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Autore: nuria    09/11/2010    5 recensioni
Quattro mesi dopo la nascita dell’Impero, l’oscurità dei Sith avvolge la Galassia. Con gli ultimi Maestri Jedi in esilio su pianeti diversi, non sembra esservi alcuna speranza per un futuro libero.
Nel frattempo, Anakin Skywalker, ora Darth Vader, deve convivere con le conseguenze delle sue scelte, sotto gli occhi preoccupati di sua moglie, l’ex Senatrice Amidala.
Di ritorno da una missione nell’Orlo Esterno che ha provato la sua convinzione nei nuovi ideali, il giovane Sith deve affrontare il proprio Maestro, e i suoi nuovi piani per il dominio della Galassia…
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi, Padmè Amidala
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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capitolo 11

Ecco qui il nuovo capitolo! Impegni vari mi tengono lontana dalla tastiera e rallentano l’uscita di questi capitoli, ma proseguo spedita (ad esempio, il capitolo dodici è praticamente finito, anche se devo un po' limarlo).  Spero che questo capitolo piaccia anche a voi, cari lettori!

Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le preferite e le seguite. Mi date un gran piacere e una bella spinta a cercare di affrettarmi :)

Kairi_Skywalker: grazie grazie grazie. Sono tanto lusingata (eufemismo, a dire la verità) - fin troppo devo dire ^^. spero tanto che i prossimi capitoli continuino a piacerti. Le recensioni fanno sempre piacere :)

 

 

________Undici__________

 

 

 

‹‹I vostri soldati hanno perquisito già abbastanza il nostro palazzo. Dubito che questo sia, come dite, il trattamento riservato a “molti governi nella Galassia”, e in ogni caso ciò non giustificherebbe quest’umiliazione. State terrorizzando la popolazione, generale Skywalker, e questo è inaccettabile!››

‹‹Il nostro controllo è terminato, Sua Maestà. Non abbiamo trovato nulla di ulteriormente compromettente.››

Per quanto ormai fosse diventato il suo ruolo ufficiale nella gerarchia imperiale, Anakin non era tagliato per fare il supremo inquisitore. Di questo se n’era accorto già ai tempi della guerra, per via della sua goffa sbrigatività e la facile ira che lo coglieva quando il soggetto non collaborava all’istante (anche se era sempre stato orgoglioso del fatto che, prima o poi, tutti i personaggi da lui interrogati collaboravano). La sua impulsività e il suo scarso autocontrollo lo rendevano uno scarso sostituto di veri e propri inquisitori, come il Moff Tarkin, il quale, con gli occhi piccoli e intelligenti e il naso affilato, riusciva sempre a dargli la sgradevole impressione di stare esaminandolo. Tarkin, come l'imperatore, dopotutto, era un perfetto esempio di uomo paziente.

L’ammiraglio Yularen aveva detto che Apailana era una testa calda. Dopo le  brevi ma intense conversazioni tenute con la regina, Anakin gli credeva. Anche se solo tredicenne, la giovane Thabet era una dura, con i suoi occhi grandi, scuri ma freddi come pietre, gli angoli delle labbra stirati in una smorfia quasi permanente, e quella voce nasale da aristocratica, colorata ai margini da piccole stonature da adolescente. I suoi discorsi erano infiocchettati a dovere, e non si guardava dal lanciare frecciate all'indirizzo di Anakin e dell'Impero; il suo tono aveva assunto, nel corso delle quarantotto ore da quando il palazzo era stato assediato, sfumature sempre più marcate di democratica indignazione.

