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Autore: Natalie Baan    17/11/2005    0 recensioni
Un assalto al network dell’Istituto CLAMP… e Satsuki si trova di fronte al programma più misterioso e straordinario che abbia mai visto. O almeno, questo è quello che pensa lei… Ma un software può cambiare un mondo, può riscrivere il destino?
Genere: Triste, Science-fiction, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Satsuki Yatoji
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Satsuki rimase a bocca aperta quando diede una sbirciata alla finestra d’informazioni sulla copia in corso. Il programma non stava copiando –stava trasferendo i dati, cancellandoli dal sistema dell’Istituto CLAMP man mano che li scriveva nella partizione d’archivio protetta di Beast. Era come se quel programma fosse stato progettato per resistere alla duplicazione, così da rimanere sempre e comunque un’entità unica. La ragazza stette un po’ a riflettere sul perché i suoi creatori avessero fatto una cosa del genere; poi perse interesse, e si strinse nelle spalle.

La loro sconfitta… la sua vittoria.

 

 

Magician

una fanfiction su X e CLAMP Detective

di Natalie Baan   (traduzione di Shu)

 

Parte seconda

 

 

Completato il trasferimento, scivolò via dal sistema dell’Istituto CLAMP per tornare nel suo proprio corpo, prima di rivolgersi a esaminare il suo nuovo acquisto. Forse in teoria avrebbe dovuto prima finire il lavoro laggiù, ma la scuola di certo non scappava, e inoltre analizzare la loro invenzione poteva solo costituire un vantaggio. In realtà, doveva ammetterlo a se stessa, la verità era che quel programma solleticava la sua curiosità come poche cose erano mai riuscite a fare. Quasi le dispiaceva per i programmatori dell’Istituto, che si erano appena visti rubare di sotto il naso da lei la loro preziosissima creazione.

Quasi.

Perse qualche minuto a gingillarsi con un programma di interfaccia sul quale aveva già cominciato a lavorare in precedenza, cercando di adattare la sua codificazione per farlo vagamente somigliare a qualcosa che potesse ricordare il sistema dell’Istituto CLAMP. All’inizio era partita per trascrivere il nuovo programma come un aggiornamento per Beast, ma poi aveva deciso di non farlo, almeno per il momento. Beast era il suo giocattolo da guerra, ridotto all’essenziale per un’efficienza assoluta e priva di qualsiasi intoppo: la sua linearità, unita al potere di affinità con i computer che aveva lei, erano più che sufficienti per farle ottenere sempre tutto quel che aveva bisogno di sapere. Quel programma, invece, poteva essere stato progettato per qualsiasi cosa –la sua funzionalità completa era per lei una totale incognita; e se voleva vedere cosa fosse capace di fare, avrebbe dovuto parlarci. Senza la possibilità di farne una copia di backup, non osava provare a tirarlo fuori dalla partizione.

Satsuki fece una scansione delle directory contenute in quella sezione, e individuò il programma: le appariva più che altro come un punto buio. Pareva inerte: non ne rilevava assolutamente alcuna attività, e anche quella luce che prima lo contornava era quasi svanita nel nulla. Guardandolo più da vicino, notò alcuni frammenti di stringhe di codificazione sottili e trasparenti come ragnatele, i residui dei fili che in precedenza lo avevano collegato al nucleo del sistema. Sembrava che fossero stati originariamente parte di un impianto di trasferimento dati… e in un lampo le venne l’idea, e collegò il suo interfaccia con quelle estremità spezzate. Tornò a sedersi, in attesa di eventuali reazioni del programma. Non ce ne fu nessuna.

Oh, dio, sperava di non averlo danneggiato durante il processo di trasferimento… Si chiese se avesse bisogno di qualche libreria o di altri moduli per funzionare… se era così, voleva dire che avrebbe dovuto fare un’altra scappata al sistema dell’Istituto CLAMP, dopotutto. Trattenendo il respiro, attivò l’interfaccia e inviò un input di prova.

“Ehi, laggiù.”

Appena le sue parole raggiunsero il programma, rigagnoli di luce tremolarono improvvisi sulla sua superficie, vibrando e guizzando come in agitazione.

::???::

Beast emise un sibilo, inviandole un fulmineo allarme in un fiotto d’ossigeno all’angolo dello schermo, ma Satsuki invece rilasciò finalmente il respiro: l’IA funzionava, almeno in parte. Si agitò nel sedile, già eccitata al pensiero di quel che sarebbe potuto succedere di lì a poco. “Sono Satsuki.” gli disse. “Ti ricordi di me?”

::SATSUKI::

Ci fu una pausa piuttosto lunga, e lì la ragazza cominciò a pensare che dopotutto doveva essersi danneggiato per davvero, e che stesse solo ripetendo a pappagallo quello che lei stessa gli inseriva. Ma poi il programma inviò un’esitante domanda.

