Ecco
qui
il nuovo capitolo! Impegni vari mi tengono lontana dalla tastiera e
rallentano
l’uscita di questi capitoli, ma proseguo spedita (ad esempio, il
capitolo dodici è praticamente finito, anche se devo un po' limarlo). Spero che questo capitolo
piaccia anche a voi,
cari lettori!
Ne
approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno inserito questa
storia tra le
preferite e le seguite. Mi date un gran piacere e una bella spinta a
cercare di
affrettarmi :)
Kairi_Skywalker:
grazie grazie
grazie. Sono tanto lusingata (eufemismo, a dire la verità) - fin troppo
devo dire ^^. spero tanto che i
prossimi capitoli continuino a piacerti. Le recensioni fanno sempre
piacere :)
________Undici__________
‹‹I vostri
soldati
hanno perquisito già abbastanza il nostro palazzo. Dubito che questo
sia, come
dite, il trattamento riservato a “molti governi nella Galassia”, e in
ogni caso
ciò non giustificherebbe quest’umiliazione. State terrorizzando la
popolazione,
generale Skywalker, e questo è inaccettabile!››
‹‹Il nostro
controllo
è terminato, Sua Maestà. Non abbiamo trovato nulla di ulteriormente
compromettente.››
Per quanto ormai fosse diventato il suo ruolo ufficiale nella gerarchia imperiale, Anakin non era tagliato per fare il supremo inquisitore. Di questo se n’era accorto già ai tempi della guerra, per via della sua goffa sbrigatività e la facile ira che lo coglieva quando il soggetto non collaborava all’istante (anche se era sempre stato orgoglioso del fatto che, prima o poi, tutti i personaggi da lui interrogati collaboravano). La sua impulsività e il suo scarso autocontrollo lo rendevano uno scarso sostituto di veri e propri inquisitori, come il Moff Tarkin, il quale, con gli occhi piccoli e intelligenti e il naso affilato, riusciva sempre a dargli la sgradevole impressione di stare esaminandolo. Tarkin, come l'imperatore, dopotutto, era un perfetto esempio di uomo paziente.
L’ammiraglio
Yularen
aveva detto che Apailana era una testa calda. Dopo le
brevi
ma intense conversazioni tenute con la
regina, Anakin gli credeva. Anche se solo tredicenne, la giovane Thabet
era una dura, con i suoi
occhi grandi, scuri ma freddi come pietre, gli angoli delle labbra
stirati in
una smorfia quasi permanente, e quella voce nasale da aristocratica,
colorata
ai margini da piccole stonature da adolescente. I suoi discorsi erano
infiocchettati a dovere, e non si guardava dal lanciare frecciate
all'indirizzo di Anakin e dell'Impero; il suo tono aveva assunto, nel
corso delle quarantotto ore da quando il palazzo era stato assediato,
sfumature sempre più marcate di democratica indignazione.
Più
che guardare lei,
per quanto i dettagli del suo enorme copricapo meritassero una più
attenta
disamina, Anakin osservava il panorama oltre la grande finestra a vetri
dietro
le spalle della regina. La riconosceva: ricordava perfettamente la
visuale che
si estendeva oltre quella finestra, quando la regina Amidala si era
premurata, ancora nell'abito della vittoria, di mostrargli quanto fosse
bello lo spettacolo della natura. Ricordava il fiume
Solleu, le sue anse che andavano a perdersi tra le colline…
Ne provava
una vergognosa nostalgia. Il suo compito era stare lì, su quella base,
ad aspettare i poco
ispirati report che provenivano dalle truppe dislocate a terra, e
attendere il
momento giusto per terminare quella faccenda (non troppo presto, non
troppo tardi).
‹‹Faccio
fatica a
comprendere cosa steste cercando in primo luogo. Non abbiamo mai
offerto
protezione a dei Jedi. Il vostro è un sopruso ingiustificato.››
‹‹Devo
ricordarvi che
l’impero agisce nella più totale legalità, Sua Maestà,›› replicò,
urbano. ‹‹Ad
ogni modo, non dovete preoccuparvi per la popolazione. Non intendiamo
arrecare
altri disturbi ai naboo. Ce ne andremo al più presto.››
Apailana
parve
sorpresa. La ragazza era un discreto pezzo di ghiaccio, come gli abiti
che
indossava, tutti grigi, blu artici. Le emozioni erano una vista rara in
quel paio di occhi.
