via, e poi... - cominciò a dire Ginny, contrita.

- Non importa, Ginny. Harry, mi ero raccomandata. Oh beh, comunque sia, entrate. La cena è in tavola, aspettavamo voi. - disse con un tono improvvisamente quieto e gentile. – Comunque scusati con papà, ha fatto il diavolo a quattro con Kingsley per essere a casa in orario. Ginny, che hai? - continuò leggermente inquieta la madre, vedendole quello sguardo sognante.

- Harry, entra in casa con mamma. E abbassate le luci – si raccomandò Ginny.

Molly Weasley fissò dritto negli occhi Harry, che allargò leggermente le braccia. Non ci capiva niente neppure lui. Ad ogni buon conto fecero come richiesto; ci fu un po’ di trambusto dentro casa, Arthur Weasley era piuttosto affamato, Percy stanco di essere sfottuto da George, Charlie stava discutendo con Hermione sulla decisione di modificare le tribune dello stadio di Quidditch di Hogwarts, mentre Ron.. beh Ron aveva tentato di mangiarsi una focaccina d’avena che gli aveva morso la lingua ed ora giocoforza taceva.

Le luci vennero abbassate, e Ginny entrò.

La coroncina di fiori che aveva in capo illuminò la stanza come in una notte di luna piena... una luce morbida come una passeggiata nella neve... sembrava di essere attorno al camino nella notte di Natale.

- Harry.. mamma... papà... – Ginny sorrise, - Harry mi ha regalato questa coroncina di fiori, oggi. -

Arthur e Molly si guardarono, poi le sorrisero, annuendo.

- Per noi va bene, Ginny. Ma hai spiegato ad Harry come viene interpretato da queste parti un simile dono? – soggiunse serio Arthur.

Harry fissò Ginny con aria interrogativa. Che cosa aveva fatto di tanto importante?

- Harry… qui da noi fare ad una ragazza un dono come il tuo viene considerato una promessa... una promessa formale di... ecco... insomma... è come quella cosa che fanno i Babbani di regalare un anello - disse Ginny, un po’ vergognandosi, ma ancora pervasa di quella gioia innaturale – insomma, una proposta. -

- Tu l’hai accettata, Ginny – disse Harry, guardandosi attorno. Tutti gli sguardi erano su di loro (e lui che aveva cercato una giornata per loro due soli) – e io sono convinto di quel che ho fatto. -

L’abbracciò e la baciò dolcemente, un breve dolce bacio di fronte a tutte quelle persone magnifiche e care, abbracciò la sua Ginevra, la sua fidanzata, colei che accettando quel dono aveva accettato la sua promessa di vita e d’amore.

Lui ovviamente non aveva la più pallida idea che esistesse quell’usanza. Hermione lo sapeva, a giudicare da come sorrideva compiaciuta sin da quando Ginny era entrata. Ron lo guardava, guardava Ginny, guardava Hermione. Evidentemente tutto ciò non c’era nel libro che gli aveva regalato.

Poi fu proprio Hermione a porre la domanda che aleggiava sulla bocca di tutti:

- Ginny, non esistono incantesimi magici che possano creare qualcosa di simile. Che ti è successo? Che è successo a quei fiori? -

- Sono andata a Godric’s Hollow – disse Ginny, guardando fisso Harry – per portare questa corona a James e Lily -

Harry sentì di nuovo un nodo in gola, ma riuscì a mormorare – Potevamo andarci insieme, Ginny. – Stava pensando a quando l’aveva abbracciata al funerale di Fred. Non credeva sarebbe stata capace di ritornare in un cimitero per anni, ed invece c’era andata, per portare quel dono ai suoi genitori.

