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Autore: SaraGranger    09/11/2010    4 recensioni
piccola shot su hermione e ron...quando un posto puù essere l'ancora di salvezza per due cuori con un destino avverso...ma non tutto è come sembra..spero vi piaccia baci Saridda^^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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PAROLE SIMBOLICHE DI SPERANZA

 

Corro, corro, corro. Il cuore pompa più veloce il sangue alle gambe per farle sostenere il peso della corsa sfrenata che sto conducendo, lo sento che batte rapido e imperterrito contro le vena sul collo, lo stesso collo solcato da un leggero strato di sudore. Il mondo mi è estraneo, io non ne faccio parte, l’unico contatto sono le suole che sbattono contro le pietre dure e bicentenarie di questo vecchio castello. Quante scarpe avete visto passare per di qua? Quante persone? E quante andavano veloci come me verso una meta che vale tutta la propria vita?

Il cuore, le scarpe, il paesaggio che vola via al ritmo della mia corsa come quando sul treno cerchi di afferrare inutilmente i particolari di un panorama mai fermo e quelli ti sfuggono come per farsi beffa di te, diventano0 solo una striscia di colore uniforme, un colore che non potrai mai ricreare perché l’unione di  tutti i colori e le sfumature di quel paesaggio unico per il solo fatto che esiste.

E poi in tutta quella confusione la tua voce chiara e limpida come una campana di vetro fatta suonare nella tromba delle scale che amplifica il suono con il suo eco intoccabile.

I tuoi capelli dal profumo in riconducibile a qualcosa di esistente che non sia tu stessa, di una sfumatura così unica che sembrano dipinti da un pittore quasi imbranato nel mescolare i colori tante sono le sfumature.

I tuoi occhi di un banale castano facilmente ritrovabile negli occhi di altre persone ma che non sarà mai uguale perché quello che dicono silenziosamente li rende così semplici ma incomparabili.

E ancora le tue labbra color ciliegia del quale ancora non sono riuscito a stancarmi, che bacerei per sempre violandole anche quando tu ti scansi per farmi un dispetto sorridendo maliziosa. Quelle labbra che nella mia mente si muovono e pronunciano parole simboliche di speranza che rimbombano nelle mie orecchie accanto al battito incontrollabile del mio cuore impazzito.

 

I tuoi occhi cercano i miei, ti ho mai detto che sono bellissimi? Forse si ma non riesco a smettere di pensarlo. Mi guardi e sorridi così che due fossette ti si creino ai lati della bocca.

-ho un’idea- esordisci catturando tutta la mia attenzione. Inizio a giocherellare con i tuoi capelli mentre ti rispondo- quale?-

-noi litighiamo spesso- ti fermi e mi guardi sfidandomi a contraddirti. Ti guardo un attimo stupido e poi sorrido a 32 denti con la faccia da dolce angelo innocente che ti fa ridere.

-sono sempre litigate stupide che si risolvono in poco e quindi non ci sono problemi, ormai ci siamo in qualche modo abituati- mi sento un po’  in colpa a sentire queste parole soprattutto dato il lieve tono di rassegnazione che le accompagna.

-capiterà un giorno in cui litigheremo più forte di sempre, una volta in cui ne io ne tu riusciremo a mettere da parte l’orgoglio, una volta in cui ognuno per giorni non farà che pensare a quello che è successo e a quanto l’altro è stato stupido. No!- dici alzando un dito e mettendolo davanti la mia bocca per impedirmi di interromperti come avevo provato a fare- non mi interrompere o contraddire, sai anche tu che è così, non siamo fatti per vivere in tranquillità noi due- dici sorridendo nonostante le tue parole. Aspetti che io annuisca per allontanare la tua mano dalle mie labbra, prontamente la intreccio con la mia. Continui a parlare fissando le nostre mani intrecciate in uno strano contrasto. Grandi e scure con piccole e chiare.

-quando quel giorno arriverà io voglio assicurarmi che nonostante tutto tu voglia ancora stare con me, che ancora mi ami anche con tutte le nostre contraddizioni, voglio essere sicura che se deve finire non sia a causa della nostra scarsa capacità di mettere giù l’orgoglio. Basterà un gesto per essere ancora insieme e liberi di dimenticarsi quello che è successo- mi guardi intensamente e non posso fare a meno di imporre ad ogni mia fibra di stare attenta alle tue parole, parole che non sapevo nemmeno potessero esistere, che sono arrivate inaspettate come la pioggia ad agosto -quando quel giorno arriverà ti basterà correre alla torre di astronomia- mi sorridi incitandomi a fare qualche commento sul perché hai scelto quel posto, non ne trovo il motivo, ricordo perfettamente il nostro primo bacio e la magia, quella senza bacchetta, della luna sulle nostre teste -se andrai là e mi troverai o io andrò lì e ti troverò significherà che ancora mi ami e che io amo te e che delle stupide incomprensioni non ci separeranno- annuiscono, non posso farne a meno. Hai lo stesso sguardo infervorato di quando parli del crepa, anzi del C.R.E.P.A.