‹‹Stento a
credere che
la questione si risolva così rapidamente.››
Anakin la
guardò
direttamente negli occhi. ‹‹Temo non si risolverà tanto rapidamente
anche per
voi.››
‹‹Cosa
intendete,
generale?››
‹‹Perdonatemi
se
rispondo a mia volta con una domanda, ma vi ricorda qualcosa il nome di
Obi-Wan Kenobi?››
Il nome gli
lasciò un
cattivo sapore sulla lingua, come se avesse avuto la sfortuna di
trovare
nell’insalata l’unica bacca di jaffa, piccola, nera ed amarissima. E
ultimamente quel sapore lo aveva ritrovato sulla lingua più di una
volta,
sempre più di frequente, come se Obi-Wan, giorno per giorno, avesse
ripreso
la sua consistenza
materiale. Non era
più un fantasma in esilio, non era più un pezzo del passato, per sempre
relegato alla sua primissima giovinezza: no, era l’ombra sulle scale
della villa
di Naboo, era il Jedi venuto a vendicare l’intero Ordine, era l’uomo
che aveva
– non riusciva a togliersi dalla mente quel dubbio, quel terribile
sospetto,
che gli ammorbava l’esistenza – sedotto
Padmé, l'uomo che l'aveva convinta a tradirlo.
Obi-Wan era presente, era lì, sempre, con lui. Ma sapeva che un
giorno lo avrebbe raggiunto.
‹‹No,
generale.››
‹‹Risposta
sbagliata.››
A Coruscant era già l'ora del crepuscolo. Dalla rampa di partenza del complesso residenziale si poteva quasi vedere il vento dell’autunno, carico dell’odore del freddo; correva tra i grattacieli, bussava alle grandi finestre panoramiche degli attici, s'infilava tra i vari e variopinti cittadini della capitale galattica. Il traffico, dopo la breve diminuzione del pomeriggio, accellerava verso le sue frenetiche vette notturne.
Coordinando un piccolo gruppetto di persone e droidi, Padmé sostava accanto al suo skiff.
‹‹Sali su,
3PO,››
comandò dolcemente Padmé. ‹‹Sono sicura che Dormé troverà qualche degna
mansione per te.››
Il droide
parve
rassicurato e s’avviò dietro a R2, sparendo nel corpo della
nave.
Mentre i
motori si
riscaldavano, Padmé osservò per qualche istante la silhouette della
città,
coccolando tra le braccia il fagotto del piccolo Luke, che allo scadere
del suo
quarto mese era diventato bello e grasso come il neonato divino dei
dipinti
religiosi di Kishar. I suoi folti capelli biondi le solleticavano il
mento.
‹‹Ora
visiteremo
Alderaan, piccolino, un pianeta bellissimo. Ci vivono molti nostri cari
amici..››
Sorrise.
‹‹Potrai
giocare con la principessina…››
Si voltò e
imboccò la
rampa della sua astronave. Il portello si richiuse dietro di lei, e nel
giro di
un minuto la grande nave si sollevo da terra in una nuvoletta di
micropolvere e
scomparve velocemente nel cielo della sera in arrivo.
Apailana era
un po’
impallidita. Una vaga sfumatura di giallo era affiorata sulla sua pelle
per
natura olivastra, e si era mescolata al bianco impossibile del cerone.
Pure
nelle sclere dei suoi occhi si era affacciata un’ombra di malattia,
come un
improvviso ittero di angoscia.
‹‹Sicuramente non penserete che la nostra base orbitante possa sorvegliare ogni centimetro quadrato del nostro spazio aereo e interplanetario. I nostri satelliti sorvegliano solo una sezione ristretta del nostro pianeta.›› Strinse più forte i bracciali della sua poltrona. ‹‹Le ricordo che nemmeno Coruscant è in grado di controllare tutto il suo traffico. Se così fosse, non sarebbe la patria d’elezione di tutti i farabutti della Galassia.››
Un altro degli insulti infantili di quella ragazzina. La sua spregiudicatezza era una qualità che Anakin tutto sommato ammirava, un po' come si ammirano anche le più scellerate dimostrazioni di coraggio.
‹‹Se non di
bloccare
il vostro traffico illegale, sicuramente è capace di inviare messaggi
compromettenti a stazioni fantasma nei pressi di Nubia. Sappiamo tutto.
Le telecomunicazioni
delle agenzie amministrative di vari pianeti sono sotto controllo,
l’intelligenza imperiale sorveglia tutti i segnali che escono da questo
palazzo, Vostra Maestà, già da qualche tempo. Siete stata piuttosto
ingenua, Apailana. Vuole che le mostri il suo
ologramma?››
Ci fu un
momento di
silenzio.
