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Autore: VaniaMajor    10/11/2010    3 recensioni
Dopo un incidente stradale, Kagome si risveglia in un mondo governato da divinità in guerra disciplinate dalla presenza di Mon (Porte) la cui unica chiave è la Shikon no Tama. La ragazza risveglia per errore Inuyasha, il Bannin della Terra, il quale vuole ucciderla! E' invece costretto a giurare di proteggerla, insieme agli altri Bannin, in quanto Kagome sarà la nuova Sacerdotessa della Splendente, custode della Shikon no Tama. Ma perchè Inuyasha somiglia tanto a Inuki, il suo primo amore? Lei è davvero la reincarnazione di Kikyo? E qualcuno, in questo pazzo mondo, riuscirà mai a riportarla a casa?!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

UNA RISPOSTA IMPORTANTE

La tattica numero uno di Kagome era molto semplice.
Perlomeno, così cercava di convincersi la ragazza, mentre aspettava con il cuore in tumulto accanto al cancello della scuola, la schiena appoggiata al muro e la cartella stretta tra le mani come se se ne potesse volare via nel frizzante vento di quel martedì mattina. Era arrivata a scuola in mostruoso anticipo, quasi un’ora prima, tanto che erano solo cinque minuti che gli studenti avevano iniziato a sfilarle davanti, entrando a scuola. Anche se sapeva che Inuki era sempre in ritardo cronico, non voleva correre rischi…e in ogni caso, dopo essersi risvegliata da quel terribile incubo non era più riuscita a chiudere occhio.
Quel giorno Kagome gli avrebbe confessato il suo amore. Ormai era decisa a farlo, e si era aggrappata a quell'idea con tanta forza che la sua mente non avrebbe avuto spazio per nient’altro finché il danno non fosse stato fatto, o la sua vita avesse assunto finalmente quella sfumatura di rosa che tanto le mancava. Al solo pensiero le tremavano le ginocchia e la faccia le andava in fiamme, ma non riusciva più a contenere i sentimenti che aveva dentro, quello strano senso d’urgenza che la pervadeva. Sperava solo fosse un buon segno.
Per farla breve, insomma, Kagome aveva utilizzato le ore insonni per sviluppare alcune tattiche per far sì che Inuki la ascoltasse. La prima prevedeva un placcaggio prima dell’ingresso a scuola, con relativa dichiarazione.
Riusciva già a vedere tutta la scena con chiarezza. Inuki che arrivava a scuola, con la cartella ciondolante dietro la spalla e il viso corrucciato…che poi la vedeva, lì ad attenderlo all’ingresso della scuola. Il suo viso si sarebbe aperto in uno di quei sorrisi che le facevano battere il cuore a mille. Si sarebbe avvicinato e le avrebbe chiesto: «Ehi, Kagome, mi aspettavi?» Lei lo avrebbe guardato dritto in quei suoi fantastici occhi violetti, cercando di non arrossire, ed avrebbe annuito. «Sì, ti aspettavo.- gli avrebbe risposto- Inuki, devo dirti una cosa importante.» Lui l’avrebbe forse guardata con quella sua aria perplessa e un po’ divertita, che sempre assumeva quando lei decideva di fargli qualche confessione. Ma la sua espressione sarebbe stata sostituita da gioia e partecipazione quando lei, ignorando la folla di curiosi che si andava assiepando, avrebbe scandito le parole: «Inuki, io ti amo.» E lui l’avrebbe stretta tra le sue braccia, dicendole di amarla a sua volta da un sacco di tempo, poi l’avrebbe guardata negli occhi, le avrebbe preso il volto fra le mani, e…
Al solo pensiero, il cuore di Kagome prese a battere più forte e le guance le si fecero di fiamma, tanto da farle guadagnare qualche occhiata perplessa da parte di alcune studentesse che le passavano accanto. Era agitata fino all’inverosimile, e sapeva che era un azzardo iniziare in quel modo la giornata. Se Inuki le avesse risposto picche, come sarebbe riuscita a guardarlo in faccia per il resto della giornata scolastica (per non parlare dell’anno di scuola che ancora li attendeva?!)? Però, preferiva di gran lunga sapere subito quale fosse il suo destino, piuttosto che farsi venire le smanie ora dopo ora, rimandando il momento fatidico fino all’ultimo, con il rischio di perdersi d’animo.