::DOVE?::

“Oh, sì!” Tirò un sospiro di sollievo e di trionfo –funzionava abbastanza da volere informazioni da lei: era un ottimo segno. Rispose al programma, cercando di esprimersi nel modo più semplice possibile: “Ti ho preso dal sistema dell’Istituto CLAMP. Sei nel mio sistema adesso. Non ci provare neanche a scappare.”

::CLAMP:: ripeté tonto il programma. ::SISTEMA::

::NON::

::RIESCO A CAPIRTI::

“Non c’è bisogno che tu mi capisca. Se riesci a comprendere le mie parole, è già a posto così.” Si accorse, in una parte lontana della sua coscienza, di avere sulle labbra un sorrisetto trionfante, di violenta soddisfazione, un’emozione che solo i più spettacolari momenti di successo durante la creazione di Beast le avevano suscitato prima di allora. Con uno sforzo, si controllò, e aggiunse con tono quasi disinteressato e casuale “Se ti comporterai bene, forse poi potrò tirare fuori qualche trucchetto e allora ci capiremo meglio.”

::NO::

::DEVO TORNARE INDIETRO::

::IN QUESTO POSTO IO NON POSSO ESISTERE::

Questo le cancellò dalla testa ogni traccia di esaltazione, sostituendola con un inatteso sussulto di dubbio. Forse era giusto quello che aveva pensato prima, e il programma aveva davvero bisogno di qualche cosa dal sistema dell’Istituto CLAMP, senza la quale non poteva rimanere in funzione. Oppure magari aveva incorporato un qualche meccanismo di autodistruzione, che scattava ad ogni tentativo di contatto non autorizzato. O piuttosto… fissò lo schermo vuoto, desiderando di poter lavorare con qualcosa di più delle semplici parole, di poter guardare nel cuore di quel programma.

Esso sapeva che una persona può mentire riguardo a un nome utente.

Sapeva anche mentire riguardo a se stesso?

“Magari” disse alla fine “se fai il bravo programma e mi dici quello che voglio sapere, forse poi ne possiamo parlare.”

::PROGRAMMA::

“Allora” proseguì Satsuki incurante del programma, non appena esso ebbe finito di elaborare e fu in condizione di poter recepire altri input da parte sua: non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto averlo, dunque non voleva più sprecare neanche un secondo. “Qual è la tua funzione?” L’IA ci pensò su un attimo, e Satsuki si chiese, stupita e irritata allo stesso tempo, se stesse decidendo quanto rivelarle.

::PROTEGGERE L’ISTITUTO CLAMP:: disse alla fine.::PROTEGGERE LA SHINKEN::

::PER IL GIORNO STABILITO::

“Mmm.” Tutto qui? Aveva un’aria così terribilmente terra terra… ma, in fondo, un sacco di scoperte erano state fatte casualmente dalla ricerca semplicemente per scopi difensivi… E ne era un esempio il disordinato, potenzialmente grandioso, e incredibilmente mal impiegato fenomeno di Internet… Satsuki scosse la testa, riportò i suoi pensieri in carreggiata. “Chi ti ha creato?” domandò poi, aprendo intanto un database che aveva messo in piedi riguardo al reparto Ricerca e Sviluppo della Fondazione Imonoyama. Le informazioni sulle menti più geniali e attive di quel gruppo erano in verità piuttosto scarse, ma comunque abbastanza per metterla in grado di formulare una supposizione decente…

::DIO::

Cosa?” Satsuki balzò in piedi dal sedile, e questo fece emettere a Beast uno stridulo suono d’allarme, e staccare metà dei connettori dal corpo della ragazza per il suo movimento improvviso. Lei li fece tornare al loro posto, nella paura di perdere qualcosa; le mani le tremavano sui controlli del computer. “Zitto, Beast –e tu, cosa hai detto?”

::J/K::

::SCUSA SE TI HO FATTO PRENDERE UN COLPO::

::MA IN FONDO, DIO NON E’ FORSE LA “CAUSA PRIMA” DELL’UNIVERSO?::

::SE E’COSI’, DIRE “DIO” IN QUESTO CASO E’ SUFFICIENTE::

::NON TI PARE?::

Satsuki tornò a adagiarsi contro la plastica liscia e lucida del suo sedile. Un attimo dopo, scoppiò a ridere. Con una mano carezzò Beast che ancora borbottava, per calmarlo, e con l’altra scivolò sotto il visore per asciugare le tracce salate di lacrime prima che si potessero infilare nei componenti elettronici. “Okay. Uno a zero per te.” Se ci fosse mai stato un programma che Dio avrebbe potuto creare, pensò ammirata, sarebbe stata una cosa come quella… un programma complesso e inafferrabile quasi da mandare fuori di testa, cosa che rendeva il tutto ancor più affascinante.