- Dovevo andarci da sola, Harry. Io volevo ringraziarli per averti regalato al mondo, per averti regalato a me – sussurrò Ginny – e ho pensato che questa... promessa... sarebbe stato un pensiero gentile per loro... e l’ho lasciata dove loro riposano. Ma poi – disse con voce enfatica – ho sentito come una brezza, un rumore di piccole ali, e poi ho visto la luce sgorgare dai fiori e questi sono tornati nelle mie mani, non so che sia successo ma... Ecco, ho pensato che il pensiero era stato gradito e allora ho ringraziato ancora – concluse sommessa – e sono tornata. -

Poi si tolse la corona di capo e la pose sopra il camino, in mezzo alle foto di tutti quelli che in quel momento avrebbero voluto condividere quella gioia: Remus e Tonks, Sirius e Silente, James e Lily... Ci fu un lungo istante di silenzio.

Poi Arthur Weasley prese Harry sottobraccio, e lo condusse a tavola. Lo fece sedere al suo posto.

- Ma... ehm... signor Weasley... non è questo il mio posto... – protestò debolmente Harry, mentre il padre di Ginny gli tirava fuori la bacchetta di tasca.

- Mio caro ragazzo, innanzi tutto mi chiamo Arthur, e poi è il caso che tu cominci ad imparare come si serve a tavola. Non credo che avrai tempo per dedicarti molto a questa ed altre cose, nei prossimi anni, con l’addestramento che ti aspetta. Oh, oh non fare quella faccia stupita, Harry, al dipartimento Auror ti aspettano già e,come al solito, si aspettano grandi cose da Harry Potter – disse con un tono tra il rassegnato e lo stizzito – ma per questa sera mi basta che non rovesci troppo spesso la salsa – concluse sorridendo. - Ora sediamoci e mangiamo, altrimenti i miei figli cominceranno a morderti, e mia moglie a piangere... oh beh, per quello è troppo tardi – sospirò Arthur mentre sua moglie singhiozzava nel grembiule senza più ritegno.

Così Harry Potter riuscì a trascorrere la sua prima cena in famiglia dopo tanti e tanti anni. Rovesciò la salsa solo due volte, come ebbe a notare Hermione, mentre Ginny lo consigliava sulla quantità delle porzioni e sui gusti dei presenti, invitandolo a non far sfrecciare le quaglie allo spiedo attorno a Ron, cosa che peraltro la divertì a tal punto da perdere il conto sugli Incantesimi di Rabbocco eseguiti da Harry sulla barrique d’idromele aperta alla fine della cena.

Andarono a dormire tutti alticci, Ron decisamente sbronzo, con Hermione che cercava di sollevarlo da tavola sussurrando "leviporcus" e sghignazzando poi come una pazza.

George si congedò e ritornò alla Tiri Vispi. Doveva avere qualcuno ad aspettarlo, a giudicare dal sorriso con cui salutò Harry.

Uscito dal bagno, salendo le scale, Harry aprì la porta della stanza dove il letto lo chiamava a gran voce. Prima di entrare, una carezza lo fermò.

Si girò, e vide passare Hermione e Ron diretti al piano di sopra, ma poi si rese conto che Ginny era di fronte a lui, e aspettava.

Le diede un bacio.

- Buonanotte, amore mio –

Lei mormorò qualcosa in risposta, lo abbracciò ed infilò la propria camera.

Harry chiuse la porta, si infilò a letto e pensò che fosse tutto un sogno, e che invece stava per svegliarsi. Invece s’addormentò di botto.

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CAPITOLO QUINTO

Un nuovo inizio

Harry si stava ancora rigirando nel letto. Non erano ancora le sette. Ma non era assonnato. Era... era... era come se si fosse beccato un Bolide in fronte, era frastornato, esaltato, felice, molto, molto felice, ma era successo tutto così in fretta... e poi quell’incantesimo.Possibile che i suoi genitori fossero riusciti a prevedere una situazione simile, a costruire un Incantesimo simile, capace di rimanere lì ad aspettare ed aspettare un qualcuno che forse non sarebbe mai passato a rendergli quel saluto?

E poi, prima di andare a dormire, quello che Ginny aveva mormorato... non era sembrato un semplice buonanotte, suonava come un Brevinoctis, un incantesimo per accorciargli il sonno? Era uno scherzo degno di George e Fred, non di Ginny, e allora perché non riusciva a dormire?