Kagome annuì tra sé, corrugando la fronte e raddrizzando la schiena con piglio fiero. Doveva essere coraggiosa! Non avrebbe permesso alle proprie paure di prendere il sopravvento.
Così, Kagome rimase dov’era, scrutando la strada come un cecchino in attesa della sua preda, stringendo la cartella tanto da far sbiancare le nocche.
I minuti passarono…e passarono…e passarono ancora. Nessuna traccia di Inuki, al suono della prima campanella. Kagome gemette tra sé, lanciando un’occhiata alla scuola, e poi di nuovo alla strada. Ormai la maggior parte degli studenti era entrata. Qualche ritardatario arrivava di corsa, sfrecciandole accanto senza nemmeno perdere tempo a lanciarle un’occhiata incuriosita.
Kagome si morsicò il labbro, frustrata, dondolandosi da un piede all’altro. Che cosa doveva fare? La seconda campanella sarebbe suonata tra pochi minuti, come il suo orologio le confermava. Voleva proprio arrivare in ritardo a scuola?
«Maledizione a te, Inuki Tochi.- mormorò- Ma perché non riesci mai a svegliarti in orario, la mattina?!»
Kagome si incamminò lentamente verso la scuola, continuando a guardarsi alle spalle nella speranza di vedere arrivare di corsa il ragazzo dai capelli neri. La strada, però, rimase vuota. Sospirando desolata, alla fine Kagome rinunciò ed entrò a scuola, in concomitanza con il suono della seconda campanella.
La tattica numero uno di Kagome Higurashi era miseramente fallita.
***
Inuki corse come mai prima quella mattina, con i capelli che gli frustavano la faccia perché non aveva nemmeno avuto il tempo di legarli e una fetta di pane imburrata in bocca. Si era ridotto a fare colazione per la strada, quanto era miserevole…
Anche quella mattina si era svegliato con un ritardo mostruoso. Tutta colpa di quel dannato incubo, sempre lo stesso! Ma che diavolo significava? E poi, doveva proprio assillarlo nelle prime ore della mattina, quando avrebbe dovuto svegliarsi per andare a scuola?! Per fortuna che sua madre era una donna comprensiva…Gli aveva scritto una richiesta di permesso, che ora sporgeva tutta stropicciata da una delle tasche della sua divisa, così avrebbe potuto entrare alla seconda ora senza prendersi una lavata di capo da insegnanti e preside. Come campione di kendo lo amavano tutti, ma come studente proprio in pochi, e i suoi capelli lunghi bastavano a dimostrarlo.
Inuki ingollò la fetta di pane tutta intera, battendosi il petto col pugno per non soffocare, poi svoltò l’angolo e si trovò di fronte il cancello chiuso della scuola. Diavolo, non era mai stato in un ritardo simile…
Impiegò qualche tempo a farsi aprire, poi si diresse nella sala insegnanti e si fece convalidare il permesso. Un’occhiataccia da parte del vicepreside non gliela tolse nessuno,  ma il ragazzo poté recarsi nella propria classe senza essere coinvolto in noiose e frustranti discussioni. Non era proprio dell’umore adatto. Grazie a quel maledetto sogno, aveva i nervi a fior di pelle e una gran voglia di spaccare il muso a qualcuno.
“Proprio una giornata iniziata bene, vero Tochi?” disse a se stesso, ironico. Attese in corridoio che suonasse la campana della seconda ora, poi entrò in classe.
«Buongiorno, prof.! Buongiorno a tutti!» disse, fingendo un’allegria che non provava.
«Tochi! E’ questa l’ora di arrivare?- lo riprese subito l’insegnante, indignato- Fila subito dal preside! Tu…»
«Già fatto.» tagliò corto Inuki, lasciando scivolare sulla cattedra il suo permesso firmato e prendendo posto con malagrazia, sbuffando. Mushu, alla sua sinistra, ridacchiò.
«Riesci a fare il galletto anche in queste situazioni.» lo prese in giro sottovoce, mentre il professore scrutava il permesso scritto come a volervi trovare una pecca. Inuki sollevò appena un sopracciglio.
«Feh! Quel tizio è solo una gran rompiscatole.» commentò, con una smorfia, poi si voltò verso destra ed incrociò lo sguardo di Kagome. Le lesse sul volto una strana espressione che non riuscì a decifrare, ma che gli accelerò per un istante i battiti del cuore.