Più che guardare lei, per quanto i dettagli del suo enorme copricapo meritassero una più attenta disamina, Anakin osservava il panorama oltre la grande finestra a vetri dietro le spalle della regina. La riconosceva: ricordava perfettamente la visuale che si estendeva oltre quella finestra, quando la regina Amidala si era premurata, ancora nell'abito della vittoria, di mostrargli quanto fosse bello lo spettacolo della natura. Ricordava il fiume Solleu, le sue anse che andavano a perdersi tra le colline…

Ne provava una vergognosa nostalgia. Il suo compito era stare lì, su quella base, ad aspettare i poco ispirati report che provenivano dalle truppe dislocate a terra, e attendere il momento giusto per terminare quella faccenda (non troppo presto, non troppo tardi). La Base gli era congeniale, ma lo spazio era freddo, e non c’era alcun colore né dentro la Base, né fuori di essa. Il sole non era i raggi che riscaldavano le pareti del palazzo di Naboo, e illuminavano un cielo azzurro: il sole era una luminosa palla di plasma luminoso che bruciava indifferente nel cielo color pece;  non c'erano amici, né facce conosciute, e non c'erano i gemelli, i suoi figli, lontani migliaia di anni luce, nella torre in cui Padmé li aveva rinchiusi.

‹‹Faccio fatica a comprendere cosa steste cercando in primo luogo. Non abbiamo mai offerto protezione a dei Jedi. Il vostro è un sopruso ingiustificato.››

‹‹Devo ricordarvi che l’impero agisce nella più totale legalità, Sua Maestà,›› replicò, urbano. ‹‹Ad ogni modo, non dovete preoccuparvi per la popolazione. Non intendiamo arrecare altri disturbi ai naboo. Ce ne andremo al più presto.››

Apailana parve sorpresa. La ragazza era un discreto pezzo di ghiaccio, come gli abiti che indossava, tutti grigi, blu artici. Le emozioni erano una vista rara in quel paio di occhi.

‹‹Stento a credere che la questione si risolva così rapidamente.››

Anakin la guardò direttamente negli occhi. ‹‹Temo non si risolverà tanto rapidamente anche per voi.››

‹‹Cosa intendete, generale?››

‹‹Perdonatemi se rispondo a mia volta con una domanda, ma vi ricorda qualcosa il nome di Obi-Wan Kenobi?››

Il nome gli lasciò un cattivo sapore sulla lingua, come se avesse avuto la sfortuna di trovare nell’insalata l’unica bacca di jaffa, piccola, nera ed amarissima. E ultimamente quel sapore lo aveva ritrovato sulla lingua più di una volta, sempre più di frequente, come se Obi-Wan, giorno per giorno, avesse ripreso la  sua consistenza materiale. Non era più un fantasma in esilio, non era più un pezzo del passato, per sempre relegato alla sua primissima giovinezza: no, era l’ombra sulle scale della villa di Naboo, era il Jedi venuto a vendicare l’intero Ordine, era l’uomo che aveva – non riusciva a togliersi dalla mente quel dubbio, quel terribile sospetto, che gli ammorbava l’esistenza – sedotto Padmé, l'uomo che l'aveva convinta a tradirlo. Obi-Wan era presente, era lì, sempre, con lui. Ma sapeva che un giorno lo avrebbe raggiunto.

‹‹No, generale.››

‹‹Risposta sbagliata.››

 

 

 

 

A Coruscant era già l'ora del crepuscolo. Dalla rampa di partenza del complesso residenziale si poteva quasi vedere il vento dell’autunno, carico dell’odore del freddo; correva tra i grattacieli, bussava alle grandi finestre panoramiche degli attici, s'infilava tra i vari e variopinti cittadini della capitale galattica. Il traffico, dopo la breve diminuzione del pomeriggio, accellerava verso le sue frenetiche vette notturne. 

Coordinando un piccolo gruppetto di persone e droidi, Padmé sostava accanto al suo skiff. 

‹‹Sali su, 3PO,›› comandò dolcemente Padmé. ‹‹Sono sicura che Dormé troverà qualche degna mansione per te.››

Il droide parve rassicurato e s’avviò dietro a R2, sparendo nel corpo della nave.

