Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Giulia dans le noir    07/11/2010    3 recensioni
"La fiamma sovrannaturale che mi sorge dall'anima sembra non avere mai fine. Alimenta la mia forza, mi rende invulnerabile ai pugnali degli uomini e ai morsi dei cani da pastore.
Ed io colpisco, più ferocemente che mai. Ogni colpo è un grido, un trionfo, una rivalsa.
Per me.
Per Rufus.
Per i prati su cui giacevamo abbracciati.
Per i sogni che avevamo costruito.
Per quelli che ci avete distrutto!
Per la vita che ci avete impedito di condividere! Per i figli che non hanno potuto nascere! Per tutti quelli come noi, che hanno avuto solo la sfortuna di nascere diversi! Per mia madre!
E' la vittima che diviene carnefice! Più grande di un cane e più forte di un lupo, impongo la mia presenza nella vita della comunità umana, con soddisfazione, stizza, orrore. C'è sangue ovunque."
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Metamorfosi

 
 
Sto bruciando. Dalla prima all'ultima molecola del mio essere, la fiamma si sta impossessando piano di me.
Non fa male, è strano. È come se germogli di veleno stessero infiammandosi sulla mia pelle; come  lenta euforia, un dolce dolore di sconforto sul mio corpo.  Mi avvolge di potenza. Non so stare ferma, il sangue mi ribolle ansiosamente nelle vene, sto danzando sulle lunghe zampe, feroce e forte come sempre, più di sempre. Devo andarmene di qua, dirigermi verso le città degli uomini. Non posso stare ferma. Non posso più restare. Lancio un'ultima, dolorosa occhiata alla tana scavata nel fango in cui ho dormito nelle ultime sei settimane. L'ho divisa con Rufus, prima che i Cacciatori lo scovassero a caccia pericolosamente vicino ai loro territori. Era stato troppo ardito, amore mio… noi possiamo vivere solo qui, nascosti nel cuore di questa foresta. Nessuno ci deve conoscere.
Fino ad ora, almeno.
Adesso che un fuoco benigno mi tormenta di una smania senza fine, che una rabbia antica e nuova sta crescendo nel mio cuore, che so che niente e nessuno possono più fermarmi, voglio vendetta. Tutto il dolore, l'angoscia, il rimpianto, la sofferenza del passato sono carbonizzati in scintille irrazionali di furore. Non voglio giustizia, adesso. Voglio vendetta.
Con un fioco grido di addio, parto. Divoro chilometri di foresta, senza fermarmi mai. La mia corsa parla un dialetto non umano, di secoli di sdegno e di esclusione, di pianto, di rancore. Gli animali si scostano vedendomi passare. Lo sentono che sono diversa. Non sono più la bestia di sangue e sentimento, sono mutata in rabbiosa macchina di odio.
Instancabile, tremenda, implacabile. Come ogni macchina.
Loro lo sanno, e sono sicura che parteggiano con me. L'uomo ha fatto del male anche a loro.
Mi lascio alle spalle il luogo che per più di un mese ha ospitato il mio esilio, e continuo a correre. Non c'è tempo, la mia corsa sembra un volo. Rapida e silenziosa come un rapace mi avvento su una coppia di ragazzi che corrono sui prati, rapiti dalla primavera. Sono mezzi svestiti, si abbracciano. Anch'io e Rufus eravamo così! Salto contro di loro, veloce come un battito d'ali, come fiamma d'odio che corrode, distrugge, mangia la carne. Sento in lontananza le loro urla, ma non mi fermo. Spero soffrano. Sì, spero soffrano tanto.
La mia marcia diviene quasi leggiadra. Ogni passo accende la mia determinazione, la mia voglia di sangue, di vendetta, di rivincita. Fuoco benedetto che mi ha dato la forza di reagire!