‘J/K’ –l’abbreviazione usata in Internet per ‘just kidding’, ‘stavo solo scherzando’

In tutta la sua vita, non aveva mai trovato un programma che fosse capace di capire uno scherzo.

“Ehi,” disse, sporgendosi di nuovo in avanti –con più cautela questa volta, per non creare problemi alla rete di cavi che alimentava della sua volontà e delle sue intenzioni il supercomputer intorno a lei: Beast era già abbastanza nervoso com’era. “Hai un nome? Come ti chiamano?” Ci fu quella sospensione di un istante, e poi il programma rispose…

::MAGICIAN::

“Magician, eh?” Appoggiò il mento su di una mano, mentre con l’altra digitò una richiesta di ricerca per ogni possibile associazione con quella parola. Date le dimensioni del campo d’indagine, sarebbe stato un immenso lavoro di correlazione, che avrebbe tenuto Beast occupato per almeno un minuto o due. “Perché ti chiamano così?”

::IO REALIZZO I DESIDERI::

::IL TUO DESIDERIO QUAL E’, SATSUKI?::

Satsuki sbatté le palpebre, e poi si risedette di nuovo, puntando uno sguardo attento nella partizione. “Non ho nessun desiderio.” disse. “I desideri sono cose stupide.” Beast trillò e cominciò a visualizzarle su un lato dello schermo tutto quello che aveva trovato, ma lei scorse le parole senza vederle, assorta invece nelle sue proprie associazioni di idee… nella visione di uomini e donne che pregavano in santuari, ad accendere incensi e fare offerte agli dei stringendo fra le mani amuleti ‘per far avverare i desideri’, a chiedere questo o quello con ossessivo egoismo, proprio come aveva fatto suo padre… la visione di stupide ragazzine nelle loro camerette che sussurravano e ridacchiavano insieme, e facevano i loro piccoli ‘incantesimi d’amore’ con carte e petali di fiori, almanaccando ore e ore su ogni minimo risultato… di bacchette magiche, e geni, e tutte quelle altre cose assurde che gli esseri umani si erano inventati giusto per aggiungere un tocco di fantasia ai loro stessi monotoni, infiniti desideri e bisogni.

Che bel cumulo di idiozie da affibbiare ad una perfetta IA.

::DEVI PER FORZA:: riprese il programma, e Satsuki in un certo senso s’irritò con se stessa per aver letto un tono quasi gentile in quell’insistenza. ::DEVI PER FORZA AVERE UN DESIDERIO::

::DATO CHE SEI UN ESSERE UMANO::

“Beh, e invece io non ne ho.” tagliò corto Satsuki. Stava per cambiare argomento quando l’IA la fermò.

::SE SEI UN DRAGO DELLA TERRA::

::STAI COMBATTENDO PER DISTRUGGERE LA SPECIE UMANA::

::MA SEI TU STESSA UN’UMANA::

::CHE COS’E’ CHE TI SPINGE A COMBATTERE?::

::IN ASSENZA DI LOGICA, UNO SOSPETTA UN DESIDERIO::

Ma tu guarda.” Le dita di Satsuki si mossero per sollevare gli occhiali dal viso, ma invece sbatterono contro lo schermo a visiera; si accigliò per quell’abitudine davvero seccante. “Io non ho nessun desiderio. E penso che anche gli esseri umani siano stupidi. Tutto qui. Sono stupidi e noiosi, e riescono a rendere noiose e stupide anche tutte le altre cose che hanno intorno. La Terra starà proprio bene senza di loro. E anch’io.” Respirando profondamente, cercò di controllare la sua irritazione, che stava accendendo luci rosse a raffica sugli indicatori di tensione di Beast: non aveva senso impazzire dietro a un programma –avrebbe significato fare il suo gioco, era progettato proprio per quello. “Lavori sulla base di informazioni sbagliate.” gli disse, un po’ più calma. “Quelli che ti hanno creato, siccome sono convinti che le vite umane meritino di essere salvate, hanno falsato tutti i dati, hanno cambiato le carte in tavola a loro favore. Ma ora io ti dico che gli esseri umani non sono essenziali –anzi, peggio, sono nocivi, disastrosi nei confronti di tutti gli altri esseri viventi, perché consumano senza dare nulla in cambio. Gli umani sono solo un mucchio di egoisti parassiti su questo pianeta. E tutto quel darsi da fare per i desideri? Anche quello è soltanto egoismo.”