«Ehilà, Kagome!» le disse, sorridendo. Lei corrugò la fronte e non rispose al saluto. «Ehi, ma ce l’hai con me?» le chiese, perplesso.
«La prossima volta, cerca di arrivare in orario, stupido.» fu la sola risposta di lei, che arrossì in maniera sospetta e poi si mise a scrivere appunti quasi con furia, troncando la conversazione. Attonito per quel comportamento a suo avviso ingiustificato, Inuki fece per chiederle che cosa mai le avesse fatto, ma in quel momento il professore riprese la lezione.
Sbuffando di nuovo, ancora più contrariato di prima, Inuki si rassegnò ad attendere la pausa pranzo per chiedere delucidazioni a quella sciocca e permalosa ragazza di nome Kagome.
***
Era ora di pranzo, ed era anche il momento adatto per far scattare la tattica numero due di Kagome Higurashi.
Sospirando tra sé, sorda alle chiacchiere delle amiche con cui si stava recando alla mensa scolastica, Kagome cercò di raccogliere nel proprio cuore il coraggio di cui si era fregiata quella mattina. Ci riuscì con una certa difficoltà. Come prevedeva, più passava il tempo, meno si sentiva in grado di mettersi in gioco con Inuki.
Arrossì leggermente nel ripensare al modo in cui l’aveva aggredito quella mattina. Come era ovvio, Inuki non aveva capito perché diavolo lei fosse così irritata con lui…ma forse non avrebbe nemmeno dovuto spiegarglielo. Non proprio, visto che prevedeva di approfittare della pausa pranzo per dichiarare i suoi sentimenti. Kagome deglutì a fatica, mentre lo stomaco le si torceva dal nervosismo. Ma perché era così difficile fare una dichiarazione d’amore?!
La sala mensa era, come sempre, affollata all’inverosimile. In fondo alla sala, però, c’era una porta a vetri che dava sul cortile esterno, che portava al campo da pallacanestro. L’idea di Kagome era di trascinare via Inuki dal gruppo dei suoi compagni di kendo e parlargli fuori dalla mensa, nel corroborante silenzio del primo pomeriggio…godendo in questo modo di una privacy che al cancello della scuola, quella mattina, sarebbe sicuramente mancata. Kagome sospirò al pensiero che se Inuki non avesse fatto tardi, a quell'ora il suo destino sarebbe già stato deciso, nel bene o nel male.
«Kagome, ma quanto sospiri?» le chiese Yuka, dandole una gomitata.
«Quanto…oh, scusa. Non me n’ero nemmeno accorta.» disse Kagome, sorridendo con un certo nervosismo e prendendo un vassoio. Ordinò il pranzo con scarsa voglia, e lo mangiò con lo stomaco completamente chiuso. Non si accorse delle occhiate preoccupate delle sue amiche. I suoi occhi erano su Inuki, seduto due tavoli più in là assieme al suo allegro gruppo di compagni di kendo. Sussultò quando i loro sguardi si incrociarono, come se Inuki avesse sentito di essere osservato. Lo vide alzare un sopracciglio con aria ironica e sollevare le mani in un gesto interrogativo.
«Si può sapere che ti ho fatto?» era la domanda implicita. Kagome si alzò, lasciando senza una parola le sue perplesse amiche al tavolo, e si diresse da Inuki. Anche al tavolo del ragazzo si fece silenzio. Kagome registrò con un certo imbarazzo le occhiate divertite degli amici di Inuki, ma grazie al cielo nessuno diede fiato a battutine maliziose o quant’altro. Un episodio simile si era già verificato l’anno prima, e Inuki aveva insegnato loro a suon di pugni a non prenderla mai in giro.
Il pensiero la imbarazzò ancora di più, ma riuscì a mantenere un tono di voce neutrale quando chiese: «Inuki, verresti un attimo con me? Ti devo parlare.»
«Ma allora sei proprio arrabbiata?- borbottò Inuki, contrariato- Va beh, vengo. Voglio proprio sentire che cosa avrei fatto, stavolta.»
Lasciandolo nella sua errata convinzione, Kagome gli fece strada fino alla porta a vetri. Lo lasciò uscire per primo, guadagnandosi un’altra occhiata perplessa, poi si chiuse la porta alle spalle e lo condusse dove nessuno potesse vederli.