E finalmente, in lontananza, scorgo il primo villaggio. Odo rumori soffusi, fiochi, di risate, di giochi, di vita, ed il mio animo bruciante vola là. Piombo come un ruggito in mezzo alla folla umana. Il mio fuoco e le mie zanne gridano per me, non odo più niente, non le urla di stupore e spavento, le suppliche di clemenza, non vedo neppure il sangue che macchia il terreno e mi fa scivolare. In un abisso di emozione precipito. Niente mi può fermare. Il villaggio crolla sotto i miei assalti, forse ci sono pochi uomini ancora vivi sotto le macerie, mi auguro che il peso delle rovine e delle loro colpe li schiacci totalmente.
Ma la mia corsa non è finita. Anzi, è adesso che comincia. Con un ululato di gioia, mi dirigo verso un altro centro abitato. Sempre più implacabile, sempre più cattiva. E' la mia vendetta! E l'uomo imparerà a temermi.
Uccido anche le loro bestie, i loro cani, i loro cavalli, le loro pecore, che sono colpevoli di averli serviti per tanti millenni. Ed i bambini!… che gioia schiacciarli sotto la zampe, sorda alle loro flebili preghiere. Vedo già nei loro occhi i Cacciatori che sono in potenza, gli assassini che diverranno.
Non vale la pena di lasciarli vivi.
La fiamma sovrannaturale che mi sorge dall'anima sembra non avere mai fine. Alimenta la mia forza, mi rende invulnerabile ai pugnali degli uomini e ai morsi dei cani da pastore.
Ed io colpisco, più ferocemente che mai.
Ogni colpo è un grido, un trionfo, una rivalsa.
Per me.
Per Rufus.
Per i prati su cui giacevamo abbracciati.
Per i sogni che avevamo costruito.
Per quelli che ci avete distrutto!
Per la vita che ci avete impedito di condividere! Per i figli che non hanno potuto nascere! Per tutti quelli come noi, che hanno avuto solo la sfortuna di nascere diversi! Per mia madre!
E' la vittima che diviene carnefice! Più grande di un cane e più forte di un lupo, impongo la mia presenza nella vita della comunità umana, con soddisfazione, stizza, orrore. C'è sangue ovunque.
So che, tra poco, tanti si uniranno a me. Tutti quelli come me, tutti gli esclusi del mondo dell'uomo. Saremo un esercito e marceremo contro l'umanità!
Ma se anche morissi, Dio mio, prima di creare la nuova milizia, sono certa che la mia rabbia echeggerà nei secoli. Non può morire nella storia chi ha fatto tante vittime.
E forse qualcuno, tra i miei simili, un giorno avrà il coraggio di emularmi.
Ho visitato un'infinità di villaggi. Niente, più, sembra in grado di frenare la mia corsa. Le vampate di fiamma attorno al mio collo si fanno sempre più grandi, più feroci, più prepotenti. Come una chimera infuocata invado le case umane, distruggendo qualsiasi cosa, lasciandomi dietro solo sofferenza, rimpianto, sangue, cenere, dolore.
Ma se lo meritano, perché è quello che hanno fatto a me.
Vago in uno stato di semi incoscienza, secondo atti che sono divenuti più meccanici che razionali, attaccando mordendo calpestando uccidendo per necessità piuttosto che per scelta. I ricordi scemano. Non mi sono rimasti che brandelli della mia vita prima della venuta del fuoco.
A volte dubito persino dell'identità di Rufus.
Non so quanto tempo è passato da quando ho cominciato. Potrebbero essere anni, mesi, giorni o addirittura delle ore. Eppure è come se non fossi mai vissuta che per quello.
Sono forte.
Sono più potente di tutti gli uomini, che non possono scalfirmi con le loro armi! Non mi fermerebbero neppure se il principe mi scaricasse contro tutti gli eserciti che sta sprecando per le sue stupide guerre di conquista. Stupida debolezza umana!
E' la gioia della divinità, che scopre di avere nelle proprie mani le vite e le sorti delle sue creature. Posso eliminare la razza umana… perché lo voglio, perché non c'è niente di più importante, perché so di star facendo la cosa giusta.
E ne ho uccisi tanti. Non sono mai stanca, non ho mai smesso di correre, non chiudo in pratica occhio, non mangio, non bevo. Non ho idea di come posso rimanere in vita, e non me ne preoccupo.
Però ultimamente i miei massacri sono disturbati. Presenze strane, quasi dei sogni ad occhi aperti. Ricordi.
