La principessa scontenta e l’allegro straniero.
C’era una volta una principessa che aveva tutto ciò che una
donna potesse desiderare. Eppure le sue giornate trascorrevano grigie, senza
novità. Un giorno qualcuno bussò alla porta del suo castello… Chi era? Un
impetuoso colpo di vento entrò buttando a soqquadro ogni cosa. La principessa
allora accolse lo strano ospite e…
“Salve straniero.” Disse la giovane, accogliendo l’uomo
incappucciato all’interno della sua tenuta. Tutto il palazzo a quell’ora dormiva,
lei si era svegliata sentendo un rumore provenire dall’esterno e, stupita e
preoccupata, si era diretta davanti all’enorme portone di legno, aprendone le
ante e rivelando una figura nascosta dalla notte.
L’uomo non parlò, limitandosi a seguirla per i corridoi del
grande palazzo reale. Non le rispose mai, nonostante lei lo sommergesse
continuamente di, a parer suo futili, domane.
Lei lo guidò in una immensa stanza da notte, con un letto a baldacchino dalle lenzuola
color ocra e con nel centro un camino acceso che forniva l’unica fonte di luce.
Gli fornì da mangiare e da bere, ma, nonostante tutti gli sforzi che la
principessa facesse, l’uomo incappucciato non parlava.
Gli chiese di togliersi il cappuccio e, finalmente, lui le
diede retta. Annuendo, si tolse il lungo mantello, scoprendo il viso alquanto
bizzarro. Infatti, l’uomo aveva le sembianze di un pagliaccio, ma il suo viso
era decorato con oro e nero e i disegni che lo contornavano lo facevano
apparire triste e non felice. C’era persino una lacrima nera dipinta sotto
l’occhio destro. La principessa se ne stupì e così tentò di cancellare quella
strana immagine dal volto dell’uomo, ma non vi riuscì: lo straccio, per quanto
strofinasse, non eliminava nemmeno in minima parte i tristi colori.
Lei provò ancora a domandare perché sulla sua faccia ci
fosse quel disegno, ma l’uomo non parlò, facendole segno con le mani di non
poter emettere alcuna parola.
Il giorno dopo lei lo portò con se a visitare il giardino,
passarono i giorni e poi i mesi e la principessa e lo straniero dalla maschera
da pagliaccio divennero amici. Finalmente qualcuno ascoltava la principessa
senza bloccarla o andarsene, e questo le infondeva gioia. Quindi, nel silenzio
del grande giardino al di fuori del castello, rimbombava sempre la sua
squillante voce. E parlava sempre, senza sosta. Raccontava tutto quello che le
passava per la mente, per lo più le piaceva inventare, pensare a come sarebbe
potuta essere la sua vita se non fosse stata una principessa. Immaginava come
sarebbe stato viaggiare per il mondo, colmare tutte quelle grigie giornate con
i colori del lontano oriente, luogo che più di tutti voleva visitare.
Poi, un giorno, mentre parlava, iniziò a raccontare una
storia d’avventura e, nella foga, mimò a gesti quello che la sua mente ideava.
Imitò i gesti dei cavalieri che combattevano tra di loro, creando anche il
suono delle spade che si scontravano usando la bocca. Poi simulò un ballo in
maschera, afferrò un lungo ramo fingendoselo cavaliere. Ci danzò con
leggiadria, poi lo lasciò cadere e ruotò su se stessa. Dopo qualche giravolta,
però, la principessa, che ancora raccontava con occhi sognanti tutto quello che
immaginava, inciampò nel suo stesso vestito, di cui strappò l’orlo della gonna.
Cadde in terra, finendo in una pozzanghera d’acqua fangosa, sporcandosi
completamente dalla testa ai piedi ed emettendo un piccolo urlo strozzato
sentendo il freddo del fango sulla sua pelle.
Si ripulì il volto, sul quale erano finiti degli schizzi di
fanghiglia e, mentre si stava per alzare, udì una forte e melodiosa risata
rimbombare nel piccolo pezzo di giardino. Si voltò, incontrando gli occhi verdi
del suo amico pagliaccio triste. Sbarrò gli occhi quando vide che dal suo
volto, partendo dalla bocca piegata in un espressione finalmente gioiosa, una
luce si allargò colmando ogni spazio del volto dipinto. Quando la bianca
luminosità si estinse, la principessa sorrise felice notando che il trucco
incancellabile era stato spazzato via.
Il giovane l’abbracciò, quasi stritolandola nella sua
possente presa colma di gratitudine. Quando si staccarono, lui iniziò a
spiegarle il motivo per il quale non gli era stato più permesso pronunciar
parola.
Disse di essere stato il giullare privato di un anziano
Marajà indiano, ma che, durante un suo spettacolo, essendo stato da poco
avvisato della morte prematura del suo stesso padre, non era stato in grado di
far ridere nessuno per via della sua espressione triste. Il vecchio, adirato,
lo aveva fatto condannare da uno dei suoi stregoni che lo avevano costretto ad
indossare per sempre una maschera da pagliaccio triste e che gli avevano tolto
la parola. L’unico modo per far si che l’incantesimo si sciogliesse, era che
qualcuno riuscisse a farlo veramente ridere. Non era importante la qualità
della scenetta o della battuta, ma solamente che essa fosse fatta in un momento
di felicità. Perché, secondo gli stregoni, non potendo parlare non avrebbe mai
ottenuto l’amore di nessuno, ma mai convinzione fu più sbagliata.
La principessa e il pagliaccio felice continuarono a parlare,
poi, quella stessa notte, uscirono dal castello in groppa a due fedeli
destrieri e scapparono nella notte, ridendo e chiacchierando. Non si sa che
fine abbiano fatto, se siano riusciti a sopravvivere o se siano morti subito,
alcuni affermano di aver sentito due risate nei pressi di un paese orientale e
che, quando si visita il castello appartenuto alla giovane, si possa ancora
udire il vento narrare le storie inventate dalla principessa.
Fine.
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Questa è una piccola favola inventata da me, in realtà è un compito per scuola, ma mi è venuta discretamente, quindi eccovela.
Grazie a ilarione per betarmi tutto quello che ti passo.