Mentre i motori si riscaldavano, Padmé osservò per qualche istante la silhouette della città, coccolando tra le braccia il fagotto del piccolo Luke, che allo scadere del suo quarto mese era diventato bello e grasso come il neonato divino dei dipinti religiosi di Kishar. I suoi folti capelli biondi le solleticavano il mento.

‹‹Ora visiteremo Alderaan, piccolino, un pianeta bellissimo. Ci vivono molti nostri cari amici..››

Sorrise. ‹‹Potrai giocare con la principessina…››

Si voltò e imboccò la rampa della sua astronave. Il portello si richiuse dietro di lei, e nel giro di un minuto la grande nave si sollevo da terra in una nuvoletta di micropolvere e scomparve velocemente nel cielo della sera in arrivo.

 

 

 

Apailana era un po’ impallidita. Una vaga sfumatura di giallo era affiorata sulla sua pelle per natura olivastra, e si era mescolata al bianco impossibile del cerone. Pure nelle sclere dei suoi occhi si era affacciata un’ombra di malattia, come un improvviso ittero di angoscia.

‹‹Sicuramente non penserete che la nostra base orbitante possa sorvegliare ogni centimetro quadrato del nostro spazio aereo e interplanetario. I nostri satelliti sorvegliano solo una sezione ristretta del nostro pianeta.›› Strinse più forte i bracciali della sua poltrona. ‹‹Le ricordo che nemmeno Coruscant è in grado di controllare tutto il suo traffico. Se così fosse, non sarebbe la patria d’elezione di tutti i farabutti della Galassia.››

Un altro degli insulti infantili di quella ragazzina. La sua spregiudicatezza era una qualità che Anakin tutto sommato ammirava, un po' come si ammirano anche le più scellerate dimostrazioni di coraggio. 

‹‹Se non di bloccare il vostro traffico illegale, sicuramente è capace di inviare messaggi compromettenti a stazioni fantasma nei pressi di Nubia. Sappiamo tutto. Le telecomunicazioni delle agenzie amministrative di vari pianeti sono sotto controllo, l’intelligenza imperiale sorveglia tutti i segnali che escono da questo palazzo, Vostra Maestà, già da qualche tempo. Siete stata piuttosto ingenua, Apailana. Vuole che le mostri il suo ologramma?››

Ci fu un momento di silenzio.

Sarebbe andata così: nel giro di ventiquattro ore, i cloni avrebbero preso in custodia la regina e l’avrebbero portata sulla Base Orbitante. Si sarebbe dovuta firmare qualche scartoffia pseudo-burocratica, e ovviamente i naboo sarebbero stati informati di ciò che era successo, ovviamente enfatizzando l’angolo dell’alto tradimento della regina, nei confronti di Naboo, dell’Impero e del benevolente imperatore. A quel punto, Tarkin o chi per lui – uno magari dei tanti ufficiali che si ammassavano tra i corridoi della Base, ognuno con le sue mostrine conseguite chissà dove, perché Anakin era praticamente sicuro di non aver visto quasi nessuno di loro in battaglia – l’avrebbe interrogata, e ne avrebbe estratto una terribile confessione, e se anche non fosse riuscito ad estrargliela – nell’improbabile caso che la tortura si dimostrasse inefficace – il risultato sarebbe stato lo stesso. Ritirati i soldati, tolti i blocchi e ricollegato il pianeta e il sistema alla rete dell’Holonet, l’impero avrebbe annunciato con toni di mesta compunzione che una traditrice altolocata dell’impero era stata individuata: la benemerita Apailana, regina di Naboo, popolo natio dello stesso imperatore. Vi sarebbe stata la necessaria ed auspicabile deflagrazione mediatica – un’altra a tutte quelle che l’impero stava sapientemente orchestrando dal momento della sua nascita – e finalmente le casalinghe borghesi, dovunque esse fossero, avrebbero potuto utilizzare bocche – o equivalenti apparati fonatori – per commentare a piacere quel disdicevole episodio.