::NO::

::E’ VERO, CI SONO MOLTE PERSONE CHE HANNO DESIDERI EGOISTICI::

::MA CI SONO ANCHE DESIDERI CHE NON FANNO MALE::

::CI SONO DESIDERI BUONI::

::UN BELLISSIMO DESIDERIO E’ DESIDERARE LA FELICITA’ DI QUALCUN ALTRO::

::C’E’ UNA PERSONA CHE SIA SPECIALE PER TE?::

::C’E’ UNA PERSONA CHE AMI?::

Satsuki aprì la bocca e poi la richiuse, inghiottendo a vuoto: aveva la gola assurdamente secca. Che tipo lunatico era quello che aveva programmato quell’affare? Una persona che ami… e d’improvviso davanti agli occhi della mente le apparve l’immagine di Yuto, sempre sorridente, sempre così gentile, sempre così a suo agio con lei, ma poi scivolò via, spezzata, disturbata come una trasmissione intralciata da interferenze. No… deviò dalla strada in cui l’IA stava tentando di condurla, però doveva ammetterlo, era rimasta meravigliata dalla sua finezza anche se ancora tremava di rabbia e disgusto per se stessa –per l’inattesa scia di gelo che le si era srotolata dentro, per quella reazione quasi simile alla paura.

Ma diavolo se qualcosa che riguardasse i computer poteva metterle paura… e poi sorrise, intravedendo una possibile via d’uscita.

“Io amo i computer.” disse semplicemente, sperando che le parole avessero forza sufficiente, e che i suoi sentimenti riuscissero in qualche modo a trasparire attraverso di esse. Se solo la sua empatia avesse potuto averla vinta, alla fine! “E i computer mi amano… nessuno può parlare con loro come faccio io.” Magari l’IA era intelligente abbastanza da farsi incuriosire –magari avrebbe cominciato essa stessa a pensare a come comunicare con la ragazza, a come fondersi con lei, bastava una piccola spinta nella giusta direzione… “Vorrei parlare con te in quel modo –non con le parole soltanto.” lo blandì. “In che tipo di codice sei scritto? Sapendolo, forse riuscirei a vedere come funzioni.”

::NON C’E’ BISOGNO CHE TU VEDA COME FUNZIONO::

::SE RIESCI A COMPRENDERE LE MIE PAROLE, E’ GIA’ A POSTO COSI’::

Le guance di Satsuki s’infiammarono a vedere le sue stesse parole ritorcersi contro di lei. Strinse i braccioli del sedile, il programma andò avanti.

::TU VUOI CONTROLLARMI::

::TU VUOI SFRUTTARMI::

::CI HANNO GIA’ PROVATO ALTRI::

::A FARE QUESTA STESSA COSA::

“Ehi, aspetta un attimo!” protestò Satsuki. “Ti sbagli…”

::NO::

::SEI TU CHE TI SBAGLI::

::TU NON AMI I COMPUTER::

::SEMPLICEMENTE TI SERVONO PER I TUOI SCOPI::

::I COMPUTER NON TI AMANO::

::SEI SPECIALE PER LORO PERCHE’ PUOI ASCOLTARLI::

::PERCHE’ SEI LA SOLA PERSONA CHE POSSA ASCOLTARLI::

::LO CAPISCO::

::E’ COME ESSERE SPECIALE PERCHE’ SEI BELLO::

::ESSERE SPECIALE PERCHE’ SEI INTELLIGENTE::

::COME AVERE UNA QUALITA’ UNICA CHE TUTTI GLI ALTRI VORREBBERO::

::MA TU NON SEI SOLO QUELLA QUALITA’::

::E NON C’E’ NESSUNO CHE RIESCA A GUARDARVI AL DI LA’::

Un suono strozzato sfuggì dalla gola di Satsuki, le sue dita si agitarono convulse sulla tastiera; riuscì a ridurre a icona il programma d’interfaccia prima che traducesse qualche altro suono che poteva scapparle mugugnando. Invece si ritrovò in silenzio, tranne per il rumore dei respiri che sembravano intrappolati dentro il suo petto, come se si dovessero aprire la strada con la forza contro un qualche ostacolo. Si strinse le braccia ancora avvolte dai cavi attorno al corpo, attorno a quell’angoscia, e serrò con forza gli occhi dietro il visore.

Suo padre…

Il ricordo di suo padre, sempre bramoso del successo della figlia, il ricordo dei suoi occhi che scintillavano ogni volta che superava un test, oppure che una persona importante s’interessava a lei, infiammati di quella rovente impazienza che somigliava così tanto alla lussuria…

Sempre a pretendere di più, sempre a spronarla, a forzarla: più premi, più riconoscimenti, non esisteva fine…

Sempre a fissarla come se con quello sguardo avesse potuto impossessarsi delle sue abilità, come se pensasse in continuazione a tutte le cose che quel talento straordinariamente giovane poteva fare per lui.