«Allora…» si schiarì la gola Kagome, faticando a guardarlo in faccia. Kami-sama…quel giorno sembrava più bello del solito! Aveva dimenticato di legarsi i capelli, che ora gli cadevano, sciolti e un po’ selvaggi, lungo la schiena. Kagome aveva sempre pensato che Inuki fosse irresistibile con i capelli sciolti. Inoltre, se avesse incrociato quegli occhi indagatori, era sicura che non sarebbe riuscita a spiaccicare parola.
«Dunque…» iniziò ancora.
«Ma si può sapere che ti ho fatto?!» sbottò Inuki, facendole alzare la testa per la sorpresa.
«Eh?» chiese Kagome. Inuki si mise le mani sui fianchi, irritato.
«Sei arrabbiata con me, no?- le chiese, sulla difensiva- Si può sapere perché?»
«Cos…no, non sono arrabbiata con te.- disse Kagome, scuotendo la testa- Non è di questo che ti devo…»
«Ma dai! E allora perché mi hai trattato così male, stamattina?» chiese Inuki, sarcastico.
«Perché…beh, perché ti ho aspettato per un sacco di tempo al cancello, se proprio lo vuoi sapere!» sbuffò Kagome, iniziando ad irritarsi. Se Inuki avesse continuato ad interromperla, il suo obiettivo sarebbe diventato sempre più difficoltoso da raggiungere.
«E chi te l’ha chiesto?» la rimbeccò Inuki, facendole una linguaccia.
«Avevo bisogno di parlarti, cretino! E tu invece sei arrivato in ritardo!» sbottò lei, sempre più arrabbiata.
«Potevi chiamarmi al telefono ieri sera. O aspettare il pranzo, come hai fatto adesso.- sbuffò Inuki- Certe volte sei proprio scema, Kagome. Che ne potevo sapere io del fatto che mi dovevi parlare?»
«Tu…tu…» balbettò la ragazza, avvolta in un’aura di fiamma. Inuki fece un mezzo passo indietro.
«Oi, adesso non ti scaldare!- disse, preoccupato- Ora sono qui, perciò puoi dirmi quello che vuoi.»
L’aura negativa di Kagome scomparve come per magia. La ragazza sembrò di nuovo turbata ed imbarazzata.
«Kagome?- la chiamò Inuki, con una traccia di sincera preoccupazione nella voce- Kagome, cosa c’è?»
Kagome si ritrovò per un attimo senza voce, né sufficiente volontà per cavarsi di bocca le parole che le giravano in testa dalla notte precedente. Strinse i pugni, segnandosi i palmi con le unghie, e prese un bel respiro.
«Ascoltami bene, Inuki.- disse tutto d’un fiato, alzando la testa di scatto- Io…»
«TOCHI!!»
Il richiamo a squarciagola fu seguito dall’arrivo di sette studenti di varie classi, provenienti dal campo di basket. Kagome gemette, coprendosi il volto con una mano, mentre Inuki si voltava verso i nuovi arrivati. Ma perché, perché la sfortuna la assillava a quel modo?!
«Che c’è?» chiese Inuki, seccato. A quanto pareva, nemmeno lui aveva gradito l’intrusione. Una piccola soddisfazione nella tragedia in atto.
«Tochi, siamo stati sfidati dalla terza classe, quarta sezione.- ansimò uno di loro, indicando il campo- Ci sono in palio le nostre paghette. Ti prego, gioca nella nostra squadra!»
«Non posso. Non mi va.- tagliò corto Inuki- In questo momento sono occupato.»
Guardò Kagome, e la ragazza sentì il cuore riempirsi d’amore per lui. Forse aveva capito di cosa doveva parlargli, dopotutto!
«Nemmeno se ti dico che nell’altra squadra gioca Hojo?» lo supplicò il ragazzo. Kagome sentì tutta la sua rabbia tornare a galla quando vide gli occhi di Inuki illuminarsi del solito bagliore combattivo che sempre lo caratterizzava quando sentiva parlare del povero Hojo, il capitano della squadra di pallacanestro, che Inuki detestava per chissà quale ragione.
«Hojo?- chiese infatti Inuki, con un sorriso maligno- Nell’altra squadra c’è quel grissino di Hojo?»
