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Autore: blackdeviljack    08/11/2010    1 recensioni
Cosa potrebbe accadere se una ignara ragazza del XXI secolo perdesse la propria famiglia e venisse catapultata nel mondo dei nostri adorati fuorilegge?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora, innanzitutto voglio ringraziare Sofia_94 e whiteangeljack per aver commentato i post precedenti e più in generale per il loro supporto. Da questo capitolo in poi la storia inizierà ad entrare nel vivo e le trame si intrecceranno in una sola fino ad uniformarsi. Un grande ringraziamento va anche ai lettori silenziosi e a chi ha inserito la storia fra le seguite.
Dedico il nuovo chappy alla mia beta Whiteangeljack. Un saluto e al prossimo aggiornamento!

-siamo arrivati- riapro gli occhi incitata dalla voce graffiante ma tranquilla del ragazzo; smonto da cavallo mentre mi indica un edificio malmesso per poi fare altrettanto, legando l’animale ad uno steccato nelle vicinanze.
Mi raggiunge ed apre la porta, la stanza è illuminata debolmente dalle braci di un focolare, il pavimento in cotto ha l’aria un po’ trascurata, un tavolo d’ebano giace ad un angolo sotto una finestra ben chiusa e due giacigli di paglia fanno mostra di sé nel lato più buio della stanza.