Poi un rumore lieve di passi. Harry non prese la bacchetta, non serviva. Quelli erano i passi di Ginny, e venivano verso la sua stanza. Il cuore gli cominciò a battere furiosamente.

I passi si fermarono. La porta si socchiuse, e Ginny scivolò dentro. Aveva un pigiama verde rana con piccoli unicorni bianchi, i capelli sciolti, gli occhi assonnati. Ed era scalza.

Harry aprì la bocca ma ne uscì solo un mormorio indistinto. Ginny scivolò sotto le coperte accanto a lui e gli chiuse la bocca con un bacio. Poi sussurrò:

- Sei un maledetto gentiluomo, Harry Potter, e so che terrai le mani a posto... purtroppo... e scusami per quell’incantesimo di risveglio, ma alla mattina dormi come un ghiro ed io ho pensato a quello che diceva mio padre ieri sera riguardo agli impegni che ti aspettano – continuò stringendoglisi contro – e ho pensato che... beh.. voglio provare cosa vuol dire dormire con la persona che ami, addormentarsi abbracciata a colui con cui dividerò la mia vita. Harry ti ho detto di tenere le mani a posto, ma abbracciami per piacere. E ti prego... non andartene via dalla mia vita, Harry. -

- Una promessa è una promessa. – mormorò lui abbracciandola.

- Grazie, amore mio. – e le lacrime tornarono a scorrere sul volto di Ginny.

Stringendola a sé, Harry le disse:

- Sai, non ti ho mai visto piangere, prima di ieri. Neppure al funerale di Fred. Tu non sei mai stata facile alle lacrime, Ginevra Weasley... ma hai pianto. Hai pianto così tanto da farmi temere che non avresti più smesso. E la mia domanda è: Perché? Perché ora, che abbiamo davanti un po’ di pace? –

- E’ una questione di spazi, imbranato – bofonchiò lei ficcandogli addosso i piedi gelati.

- Di spazi? Ginny, Non capisco. Ok, sono un ritardato, lo so... non me lo ripetere, ma spiegami questa cosa. Non dormire adesso. – le sussurrò dolcemente

- Dovevo far spazio per te, Harry. Perché ci sono lacrime che curano le ferite, ed altre che riempiono dei vuoti. Ora, io non voglio più sentirmi vuota, Harry, e tantomeno piena di lacrime, ora ci sei tu a riempire la mia vita, i miei sogni... Harry, tesoro mio... -

Ginny Weasley scivolò dolcemente nel sonno e Harry si sorprese a pensare a quello che sarebbe successo se Molly li avesse trovati così. Probabilmente avrebbe lavato piatti per un mese. O probabilmente gli sarebbe toccato qualcosa di molto peggio ma... ne valeva la pena, sicuramente.

E il sonno lo accolse, senza incubi, e senza voci a rimbombargli nella testa.

Le otto del mattino.

Molly Weasley aveva lasciato la colazione accastellata sul tavolo della cucina, e seduta in giardino dirigeva il bucato ad appendersi nello stenditoio.

Stava pensando all’incanto della sera prima.

"Hermione mi tempesterà di domande se mi trova... neppure lei può conoscere la Benedizione delle Fate, ed io ho troppo da fare per affrontare la sua curiosità", pensò tra sé.

La Benedizione delle Fate. Il dono del Piccolo Popolo, un incanto che non garantiva nulla di più che una vita serena e un’unione duratura e feconda.

Che lei sapesse, era capitato di rado che le Fate concedessero quel dono: una volta o due ogni mille anni, più o meno. Ciò che la confortava di più era il motivo per cui veniva concesso.

Era un’incantesimo che nasceva dall’amore. Solo quello più puro poteva indurre le Fate a concederlo. Per questo era una benedizione, perché non offriva una protezione da qualcosa o un vantaggio in qualcos’altro. Era un suggello a ciò che, a detta di Silente, aveva salvato il mondo Magico dalla distruzione.