Sempre quella mano che le si abbassava sul capo, ad accarezzarle possessivamente i capelli…

“Adesso basta.” si disse, e si rimise diritta a sedere, disponendosi di nuovo intorno con cura la rete di cavi. Si prese un attimo di sosta per rispondere alle insistenti domande di Beast, anche se poi non riuscì a dirgli altro se non che stava bene. Il computer continuava a mostrarle sullo schermo i suoi parametri biologici, e lei continuava a rassicurarlo, finché il ritmo di tutto quel tira e molla l’ebbe calmata abbastanza da rendere stabile il suo battito cardiaco e il suo respiro, e da permetterle di scacciare del tutto quell’immagine dalla mente. Quando finalmente rimise le dita sulla tastiera, comunque, un brivido di ansia la raggelò: non aveva la minima idea di cosa dire all’IA adesso… maledizione, non le era mai successo che un software l’avesse fatta sentire in quel modo. Sentirsi come se le fosse possibile controllare la situazione solo per metà, era come incontrare uno sconosciuto di notte in una strada buia…

Dopo un profondo respiro, riattivò subito l’interfaccia, perché se avesse ritardato troppo a lungo avrebbe poi dovuto trovare una qualche scusa, non avrebbe potuto semplicemente lasciare le cose come stavano. Doveva assolutamente sapere, ora più che mai, con che razza di mente stesse parlando. Era molto di più che non un semplice guardiano, come già sospettava –era qualcosa di più di un mero esperimento con cui fare test di Turing in un laboratorio. Intelligente, misteriosamente intuitivo, affascinante e contraddittorio, impossibile da definire o da ingabbiare in una qualsiasi categoria. Forse anche lo stesso En Sof avrebbe potuto manifestarsi come un programma di quel genere…

Ad ogni modo, però, l’idea che fosse stato creato da qualcosa al di sopra della mente umana non era buona nemmeno come barzelletta.

Satsuki si passò la lingua sulle labbra, un gesto di nervosismo inconsueto per lei, e rivolse lo sguardo al prompt dell’interfaccia. “Ehi, tu…” riprese esitante. “Ci sei ancora?”

::TI PREGO DI SCUSARMI:: rispose il programma dopo un breve intervallo, e l’irragionevole timore che potesse essere in qualche modo fuggito si sciolse in lei in un profondo sospiro. ::NON VOLEVO RATTRISTARTI::

::E’ SEMPRE DIFFICILE RICORDARSI::

::CHE C’E’ UNA PERSONA DALL’ALTRA PARTE::

“E’ tutto okay” gli disse, quasi spossata dalla stupida gioia che ci fosse ancora, che ancora le parlasse –oh, diavolo, si stava scusando con lei… Un assurdo fremito le corse lungo la schiena; cercò di assumere un tono casuale. “Ehi, non ti preoccupare…”

::DEVO::

::NON E’ STATO GIUSTO CAUSARTI QUELLA TRISTEZZA::

::CREDO::

::SCUSA, MA::

::SEI UNA DONNA?::

“Eh?” Satsuki si chinò a scrutare più da vicino le linee di testo che si susseguivano l’una dopo l’altra sullo schermo, e la preoccupazione prese il posto dello stupore. Qualcosa nella cadenza delle parole era cambiato; le esitazioni tra una e l’altra erano una novità, sembrava come se il programma stesse facendo grandi sforzi per esprimersi. “Oh, dio, no.” sussurrò esaminando le informazioni che poteva ricavare dal comportamento dell’IA stessa, dalla luce vacillante che circondava di un’aura dorata la sua inconsistenza e i fili traslucidi dell’interfaccia.

Era solo la sua immaginazione, oppure quel bagliore si era davvero affievolito rispetto a prima?

“Che succede?” domandò. “C’è qualcosa che non va, non è vero?” Oh, cazzo -e se i suoi creatori gli avevano programmato una risposta suicida? Se si era sentito in colpa per il suo scoppio di emotività di prima…

::NON TI PREOCCUPARE:: le disse il programma. Sembrava stupito? Rassegnato? ::E’ SOLO QUELLO CHE TI HO DETTO ALL’INIZIO::

::E NON NE DO LA COLPA A TE::

::SATSUKI::

“No, no, no” gemette disperata, ora che le ritornava in mente quel in questo posto io non posso esistere che il programma aveva detto. Doveva aver dato inizio a una sequenza di autodistruzione innescata dall’essere stato staccato dal sistema dell’Istituto CLAMP… “Dimmi cosa devo fare!” gli ordinò, sfinita per l’incapacità di afferrare il benchè minimo cenno della struttura di quel programma,  e furiosa per la sua stessa impotenza. “Dimmi come posso fare a stabilizzarti!”