Sarebbe
andata così:
nel giro di ventiquattro ore, i cloni avrebbero preso in custodia la
regina e
l’avrebbero portata sulla Base Orbitante. Si sarebbe dovuta firmare
qualche
scartoffia pseudo-burocratica, e ovviamente i naboo sarebbero stati
informati
di ciò che era successo, ovviamente enfatizzando l’angolo dell’alto
tradimento
della regina, nei confronti di Naboo, dell’Impero e del benevolente
imperatore.
A quel punto, Tarkin o chi per lui – uno magari dei tanti ufficiali che
si
ammassavano tra i corridoi della Base, ognuno con le sue mostrine
conseguite
chissà dove, perché Anakin era praticamente sicuro di non aver visto
quasi
nessuno di loro in battaglia – l’avrebbe interrogata, e ne avrebbe
estratto una
terribile confessione, e se anche non fosse riuscito ad estrargliela –
nell’improbabile caso che la tortura si dimostrasse inefficace – il
risultato
sarebbe stato lo stesso. Ritirati i soldati, tolti i blocchi e
ricollegato il
pianeta e il sistema alla rete dell’Holonet, l’impero avrebbe
annunciato con
toni di mesta compunzione che una traditrice altolocata dell’impero era
stata
individuata: la benemerita Apailana, regina di Naboo, popolo natio
dello stesso
imperatore. Vi sarebbe stata la necessaria ed auspicabile deflagrazione
mediatica – un’altra a tutte quelle che l’impero stava sapientemente
orchestrando dal momento della sua nascita – e finalmente le casalinghe
borghesi, dovunque esse fossero, avrebbero potuto utilizzare bocche – o
equivalenti apparati fonatori – per commentare a piacere quel
disdicevole
episodio.
Tutta la
scena, dal
momento in cui sarebbe stata arrestata (lei, espressione stoica,
copricapo
luttuoso) al momento in cui il prodotto finale mediatico sarebbe
arrivato nei
salotti dei cittadini (l’eccitazione quasi lubrica che dopo cinque mesi
ancora
pervadeva tutto quanto), si srotolò davanti agli occhi visionari di
Anakin,
mentre tamburellava con le mani sulla superficie metallica della sua
scrivania
e aspettava che la pallida, emaciata reginetta rispondesse all’accusa.
‹‹Non ho mai
conosciuto, né aiutato, il Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi. Non so cosa ne
sia
stato di lui dopo il massacro dei Jedi -››
Il movimento
brusco del collo quasi gli provocò uno strappo. Fu gelido. ‹‹La
giusta punizione
per il loro tradimento.››
‹‹Il loro
indiscriminato massacro,››
disse lei. ‹‹Non posso aiutarvi, temo.››
‹‹L’interrogatorio
che vi aspetta vi farà cambiare idea…››
‹‹Non temo i
criminali, generale Skywalker: le vostre minacce non hanno alcuna presa
su di
me. Mi chiedo come faccia la nostra Amidala ad essersi associata a voi.››
La menzione
del nome,
e poi partì qualcosa nel suo cervello, come lo scricchiolio sinistro di
una
trappola che scatta. Amidala,
Obi-Wan Kenobi,
Apailana,
tutti personaggi che si
facevano beffe di lui, che osavano farlo, pensando di godere di qualche
impunità. Lo stomaco gli si contorse in una stretta scomoda.
‹‹Lasci Amidala fuori da tutto questo,
Apailana,›› ringhiò. Le sue mani si chiusero in due pugni sul tavolo.
‹‹Mi dica
dov’è Obi-Wan Kenobi adesso. Se lei collaborasse, c’è la possibilità
che
l’impero si riveli pietoso -››
‹‹Mi rifiuto
di -››
‹‹Voi non potete
rifiutarvi, voi non potete ingannarmi! Voi sapete dov’è Obi-Wan Kenobi
– voi
sapete chi lo sta proteggendo!››
Apailana
rimase zitta
e immobile come una statua.
Poi, dopo qualche istante, parlò. ‹‹Il vostro è un problema personale con Kenobi. Non mi riguarda, generale. Salutate la signora Naberrie da parte mia.››
Ci poteva scommettere che era un problema personale.
Dall’altro
lato dello
schermo, la regina boccheggiò. Il rumore acquoso della voce e della
saliva che
ribollivano in gola gli arrivò nel momento in cui la vide portarsi le
dita al
collo e graffiarselo, come se stesse cercando di strappare via una mano
invisibile. Chinò la testa all’indietro, così che il copricapo sbatté
contro
l’alto schienale della poltrona e si rovesciò con un tonfo sul marmo
rosa.