I ragazzi annuirono, e Inuki scrocchiò le nocche delle dita.
«Allora vengo subito.- ridacchiò, per poi alzare la mano in segno di saluto- Parleremo dopo, Kagome. Devo andare a distruggere un perdente.»
«Inuki!» esclamò Kagome, seccata. Inuki corse via con gli altri, senza voltarsi. «Inuki Tochi, sei solo un idiota!» strillò la ragazza, facendogli incassare la testa tra le spalle. Frustrata e con le lacrime agli occhi, Kagome corse via.
La tattica numero due era fallita, e in quel momento Kagome sentiva di detestare Inuki con tutte le sue forze.
***
Inuki corse al campo di pallacanestro con un piccolo senso di colpa, nascosto dietro lo spirito combattivo che lo aveva pervaso al solo sentire nominare quel poveretto di Hojo. Se prima Kagome non era arrabbiata, ora lo era di sicuro. L’aveva proprio piantata in asso, a ripensarci…
Azzardò un’occhiata dietro di sé, e la vide correre via. Sospirò. Non poteva neanche attenderla all’uscita, perché sua madre gli aveva rifilato la lista dei colori che le mancavano in cambio del permesso di entrata per quella mattina, e dopo l’ultima ora avrebbe dovuto fare una scappata in colorificio.
“Oh, beh…vorrà dire che stasera andrò a trovarla al tempio.” si disse, tranquillizzandosi. Ma certo! Sarebbe andato a casa sua con un regalo carino, magari qualche dolce comprato al ritorno, e Kagome l’avrebbe perdonato. Chissà cosa aveva da dirgli di così importante, poi…
«Giochi anche tu, Tochi?» gli chiese una voce irritante, che lo riportò immediatamente alla realtà.
«Ti farò vedere i sorci verdi, Hojo.» rispose, sprezzante, guardando il suo avversario con sufficienza. Nessuno aveva compreso quale fosse il motivo di tanta rivalità, e nemmeno Inuki l’aveva mai ammesso con se stesso, parandosi dietro il fatto che il giovane della quarta sezione era troppo perbenino per i suoi gusti. In realtà, quel damerino ci provava con Kagome già da due anni, chiedendole di uscire ad ogni piè sospinto, e il solo pensiero che la sua migliore amica (la ragazza che amava, forse) si potesse mettere con un tale perdente, gli faceva venire i vermi allo stomaco.
Questi pensieri rimanevano però chiusi nel profondo, in uno scrigno che Inuki non desiderava ancora portare alla luce. Irritato per il sottile senso di disagio che lo attanagliava già da due giorni, Inuki afferrò la palla e decise di sfogarsi sulla quarta sezione del Liceo Haretsu.
***
Kagome uscì da scuola e si diresse verso casa in un profondo stato di depressione.
La tattica numero tre, l’unica che le fosse rimasta, era fallita prima ancora di cominciare. Al suono dell’ultima campana, Inuki aveva afferrato la cartella ed era corso via come se avesse il diavolo alle calcagna. Alla faccia delle Infallibili Tattiche di Kagome Higurashi. La giornata si era rivelata un autentico disastro, e Kagome non aveva nessuna voglia di replicare il giorno dopo. Visto che Inuki la evitava con tanta lena, non avrebbe più detto una parola, brutti presentimenti o no.
La ragazza sbatté le palpebre, scacciando le lacrime incipienti. Le faceva male il cuore. Era mai possibile che Inuki riuscisse sempre a rovinare tutto? Era mai possibile che fosse così sfortunata da non riuscire nemmeno a trovare due minuti per dichiararsi al ragazzo che amava?
«Basta Kagome. Ti fai solo del male.» mormorò tra sé. Prese la metropolitana e rimase accanto alla porta del treno, osservando con occhi vacui la città che le scorreva di fronte. In quel momento, le sembrava meno reale dell’incubo che l’aveva assillata in quei giorni. Le sembrava quasi di sentire il suono della pioggia…ma forse era solo il rumore delle lacrime che stava trattenendo, perché il cielo era sereno e il sole stava tramontando in un tripudio di rossi.
Scese alla propria fermata, poi si incamminò verso il tempio. Si sentiva stanca come mai prima. Avrebbe rinunciato all’idea. Sì, avrebbe rinunciato. Meglio restare nella routine quotidiana, piuttosto che stare male in quel modo un’altra volta.
