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Autore: Alexandes    04/11/2010    0 recensioni
Gin è una brava mogliettina che ama suo marito. Ma la mente, a volte, gioca brutti scherzi. Una breve storia folle su una donna qualunque.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gin fissava la televisione. Le tende erano tirate. Il loro colore giallognolo ricamato a fiori blu rendeva la penombra della stanza inquietante, sebbene fossero solo le 4 del pomeriggio. Gin era seduta dinanzi al tavolo di legno, quello che aveva ereditato dopo la morte della zia Eveline, che le voleva tanto bene e le offriva sempre quelle orribili caramelle all'anice. Non aveva mai capito che non le poteva sopportare quelle caramelle. La tovaglia del corredo cucita da sua madre aveva una enorme macchia di vino proprio dove lei stava poggiando il gomito, sorreggendosi il mento. Nonostante fosse luglio inoltrato, Gin indossava uno scialle di lana beje, e una gonna marrone di lino grezzo. Solo la camiciola di cotone era vagamente estiva, ma il fatto che ogni tanto rabbrividisse lasciava intendere che provava freddo. Eppure Gin non era vecchia. Aveva solo 27 anni. Ed era sposata da cinque. Il suo uomo di chiamava Christofer, ed era tanto gentile. Ogni volta che tornava a casa e portava un mazzo di Garofani gialli. Ma non si era mai, nemmeno lui, che Gin odiava l'odore dei garofani. Odiava l'odore dei fiori in generale, ma quello dei garofani le faceva girare la testa al punto che a volte aveva avuto l'impulso di infilzarli nella gola del marito e lasciarlo agonizzane così, sul pavimento, per poi andare a dormire come se niente fosse. Ma non l'aveva mai fatto, perché lei amava suo marito. Sin dal giorno in cui le aveva dedicato quella splendida poesia sotto il balcone della sua casa: Inno alla bellezza di Baudelaire. Quanto amava i Fiori del male. Gli unici fiori che avrebbe mai potuto accettare. Peccato che dopo due anni dal matrimonio, fatto in grande stile, con tutti i parenti e una cerimonia splendida, dove lei indossava l'abito di sua madre, morta tanto tempo prima, e fu accompagnata all'altare da suo padre e aveva ricevuto la fede così bella, in puro oro bianco con incisa la data del matrimonio ed i loro nomi, dopo due anni dal matrimonio era venuta a sapere, riordinando come ogni giorno le carte del marito, che in realtà l'idea di recitarle la poesia non era di suo marito, e tantomeno il matrimonio era stato fatto per amore: dopotutto suo padre era un banchiere molto ricco ed affermato, e le garantiva una dote molto ragguardevole. Però aveva continuato a vivere come se niente fosse. Aveva la sua felicità, no? Aveva la casa a cui badare, e le compere da fare, e l'uscita del sabato sera con il caro gentile marito, dallo smoking sempre pronto e dai baffetti così elegantemente neri, che la portava a fare una passeggiata per il lungo mare, con i suoi abiti migliori, e le offriva lo champagne e le comprava i migliori garofani del mondo. I suoi odiatissimi e puzzolentissimi e frustantissimi garofani gialli. Negli ultimi tempi, non riusciva a spiegarsi come mai, suo marito non la portava più con sé. Usciva sempre con la scusa del lavoro lavoro lavoro, ma si chiedeva come mai dato che suo marito lavorava in banca, con suo padre, e suo padre le aveva detto che Christofer se ne andava sempre alla solita ora. E in realtà ultimamente sembrava sempre così allegro e distratto che causava non pochi problemi nel bilancio. Tornava anche molto tardi a volte, nel cuore della notte. Era strano, un po' brillo forse, e se la trovava sveglia dava fuori di matto e le urlava di tornare a letto e che non stava bene se era ancora sveglia a quell'ora. Anche se era solo preoccupata per lui. L'ultima volta che avevano dormito assieme era stato molto tempo prima. Christofer si lamentava sempre che lei non era ancora incinta. All'inizio lo facevano tutti i giorni. Forse lo splendido colore degli occhi di Gin, o i suoi capelli dorati, o il suo sorriso innocente lo ammaliavano al punto da desiderarla allo stremo; ma passati gli anni, e le notti, le sembrava che suo marito la guardasse con sempre più disgusto. Eppure lei andava dal parrucchiere, e si truccava anche se non sarebbe dovuta uscire, e lo amava e riveriva, anche se sapeva tutto quello che sapeva. Paul, il migliore amico di Chritofer, era colui che le portava sempre il pane e il latte fresco a casa, la mattina presto. Paul aveva i capelli rossi, perché per metà aveva sangue irlandese. La guardava ogni giorno come fosse stata la prima volta. Le sorrideva con i suoi denti perfettamente bianchi, offrendole sempre il sigaro, a differenza di suo marito, che si disdegnava anche solo se lei li toccava. Non accettava Gin, non accettava mai. Però da molti giorni Paul non si faceva vedere, e quando aveva chiesto notizie a suo marito, questi le disse che quel viscido era stato sparato mentre faceva la spesa, e molto probabilmente sarebbe morto entro pochi giorni. Non aveva capito perché mai l'avesse chiamato viscido ma non si azzardò a fare domande perché Christofer l'aveva detto in un tono che lasciava intendere che non ne voleva assolutamente parlare. Senza le visite di Paul le giornate erano sempre più vuote, e Gin finiva di occuparsi di casa molto presto, non avendo più niente altro da fare. Dopo che si era sposata, si erano trasferiti in campagna, in una bella villa lontana 20 chilometri dal paese, e farli ogni giorno senza auto perché la prendeva il marito per lavorare, per lei erano solo una grande fatica senza alcun profitto. E poi le suo compagne di scuola erano tutte diventate delle grandi e brave donne in carriera, con un lavoro e un futuro davanti. Solo lei si era sposata giovane. Si era innamorata da quella poesia, no? Così passava le giornate nella penombra, a rabbrividire dal freddo, nonostante fosse luglio inoltrato a fissare la televisione. E non ci sarebbe stato nulla di strano, se almeno la televisione fosse stata accesa. 