Tutta la scena, dal momento in cui sarebbe stata arrestata (lei, espressione stoica, copricapo luttuoso) al momento in cui il prodotto finale mediatico sarebbe arrivato nei salotti dei cittadini (l’eccitazione quasi lubrica che dopo cinque mesi ancora pervadeva tutto quanto), si srotolò davanti agli occhi visionari di Anakin, mentre tamburellava con le mani sulla superficie metallica della sua scrivania e aspettava che la pallida, emaciata reginetta rispondesse all’accusa.

‹‹Non ho mai conosciuto, né aiutato, il Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi. Non so cosa ne sia stato di lui dopo il massacro dei Jedi -››

Il movimento brusco del collo quasi gli provocò uno strappo. Fu gelido. ‹‹La giusta punizione per il loro tradimento.››

‹‹Il loro indiscriminato massacro,›› disse lei. ‹‹Non posso aiutarvi, temo.››

‹‹L’interrogatorio che vi aspetta vi farà cambiare idea…››

‹‹Non temo i criminali, generale Skywalker: le vostre minacce non hanno alcuna presa su di me. Mi chiedo come faccia la nostra Amidala ad essersi associata a voi.››

La menzione del nome, e poi partì qualcosa nel suo cervello, come lo scricchiolio sinistro di una trappola che scatta. Amidala, Obi-Wan Kenobi, Apailana, tutti personaggi che si facevano beffe di lui, che osavano farlo, pensando di godere di qualche impunità. Lo stomaco gli si contorse in una stretta scomoda.

‹‹Lasci Amidala fuori da tutto questo, Apailana,›› ringhiò. Le sue mani si chiusero in due pugni sul tavolo. ‹‹Mi dica dov’è Obi-Wan Kenobi adesso. Se lei collaborasse, c’è la possibilità che l’impero si riveli pietoso -››

‹‹Mi rifiuto di -››

‹‹Voi non potete rifiutarvi, voi non potete ingannarmi! Voi sapete dov’è Obi-Wan Kenobi – voi sapete chi lo sta proteggendo!››

Apailana rimase zitta e immobile come una statua.

Poi, dopo qualche istante, parlò. ‹‹Il vostro è un problema personale con Kenobi. Non mi riguarda, generale. Salutate la signora Naberrie da parte mia.››

Ci poteva scommettere che era un problema personale. 

La Base diventò un luogo buio, tremendo, sferzato dal vento. Gli bruciarono le guance, gli bruciò la lingua, e non riuscì più a distinguere la destra dalla sinistra, il sopra dal sotto. I guanti foderarono le nocche tese all’estremo, la mano metallica che scricchiolava appena –

Dall’altro lato dello schermo, la regina boccheggiò. Il rumore acquoso della voce e della saliva che ribollivano in gola gli arrivò nel momento in cui la vide portarsi le dita al collo e graffiarselo, come se stesse cercando di strappare via una mano invisibile. Chinò la testa all’indietro, così che il copricapo sbatté contro l’alto schienale della poltrona e si rovesciò con un tonfo sul marmo rosa. Accorsero delle guardie afferrandosi i cappelli perché non cascassero; qualcuno urlò qualcosa, ci fu chi andò a chiamare un medico. Gli occhi di Apailana furono così sorpresi, così vivaci (così diversi da com’erano di solito) che Anakin rimase quasi imbambolato davanti a quel bizzarro, e terribilmente familiare spettacolo, prima che la sorpresa lo colpisse e spalancasse le mani che non sapeva nemmeno di aver stretto in un pugno.

Nell’ufficio, la regina ricominciò a respirare.

Le guardie la tennero stretta, come se fosse una bambola. Parlavano a voce alta, sussurravano parole d’incoraggiamento.