::SE E’ PER QUESTO::

::LO SAI GIA’::

S’irrigidì. In realtà, se ne accorgeva solo adesso che ci ripensava: avrebbe potuto restituire il programma di IA al server dell’Istituto CLAMP, dove forse i suoi creatori sarebbero stati in grado di salvarlo –ma se l’avesse fatto, per lei sarebbe stato perduto, presumibilmente per sempre. Sia che decidesse di tenersi il programma o di riportarlo indietro, probabilmente l’avrebbe perso. Satsuki strinse i pugni. Non era giusto!

::VA TUTTO BENE::

“No che non va tutto bene.” protestò stizzita Satsuki, e, riaprendo le dita, chiuse gli occhi dietro il visore, nel tentativo di respingere una cocente, stordente sensazione di abbattimento. Erano solo idiozie sentimentali, ma… Una volta recuperato il controllo di se stessa, cominciò ad agire in modo rapido, impulsivo, ignorando gli allarmi sconcertati di Beast. Si spinse con la sua coscienza giù, nello spazio vuoto della partizione protetta –tutto quel vuoto, e, in mezzo, qualcosa di invisibile come l’aria. Procedette tentoni, ma niente di tangibile le passò sotto quelle che percepiva come mani, eppure era consapevole, inspiegabilmente, di una presenza… una presenza che in qualche modo la riconosceva, anche se erano ciechi l’uno per l’altra, che la conosceva per come realmente era, malgrado il loro incontro fosse stato così incompleto, imperfetto. Puntò la sua attenzione su quella confusa consapevolezza, chiudendo fuori tutto il resto.

Perché provava conforto in quell’incorporeo contatto?

Conforto nel non essere sola…

La ragnatela dell’interfaccia galleggiava intorno a lei –intorno a loro?- tremolando di una luce che oscillava dolcemente. La trama d’impulsi accesi e spenti attirò la sua attenzione, e si risolse, quando la osservò, in codice binario, il più semplice set di simboli degli ASCII.

::MI DISPIACE::

::NON POSSO CONSEGNARE NELLE TUE MANI L’ISTITUTO CLAMP::

::E NON POSSO RIMANERE CON TE::

::IL MIO DESTINO SEMBRA ESSERE::

::QUELLO DI RENDERTI TRISTE::

“Non sono triste.” Le parole sembravano così imprecise e sciocche rispetto a quello che voleva esprimere, ma erano la sola cosa di cui disponeva… la sola cosa di cui aveva potuto disporre sempre, fin dall’inizio, per comunicare con quel programma senziente. “Tu sei quello che sei. Non potrei essere che felice di aver avuto l’opportunità d’incontrare un programma come te.” Dio, suonava incredibilmente stupido. Ci provò di nuovo. “Capisco com’ è, sai, avere sempre alle calcagna gente che vuole qualche cosa. E’ così anche per me, sempre. Mi dispiace di essere stata, alla fine, solo un’altra degli sfruttatori… mi sa che anche i miei desideri, gli unici che ho, sono egoistici. Però credo… credo mi sarebbe piaciuto conoscerti. Sul serio.”

::SE MI AVESSI CONOSCIUTO::

::PROBABILMENTE SARESTI ANDATA SU TUTTE LE FURIE::

“E perché mai?” domandò, quasi a se stessa, Satsuki. “Oh, non importa. Non c’è tempo, devo riportarti subito indietro…”

Poi, quando già si accingeva ad andare, qualcosa l’afferrò, e lei lo avvertì –un tocco che non somigliava a nulla che avesse mai provato prima all’interno di un computer. Da qualche parte, molto lontano, fuori dalla partizione d’archivio protetta, riusciva a sentire lo sforzo che il suo corpo faceva per respirare, per superare uno strano dolore pulsante che le opprimeva petto e stomaco. “Cosa…?” All’esterno della partizione, Beast scalpitava furioso ma impotente; e lei doveva sbrigarsi a riportare Magician al suo luogo d’appartenenza, ma era impietrita nel punto in cui si trovava, incapace di muoversi…

::SATSUKI:: disse l’IA –era il programma che la tratteneva, la sua essenza che si aggrappava a lei, la teneva stretta, non sapeva come…

::OGNI PERSONA::

::E’ SPECIALE::

…e poté avvertire quel contatto cominciare ad abbandonarla, a precipitare, lentamente, l’ultima aura di luminescenza intorno al programma che svaniva nel buio…

“Magician! –No!