C’è un altro uomo all’interno, sorprendendomi nello scoprire che si tratta del vecchio con cui ho diviso la mia mela stamattina; il ragazzo mi lascia entrare e chiude la porta tirando il chiavistello, io lo guardo spiazzata.
-puoi toglierlo- mi apostrofa indicando il cappuccio, io lo osservo indecisa sul da farsi, insomma io sono una donna non proprio indifesa e lui… beh lui è il mio salvatore.
- ti ho visto prima, quando ti è scivolato il cappuccio, puoi stare tranquilla non ho intenzione di farti nulla- ancora più stupita decido di togliermi il cappuccio, prendo un grosso respiro e lo lascio cadere, lui mi sorride guardandomi dritto negli occhi, poi si volta e afferra un catino con dell’acqua.
- tieni- dice indicandomi uno straccio e additando le mie braccia lerce di sangue, poi mi porge delle vesti pulite, probabilmente sue ma della taglia giusta se si considera che quelle che indosso sono straordinariamente larghe per me.
-io e il vecchio non guarderemo tranquilla, non puoi certo girare per York così conciata- in effetti ha ragione ma l’idea un po’ mi imbarazza, alla fine decido che non ho scelta e mi tolgo la camicia, approfittando dell’occasione per lavare via un po’ di terra e di fango; una volta pulita indosso gli abiti che mi ha dato e decido di sciogliere i capelli, tanto non ha più senso tenerli legati se sa che sono una donna. Una volta finito lo invito a voltarsi e mormoro un “grazie” riferito anche al fatto che mi ha salvato la vita e che fino ad ora non ha tentato di approfittarsi di me; lui scuote la testa e prende la mia spada, lo lascio fare mentre mi accorgo che il vecchio mi sta fissando.
-ti ringrazio di quello che hai fatto per me oggi, ragazza- dice suscitando in me una grande tenerezza, dovrebbe odiarmi per quello che ho fatto, per il solo fatto di essere un’assassina e invece mi ringrazia; il ragazzo mi osserva con la coda dell’occhio e sorride pulendo la lama.
-è la prima volta vero?- mi volto non comprendendo il senso della domanda, lui capisce la mia difficoltà e precisa:
-intendo dire che non hai mai ucciso- il peso di quella parola sembra schiacciarmi, mentre l’immagine delle orbite vuote dell’uomo che ho ammazzato, la sensazione del suo corpo che perde vitalità e si accascia debolmente su di me, torna a tormentarmi.
-già- abbasso lo sguardo terribilmente in colpa per il gesto che ho compiuto, meritavo di essere punita per averlo colpito;
-è insolito- torno a guardarlo con curiosità mentre mi ricambia osservandomi – sai usare la spada meglio di chiunque abbia conosciuto ma non l’hai mai usata per uccidere- annuisco pensando che in effetti deve essere strano per un’epoca in cui questo è l’unico modo per sopravvivere;
-una donna che sa usare la spada poi è ancora più insolito, chi ti ha istruito?- ed ecco la fatidica domanda, con la memoria che ho del mio passato \ futuro mi è difficile assemblare una risposta coerente.
-ho imparato da sola quando mio fratello se ne è andato- ecco questa è l’unica che avesse un briciolo di senso, il ragazzo tace per un po’ fissando le fiamme del camino e poi torna a guardarmi.
- il mio nome è Archer- chissà perché sento che il gesto che ha compiuto è segno di grande fiducia nei miei confronti, insomma il nome è qualcosa di importante in un’epoca in cui basta una parola sbagliata a firmare la propria condanna.
- Eileen, il mio nome è Eileen –mi presento abbozzando un sorriso; faccio per riprendere la spada quando un dolore acuto alla mano destra mi blocca, lui mi guarda con i suoi occhi verdi privi di stupore come nella taverna e posa la spada sul tavolo, poi prende delle bende di lino da una cavità nel muro dotata di ripiani.
-hai preso un bel colpo, dubito che riuscirai ad impugnare di nuovo la spada per qualche giorno- stringo forte il pugno sinistro quasi a conficcarmi le unghie nel palmo per la rabbia,
- non importa so tirare anche con la sinistra- dico lasciandolo un po’ sorpreso, certo l’idea di farlo non mi alletta ma se sarà necessario usare la forza ancora una volta lo farò.
- non devi colpevolizzarti, lo hai fatto per difenderti non per il gusto di uccidere, dovrai abituarti all’idea di farlo, temo- posata una mano sulla mia spalla si è chinato fino a guardarmi negli occhi, non mi sottraggo al contatto ma mi guardo bene dal dare libero sfogo al mio affetto represso, semplicemente mi rilasso un po’ e faccio la domanda che più mi preme in questo momento:
- perché lo hai fatto?- chiedo d’un tratto lasciandolo sorpreso –insomma non mi conosci, non sapevi neppure che intenzioni avevo … - mi fermo notando che è scoppiato a ridere sommessamente, non capisco bene il motivo, magari ho sbagliato qualche parola o.. lo sapevo sto andando in paranoia;
- che c’è?- domando stizzita, lui smette di ridere e mi fissa con dolcezza –sono certo che tu sia abile Eileen, ma dubito che in quel momento avresti fatto del male a qualcuno, eri paralizzata dall’orrore e stavi per fare una brutta fine, le guardie non ci sarebbero andate leggere con te anche se sei una donna- la spiegazione é rapida e coincisa; in effetti ha ragione, ero così spaventata dal mio gesto da non essere in grado di opporre resistenza.

