New Jersey, 1959
Settembre
Un’infermiera in divisa rosa porse
alla signora Miller una tazza di the. “Vedrà, signora Miller, andrà tutto
bene.”
Il signor Miller sedette accanto
alla moglie e annuì. “Sì, tesoro, l’infermiera ha ragione. Katie è forte e ce
la farà. E poi, sai meglio di me che il primo parto è il più difficile.”
Lucy si alzò per sgranchirsi le
gambe. I medici erano con sua sorella da più di sei ore, e il bambino non era
ancora nato. Guardò verso Thomas, seduto in fondo al corridoio. Lasciò soli i
propri genitori e raggiunse il cognato. “Come ti senti?”
“Bene.”
La ragazzina notò che aveva gli
occhi arrossati dal pianto. “Stai mentendo. Hai paura. È normale. Hai paura che
possa succederle qualcosa.”
“Io la amo, Lucy.”
“Lo so.”
“Sono suo marito, è mio dovere
proteggerla.”
“So anche questo. Ma non c’è niente
che tu possa fare. A meno che tu non sia un medico.”
“Credi che andrà tutto bene?”
Lucy annuì. “Ne sono sicura.”
“Se le succedesse qualcosa, io… io…”
“Tu cosa? Andresti a Cuba a prendere
per il collo Javier?”
“Tu come lo sai?”
“Katie e io siamo sorelle. È normale
che si sia confidata con me.”
“Non… non lo sa nessun altro, vero?”
Lucy scosse la testa. “No, nessun
altro.”
La stessa infermiera che aveva
portato un the alla signora Miller si accostò a loro. “Serve niente?”
“No, va tutto bene” risposero, quasi
in sincronia, i due giovani.
Due ore più tardi, verso l’una del
mattino, il medico che aveva in cura Katie li raggiunse nel corridoio, con un
grande sorriso dipinto sul volto. “E’ andato tutto per il meglio. La signora
Ferguson ha partorito una femminuccia sana e bellissima, ma è molto debole. Ha
chiesto di vedere suo marito e sua sorella. Ma è solo per pochi minuti.”
Lucy seguì Thomas nella stanza dove
Katie stava riposando. Era molto pallida, ma sorrideva. L’uomo si precipitò
subito accanto a lei, e prese ad accarezzarle il volto. La ragazzina si
avvicinò più lentamente, senza smettere di sorridere. “Non offenderti, tesoro,
ma passerà molto tempo prima che io decida di partorire un’altra volta.”
“Tutto il tempo che vuoi, Katie.
Tutto il tempo che vuoi” la rassicurò Thomas, senza smettere di accarezzarla.
“Come stai, sorellona?”
“Lucy… è bellissima, ma fino a
domani non potrai vederla.”
“Una femmina… come se non ci fossero
già abbastanza donne, in questa famiglia.”
“Che cosa dicono le stelle?”
Da
qualche tempo, Lucy aveva iniziato ad interessarsi di oroscopi e astrologia,
per cercare di scoprire come sarebbe stata la sua nipotina. “Ha ritardato il
parto di due ore per nascere il primo giorno d’autunno. Indubbiamente avrà un
bel caratterino.”
“Katie”
le interruppe Thomas, “non hai ancora detto come si chiama.”
“Beh,
volevo aspettare di poterne parlare con te.”
“Beh,
adesso sono qui.”
“A
me piacerebbe Marie. O Isabella.”
“Isabella…
mi piace.”
“Allora
sarà Isabella.”
Il
dottor Travis entrò nella stanza. “Perdonatemi, signori, ma devo chiedervi di
lasciare sola la paziente. Ha bisogno di riposare.”
“Certo”
annuì Thomas, prima di baciare la fronte della moglie. “Ci vediamo domani
mattina, tesoro.”
“Ciao,
Katie.”
Katie
non riuscì a riposare molto, quella notte. Non riusciva a smettere di pensare
alla sua bambina, che in quel momento probabilmente dormiva beata nella
nursery, coccolata dalle infermiere. Isabella,
continuava a ripetersi. Isabella,
Isabella, Isabella… Isabella Ferguson. Isabella sarebbe cresciuta con due
genitori che la amavano, in una bella casa con un giardino. Thomas era stato un
tesoro ad occuparsi del trasloco. Restava soltanto lei, da trasferire. Ma per
fortuna, Isabella si era decisa a nascere, risparmiandole l’incombenza di un
lungo tragitto in macchina fino alla nuova casa. Isabella… Suarez, si ritrovò improvvisamente a pensare. C’erano ben
poche speranze che quel ciuffo di capelli scuri si schiarisse, col tempo. E
sarebbe stato quel ciuffo a ricordarle, per l’eternità, chi fosse il vero padre
di Isabella.