‹‹Sua Maestà, cosa -››

‹‹Si è sentita male, si è sentita male!››

‹‹Dov’è il medico?››

Solo una delle guardie, un ragazzo discretamente brufoloso, ebbe in quei momenti concitati la perspicacia di guardare nello schermo. Le sue pupille s’assottigliarono in fessure e parve capire più di quanto potesse ragionevolmente immaginare. Più tardi, Anakin si chiese cosa esattamente avesse pensato in quel momento, e soprattutto quale fosse stato lo spettacolo dall'altro lato dello schermo.

‹‹Questa comunicazione è finita, generale,›› disse rabbioso, premette un pulsante e lo schermo si spense. L’ufficio scomparve, la regina con esso, e le finestre, il Solleu, il sole del mattino, il fantasma di Amidala e pure Obi-Wan.

Anakin era stupito.

Aprì i palmi delle mani davanti a sé, cercando di scovare nelle loro linee e nei loro cavi la spiegazione di quello che era successo.

Influenzare a distanza, a centinaia di chilometri di distanza, oltre le barriere dello spazio, dell’atmosfera. Il potere di usare la Forza contro qualcuno tanto lontano da essere visibile solo mediante uno schermo. Non aveva mai nemmeno provato ad agire in quel modo, convinto dell’impossibilità di quell’azione; quel tipo di poteri erano sempre stati raggruppati da -  Kenobi - sotto la poco esauriente etichetta di conoscenze inutili e pericolose per un Jedi. Le sue domande di bambino un tempo erano state fermate da quelle spiegazioni. Ma allora com’era possibile che fosse riuscito a realizzare tutto ciò senza avere mai nemmeno provato a farlo?

Forse non era poi tanto bizzarro. Dopotutto, crescere nella Forza era un atto che non accadeva per pratica, ma per mera comprensione. 

L’abilità nell’uso della spada laser s’accresceva con la pratica – innumerevoli ore trascorse bendati ad indirizzare fendenti ad una piccola sfera dispettosa, lunghi duelli e giorni di allenamento in condizioni sempre più difficili, pesi e pioggia e percorsi scoscesi. I metodi per aumentare la precisione nel combattimento erano innumerevoli; i saggi che descrivevano le forme di combattimento erano vari, lunghi, e intessuti di commenti maturati nella millenaria storia dei Jedi.

Ma il potere – quell’elusiva sostanza di cui tutti erano affamati, Jedi, Sith, ed esseri comuni – arrivava in un altro modo, un modo su cui non era possibile costruire una teoria. I progressi arrivavano con la consapevolezza. Coordinazione e forza muscolare erano semplici da ottenere con i dovuti esercizi, e infaticabile ripetizione; ma la consapevolezza del proprio potenziale arrivava a un prezzo ben maggiore: il prezzo di tante lezioni, tanti rimproveri; tanti successi e tanti fallimenti. 

Come tante cose nella vita, i risultati venivano solo quando non si cercavano.

I risvolti di quella nuova  scoperta erano elettrizzanti.

Era tanto potente da soffocare – uccidere? – qualcuno tanto lontano da lui?

Massaggiandosi le mani, quella di ossa, muscoli e  tendini, e quella di cavi e giunture di titanio, Anakin ascoltò la propria eccitazione ondeggiare nella Forza attorno a lui.

 

 

 

‹‹Padrona, stiamo arrivando,›› la informò 3PO, manovrando la cloche di comando. ‹‹Uscita dall’iperguida in cinque… quattro… tre… due… uno -››

Le luci fluorescenti dell’iperguida vennero risucchiate dallo spazio, e davanti allo schermo della cabina di pilotaggio apparve il globo verde e blu di Alderaan. I bianchi e i crema dei finimenti e dei sedili parvero essere illuminati dal bagliore azzurrino emanato dal pianeta.

Padmé premette il pulsante d’accensione dell’unità olografica. Una miniatura del senatore Organa apparve, mani giunte dietro la schiena.

‹‹Siamo arrivati, Bail.››

‹‹Bene, Padmé. Ti stiamo aspettando.››

 

  
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