Rimango in silenzio a riflettere mentre Archer mi benda la mano, il vecchio si è addormentato e ci dà le spalle, osservo il fuoco in silenzio senza fare commenti, e il mio pensiero va inevitabilmente a Simon e ad Aylwyn, così lontani da me da sembrarmi irraggiungibili.
- ti manca?- mi volto sorpresa dalla domanda, lui rimane un po’ a guardarmi e poi torna a concentrarsi sulla fasciatura;
- intendo tuo fratello, deve essere stato difficile per te e la tua famiglia sopportare il distacco- leggo una nota di tristezza nei suoi occhi quando pronuncia la parola “famiglia”, cerco di concentrarmi su un punto lontano per non piangere,
-non ho famiglia, i miei sono morti quando ero bambina e ho dovuto crescere Simon da sola, quando se ne è andato io ho smesso di vivere- trattengo le lacrime nel ricordare i momenti più belli passati insieme, mi è stato impedito di vederlo crescere e di poterlo confortare, un dolore immenso di cui dubitavo di essere in grado di parlare.
- scusa non sei costretta a raccontarlo, io non ho mai conosciuto la mia famiglia, posso capirti- sento il risentimento e il dispiacere nella sua voce, una nota triste e dolente che ci unisce in questo istante;
- forse è meglio non averla mai conosciuta che rimpiangerla ed essere tormentata dai fantasmi del passato- concludo ma lui scuote il capo, riportando il suo sguardo disilluso su di me.
 – ti sbagli Eileen, tu sai chi sei, hai un ricordo per cui combattere, un ricordo da custodire, io non ho altro che me stesso da quando sono nato, e credimi è molto peggio- le sue parole mi colpiscono profondamente, ritraggo la mano ormai fasciata e lo ringrazio.
- puoi restare qui stanotte, domani se vorrai potrai andare- Archer mi sorride debolmente offrendomi il suo giaciglio, mi ritrovo ad accettare la proposta, distrutta dalla stanchezza e dal peso degli eventi; lui si sdraia vicino al camino e mi da le spalle, io faccio altrettanto e cado così fra le amorevoli braccia di Morfeo.

È strano come pochi secondi bastino a cambiare per sempre l’esistenza di una persona; fino a due giorni fa ero una ragazza senza speranza che girava il mondo senza un motivo apparente, ora sono una ribelle ragazza medioevale in fuga da se stessa e in cerca del proprio posto nel mondo; e quel che è strano è che mi trovo meglio qui, a mille e più anni di distanza dal mio luogo d’origine, fra persone che non conosco e di cui fatico a comprendere la mentalità e le usanze, che fra la mia gente in epoca moderna.

Mi rigiro sul confortevole giaciglio dopo un sonno ristoratore di cui avevo un ricordo vago, sono all’asciutto e al caldo e non sto rischiando la vita: mi sento al sicuro per la prima volta dalla morte dei miei genitori; alla fine apro gli occhi, assonnata e cerco Archer con lo sguardo; non vedendo nessuno mi alzo e scorgo una pergamena sul tavolo, la leggo con cura:
“io e il vecchio siamo fuori fino a sera, cerca di non cacciarti nei guai, se hai fame c’è qualcosa in caldo vicino al fuoco”
Stranamente non ho per niente fame, decido quindi di andare a fare un giro e fisso la spada al balteo; recuperato il mantello abbandonato sulla sedia, mi sciacquo il viso nel catino, che Archer ha gentilmente provveduto a riempire d’acqua fresca; lego i capelli in una crocchia e calo il cappuccio sul volto.

Dubito che le guardie si stiano interessando a me ma è sempre meglio adottare la prudenza, esco di casa guardandomi intorno: il cielo plumbeo è gonfio di pioggia e un vento gelido imperversa facendomi rabbrividire all’istante. C’è poca gente in giro, grazie anche al fatto che probabilmente non è giorno di mercato.
Noto il cavallo della sera precedente legato allo steccato, deve avermelo lasciato per permettermi di allontanarmi da York qualora ne avessi avuto bisogno o lo avessi voluto; nonostante sia poco prudente andare in giro con questo tempo sciolgo le briglie e con una carezza tranquillizzo l’animale, è docile e si lascia montare senza problemi. Il pensiero che è un gesto che non avrei mai fatto se l’istinto non me lo avesse suggerito come la sera precedente attraversa la mia mente: in epoca moderna non sapevo andare a cavallo invece qui non ho alcun problema a farlo. Salgo in sella e lo sprono a raggiungere la piazza.