Soprattutto quando uccido i bambini, e percepisco le loro piccole, fragili, ossa spezzarsi sotto i miei denti, da qualche tempo a questa parte scoppiano immagini nella mia testa.
Ricordi di grida, di sangue, di fuoco, di vergogna. Di morti. Di affetti violati. Di una bambina con grandi occhi scuri e una smorfia di tremore sul volto.
Sono questi ricordi a farmi troppo spesso esitare. Che il fuoco si stia esaurendo? che il calore di questo furore mi stia abbandonando? Non voglio… non può essere… No! Ho ancora un compito da assolvere, devo piegare l'umanità, torcerla dentro al suo proprio sangue, annegarla, straziarla. Deve soffrire!
Ma le immagini si fanno sempre più pressanti, meno evanescenti. A volte si sovrappongono alla realtà di terrore e morte che ho creato. Una vecchia ingiustizia che si ripete, le parole di un pazzo, "niente di nuovo sotto il sole", una bambina con dolci occhi scuri, lupi che fuggono, uomini con le lance, uomini morti, donne sventrate, sangue, sadismo, vendetta, fuoco. Immagini, pensieri, ricordi, incubi, realtà, si accavallano senza tregua gli uni sugli altri, gli uni contro gli altri, senza ordine né misura, come un urlo senza fine. E' troppo… davvero… è troppo…
Forse se sto ferma io, staranno ferme anche loro. Senza averlo deciso né programmato, la mia corsa si placa poco a poco. E poi mi fermo. Con l'immobilità, violentemente, crudelmente, mi assalgono i rumori. Tutti insieme, un confuso groviglio di suoni di morte e di fuoco. Urla, pianti, tonfi, guaiti. Come trovarsi immersi nel caos. Davvero non li sentivo mentre correvo? Il fuoco della mia vendetta mi ha reso sorda?
Sbatto le palpebre, per la prima volta dopo un sacco di tempo. E' come se, oltre che sorda, fossi stata anche cieca per tanto tempo. Come se non avessi visto nulla… o avessi visto troppo. Sono in mezzo ad una strada di una città distrutta, quasi rasa al suolo. Le macerie fumano atrocemente, l'odore dei corpi carbonizzati mi da' la nausea. E la morte, sì, la morte ovunque. Ma dov'ero io mentre facevo tutto questo?
E' notte, e la luna piena illumina con un bieco barbaglio la mia creazione. La luna, che è stata la musa delle mie canzoni, e non la spettatrice muta di tale disastro… e di tutti quelli che l'hanno preceduto!
«Eccolo, si è fermato! Acchiappate il mostro! »
Uomini armati di forcone. Vengono verso di me. Vogliono vendicarsi dei loro morti. E anch'io! Come dimenticare che anch'io ho voluto vendetta, in nome di tutti gli esclusi miei pari? Un'antica ingiustizia che ritorna…
Ma non voglio combattere, adesso. Devo imparare a pensare.
Scatto in avanti e mi dileguo nell'oscurità, opprimente rifugio delle mie colpe. Non mi vedranno più. Mi allontano tra i cespugli di una boscaglia vicina, inciampo a più riprese. Sono debole, più di quanto credessi, come non sono stata mai. La forza furente che mi ha animata, macchina di morte, sembra avermi abbandonato. Rapida com'è venuta, se n'è fuggita. Raggiungo faticosamente la sommità di un colle, e mi lascio cadere a terra. Il fuoco ha smesso di bruciarmi sul corpo. Si è estinto, e con lui tutta quella furia irrazionale che mi portavo addosso, che mi ha resa il mostro, la favola, la leggenda.  I vecchi ricordi sono tornati, tutti come una valanga di fragilità. Ma gli ultimi mesi, quelli li odo indistinti nella mente. Come un brutto sogno lontano. Come non fossi stata io.
Alzo lo sguardo, con una luce dura e sofferta negli occhi. La testa contro la luna, le canto il mio ululato di roco dolore. A lungo, senza respiro.
