PAROLE
SIMBOLICHE
DI SPERANZA
Corro,
corro, corro. Il cuore pompa più veloce il
sangue alle gambe per farle sostenere il peso della corsa sfrenata che
sto
conducendo, lo sento che batte rapido e imperterrito contro le vena sul
collo,
lo stesso collo solcato da un leggero strato di sudore. Il mondo mi
è estraneo,
io non ne faccio parte, l’unico contatto sono le suole che
sbattono contro le
pietre dure e bicentenarie di questo vecchio castello. Quante scarpe
avete
visto passare per di qua? Quante persone? E quante andavano veloci come
me
verso una meta che vale tutta la propria vita?
Il
cuore, le scarpe, il paesaggio che vola via al ritmo
della mia corsa come quando sul treno cerchi di afferrare inutilmente i
particolari di un panorama mai fermo e quelli ti sfuggono come per
farsi beffa
di te, diventano0 solo una striscia di colore uniforme, un colore che
non
potrai mai ricreare perché l’unione di
tutti i colori e le sfumature di quel paesaggio unico per
il solo fatto
che esiste.
E
poi in tutta quella confusione la tua voce chiara e
limpida come una campana di vetro fatta suonare nella tromba delle
scale che
amplifica il suono con il suo eco intoccabile.
I
tuoi capelli dal profumo in riconducibile a qualcosa
di esistente che non sia tu stessa, di una sfumatura così
unica che sembrano
dipinti da un pittore quasi imbranato nel mescolare i colori tante sono
le
sfumature.
I
tuoi occhi di un banale castano facilmente ritrovabile
negli occhi di altre persone ma che non sarà mai uguale
perché quello che
dicono silenziosamente li rende così semplici ma
incomparabili.
E
ancora le tue labbra color ciliegia del quale ancora
non sono riuscito a stancarmi, che bacerei per sempre violandole anche
quando
tu ti scansi per farmi un dispetto sorridendo maliziosa. Quelle labbra
che
nella mia mente si muovono e pronunciano parole simboliche di speranza
che
rimbombano nelle mie orecchie accanto al battito incontrollabile del
mio cuore
impazzito.
I
tuoi occhi cercano i
miei, ti ho mai detto che sono bellissimi? Forse si ma non riesco a
smettere di
pensarlo. Mi guardi e sorridi così che due fossette ti si
creino ai lati della
bocca.
-ho
un’idea- esordisci
catturando tutta la mia attenzione. Inizio a giocherellare con i tuoi
capelli
mentre ti rispondo- quale?-
-noi
litighiamo spesso- ti
fermi e mi guardi sfidandomi a contraddirti. Ti guardo un attimo
stupido e poi
sorrido a 32 denti con la faccia da dolce angelo innocente che ti fa
ridere.
-sono
sempre litigate
stupide che si risolvono in poco e quindi non ci sono problemi, ormai
ci siamo
in qualche modo abituati- mi sento un po’ in
colpa a sentire queste parole soprattutto
dato il lieve tono di rassegnazione che le accompagna.
-capiterà
un giorno in cui
litigheremo più forte di sempre, una volta in cui ne io ne
tu riusciremo a
mettere da parte l’orgoglio, una volta in cui ognuno per
giorni non farà che
pensare a quello che è successo e a quanto l’altro
è stato stupido. No!- dici
alzando un dito e mettendolo davanti la mia bocca per impedirmi di
interromperti
come avevo provato a fare- non mi interrompere o contraddire, sai anche
tu che
è così, non siamo fatti per vivere in
tranquillità noi due- dici sorridendo
nonostante le tue parole. Aspetti che io annuisca per allontanare la
tua mano dalle
mie labbra, prontamente la intreccio con la mia. Continui a parlare
fissando le
nostre mani intrecciate in uno strano contrasto. Grandi e scure con
piccole e
chiare.