Contrariamente a quanto succede nei vicoli la piazza è ugualmente gremita di gente.
Si tratta per lo più di uomini che stanno tornando dai campi a causa del maltempo e che si sono fermati a parlare con qualche conoscente, di donne che si scambiano consigli sul da farsi e di ragazzini che corrono ridenti verso le proprie case; mi fermo ad osservare la scena che mi intenerisce e che profuma di infanzia e di ospitalità, quando mi accorgo che sta per piovere e  ricordando che devo sbrigarmi; sprono il cavallo verso le campagne al di fuori di York, verso la strada fangosa per cui sono venuta.

Taglio per i prati dove l’erba è verde e cresce rigogliosa mentre una sensazione di libertà e gioia pura mi pervade; in questo momento sono certa che tutto possa sistemarsi e non ho alcuna voglia di tornare indietro, fra dolori e affanni, abbandonando la vita che ho riscoperto essere semplice e ricca di privazioni e di prove da superare, ma infinitamente migliore di quella che vivevo.

 Le prime gocce di pioggia iniziano a cadere, ticchettano sul mantello pesante che non le lascia penetrare e ricadono elegantemente al suolo; in poco tempo scoppia un temporale con i fiocchi e mi ritrovo sotto un vero e proprio acquazzone, con l’acqua che scivola via dal cappuccio a ritmo velocissimo e con un vento gelido che non presagisce nulla di buono; osservo York, lontana alle mie spalle, e la strada che ho davanti pronta a guidarmi verso una nuova tappa del mio viaggio; per un attimo sono in procinto di andarmene ma poi penso ad Archer e al vecchio, al fatto che mi abbiano accolto in casa loro quando ne avevo bisogno e non me la sento di abbandonarli, dirigo il cavallo verso la città e lo sprono al galoppo più sfrenato.

Quando arrivo a casa ho il mantello zuppo e gonfio di pioggia, pesa circa il doppio di prima e gronda acqua senza sosta; in compenso mi ha mantenuta asciutta e quando entro decido di metterlo ad asciugare dopo averlo strizzato per bene; nessuno è ancora rientrato e le braci nel camino si sono spente, c’è un mucchio di legna secca vicino al fuoco da cui prendo qualche tronco e ramoscello e non senza qualche problema riesco a riaccenderlo. Mi libero della spada, che rallenta i miei movimenti, e del balteo che abbandono sul tavolo di legno vicino alla finestra; è socchiusa e ne entra un buonissimo odore di pioggia e di erba fresca, un profumo che adoravo anche da piccola, quando uscivo in giardino sotto la pioggia solo per coglierlo.

 Non ho idea di quanto manchi al tramonto, è già difficile per me orientarmi con il sole (benedetti orologi giuro che non ne smentirò mai più l’importanza) figuriamoci quando è nuvoloso, ma istintivamente intuisco che è pomeriggio e così decido di esercitarmi un po’ con la spada.
Quando Archer rientra è solo ed è bagnato come un pulcino dalla testa ai piedi, sull’uscio su cui si è fermato si è formata una pozza d’acqua e sta tremando per il freddo; mi sbrigo a liberarmi dell’arma e gli chiedo dove sia il vecchio, domanda sbagliata a giudicare dalla faccia che ha fatto; ha gettato la casacca fradicia vicino al fuoco e ha sospirato sussurrando un “l’hanno preso”.

 Non c’è voluto molto perché capissi cosa era successo, avrei dovuto notare anche il fatto che un rivolo di sangue innacquato stesse scendendo dal suo braccio; ho afferrato uno straccio con la mano sana e glielo ho passato, poi ho fatto cenno di uscire perché potesse cambiarsi ma invece ha mormorato un “puoi restare fuori diluvia”; e in effetti è così ma mi sento lo stesso in imbarazzo così mi volto verso le fiamme e alzo le spalle in risposta mentre si sfila con delicatezza la camicia.