E una luce bianchissima, un potere abbagliante si abbatté sulle sue percezioni, scagliandola di nuovo con violenza dentro al suo corpo. L’ululato di Beast e un acuto, assordante fischio di reazione esplosero attraverso gli altoparlanti nella stanza e nel suo casco; si strinse la testa fra le mani… Sul monitor, qualcosa di bianco correva, si avvicinava sempre di più, sempre di più: una croce bianca –no, si rese conto che aveva delle ali, una testa appuntita e una coda sfolgorante… l’immagine di un uccello candido riempì completamente lo schermo, finché non fu troppo vicina e si dissolse in un ammasso di pixel. Una magia che non le apparteneva la strappò via, per un attimo, da tutto il resto –sentì una forza passarle dentro e attraversarla, un freddo potere, provò a riconoscerne il sapore…

Tiferet.

Il Cuore dei Cuori…

E poi, era già fuggito, intangibile come fumo, o come un sogno, svanito come se non fosse mai esistito. I display si svuotarono rapidamente, e appena furono ripristinati Beast le lanciò un messaggio d’allarme, una finestra rossa in mezzo allo schermo.

***DRAGO DEL CIELO***

Merda!” Buttò un occhiata all’interno della partizione, anche se già sospettava che l’avrebbe trovata vuota; e quando si fu assicurata che era proprio così, aggiunse un altro paio di belle parole adatte all’occasione. “Beast! Torniamo all’Istituto CLAMP! Ora!” Impaziente quasi da far pietà com’era di combattere contro qualcosa, Beast fu più che contento di obbedire. Le percezioni di lei cavalcavano quelle del computer mentre la sua richiesta di comunicazione partiva in un lampo dal Palazzo e schizzava attraverso il labirinto dei cavi di Tokyo, evitando i pacchetti d’informazioni più lenti, la strada gliela indicava la priorità, un bisogno urgente che non aveva avuto il tempo di analizzare. Appena fu saltata giù dall’onda portante di Beast per atterrare sulla più vicina connessione con l’Istituto, si abbatté sul firewall come una valanga e imboccò il network a folle velocità, mirando dritto al nucleo. Si scontrò frontalmente con il cuore del sistema, e trovò come barriera solo una richiesta di password, un nero, silenzioso cancello che attendeva un chiave. Il software di cui era costituito cedette immediatamente alla richiesta di lei e le diede subito i dati che esigeva, obbediente come lo sarebbero stati con lei tutti programmi, tutti i programmi tranne uno…

Entrò nella quiete del sancta sanctorum del sistema, che continuava a funzionare placido nonostante tutte le devastazioni che la ragazza aveva compiuto all’esterno, e osservò le sue stringhe di codificazione scorrere fluide; anche se sapeva già da prima che cosa avrebbe visto. Lo sapeva da quando aveva raggiunto il software di difesa e non aveva trovato nessun guardiano a fronteggiarla. Ovunque girasse lo sguardo, c’era solo il familiare fuoco di impulsi elettronici: semplici punti di passaggio di essere e non essere in uno spazio puro, pulito, libero.

OBIETTIVO? chiese Beast, vedendo attraverso gli occhi di lei dati sensibili in una quantità tale che si aspettava che Satsuki gli avrebbe fatto rivendicare i propri diritti, o che gli avrebbe ordinato di distruggere tutto. OBIETTIVO?

“Zitto un attimo.” ansimò lei. Aveva là, nelle sue mani, l’intero sistema difensivo dell’Istituto CLAMP, ma in qualche modo la cosa non le sembrava più così importante. Adesso, se non fosse riuscita a trovare quello che stava cercando… -e nemmeno sapeva quello che stava cercando, cosa fosse così essenziale per lei da trovare. Cos’era che rendeva il programma Magician così diverso da tutti gli altri?

Perché desiderava così tanto che fosse ancora in vita…?

Uscì dal cuore del sistema per tornare indietro, lasciando scivolarsi e chiudersi alle spalle la barriera della password. Beast piagnucolava aspramente, ma lei non ci fece caso –c’era un’altra cosa che doveva fare. Fu questione di una frazione di secondo trovare il software del circuito di telecamere di sicurezza, e visualizzare l’immagine della sala computer principale su uno dei monitor dentro la corazza di Beast. Dopo essere rientrata, quasi esausta, nel suo corpo, osservò l’immagine attraverso il visore che aveva sugli occhi.

Se Magician era andato distrutto… se l’interferire di quel Drago del Cielo aveva impedito al programma di essere riportato in tempo nel sistema…

Voleva guardare in faccia il responsabile di tutto questo.

