CAPITOLO
7 - That’s
what you get when you let
your heart win...
Dopo
circa 200 metri mi trovai
davanti alla villetta a schiera che era casa mia.
Cercai le chiavi nella mia borsa, aprii la porta e salii le scale. Solo pochi minuti e avrei potuto chiudermi in camera mia, impasticcarmi di aspirine per farmi passare il mal di testa e chiamare Valeria, per raccontarle gli avvenimenti di quel pomeriggio: «Se non mi chiami appena rientri come minimo ti taglio quella testa cotonata che ti ritrovi!» mi aveva detto mentre si occupava del mio makeover.
«Ciao
mamma»
dissi mentre attraversavo
il corridoio.
«Ciao
tesoro, tutto bene?»
«Tutto
nella norma, ho solo un po’ di mal di testa.»
«Vuoi
che ti faccia un thè?»
«Nono,
tranquilla, adesso mi prendo un’aspirina e mi
passa.»
Non
ho mai conosciuto una donna forte come lei. A meno di 30 anni, pochi
giorni
prima che io nascessi, aveva preso una batosta terribile con mio padre
che
aveva messo incinta un’altra alla prima occasione che gli era
capitata. Lei ci
aveva messo fin troppo tempo a digerire la cosa, ma una volta smaltita,
era
diventata indistruttibile e ancora più combattiva di quanto
non fosse già. Purtroppo
però, riprendersi da una cosa del genere l’ha
fatta diventare cinica e bastarda
un po’ con tutti. Con
tutti tranne che
con me.
Alta
e snella, se ne stava sul divano davanti alla stufa leggendo un buon
libro, con
i capelli castani raccolti in una crocchia disordinata, e Garfield - il
nostro
gatto rosso ed obeso - sulle cosce.
Entrata
in camera chiusi la porta, schiacciai il bottone per accendere il computer e composi il
numero
di Valeria sul telefono di casa:
«Pronto?
Pronto? Ehilà, c’è nessuno? Nikki sei
tu? Pronto?» era
Valeria dall’altra parte della cornetta che
parlava, ma io non le rispondevo.
Perché?
Perché il mio fottutissimo
computer si era acceso, e sul mio dannato Desktop era apparsa la foto
di
Lorenzo, decorata da cuoricini, che avevo come sfondo.
Il
telefono mi scivolò dale mani, mentre tutto il dolore che
la botta in testa aveva
momentaneamente cancellato tornò a distruggere ogni singola
particella di felicità del mio corpo.
Avevo dimenticato il dettaglio più importante: dovevo raccontarle tutto... di Andrea, della pista, dell'ifermieria. Ma soprattutto del bacio di Lorenzo e di quella ragazza sotto la pioggia.
Le
lacrime tornarono a rigarmi il
viso come quel pomeriggio alla pista.
Avrei
preferito che mi avessero
strappato i capelli, che avessi sbattuto la testa contro il muro mille
volte,
che mi avessero estirpato il cuore dal petto a mani nude.
Avrei
voluto fare qualsiasi cosa
che mi avesse fatto soffrire più di quella scena che mi
trivellava nella testa.
Mi
buttai sul letto e scoppiai a
piangere. Presi il cuscino e me lo misi davanti al viso per soffocare
le urla
di dolore che non riuscii a trattenere.
Sconvolta
per gli strilli che erano
arrivati alle sue orecchie, mia madre entrò nella stanza con
la faccia di una
che aveva appena visto un fantasma.
«Nikki,
Nikki! Che ti prende?»
chiese agitata.
Alzai
gli occhi gonfi di lacrime
dal cuscino che avevo ancora davanti alla faccia.
«È
tutto finito, mamma»
Il
mio viso ricadde inerme sul cuscino macchiato di trucco nero.
Lei
capì subito a cosa mi stavo
riferendo. Si sedette accanto a me e iniziò ad accarezzarmi
la testa per
consolarmi.
«Eh, amore mio,
questo è quello che succede quando lasci vincere il tuo
cuore...»