Le immagini di quella sera nella sala comune mi passano davanti agli occhi più nitide del paesaggio che sto attraversando. Mi stupisco ancora di come tu sia così brava a capire la gente, a prevederla, l’avevi capito che avremmo sbagliato e come sempre hai cercato di rimediare ancor prima che l’errore avvenisse. Forse dovrei dirtelo più spesso che sei fantastica. Il mio respiro e composto da piccoli inspirazioni ed espirazioni irregolari e veloci quando arrivo ai piedi della scala che mi condurrà alla torre di astronomia. Appoggio un attimo la mano al muro e con l’altra mi tengo in fianco dolorante. Poi inizio a correre sempre più su, le scale girano veloci al ritmo delle mie gambe e si susseguono una dopo l’altra sembrando senza fine. Poi la vedo, la luce, no non sto morendo, o forse si, ma quella che vedo è solo la luce che viene dalla porta spalancata della torre. Il sole illumina una piccola porzione di pianerottolo equivalente all’ampiezza dell’ingresso. Prendo un ultimo slancio e l‘attraverso rischiando quasi di scivolare sulla pietra levigata dai mille piedi che hanno varcato quella soglia. La luce mi abbaglia un attimo costringendomi a chiudere gli occhi e a sfregarli con una mano per lenire il bruciare dovuto dall’improvviso cambio di luminosità. Poi li apro e mi guardo intorno. La torre è vuota fatta eccezione per i banchi dotati di telescopio. Mi guardo intorno non volendo arrendermi all’evidenza dei fatti mentre il mio cuore pulsa dolorosamente certo non a causa della corsa, poi perde un battito e poi un altro. Fa maledettamente male non trovarti lì perché significa che mi hai dimenticato, che non mi ami più, che ho perso ogni speranza di vederti al mio fianco per sempre come i miei desideri volevano. Avevamo perso tanti anni in una logorante lotta contro noi stessi accantonando ogni nostro più piccolo desiderio per tanti problemi limitandoci ad una sfiancante amicizia inadeguata. E ora non è rimasto niente se non un sacco di ricordi che fanno sanguinare il petto. Mi siedo su un banco, è pieno di graffiti, i professori sanno perfettamente chi li ha incisi ma credo che a Silente piacesse che i loro alunni lasciassero il proprio segno in tutti i sensi. Mi siedo sopra un cuore che incornicia una V e una A, chissà chi sono i proprietari. Non so quanto tempo passo su quel banco a fissare un punto che non esiste, a ricordare, semplicemente a chiudere gli occhi e non pensare. Quando li riapro il sole è sceso di parecchio e ormai la luce che illuminava il pianerottolo è solo una sottilissima striscia. La fisso sperando di vederti entrare prima che finisca di contare fino a 10 perché dopo me ne andrò accantonando quello che eravamo, che siamo e che saremmo potuti essere.

1

Il cuore incomincia a battere forte di nuovo.

2

Le mani contano alzando ad uno ad uno le dita.

3

Le gambe tremano con prima di un’interrogazione, la più brutta di tutte.

4

L’immaginazione divaga immaginandoti sulla soglia.

5

Eppure il pianerottolo resta vuoto.

6

Bum Bum un altro battito perso.

7

La speranza incomincia a svanire.

8

Gli occhi pizzicano come dopo che da bambino cadevi e ti facevi male.

9

Li chiudi per paura di quello che potresti non vedere.

10

Li riapri e sospiri.

I palmi delle mani aperti e indifesi ma di lei nessuna traccia.

Fine dei giochi amico, la partita è finita, il pubblico scende dagli spalti e tu resti da solo in campo a leccarti le ferite. Mi sento un peso all’altezza del cuore che non so spiegare, qualcosa che fa fisicamente male, che mi schiaccia la trachea e che mi rende difficile respirare. Scendo dal banco ridando luce alla V e la A dentro il cuore. Spero che a loro sia andata meglio che a me. E mentre la mia mente ricorda subdolamente i momenti che hanno portato il nostro primo bacio io mi allontano offuscando la piccola striscia di luce sul pianerottolo con un solo pensiero in mente: Addio Hermione.
  
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