4 ore più tardi sentì la porta di casa sbattere: “Tesoro! Sono a casa!” le urlava suo marito dal pianerottolo. La sua villa era proprio bella, con un grande giardino rigoglioso, due piani, soffitta e cantina. Tra il salotto, i tre bagni, la camera degli ospiti, la loro, la cucina, la sala da pranzo, e lo studio biblioteca non c'era proprio da lamentarsi per lo spazio. “Posso restare solo per cena perché poi devo finire di scrivere un contratto in ufficio” disse Christofer a Gin, dandole un bacio in fronte e posandole sul tavolo il mazzo di garofani gialli. Questa volta erano relegati in un nastro blu scuro. Il suo colore preferito. “Oh! Grazie amore, sei sempre così dolce!” esclamò lei, sorridendo come al solito. “Non ti preoccupare, siediti a tavola che ho appena finito di cucinare”. Il marito le sorrise, ed andò a sedersi a capotavola, come tutte le sere, con a mano destra poggiata a bracciolo e la sinistra protesa sul tavolo. Gin si alzò, prese il bicchiere di suo marito, con il brodo d'oro, prese la bottiglia di Falanghina, il vino campano, che aveva preparato apposta per lui, e lo riempì. Poi, accompagnato da un tovagliolino, lo portò il sala da pranzo e con un sorriso a trentadue denti lo offerse a suo marito, mandandogli un dolce sguardo con i suoi splendidi occhi: “Scusami, caro, ma dovrai aspettare un po' perché il pollo si è raffreddato e non voglio che ti si guasti l’appetito a causa mia. Ti accendo la Televisione su canale 1, così vedi un po' le notizie del giorno. Non preoccuparti, ci metterò solo pochi minuti” gli disse, chinandosi per accendere la televisione e sintonizzarla sul canale detto. Il marito guardò nervosamente l'orologio a pendola che scandiva perfettamente i minuti, poi annuì a sua moglie e le disse semplicemente di non metterci troppo perché aveva una fame da lupi. Gin uscì dalla sala e salì su, nello studio del marito. 3 enormi scaffali occupavano lo stesso numero di pareti, ognuno altro fino al soffitto, ed ospitavano un stragrande numero di volumi, tra dizionari, enciclopedie, romanzi e libri scientifici. L'ultima parete era occupata dalla scrivania in mogano, ereditata dal bisnonno Edgarn, morto dopo i suoi figli, quando gli venne un attacco di cuore a causa di uno scherzo del più piccolo dei nipotini. Un grosso calamai troneggiava all'angolo destro, ed una splendida penna stilografica, in oro e argento lavorato con una copertura di verde laccato, era richiusa in uno scatolino di vetro, regalata nel giorno della promozione del marito dallo stesso padre. Un registro era aperto, pieno di note contabili e altre cose di cui non ci capiva nulla, ma un foglio spuntava da sotto di esso. Gin, curiosa, lo prese e, veduto che era un lettera, iniziò a leggerla con un sorriso, ritrovando un quelle parole la poesia che tanto tempo fa le aveva detto suo marito. Arrivata alla fine però c'era la scritta " Ti amo infinitamente, Marì" e poi la firma del marito, vergata indiscutibilmente con la splendida penna stilografica. Marì non era la sua vecchia e cara compagna di scuole superiori, che le diceva sempre che aveva assolutamente fatto un errore inimmaginabile ad aver sposato Christofer? Che ironia. Gin lesse la lettera un paio di volte. Poi, come nulla fosse, la rimise esattamente dove l'aveva presa, e continuò il proposito con cui si era diretta in quella stanza. Aprì il secondo cassetto a destra a partire dal basso con la chiave nascosta nel bauletto dei biscotti e, tolte tutte le carte, alzò il doppio fondo che un tempo il bisnonno le aveva svelato e che lei, a sua volta, aveva svelato a Christofer. Un bauletto di velluto blu scuro, come il nastro che racchiudeva i garofani, vi era rinchiuso, ricoperto di polvere. Usando lo scialle Gin la tolse, e aprì la scatola, con molta noncuranza. Prese l'oggetto e lo liberò dal velluto che lo racchiudeva: una splendida Colt donata a suo marito dal caro zio George, lucidata di tutto punto, ed ancora perfettamente funzionante le apparve dinanzi agli occhi. Gin piegò con accuratezza il velluto nero e lo rimise nella scatola blu, che pose nel suo posto. Racconciò tutte le carte e richiuse i cassetto. Dopodiché scese, senza alcuna fretta, le scale e si diresse in sala da pranzo. “Oh, caro” disse, nascondendo la pistola dietro la schiena. L'uomo, intento a bere il suo vino, con gli occhi fissi sulla televisione e un sigaro nella mano distesa sul tavolo, con la cenere che cadeva deliberatamene sulla tovaglia di raso le rispose: “Si, amore?” senza neanche guardarla. Gin, guardandolo sempre amorevolmente, con quei suoi bellissimi e splendidi occhi che facevano un così bel quadretto con i suoi bei boccoli dorati, arricciando leggermente la bocca in una smorfietta di rimprovero, punto la pistola proprio alla sua testa, con mano ferma: “Stai sporcando la tovaglia con la cenere” disse. E sparò.

  
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