-Mi servirebbe una mano- mi sono voltata di scatto diventando rossa fino alla punta delle dita. Se non fosse per il fatto che gli sanguina un braccio sarei rimasta impalata ad ammirare quei muscoli scattanti e guizzanti sotto la pelle, dalle curve eleganti e sinuose.Ha parecchie cicatrici sul petto, alcune rimarginate da tempo altre evidentemente fresche,  fortunatamente quello sul braccio è solo un taglietto profondo che però sanguina copiosamente.

-Prendi ago e filo sono lì- mi dice indicandomi la nicchia da cui estraggo l’occorrente,

-faccio io- gli dico opponendomi alla sua volontà di farlo da solo per evitarmi l’orrenda esperienza, invece non mi fa affatto impressione ricucire la ferita: mio padre era un chirurgo quindi non ho mai avuto di questi problemi.

Lui annuisce stancamente mentre inizio a suturare con mano ferma e sguardo attento, è un lavoro facile e in pochi secondi ho finito di cucire, strappo il filo con i denti e faccio il nodo.

-ecco fatto- esclamo soddisfatta mentre mi ringrazia, infila una camicia pulita e si siede al mio fianco vicino al fuoco. Restiamo così, in silenzio, per vari minuti; ha l’aria tormentata e irrequieta e decido di non commentare, incapace di comprendere del tutto l’affetto che nutre per quell’uomo.

-È come un padre per me- lo ha detto senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi, lo sguardo perso nelle fiamme del suo inferno personale,

-Quando sono arrivato a York un anno fa mi ha accolto come un figlio, mi ha voluto bene sin dal primo istante e quando l’hanno preso non ho potuto fare nulla per salvarlo. Si è spacciato per me per evitarmi il carcere e la condanna a morte- le sue parole si riempiono d’affetto e di lacrime nascoste, è un peso enorme che non può condividere con nessuno, difficile da alleviare e da sopportare.

-Cosa hai intenzione di fare?- la domanda arriva diretta, non gli permetterò di fare sciocchezze come ho fatto io quando ho perso mio fratello, allora non c’era nessuno a sostenermi ma poi è arrivato Aylwyn, il mio Aylwyn, che forse non rivedrò mai più;

-Domani all’alba mi faccio arrestare e lo tiro fuori di lì- il piano è qualcosa di veramente assurdo,

-Hai idea di come uscirne?!- chiedo più stupita che preoccupata,

-No, ma troverò un modo una volta dentro- è scioccante come riesca a rimanere tranquillo senza accorgersi che sta firmando la sua condanna a morte,

- Ti rendi conto che è un piano assurdo vero?- ho alzato la voce di un ottava ma dal silenzio di risposta ne deduco che non gli importa molto del modo in cui raggiungerà l’obiettivo, gli interessa solo arrivarci.

“il fine giustifica i mezzi” una citazione adatta a tutte le occasioni e a tutte le epoche a quanto pare…

-Ma non ti importa- mi arrendo sospirando, certa che se qualcosa andrà storto giocherò d’astuzia per aiutarlo da fuori; in fondo è meglio che non mi intrometta in faccende così personali; lui mi guarda e annuisce con sguardo supplichevole,

-Promettimi che non farai cavolate solo per tirarmi fuori- perspicace il ragazzo ma non ho intenzione di prometterlo, ci tengo alla parola data, semplicemente aggirerò lo scoglio:

-Sopravvaluti l’importanza che hai per me- devo fargli male, molto male affinché risulti credibile come copertura, mi dispiace doverlo ferire ma è per il suo bene in fondo;

-Ti devo molto per quello che hai fatto, ma conosco bene i miei limiti e rispetterò la tua decisione anche se assurda; domani all’alba parto- vedo la sua espressione oscurarsi e tutta la confidenza che ha caratterizzato sin dall’inizio il nostro rapporto svanire, fa male anche a me infliggere il colpo di grazia all’unica persona che mi ha accolta e mi ha voluto bene in questo schifo di mondo.

Mi ero solo illusa quando ho creduto che la vita in questa epoca forse diversa da quella moderna.

  
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