Accorsero delle guardie afferrandosi i cappelli perché non cascassero;
qualcuno
urlò qualcosa, ci fu chi andò a chiamare un medico. Gli occhi di
Apailana
furono così sorpresi, così vivaci (così diversi da com’erano di solito)
che
Anakin rimase quasi imbambolato davanti a quel bizzarro, e
terribilmente
familiare spettacolo, prima che la sorpresa lo colpisse e spalancasse
le mani
che non sapeva nemmeno di aver stretto in un pugno.
Nell’ufficio,
la
regina ricominciò a respirare.
Le guardie la
tennero
stretta, come se fosse una bambola. Parlavano a voce alta, sussurravano
parole
d’incoraggiamento.
‹‹Sua Maestà,
cosa -››
‹‹Si è
sentita male,
si è sentita male!››
‹‹Dov’è il
medico?››
Solo una
delle
guardie, un ragazzo discretamente brufoloso, ebbe in quei momenti
concitati la
perspicacia di guardare nello schermo. Le sue pupille s’assottigliarono
in fessure e parve capire più di quanto potesse ragionevolmente
immaginare. Più tardi, Anakin si chiese cosa esattamente avesse pensato
in quel momento, e soprattutto quale fosse stato lo spettacolo
dall'altro lato dello schermo.
‹‹Questa
comunicazione è finita, generale,›› disse rabbioso, premette un
pulsante e lo
schermo si spense. L’ufficio scomparve, la regina con esso, e le
finestre, il
Solleu, il sole del mattino, il fantasma di Amidala e pure Obi-Wan.
Anakin era
stupito.
Aprì i palmi
delle
mani davanti a sé, cercando di scovare nelle loro linee e nei loro cavi
la
spiegazione di quello che era successo.
Influenzare a
distanza, a centinaia di chilometri di distanza, oltre le barriere
dello
spazio, dell’atmosfera. Il potere di usare
Forse non era
poi
tanto bizzarro. Dopotutto, crescere nella Forza era un atto che non
accadeva per pratica, ma per mera comprensione.
L’abilità
nell’uso
della spada laser s’accresceva con la pratica – innumerevoli ore
trascorse
bendati ad indirizzare fendenti ad una piccola sfera dispettosa, lunghi
duelli
e giorni di allenamento in condizioni sempre più difficili, pesi e
pioggia e percorsi scoscesi. I metodi per
aumentare la precisione nel combattimento erano innumerevoli; i saggi
che descrivevano le forme di
combattimento erano vari, lunghi, e intessuti di commenti maturati
nella millenaria storia dei Jedi.
Ma il potere –
quell’elusiva sostanza di cui tutti erano affamati, Jedi, Sith, ed
esseri
comuni – arrivava in un altro modo, un modo su cui non era possibile
costruire
una teoria. I progressi arrivavano con la consapevolezza.
Coordinazione e forza muscolare erano semplici da ottenere con i dovuti
esercizi, e infaticabile ripetizione; ma la consapevolezza del proprio
potenziale arrivava a un prezzo ben maggiore: il prezzo di tante
lezioni, tanti
rimproveri; tanti successi e tanti fallimenti.
Come tante cose nella vita, i risultati venivano solo quando non si cercavano.
I risvolti di quella nuova scoperta erano elettrizzanti.
Era tanto potente da soffocare – uccidere? – qualcuno tanto lontano da lui?
Massaggiandosi le mani, quella di ossa, muscoli e tendini, e quella di cavi e giunture di titanio, Anakin ascoltò la propria eccitazione ondeggiare nella Forza attorno a lui.
‹‹Padrona,
stiamo
arrivando,›› la informò 3PO, manovrando la cloche di comando. ‹‹Uscita
dall’iperguida in cinque… quattro… tre… due… uno -››
Le luci
fluorescenti
dell’iperguida vennero risucchiate dallo spazio, e davanti allo schermo
della
cabina di pilotaggio apparve il globo verde e blu di Alderaan. I
bianchi e i crema dei finimenti e dei sedili parvero essere illuminati
dal bagliore azzurrino emanato dal pianeta.
Padmé
premette il
pulsante d’accensione dell’unità olografica. Una miniatura del senatore
Organa apparve, mani giunte dietro la schiena.
‹‹Siamo
arrivati,
Bail.››
‹‹Bene,
Padmé. Ti
stiamo aspettando.››