Un ululato di lupa che piano, dolcemente, muta in un singhiozzo di donna. Il volto nascosto tra le mani, abbandonata sull'erba umida di rugiada, giaccio piangente, bagnata dal chiaro di luna.
Vendetta! Questo ho voluto… vendetta! E cos'ho fatto di meglio, io, di quei Cacciatori che hanno sgozzato mia madre davanti a me bambina? Cosa più degli uomini gonfi di pregiudizi, che hanno relegato me e Rufus nell'angolo più nascosto del mondo? che hanno catalogato me ed i miei simili come bestie, chiamandoci "licantropi", solo perché eravamo nati con qualcosa di diverso dagli altri? come ho potuto essere così meschina, così crudele, così maledettamente umana? Cos'ho creduto di fare?
Il sangue non lava le colpe, non le cancella. Dovevo saperlo. Le radicalizza, le incancrenisce nel cuore. E le rende solo scuse, solo effimeri pretesti di violenza.
Pensieri dell'uomo. La parte umana che è in me mi ha fatto credere di poter risolvere i soprusi perpetrandone altri. Che errore! Ho fatto come gli uomini, che si coprono abilmente gli occhi con fette di illusioni, per credere di stare agendo bene. E quel fuoco che mi ha divorata…! Che cos'è stato, se non la sofferenza del passato divenuta atrocità di distruzione? Non sono stata meglio di loro.
Molti mi imiteranno, oh sì. Sono tanti quelli come me, che non ne possono più delle segregazioni e delle violenze umane. E gli uomini mi tramanderanno come un mostro, come uno scherzo cattivo della natura, oppure come una fola, come una favola da raccontare ai bambini per tenerli tranquilli la notte.
Ma nessuno, alla fine, potrà più parlare di torto, di ragione, di fede e verità… Ognuno è attaccato alle proprie miopi, mediocri, convinzioni, ognuno chiuso in difesa della propria esistenza, nel rifiuto perenne di soppesare le proprie responsabilità. Nessuno avrà più il diritto di lagnarsi o di vantare diritti, né gli uomini né i lican… o forse ognuno lo farà proprio. Non potremo mai più capirci. Ho ucciso ogni speranza di unirci in un solo popolo, di superare i pregiudizi, le reciproche differenze. Ho dato inizio ad un'apocalisse.
E non sarò io a fermarla.
Al sorgere dell'alba, partirò a passo svelto in direzione del mio paese d'origine.
La notte di tanti anni fa, in cui i cacciatori irruppero nel mio villaggio, devastarono la casa dove abitavo e sterminarono la mia famiglia, avevo quattro, forse cinque anni. Ero riuscita a fuggire solo grazie al sacrificio di mia madre. Piagnucolando ed incespicando, terrorizzata, tremante, infreddolita, mi ero allontanata verso il bosco che circondava il villaggio. Stringevo nelle mani il vecchio pugnale che mia madre aveva usato per difendermi. L'aveva lasciato cadere quando i colpi dei Cacciatori erano stati troppi contro di lei. Il pugnale era fradicio di sangue, mi impiastricciava le mani. Prima di correre via, nascosta nelle tenebre dei boschi, a sfogare l'infantile sgomento di fronte alla morte, avevo seppellito il pugnale sulle radici di un grosso albero. Una quercia, mi sembra. E avevo giurato, con la voce impastata di lacrime, che sarei tornata a prenderlo.
Sono passati venti anni da quella notte. E sono certa che il pugnale è ancora là, sepolto da anni di oblio, vessillo di un'infanzia perduta troppo presto. Forse sarà ancora incrostato di sangue, invecchiato di decenni.
Mi guardo a lungo le mani, indugiando ad immaginarle marchiate di tagli. Tagli profondi, che strappano via la vita con una angoscia segreta. Farà male. E' la vendetta finale contro me stessa, l'unica cosa che posso fare di fronte alla follia che mi ha posseduta per tutto questo tempo.
Cado a quattro zampe sul terreno. Gli occhi neri contro la notte che si sta spegnendo, canto la mia ultima canzone al vento. Una sola nota, tesa e vibrante di brividi non scritti.
Un macabro lamento funebre.
 
 
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Giulia dans le noir