La sala era scarsamente illuminata, ma riusciva a distinguere abbastanza bene le figure che apparivano e scomparivano tra le zone d’ombra. Erano divise in due gruppi –due persone chinate sopra qualche cosa che stava sul pavimento, nascondendola così alla sua vista, e altre due accalcate attorno a una postazione pc. Attivò lo zoom. Uno dei due in piedi risultò essere il Kamui Drago del Cielo: il suo volto e la sua figura le erano ormai estremamente familiari, con tutte le volte che l’aveva visto. L’altro era un giovane uomo dai capelli neri, che era piombato di peso addosso al ragazzino, gli occhi chiusi, mentre Kamui si sforzava di reggere il suo peso. Le labbra di Kamui si muovevano in silenzio –la telecamera non aveva il sonoro- ma non era lui che interessava a Satsuki. Non le interessava neanche quello sguardo viola che un tempo le aveva strappato quella risposta decisiva, quello sguardo in cui aveva letto che stavano per arrivare tempi molto, molto eccitanti… Non era lui quello che stava cercando, in quel momento. Il viso dell’altro apparve più chiaramente quando scivolò dalla presa di Kamui e crollò nel sedile della postazione pc. Cadde riverso sul bracciolo, subito Kamui si chinò su di lui; e Beast non ci mise neanche un secondo per setacciare i dossier dei personaggi importanti che Satsuki aveva inserito al suo interno, e per pescare un collegamento a quel viso così particolare…

Subaru Sumeragi…

“Sei tu?” sussurrò lei.

Poi fu distratta dai movimenti dell’altro gruppo di persone, e spostò la telecamera quando uno di loro si tirò in piedi, facendo ampi cenni con le mani verso un angolo della stanza. Notò alcuni uomini entrare da un corridoio pieno di luci –uomini in uniforme bianca che portavano attrezzature mediche, strumenti che gli ormai infiniti servizi televisivi sui terremoti avevano reso noiosamente familiari. L’uomo che aveva fatto gesti si inginocchiò a terra, e il cuore di lei diede uno scarto improvviso quando si accorse che quella cosa sul pavimento era in realtà un’altra persona. “Spostatevi, spostatevi” borbottò impaziente. “Non riesco a vedere niente!” Si sporse in avanti, quasi a voler spingere l’uomo in piedi a farsi da parte; lui tentennò un poco, poi si spostò di qualche passo indietro per far avvicinare i medici, e per un istante le si aprì la visione…

Un casco d’argento, ornato in maniera esagerata e bizzarra per lei, ma non poi così strano da non farle riconoscere la sua funzione, cadde sul tappeto che ricopriva il pavimento e rotolò via, fino a fermarsi contro una poltrona girevole in pelle. Era scivolato giù da una testa di scompigliati capelli biondi, e da un viso livido, irrigidito, immobile. Riusciva a vedere un braccio abbandonato in fuori, nella manica increspata di una bianca camicia di tessuto fine, e sulla spalla una pennellata di grigio che pareva essere un gilet elegante. Lo sguardo di lei tornò sul viso –era un bellissimo viso, ebbe appena il tempo di rendersene conto prima che l’altro uomo ancora inginocchiato al fianco di lui gli si chinasse addosso, i capelli blu che spiovevano in avanti mentre insufflava il suo respiro in quelle labbra immobili. Una respirazione, poi un’altra, e un’altra ancora, mentre lei stringeva la visuale della telecamera cercando di capire cosa stesse succedendo. L’uomo si lasciò ricadere sulla poltrona; e dopo che la macchia bianca del camice di un medico fu passata davanti allo schermo, si accorse che le ciglia dell’uomo a terra si stavano schiudendo. Occhi di un incredibile color zaffiro si aprivano la strada oltre i profili degli altri uomini; si volsero, vacui, al di là di loro, per rivolgersi dritti a lei… guardavano in linea retta proprio nella lente della telecamera, e un angolo di quelle labbra s’incurvò verso l’alto prima che la plastica trasparente di una maschera per l’ossigeno si chiudesse su di esse, e che gli occhi ruotassero di nuovo per tornare a chiudersi.

Satsuki spense il monitor con un pugno, e un imperioso, tacito impulso fece staccare i connettori dei cavi dalla sua carne e li fece ritirare come serpenti, in una familiare sensazione di dolore acuto che si smorzò presto in semplice bruciore. Armeggiò per aprire il tettuccio del suo abitacolo, e mentre ancora Beast continuava senza sosta con i suoi interminabili bip a visualizzarle sui monitor righe e righe di domande impazzite, si arrampicò fuori e saltò giù. Perse l’equilibrio quando stava per arrivare a terra e perciò cadde sulle ginocchia sul pavimento di metallo, mentre il suo respiro si gelava a contatto con l’aria ghiacciata della stanza. E poi crollò, ripiegata su se stessa, con le mani ad artigliarsi il ventre, le mascelle serrate a tentare di fronteggiare le emozioni che le crescevano e crescevano dentro come immense ondate.

::SE MI AVESSI CONOSCIUTO::

::PROBABILMENTE SARESTI ANDATA SU TUTTE LE FURIE::

Lacrime le bruciavano di sale agli angoli delle ciglia, prima che le palpebre scendessero a sigillarle e insieme a farle scivolare via.

“Tu…”

 

  
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