«Sono una stupida.» mormorò, chinando il capo.
«KAGOME!»
La voce di Inuki la colpì alle spalle, facendola sussultare. Si voltò di scatto, e vide Inuki correre verso di lei, sventolando in aria due sacchetti di carta. Aveva stampato in faccia un sorriso raggiante.
«Inu…ki?» chiese lei, incerta se quella fosse la realtà o la sua immaginazione fosse diventata ad un tratto troppo fervida. Inuki le corse accanto.
«Ehi, ma che faccia hai? Non sono mica un fantasma.- rise il ragazzo, per poi ficcarle tra le mani uno dei sacchetti- Tieni, è per te. Stavo per venire al tempio, ma sono contento di averti incrociata per strada.»
«Cos’è?» farfugliò Kagome. Era una eccezionale coincidenza che avesse incontrato Inuki sulla strada del ritorno! Forse non doveva rinunciare così presto. Le parole del ragazzo le diedero ragione.
«Beh, sono dolcetti. Una stupidata che ho comprato per farmi perdonare.- disse Inuki, ora un po’ imbarazzato, con le mani dietro la nuca- Oggi non ti ho ascoltata per andare a giocare contro Hojo, e alla fine delle lezioni sono scappato via. Mi dispiace, Kagome.»
Kagome lo guardò, sentendo di nuovo le lacrime pizzicarle gli occhi.
«Ma sai, è tutta colpa di quella schiavista di mia madre!- le confidò Inuki, con aria da cospiratore- Mi ha costretto ad andare a comprarle il materiale per dipingere in cambio del permesso d’entrata per stamattina. Però ti ho comprato i taiyaki che ti piacciono tanto, perciò sono perdonato?»
Fece gli occhioni da cucciolo, e Kagome non poté fare a meno di ridere, annuendo. Inuki sospirò platealmente di sollievo, facendola ridere ancora.
«Torniamo a casa insieme?» le chiese il ragazzo.
«Certo!» rispose lei, sorridendogli con calore. Presero a camminare fianco a fianco, costeggiando il canale. Inuki si lanciò nella descrizione della partita in cui, testuali parole, aveva convinto quel damerino di Hojo a darsi ad uno sport che non fosse la pallacanestro. Kagome si lasciò cullare dalla sua voce, godendo della sua presenza. Era così bello, così giusto stare accanto ad Inuki. Voleva che quel momento non finisse mai. Voleva camminare con lui per sempre.
«Inuki?» lo chiamò, piano, infilandosi con cautela nella sua esaltata narrazione.
«Mh?» disse lui, dandole subito la sua attenzione e sorridendo. Kagome si fermò, stringendo forte la cartella e il sacchetto dei taiyaki che lui le aveva regalato.
«Inuki…io ti voglio bene.» sussurrò, guardandolo negli occhi. Anche Inuki smise di camminare. Il sorriso scomparve in un’espressione sorpresa. «Ti voglio tantissimo bene.» disse ancora Kagome, mettendo il suo cuore in mano al giovane che le stava di fronte. Il silenzio calò su di loro, e Kagome rimase in attesa della sentenza.
***
Inuki impiegò qualche istante a recepire il vero significato delle parole.
Kagome…gli voleva bene? Come una sorella? Come un’amica? O come…come…La guardò, osservò le sue guance rosate contro la pelle pallida, guardò il luccichio delle lacrime nei suoi meravigliosi occhi, ed allora capì quali erano i sentimenti di Kagome. Si sentì riempire di dolce affetto, un doloroso desiderio di prenderla tra le braccia. Si diede dell’idiota, pensando che probabilmente Kagome aveva tentato invano di dirglielo per tutto il giorno. Lo scrigno segreto che Inuki conservava nel profondo si aprì, comunicandogli tutto il suo amore per Kagome. Non era mai stato così felice.
Aprì la bocca per rassicurare Kagome, per prometterle che sarebbero stati insieme e che non l’avrebbe mai lasciata. Voleva dirle quanto la amava, da quanto tempo pensava soltanto a lei. Dalle sue labbra, però, uscì una voce fredda e dura, sarcastica: «Ehi, non avrai travisato qualcosa, Kagome?»