Molly sospirò. L’aspettava una corsa in Metropolvere fino a Villa Conchiglia. Bill e Fleur stavano ospitando il piccolo Teddy, ed avevano aggiunto un paio di stanze alla casa. Per i bambini, avevano detto. Ma di bambini c’era solo Teddy. Poi Fleur aveva preso Molly da parte ed avevano parlato a lungo e... a Molly Weasley era occorsa una bella tazza di tè corretto, prima di riuscire a tornare a casa.

Era successo una settimana prima, e quel giorno Bill sarebbe stato informato dell’imminente arrivo di un nuovo membro della famiglia Weasley, e Fleur aveva chiesto, anzi implorato la suocera di esser lì con lei. A BeauxBatons non insegnavano come controllare la gioia di un mago Spezzaincantesimi mezzo Mannaro a cui veniva annunciata la sua imminente paternità. Avrebbe potuto demolire la casa dalla felicità, mon dieu!

Nonna Molly... oh come suonava strano. Lei preferiva ancora sentire il suo Arthur sussurrarle all’orecchio "Lollymolly" mentre era intenta a cucinare. Beh, ci avrebbe dovuto fare l’abitudine, era inevitabile.

Rientrò in casa silenziosamente; non era il caso di svegliare i ragazzi. Non pensava a Ron ed Hermione; mentre stendeva il bucato aveva sentito l’allegro chiacchericcio tipico della Granger intenta a cercare di convincere Ron ad alzarsi dal letto, ed i grugniti altrettanto noti del suo figliolo tanto caro ma tanto, tanto innamorato.. del suo letto, specialmente di domenica mattina.

Lei stava pensando ad Harry e Ginny. Non che temesse che stesse accadendo qualcosa di sconveniente.. conosceva la sua Ginny, ed Harry, come le avevano confermato Ron ed Hermione, era un bravo ragazzo... anche troppo, avrebbe detto Fred sghignazzando.

Per affrontare il futuro occorrevano spalle salde e nervi forti, ma anche momenti speciali, a cui aggrapparsi nei momenti difficili. E i suoi ragazzi ne stavano vivendo uno. E lei non era Ron, insomma.

Mentre le fiamme verdi l’avvolgevano dentro al camino e Molly Weasley scandiva - Villa Conchiglia - pensò che la giornata sarebbe stata meravigliosa. E che avrebbe potuto benissimo fare a meno di consultare il suo fedele orologio di famiglia per quel giorno... e per molti giorni a venire.

Intanto Harry stava sognando, o forse era un dormiveglia, e nel sogno passeggiava con Ginny sul sentiero del lago, mentre un gruppo di persone giocava a lanciarsi un Frisbee Zannuto. C’erano di sicuro James, Fred, Remus, e Sirius stava sdraiato con un calice di vino Elfico in mano e sorrideva, brindando con Silente. Poi Lily gli ando’ incontro, sua madre gli andò incontro e accarezzò il volto di Ginny e quando guardò Harry sorrise e gli disse:

- Abbi cura di lei - e lo baciò sulla fronte.

Harry aprì gli occhi. Ginny dormiva profondamente al suo fianco. Le otto e tre quarti. Tra poco Ron sarebbe ruzzolato giù per le scale verso la colazione, ed Hermione avrebbe tossicchiato di fronte alla sua porta prima di bussare, per invitarli a scendere. Ma c'era ancora un quarto d'ora... un quarto d’ora ancora abbracciato a lei valeva oro, quindi che aspettassero pure. Adesso non aveva compiti da assolvere, ma una vita da vivere.

E mentre, abbracciato a Ginny, scivolava di nuovo nel sonno, Harry istintivamente si sfiorò la cicatrice. Da quel giorno non gli aveva più fatto male, neppure prurito. Harry Potter prese quel ricordo e lo mise da parte. E in quell’angolo lo lasciò, per molti e molti anni. 

  
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