-quando quel giorno
arriverà io voglio assicurarmi che nonostante tutto tu
voglia ancora stare con
me, che ancora mi ami anche con tutte le nostre contraddizioni, voglio
essere
sicura che se deve finire non sia a causa della nostra scarsa
capacità di
mettere giù l’orgoglio. Basterà un
gesto per essere ancora insieme e liberi di
dimenticarsi quello che è successo- mi guardi intensamente e
non posso fare a
meno di imporre ad ogni mia fibra di stare attenta alle tue parole,
parole che
non sapevo nemmeno potessero esistere, che sono arrivate inaspettate
come la
pioggia ad agosto -quando quel giorno arriverà ti
basterà correre alla torre di
astronomia- mi sorridi incitandomi a fare qualche commento sul
perché hai
scelto quel posto, non ne trovo il motivo, ricordo perfettamente il
nostro
primo bacio e la magia, quella senza bacchetta, della luna sulle nostre
teste -se
andrai là e mi troverai o io andrò lì
e ti troverò significherà che ancora mi
ami e che io amo te e che delle stupide incomprensioni non ci
separeranno-
annuiscono, non posso farne a meno. Hai lo stesso sguardo infervorato
di quando
parli del crepa, anzi del C.R.E.P.A.
Le
immagini di quella sera nella
sala comune mi passano davanti agli occhi più nitide del
paesaggio che sto
attraversando. Mi stupisco ancora di come tu sia così brava
a capire la gente,
a prevederla, l’avevi capito che avremmo sbagliato e come
sempre hai cercato di
rimediare ancor prima che l’errore avvenisse. Forse dovrei
dirtelo più spesso
che sei fantastica. Il mio respiro e composto da piccoli inspirazioni
ed
espirazioni irregolari e veloci quando arrivo ai piedi della scala che
mi
condurrà alla torre di astronomia. Appoggio un attimo la
mano al muro e con
l’altra mi tengo in fianco dolorante. Poi inizio a correre
sempre più su, le
scale girano veloci al ritmo delle mie gambe e si susseguono una dopo
l’altra
sembrando senza fine. Poi la vedo, la luce, no non sto morendo, o forse
si, ma
quella che vedo è solo la luce che viene dalla porta
spalancata della torre. Il
sole illumina una piccola porzione di pianerottolo equivalente
all’ampiezza
dell’ingresso. Prendo un ultimo slancio e
l‘attraverso rischiando quasi di
scivolare sulla pietra levigata dai mille piedi che hanno varcato
quella
soglia. La luce mi abbaglia un attimo costringendomi a chiudere gli
occhi e a
sfregarli con una mano per lenire il bruciare dovuto
dall’improvviso cambio di
luminosità. Poi li apro e mi guardo intorno. La torre
è vuota fatta eccezione
per i banchi dotati di telescopio. Mi guardo intorno non volendo
arrendermi
all’evidenza dei fatti mentre il mio cuore pulsa
dolorosamente certo non a
causa della corsa, poi perde un battito e poi un altro. Fa
maledettamente male
non trovarti lì perché significa che mi hai
dimenticato, che non mi ami più,
che ho perso ogni speranza di vederti al mio fianco per sempre come i
miei
desideri volevano. Avevamo perso tanti anni in una logorante lotta
contro noi
stessi accantonando ogni nostro più piccolo desiderio per
tanti problemi
limitandoci ad una sfiancante amicizia inadeguata. E ora non
è rimasto niente
se non un sacco di ricordi che fanno sanguinare il petto. Mi siedo su
un banco,
è pieno di graffiti, i professori sanno perfettamente chi li
ha incisi ma credo
che a Silente piacesse che i loro alunni lasciassero il proprio segno
in tutti
i sensi. Mi siedo sopra un cuore che incornicia una V e una A,
chissà chi sono
i proprietari. Non so quanto tempo passo su quel banco a fissare un
punto che
non esiste, a ricordare, semplicemente a chiudere gli occhi e non
pensare.
Quando li riapro il sole è sceso di parecchio e ormai la
luce che illuminava il
pianerottolo è solo una sottilissima striscia. La fisso
sperando di vederti
entrare prima che finisca di contare fino a 10 perché dopo
me ne andrò
accantonando quello che eravamo, che siamo e che saremmo potuti essere.
1
Il
cuore incomincia a battere
forte di nuovo.
2
Le
mani contano alzando ad uno ad
uno le dita.
3
Le
gambe tremano con prima di
un’interrogazione, la più brutta di tutte.
4
L’immaginazione
divaga
immaginandoti sulla soglia.
5
Eppure
il pianerottolo resta
vuoto.
6
Bum
Bum un altro battito perso.
7
La
speranza incomincia a svanire.
8
Gli
occhi pizzicano come dopo che
da bambino cadevi e ti facevi male.
9
Li
chiudi per paura di quello che
potresti non
vedere.
10
Li
riapri e sospiri.
I
palmi delle mani aperti e
indifesi ma di lei nessuna traccia.