La vide sussultare come se le avesse dato una scudisciata. Ma che diavolo stava dicendo?! Non era lui, non era lui a dire quelle idiozie! Lui la amava! Eppure, la voce era la sua, per quanto fredda, e il senso di rivalsa, di dolorante vendetta che si agitava sotto l’amore, sentimenti a lui estranei, lo rimandavano al terribile incubo che faceva di notte in notte. Sentiva il proprio viso atteggiato ad una smorfia di disprezzo. Possibile che qualcosa, dentro di lui, avesse associato Kagome alla misteriosa donna che lo trafiggeva sotto la pioggia?
«Che io sia gentile con te, non significa che tu possa prenderti certe libertà.- continuò quella parte di sé che non conosceva, ma che ora gli urlava di non fidarsi della donna, perché la donna era una traditrice- Santo cielo…se avessi saputo che eri così stupida, in primo luogo non ti avrei mai offerto la mia amicizia!»
Il dolore di Kagome era così evidente che l’anima di Inuki si accartocciò su se stessa. Ciononostante, la parte di lui che gridava di vendetta continuò il suo operato distruttivo. Allungò una mano, afferrò il sacchetto di taiyaki e lo gettò nel canale.
«Se uno stupido regalo ti fa montare la testa, meglio buttarlo.» furono le sue fatidiche parole, prima che Kagome lo schiaffeggiasse con tanta forza da riportarlo in sé. Si voltò lentamente verso di lei, la mano sulla guancia. Negli occhi di Kagome non c’era posto per l’ira. Erano pieni soltanto di un dolore, una pena indescrivibile. Le lacrime le rigavano le guance, la bella bocca atteggiata ad una smorfia di sofferenza. Singhiozzò.
«Ah…Kagome…io non so…non so cosa…» balbettò Inuki, terrorizzato dalle proprie azioni.
«Io ti odio, Inuki Tochi!- gridò lei, disperata- TI ODIO!»
Corse via, singhiozzando, un braccio sugli occhi per non mostrare al mondo le sue lacrime. Inuki ristette per un attimo, incapace di capire come potesse essere passato dalla gioia più assoluta a quella delirante situazione, poi si mise a correre dietro di lei.
«Kagome! Kagome, aspetta! Non so perché ho detto quelle cose!» gridò.
«Lasciami in pace!» fu la risposta di lei, che attraversò la strada per mettere maggiore distanza tra loro.
Fu allora che l’auto uscì a tutta birra dalla strada laterale, sbandando. In un istante, Inuki vide che era piena di universitari ubriachi, vide che Kagome era sulla loro traiettoria e si rese conto che quei pazzi non sarebbero mai riusciti ad evitarla.
«KAGOMEEEE!!!» urlò, straziato, cercando di correre più veloce pur sapendo che non sarebbe riuscito a fare nulla per lei. L’avrebbe persa in quel modo assurdo, senza essere riuscito a confessarle il suo amore. La vide girarsi verso l’auto e gridare, coprirsi la testa con le braccia in un disperato tentativo di difesa, mentre la sua cartella cadeva a terra. Vide le bocche degli universitari spalancarsi in mute ‘o’ di sorpresa, mettere mano al volante troppo tardi, tentando di sterzare. Il cuore di Inuki sentì di essere sul punto di scoppiare.
Poi, quando l’auto non era che ad una decina di centimetri dalle gambe di Kagome, la ragazza fu inondata da una luce rosata…e scomparve. Letteralmente, si smaterializzò. Inuki inciampò e cadde sulle ginocchia, attonito, il cuore che gli pulsava nella gola e nella testa come un mantice impazzito. Che era successo? Che diavolo era successo a Kagome?!
Ma non ebbe tempo di pensarci. Con uno stridio di gomme, l’auto perse completamente il controllo. Si abbatté su Inuki in pieno, facendogli fare un lungo volo verso il canale. Inuki vide il cielo sfrecciare sopra i suoi occhi, vide rosso e non capì se si trattava del tramonto o del suo sangue. Sentì rumore di metallo e vetro in frantumi, quando l’auto centrò infine il muro di cinta di una casa.
Poi cadde e il mondo si riempì di dolore. La tenebra lo trascinò giù e più oltre, dove nemmeno il nome di Kagome aveva più significato.

 

   
 
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